I mille volti d'Oriente
By Aristide Malnati and Virginia Reniero
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I mille volti d'Oriente - Aristide Malnati
Aristide Malnati - Virginia Reniero
I MILLE VOLTI
D’ORIENTE
Collana: Girovaghi
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.
commerciale@giraldieditore.it
info@giraldieditore.it
www.giraldieditore.it
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ISBN 978-88-6155-953-0
Proprietà letteraria riservata
© Giraldi Editore, 2023
Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
Alle nostre Mamme e alle nostre Nonne,
guide amorevoli e preziose
nel corso della nostra vita.
PREFAZIONE
di Roberto Di Diodato
Il volume I mille volti d’Oriente è un affresco genuino e coloratissimo del Sud-est asiatico eseguito da due pittori naïf, che viaggiano non da turisti ma da esploratori curiosi attraverso la Thailandia, la Cambogia, l’Indonesia, il Borneo malese e le Filippine. Un grande e lungo itinerario, intricato e intrigante, che abbraccia megalopoli come Bangkok ma soprattutto villaggi di contadini e di pescatori, mercati galleggianti, templi, fiumi pericolosi, foreste pluviali, spesso percorrendo sterrati che hanno solo una lontanissima parentela con una carrozzabile. Un’esperienza immersiva nei mille mondi di questo Oriente che sbalordisce ancora oggi per i misteri che nasconde. Mondi di luci e di ombre, ora potenti ora rarefatti, che Aristide Malnati e Virginia Reniero percorrono con grande attenzione e partecipazione emotiva, ma anche con la giusta leggerezza per rendere intellegibili i percorsi ai lettori, che sono condotti per mano a compiere questo viaggio in loro compagnia.
Gli autori, sempre ben informati, entrano con rispetto nella dimensione spirituale di questi popoli così lontani. Intense e raccolte sono le descrizioni di templi indù e buddisti, di cui riportano origine e storia, ma anche di moschee, di chiese e missioni cristiane, consapevoli del melting pot di religioni che in questa parte del mondo coabitano per lo più pacificamente.
Una cifra narrativa particolarmente attraente, che fa da filo conduttore, è quella riservata agli aneddoti e ai vivaci quadretti di vita, sempre raccontati con ironia e brillantezza. Con solida maestria i due autori riescono a cogliere dal vivo la concreta quotidianità di anonimi personaggi, che diventano, per un attimo, coprotagonisti della storia ed entrano a far parte di un universo variegato, eppure compatto tra tradizione e innovazione. Squarci sulla vita reale, che costituiscono il tessuto delle società di questo Oriente dai mille volti e sono il cuore e l’anima del racconto.
Eppure questa scelta di leggerezza non è un limite, ma vuole essere un intento. Malnati e Reniero palesano fin da subito il proposito di non volersi lanciare in complesse disamine geopolitiche. Non ne avrebbero gli strumenti e non hanno la preparazione e la competenza tratte da letture specialistiche o apprese da esperienze e conoscenze derivate da lunghi periodi trascorsi in loco. Questo lavoro è stato già realizzato da giganti della letteratura di viaggio con imprinting socio-politico, ad iniziare da Tiziano Terzani. Se si vuol fare un richiamo letterario, credo che questo vada cercato in prossimità della prosa lussureggiante di Salgari.
La natura, con la sua forza travolgente e la selvaggia esuberanza dei colori, è l’onnipresente tappeto sonoro
del grande viaggio ai confini della realtà, luogo dove prendono forma paure e incubi, ma anche silenzi e meditazioni che fanno alzare lo sguardo verso il cielo, nella contemplazione stupefatta del creato.
I due autori, viaggiatori entusiasti e animati dal gusto per la scoperta e per l’esperienza persino incongrua, sono anche i due narratori che si raccontano in prima persona. Lo fanno in alternanza tra loro, cosa che a tratti – e forse questa è l’unica pecca di tutta l’opera – può confondere, perché non è subito evidente chi sia l’io narrante. Questo genera piccoli inceppi nella linearità della lettura, che tuttavia non pregiudicano lo scintillio e la spontaneità dei singoli quadri e la superba bellezza dei mondi narrati.
I racconti di Malnati e Reniero hanno dato origine alla produzione di numerosi speciali ancora in onda all’interno della serie televisiva intitolata Storia e Misteri
che è trasmessa da Telenova, emittente lombarda di Famiglia Cristiana. Lo sviluppo televisivo è stato possibile grazie alle riprese effettuate da Gabriele Ardemagni, fedele scudiero degli autori e operatore di lungo corso, che non spegne la telecamera nemmeno davanti ai pericoli più insidiosi.
