FontanHaus. Non un libro come gli altri
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Irene Licia Melloni nasce a Genova da una famiglia emiliano-genovese, consegue la maturità classica presso l’Istituto “Vittorino da Feltre” di Genova nel 2001 e successivamente, all’università, consegue il Bachelor of Arts with Honors in Communication & Media Studies presso la Nottingham Trent University-European School of Economics di Londra, e poi consegue un Mini Master in Business Administration Intensive presso Management & Marketing Universal Business School di Edimburgo e, in seguito, un Master in Web e Digital Marketing a Verona, poi consegue un Master sulla Valorizzazione del Territorio. Dal 2006 è Imprenditrice nell’Altro Crinale dell’Appennino Reggiano, dove vive, e titolare de “Il Vascello del Monsignore-Antica Acetaia dal 1770”, un’acetaia di famiglia ereditata dal nonno, in realtà una passione prima ancora che un lavoro e un’azienda. Da anni si dedica alla valorizzazione del suo territorio e alla ricerca storica su di esso. Nella sua vita, inoltre, ha realizzato numerosi eventi culturali e di beneficenza per vari enti benefici e no profit; ha partecipato ad alcuni concorsi di poesie fin dall’adolescenza.
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FontanHaus. Non un libro come gli altri - Irene Licia Melloni
Irene Licia Melloni
FontanHaus
Non un libro come gli altri…
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-6669-6
I edizione settembre 2022
Finito di stampare nel mese di settembre 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
FontanHaus
Non un libro come gli altri…
Ogni riferimento a persone cose
o fatti reali è assolutamente casuale.
Quest’opera la dedico all’amicizia e alle persone
che per me sono più care… Loro sanno di chi parlo…
E al mio amatissimo Appennino.
Una dedica in particolare a mio padre, che mi ha supportata moltissimo in questo mio percorso, e a mamma per essermi stata vicina nei momenti difficili di questa stesura.
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Capitolo 1
PAROLE-PArole-paRole...
Da qualche parte d’Europa 20/03/20 nel bel mezzo della pandemia, quando tutto ciò che era normale ci sembra improvvisamente distante, in una casa ad una scrivania davanti ad una finestra c’è una ragazza seduta al computer che sta scrivendo una mail o meglio una lettera...
chissà se la spedirà?
C’è una parte che ci interessa… è qui che inizia il racconto… chi sono io? Lo capirete leggendo o forse no…;)
Lugano 20/03/20
… Noi compagni di sventura, eroi di un libro senza trama, costruito solo sulla monotonia della nostra vita: casa scuola studio sport amici. Sulle cose d’ogni giorno (come disse Lukatay sui mattoni della strada che facciamo ogni giorno per andare a scuola
) tutto condiziona i nostri pensieri, gesti, atteggiamenti.
Forse è proprio così... O forse no, può darsi che se noi non fossimo stati lì se non avessi vissuto lì, sarei diversa. Penso che se non fosse stato così non chiameremo ‘Porto’ il porto, luogo di arrivi, adii e partenze; non si chiamerebbe ‘Lungo Mare’ la passeggiata: non esisterebbe il nome Fontanhaus
. A tutto è legata una storia, come una storia sarà sempre legata ad un luogo...
…
…
... Il vecchio parco giochi, ora demolito, è solo un ricordo, i giochi li hanno portati via... Ma rimangono in un angolo i quei pini che ci videro bambini coi nonni... sono sempre lì, impassibili dinnanzi ai mutamenti del paesaggio, nostri e al tempo che passa.
A tutto questo è legata la storia del nostro gruppo, perchè se noi non fossimo amici, questi luoghi non si chiamerebbero con i nomi che noi gli abbiamo dato...
Bene, Ragaz ora vi saluto perchè sennò diventerei troppo noiosa... come disse Corto Maltese: L’amicizia dura fino a quando non finisce!!!
Un grande saluto al Fontanhus. Sarà sempre nel mio cuore e voi con lui...
Baci vostra Linth
Capitolo 2
Settembre: presenze
Passeggiando nel Borgo, oggi, non si può non sentire la sua aria antica, quegli anni tra il ’62 e il ’74 sono rimasti nell’immaginario degli abitanti come un ricordo che si affaccia su un’ epoca diversa quando il boom economico portava qui molti turisti e il paese passava da piccola frazione di montagna, dove ci si sentiva prigionieri di una vita senza futuro, a ricca stazione turistico- termale. In uno scontro generazionale, ma anche culturale tra l’economia del castagneto, ricca di tradizioni orali e testimone della vecchia vita, alla civiltà dell’asfalto, dell’automobile, della televisione e della radio. Un mondo in cui i vecchi si sono ripiegati sul passato con rimpianto, vedendolo come un tempo di ricchezza e felicità perduti e passati, di relazioni umane e di valori che non erano più al passo con il mondo moderno.
