Il Web Nascosto: I segreti della rete e del Deerk Web, Deep Web, Dark Web e Criptovalute
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CHE COSA NASCONDE REALMENTE IL WEB?
La rete Internet sembra sterminata, ma quella che realmente navighiamo è solo una piccolissima parte.
Per conoscere cosa si nasconde nelle profondità del web bisogna immergersi nel Deep Web e poi ancora più giù nel Dark Web.
Una zona opaca e non facilmente accessibile che possiamo definire con un neologismo “Deerk Web”.
Chi si nasconde nelle profondità della rete e quali attività si svolgono?
Il mondo “virtuale” inizia a minacciare il sistema monetario “reale”, imponendo un nuovo concetto antagonista di moneta.
Che cosa sono e come funzionano le criptovalute, ma soprattutto perché sono una minaccia per il sistema monetario corrente?
Con questo libro scoprirai:
- l’altra faccia della rete
- perché ha fallito il web in chiaro
- cosa si nasconde nel Deep Web
- cos’è il Dark Web
- come funzionano le criptovalute
- perché il sistema Blockchain può rivoluzionare il nostro futuro
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Il Web Nascosto - Giuseppe Balena
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La trattazione dell’argomento che riguarda le criptovalute non è da considerarsi in nessun modo come indicazione di suggerimento di investimenti finanziari, ma ha solamente uno scopo divulgativo e funzionale per il componimento del presente saggio.
Il taglio di questo lavoro è volutamente non tecnico
e non pretende di avere un approccio informatico in senso stretto; l’intenzione è quella di fornire una panoramica su alcuni fenomeni legati al complesso mondo digitale in continua evoluzione, cercando di offrire chiavi di lettura sui possibili scenari futuri.
A chi cerca di risplendere Nonostante l’ombra.
«È un piacere nascondersi, ma è una catastrofe non essere trovati».
Donald W. Winnicott
«Non c’è dubbio che ci sia un mondo invisibile.
Il problema è quanto dista dal centro storico e qual è l’orario di chiusura?».
Woody Allen
«Com’era la fine del mondo? Chiese Baldabiou. Invisibile».
Alessandro Baricco
«Strano a dirsi, il mondo luminoso è il mondo invisibile; il mondo luminoso è quello che noi non vediamo».
Victor Hugo
Prefazione
Giuseppe Balena oltre a essere un caro amico è anche uno dei più brillanti e talentuosi autori nel campo della cosiddetta controinformazione
. Uno dei suoi meriti è riuscire a divulgare temi complessi in maniera semplice, e scorrevole, grazie a uno stile a tratti romanzato che accompagna il lettore per mano alla scoperta dei retroscena del controllo sociale e della sorveglianza tecnologica. Il tutto senza perdere di vista un’accurata documentazione.
Il libro che avete tra le mani può essere inteso come la prosecuzione ideale del suo precedente saggio Il grande Fratello ci guarda. Là si parlava in particolare di sorveglianza tecnologica, qua l’autore va oltre immergendosi e accompagnando il lettore nei profondi abissi del Deep Web e del Dark Web. Un tema tanto affascinante quanto poco conosciuto. Dopotutto negli ultimi anni stiamo vivendo una specie di scollamento tra le innovazioni tecnologiche e la ricerca sulle ripercussioni sociali ed etiche di queste. Si parla sempre di più di profilazione, Big Data, intelligenza connettiva, persino di Inconscio Digitale e di Infosfera, ma pochi sanno di che cosa si tratta.
Nel frattempo tutti noi viviamo in bilico tra una specie di doppia realtà: quella vera, concreta, fisica e quella digitale che lascia dietro di noi una traccia chiara di ogni nostra abitudine, inclinazione, pensiero e possibile scelta.