THAILANDIA
Wat Arun:
un’immensità di bianco, oro e smeraldi
Il leggero vaporetto scivola lento lungo le acque torbide e a tratti stagnanti del Chao Praya, il guardiano silenzioso della storia millenaria di Bangkok, il testimone oculare dei cambiamenti epocali di questi ultimi decenni. Virginia, elegante nei suoi abiti di lino stile coloniale – la risposta più idonea all’umidità soffocante della capitale thailandese –, si accomoda su un sedile, direttamente affacciata sul grande corso d’acqua sul lato sinistro dell’imbarcazione. Come in un documentario di contenuto antropologico, davanti agli occhi della giovane reporter scorrono casupole di pescatori o di operai, ma anche palazzi storici dal vago sapore retrò, testimonianza di architettura thai di inizio Novecento, una sorta di liberty dal sapore orientale. Case di piccola fattura, palazzi discreti, anche se poco distanziati tra loro, a volte con piccoli giardini, in qualche caso – se il proprietario ha una certa disponibilità economica – con l’imbarcadero che collega l’edificio alle acque del Chao Praya. In ogni caso niente a che vedere con i building tutto vetro e cemento che disegnano lo skyline di Bangkok, il cuore del business distribuito lungo la grande arteria della Sukhumvit Road.
Virgi si accorge di essere vicina alla meta – i grandi complessi templari della civiltà thai, che qui scrisse una parte considerevole della propria storia –, non appena le si disegnano ancora in lontananza le sagome, via via sempre più dettagliate nei loro contorni fantasiosi e nel loro vivace cromatismo, dell’area templare del Wat Arun. Il Wat è la casa degli spiriti della civiltà thai
– (che unì Buddismo e Induismo) – e di altre culture che si sono susseguite in oriente
, ci informa il guardiano vestito nella sua elegante kesa arancione: Che sia anche lui un monaco?
chiedo a Virgi. O che voglia solo far finta, scegliendo quella sorta di tonaca colorata per dare un’impressione di spiritualità adatta al luogo?
. La mia compagna di viaggio a sua volta rimane nel dubbio: In effetti è difficile dare una risposta. Qui in Oriente il confine tra realtà e simulazione spesso è sottile
, conclude mentre stiamo entrando in questo sontuoso complesso di santuari e templi-pagoda. Coloro che ne officiano il culto, i sacerdoti potremmo dire, qui comunicano grazie a chissà quali alchimie spirituali con le divinità dalle forme più curiose e dai significati più bizzarri; e intercedono presso di loro per i fedeli che ai religiosi si affidano. Veniamo accolti – e colpiti – dalla solennità quasi ieratica di questi bonzi, eleganti nella loro classica tunica arancione e carismatici col loro volto impassibile, sormontato dall’iconico taglio a zero: sono le sette, sembra quasi che abbiano anticipato l’apertura apposta per noi.
Siamo i primi turisti del giorno a entrare nel complesso sacro e ne gustiamo appieno la carica spirituale che emana dai prati fioriti e dalle guglie quasi arabeggianti dei singoli santuari tutt’attorno. Guglie che tendono al cielo, che si elevano verso l’infinito, quasi a fare da tramite tra la finitezza degli umani sulla terra e gli abitanti eterni delle dimore celesti. I ghirigori e le maioliche di blu e verde quasi fosforescenti, che spezzano il rosso mattone delle parti portanti, riflettono la luce del primo mattino e, anche grazie alla temporanea assenza di persone, ci nutriamo di tanto vigore naturale unito alla spiritualità del luogo.
Un inchino e un sorriso sono il buongiorno di Virgi, subito ricambiati dallo sguardo impenetrabile, corredato da un sorriso di circostanza, di un monaco buddista; e io mi associo senza esitare. Timidamente in un inglese essenziale si sviluppa un dialogo di conoscenza tra due mondi lontani: La spiritualità qui è antica, esiste da secoli e ancora oggi è viva pur in una società sempre più tecnologica, ormai secolarizzata. Ho una curiosità
, è il timido approccio della giovane inviata, che subito riceve gentile e rassicurante risposta: Dimmi. Con piacere
. I templi di Bangkok – prosegue più sicura – sono la sede principale del massaggio thai. Così almeno ho letto
. Vero
conferma il monaco. Il massaggio è un’unione di spirito e corpo, la convergenza di due principi vitali: l’armonia e l’equilibrio influenzano la salute del corpo e il massaggio fa da tramite
. E prosegue: Proprio per questo le più antiche scuole di massaggi e di medicina nacquero nei templi, all’interno delle pagode buddiste. E i medici erano anche monaci. Il primo fu Shivago Kura, una figura quasi leggendaria a metà tra santone e scienziato, un po’ come il greco Ippocrate, padre della vostra medicina
, conclude, rivelando una certa conoscenza della cultura classica occidentale che in qualche modo ci sorprende e ci lusinga.