Il borgo aveva un profumo tutto suo, fatto di un guazzabuglio di aromi, che a seconda della giornata e della stagione impregnavano l’aria tersa di montagna: dal profumo del pane appena sfornato davanti al Piccolo Forno di Gimmi al mattino, dall’aroma di caffè che aleggiava davanti al bar del Cisterna, passando per l’aroma delle caldarroste e delle candele della chiesa in autunno, della legna dei camini in inverno, fino al dopobarba del banchiere che arrivando in piazza con la sua Alfa rossa lasciava una scia di profumo cha arrivava fino al Porto. I suoi rumori, il vociare dei bambini fermi con le mamme ad aspettare il pulmino per andare scuola, le auto e le moto che in lontananza sfrecciavano sulla statale appena fuori dal borgo. La gente del Borgo è gente rude, di montagna, veri e propri highlander dell’appennino reggiano, gente a metà tra il cow boy dal viso rude, occhi di fiamma, carattere temprato dal vento del nord ovest e l’espressione sorniona delle statue etrusche. Sono genti di crinale, un po’ briganti un po’galantuomini, ma gente per bene
(cit. il Duca).
Sulla via principale, che si snoda per tutta la lunghezza del Borgo, ci sono alcuni negozi…
Uno di essi, la bottega della Miria un negozietto, con la porta a vetri, un bancone e dietro scaffali e scaffali di bottoni aghi e fili. La padrona è una donna bassa grassoccia un po’ ingobbita e molto curiosa. Se in quel del paese c’è una novità lei la sa. Se si entra nel suo negozio si esce sicuramente ricchi di pettegolezzi, ma anche si accalora a raccontare storie e leggende presenti e passate. Ti narra le vicende di fantasmi, eroi e fate, del Principe Nero
e dei Briganti della Sparavale, di Santa Maria Maddalena che passò da quelle parti durante il suo viaggio dalla Palestina e lasciò la sua impronta sul Ventasso, della Madonna Nera che era in canonica; della casa che, un tempo, era nel bosco giù dal campo sportivo la cà d’ Fiocchi, e del leggendario In tel Fade
il posto delle fate il vicino al lago del Ventasso.
Il mini market, era il negozio della Luciana e di suo marito Enos. Lei era una donna piccolina rotondetta, con le guance rosse, gli occhi sorridenti, mai pettegola, con un sorriso accattivante. Suo marito, invece, era un uomo molto particolare, un vero montanaro, da giovane dicevano somigliasse a Sean Connery, aveva una voce gutturale, era molto schivo e ruvido ma molto gentile. In questa bottega si poteva trovare oltre alle classiche cose da mini market un sacco di laccornie locali, come il Parmigiano reggiano del vicino Caseificio di Grafagnolo; la ricotta di Carnola; un buon fiaschin di vin tusc
, un vino da tavola dell’alta maremma, il vino che si beveva nel paese fino agli anni ‘60, poi soppiantato dal Lambrusco. Nel Borgo la cultura del vin tusc arrivò tanto tempo prima tra le due guerre con la strasumanza dei capi di bestiame in maremma, negli anni in cui l’inverno si passava a scarraciare, ovvero la lavorazione del sughero che veniva portato a casa dalla maremma, che veniva lavorato rudimentalmente nelle case e nelle cantine da tutti i componenti delle famiglie, per ottenere i primi grezzi tappi di sughero che poi venivano venduti, questa è una delle attività che ha reso prospero il nostro Borgo. Vi erano, inoltre, il pane di Vinca; i salami della Salumeria Boni di Castelnovo; il Balsamico del nonno della Linth; la melata di Vendaso; il pecorino di Vallisnera; in stagione i funghi, dei bei pocini, i patarini
come li chiamavano le nonne rigorosamente freschi, raccolti attorno al Borgo; i mirtilli e i lamponi del Ventasso; i tortelli, fatti di persona dalla padrona,o di erbette o di patate, ticicità locale, e in estate di ortiche; la torta di patate, una torta salata tradizionale del Borgo; l’erbazzone montanaro, altra leccornia tipica; il Gnocco Fritto da asporto in estate; e, alla domenica, i dolci della pasticceria Campari di Castelnovo.
La bottega della fruttivendola, la Inés, una donna bruna sempre ben vestita dietro al grembiule verde, spagnola di origine e divorziata da molto prima di arrivare nel borgo, almeno così si diceva, era pettegolissima, il suo negozio assieme a quello del macellaio era uno dei gazzettini del borgo, qui oltre un chilo di pomodori, mele, ecc. potevi acquisire tutti i pettegolezzi dei benpensanti del borgo, essere informato delle morti, sentire elogi funebri dove tutti, anche i peggiori diventavano santi, ma soprattutto sapere proprio tutto di tutti, molti dicevano che la CIA e FBI a confronto sono degli ingenui.
La Tabaccheria edicola e libreria, che un tempo era stata del vecchio Bortella, un personaggio quasi mitico nel Borgo, decorato al valor militare nelle prima guerra mondiale nonché antifascista convinto, e, soprattutto nonno del Duca, era stata comprata negli anni ’90 da Enrico, un uomo gentile e affabile trasferitosi nel Borgo per amore, aveva sposato una delle figlie dei proprietari della Pensione Fiorita. Questo era un luogo molto amato dai ragaz e da tutti, qui ci trovavi sempre un sorriso, l’ultimo Cioè, il fumetti Disney, detti da lui i topastri
e le avventure di Pape
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