Per anni il web è stato celebrato come un mezzo di democratizzazione e di emancipazione senza precedenti. La cronaca non ha mancato di pubblicizzare le comodità che la rete e in particolare i social network ci offrono, ma ha anche dimostrato i limiti di un
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nuovo stile di vita che impone di essere sempre connessi
, arrivando alle rivelazioni di Edward Snowden che ha scoperchiato il vaso di Pandora sulla sorveglianza tecnologica.
Negli ultimi anni si è tentato di convincere l’opinione pubblica ad attribuire scarso valore alla privacy, quando paradossalmente sono proprio i magnati di Internet e i politici i primi a custodire gelosamente la propria privacy da occhi indiscreti. Il mantra che è stato sbandierato per anni suonava all’incirca come: Se non hai nulla da nascondere non ti farai problemi ad abdicare alla tua privacy, solo chi ha commesso qualche reato avrà problemi a mostrarsi in tutto ciò che fa
. Peccato, che, come osserva il Premio Pulitzer
Glenn Greenwald,
«il desiderio di privacy è comune a tutti noi in quanto parte essenziale, e non accessoria, dell’essere umano. Comprendiamo tutti, istintivamente, che l’ambito privato è quello in cui possiamo agire, pensare, parlare, scrivere, sperimentare e scegliere come essere, al riparo dallo sguardo giudicante degli altri. La privacy è una condizione fondamentale dell’essere persone libere».
Come avviene la progressiva restrizione della privacy?
Al di là dell’evidente spersonalizzazione dell’individuo che passa più tempo a cinguettare
, chattare o postare contenuti in rete, dedicando sempre più spazio alla digitalizzazione
che alla vita reale, dall’altra si deve considerare che tale comportamento offre al potere e in particolare ai servizi segreti o ad agenzie come la nsa la possibilità gratuita di scandagliare nelle vite di ogni cittadino scavalcando qualunque limitazione della privacy, per accedere e archiviare i dati personali.
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In che modo? Basta semplicemente entrare in possesso dei contenuti che ogni utente pubblica sul proprio profilo in rete, traendo un quadro approfondito di pensiero, abitudini, posizione, status, ecc. Non c’è bisogno del Grande Fratello orwelliano che spii ogni nostro movimento se siamo noi stessi i primi a condividerlo con un tweet o un post sui social. Anche su questo fronte aveva ragione il saggista e romanziere Aldous Huxley: accompagnando dolcemente
le masse con miracoli e circensi
ad accettare dei metodi di restrizione della privacy, queste accettano un maggiore controllo senza neppure accorgersene e senza il bisogno di dover adottare un metodo coercitivo. Si cede cioè la propria autonomia in cambio di un’apparente scintillante comodità.
Il sociologo e giornalista bielorusso, esperto di nuovi media, Evgeny Morozov, ha ampiamente spiegato nelle sue opere come Google, Amazon, Facebook, Twitter, ecc. sarebbero soltanto l’incarnazione di una nuova forma di capitalismo mascherato da rivoluzione digitale e l’ennesima versione dell’accentramento di potere economico e politico nelle mani di pochi in cui i dati diventano uno strumento di dominio [1] .
In Silicon Valley: i signori del silicio, Morozov mostra come anche un semplice pagamento con lo smartphone lasci dietro di sé una traccia
«che può essere seguita, e soprattutto sfruttata, dalle aziende pubblicitarie (e non solo)» 2. Insomma, la registrazione delle transizioni permetterebbe di raccogliere dati utili per schedare gli utenti che vengono irretiti dal feticismo per l’innovazione
in modo che non si rendano conto del tranello in cui sono caduti.
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Secondo Morozov, parlare di tecnologia oggi significa appoggiare, anche in modo inconsapevole, l’ideologia neoliberista e spiega come una critica profonda alla tecnologia possa aiutarci a intraprendere una liberazione da essa, comprendendo prima di tutto dove abbiamo sbagliato e dove stiamo sbagliando [2] .