Ci congediamo con un inchino più profondo e partecipato del saluto iniziale e iniziamo a salire le lunghe e ripide scalinate che portano alla sommità dei santuari religiosi connotati da tre diversi livelli.
È così che si ascende al divino? Sudando e faticando nell’immensità di oro e di bianco che svetta contro il blu celeste in una dimensione parallela? Ogni passo ci eleva di circa 50 cm più in alto, verso il sole cocente. Ari, per un attimo non so perché mi sembra il purgatorio di Dante: sarà la luce del sole a picco che rende tutto estremamente abbagliante e luminoso, una sorta di purificazione dello stato umano, o sarà il conseguente calo glicemico o sarà per non so quale connessione strana di retaggio culturale personale
, riflette Virgi a voce alta avvalendosi di eruditi paragoni letterari.
La luce del mattino orla il mio viso assonnato e il bel volto di Virginia che dalle balconate superiori lancia sguardi a perdita d’occhio lungo la linea del fiume. Spariamo e riappariamo tra le guglie a Gabriele, il cameraman, che ci riprende dal basso, quasi come se fossimo coinvolti in una danza ritmata tra una molteplicità di nicchie e terrazze perimetrali.
Wat Pho e Wat Phra Kaev:
il sorriso di Buddha
Una scoperta dopo l’altra, un pieno di forme e colori e poi via! L’esplorazione dei simboli religiosi di secoli di civiltà thai continua sull’altra sponda del Chao Phraya, dove si stagliano altre strutture buddiste, altri tempietti e santuari dalla storia antica e dalla ricca spiritualità. Detto fatto. Su una grossa zattera insieme a passeggeri dai volti più diversi tra turisti e thailandesi, guadagniamo la riva opposta.
Ad attenderci bancarelle di venditori dei prodotti più incredibili; prodotti per lo più in tema con la spiritualità del luogo. Ai classici bastoncini di incenso dozzinale si mischiano essenze di puro incenso thailandese, una qualità dalla profumazione più pregnante, e fiori dai colori sgargianti, come l’orchidea, simbolo di un Paese, la Thailandia, e della sua tradizione religiosa che qui è quanto mai viva. Questa composizione, sì, proprio questa. Sembra che brilli
, dice Virginia, acquistando una ghirlanda di fiori di ninfea. E ora illumina anche te, giovane fanciulla
, dice l’improvvisato venditore-fioraio: Benvenuta al cospetto del grande Buddha sdraiato, tutto d’oro; e subito dopo al cospetto del Buddha di smeraldo che nella posizione del fiore di loto protegge il nostro popolo. Oro e smeraldo sono proprietà degli spiriti benigni e solo gli spiriti possono possederli. Se un uomo se ne impossessa viene traviato, non si contiene più
.
Ammoniti da questa precisazione – un’osservazione contro l’ingordigia di chi vive per accumulare ricchezze – varchiamo l’ingresso verso l’area sacra e subito entriamo ad ammirare l’enorme Buddha che giace sdraiato, in totale serenità, scintillando di luce dorata in tutto il suo corpo. È lo sguardo a colpirci, a stregarci: Uno sguardo assente, ma profondo. Lo sguardo di chi ha raggiunto una calma che non si mischia con il flusso della vita; che anzi preserva chi l’ha conseguita da ogni imprevisto e accadimento negativo
, riflette la giovane esploratrice, profondamente coinvolta in questo distacco dai flussi temporali, nonostante fosse circondata da una vociante folla di fedeli che intonano incomprensibili cantilene: Non posso che condividere
, aggiungo, anche se la mia considerazione appare ovviamente scontata, quasi superflua e un po’ mi sento banale.
L’atmosfera serena di Wat Poh, l’area sacra connotata e impreziosita dal Buddha d’oro in posizione sdraiata, accoglie il vivace viavai di turisti e fedeli. All’ingresso poche ma disordinate bancarelle sono in qualche modo al servizio del luogo e della sua sacralità: vengono soprattutto venduti – ma anche solo imprestati (qui il business è subordinato al rispetto religioso) – copri spalle e parei a contenere in una decenza condivisa l’esibizione di nudità considerata offensiva. Virgi, con un variopinto pareo e con una coroncina di fiori profumatissimi, si porta davanti all’enorme statua, reclinata su un fianco in