Oltre alla rete in chiaro che tutti noi usiamo quotidianamente, c’è ben altro: una rete completamente sconosciuta, segreta e piena di insidie, in cui si sprofonda in una potenziale Tana del Bianconiglio. Solo che qua non si incontreranno figure fiabesche ma veri e propri pericoli (traffico d’armi, droga, sicari, snuff movie) e all’opposto hacker e anarchici che possiamo definire come dei veri e propri paladini e custodi del web (un esempio su tutti è WikiLeaks). Come già mostrava ne Il Grande Fratello ci guarda, Internet è diventato un vero e proprio strumento di potere: in estrema sintesi, la rete, ci spiega l’autore, con la sua enorme struttura portante, offre grandi potenzialità ma anche notevoli pericoli.
Se sicuramente tutti noi dovremmo diventare più consapevoli degli apparati tecnologici in cui siamo immersi per delimitare questo sconfinamento graduale del controllo e questa inquietante erosione della nostra privacy, dall’altro è bene imparare a conoscere cosa avviene nei livelli inferi
del web e come invece le criptomonete stanno prendendo sempre più piede nella nostra società. Perché gli esperti sono così divisi su di esse? Sono un elemento di liberazione o possono costituire l’ennesimo cavallo di Troia? C’è un rapporto tra la progressiva battaglia che sempre più Stati stanno intraprendendo contro il contante e le criptomonete? Se questo nuovo strumento di pagamento digitale venisse adottato, avverte Balena, «ci sarebbero le condizioni reali per affermare a livello mondiale un’unica moneta
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che potrebbe dare una spinta decisiva per la realizzazione dei piani del Nuovo Ordine Mondiale». Insomma, unica moneta, unico Stato globale, maggior controllo.
Di questo e molto altro ci parla Giuseppe Balena in questo saggio. L’opera è suddivisa in due parti: nella prima si parlerà del web più profondo e nascosto, analizzandone le caratteristiche e i contenuti. Nella seconda parte, invece, l’autore analizza un fenomeno in rapida ascesa, ossia le criptomonete e in particolare i Bitcoin e il sistema della Blockchain.
Tematiche attualissime che ci devono far riflettere non solo sul futuro della rete ma anche sul futuro della nostra società.
Enrica Perucchietti
Introduzione
«Il futuro ci corre incontro a braccia spalancate ma non ci dà il tempo di abbracciarlo».
Michelangelo Buonarroti
È strano, ma è così!
Sapete qual è la parte del corpo umano che più di ogni altra ha sempre accompagnato e diretto le fasi evolutive più importanti della storia umana? Verrebbe da dire il cervello, sembrerà strano e invece è più banalmente
il polpastrello del dito o meglio dell’indice. Abbiamo tutti ben impresso nell’immaginario collettivo la straordinaria visione de La Creazione di Adamo: l’affresco di Michelangelo Buonarroti, databile 1511 circa e facente parte della decorazione della volta della Cappella Sistina nei Musei Vaticani a Roma. Un’immagine semplice, non di certo dal punto di vista del valore artistico, ma potente e fortemente espressiva: pone in contatto, proprio tramite le dita che appena si sfiorano, Dio, come entità superiore e creatrice, con Adamo, ossia il risultato primo e immediato proprio della sua creazione.
A pensarci bene i pochi centimetri del polpastrello del dito indice hanno accompagnato le tappe più importanti della storia umana, soprattutto in occasione dei più recenti salti evolutivi tecnologici. Pensiamo per esempio all’invenzione del libro e poi dei giornali, strumenti questi che hanno determinato la possibilità di una maggiore circolazione e diffusione delle conoscenze, ma per utilizzarli bisognava sfogliarli proprio con il dito indice.
Spostiamoci poi all’epoca dell’invenzione della radio: un altro salto tecnologico non di poco conto e anche in questo caso l’accensione, lo spegnimento e l’utilizzo passano attraverso le dita.
Vogliamo parlare poi dell’invenzione del telefono? I primi modelli più strutturati per comporre il numero necessitavano ancora una volta del polpastrello.
Passiamo all’invenzione della televisione e successivamente all’introduzione di un aggeggio infernale come il telecomando, causa di dissidi famigliari e forse anche di alcuni divorzi. Ancora una volta a comandare il tutto è sempre apparentemente quella inutile estremità della mano.
Arriviamo poi ai giorni nostri o ai giorni mostri
con l’introduzione nelle nostre esistenze prima del personal computer e poi, in rapida successione, del cellulare, del tablet e dello smartphone. Indovinate un po’ con quale parte del corpo possono essere utilizzati? È vero, qualcuno potrebbe insistere ancora nel dire, rispondendo in merito alla domanda di apertura, che la parte del corpo umano che più di ogni altra ha sempre accompagnato e diretto le fasi evolutive più importanti della storia umana dovrebbe essere il cervello e che soprattutto gli strumenti tecnologici di ultima generazione dovrebbero essere utilizzati con il cervello.
Uno dei gesti più comuni entrati nella vita quotidiana con prepotenza è il picchiettare delle dita su una tastiera formata dalle lettere dell’alfabeto, pur senza avere la disposizione dell’ordine alfabetico. La tastiera fisica, ma ora sempre di più anche quella virtuale, ossia configurata per esempio sugli smartphone, è forse l’immagine che più di frequente passa sotto i nostri occhi nell’arco della giornata. L’agglomerato di pulsanti della tastiera costituisce una barriera fisica ma anche ideale e sempre più forse ideologica tra il mondo reale e quello virtuale dal quale siamo sempre più attratti come il richiamo inesorabile del canto delle sirene. Il varco è impalpabile ma soprattutto istantaneo. Sempre di più la sottile linea di demarcazione va sfumando: spesso addirittura confondiamo la nostra vita reale con l’esistenza virtuale o digitale. La domanda potrebbe sembrare azzardata: chi siamo nel mondo virtuale? La risposta potrebbe essere sconvolgente: sembrerà strano ma siamo sicuramente altro
rispetto alla vita reale.
Avete mai provato a cercare voi stessi online? Nelle pieghe nascoste di questo libro, possiamo dircelo con malcelata vergogna, ognuno di noi presto o tardi l’ha fatto per curiosità, per voyerismo o in un momento autocelebrativo o cerebro-lesivo, magari lo farà forse proprio ora posando di lato questo libro. È come essere un moderno Narciso che si specchia nel mondo digitale. Come si fa? Semplice: basta aprire un qualsiasi motore di ricerca e digitare il proprio nome per vedere chi siamo e dove siamo. Si potrebbero fare belle o brutte scoperte.
Fino a pochi anni fa l’unico modo per connettersi a Internet e quindi varcare il portale della (ir)realtà era unicamente il personal computer. Nel corso degli ultimi anni, invece, il passaggio nell’oltre-realtà è diventato sempre più facile e soprattutto immediato: smartphone, tablet e ora anche smart tv lo agevolano e non di poco, anzi in maniera determinate.
Facciamo un passo indietro. Riuscite a immaginare o solo a ricordare le nostre giornate senza avere il naso contro
una tastiera? Sembra un tempo lontanissimo e indefinito; in realtà questa nostra consolidata abitudine è relativamente recente se si pensa che il primo personal computer di diffusione di massa risale agli anni Settanta, ma solo a partire dagli anni Ottanta si è avuta una commercializzazione più consistente [3] . Ovviamente lo smartphone è ancora più recente 5.
Un altro aspetto fondamentale della rivoluzione digitale della quale facciamo parte in maniera integrante e pregante riguarda il cambiamento del nostro modo di comunicare che è diventato sempre più veloce e istantaneo. A cambiare, però, non sono solo i mezzi ma anche il linguaggio utilizzato: le parole vengono sostituite dalle abbreviazioni o addirittura nel linguaggio delle chat dalle emoticon [4] . Si sta stratificando in questo modo un vero e proprio gergo in continua e velocissima evoluzione spesso regolato dal risparmio dei movimenti sulla tastiera, quasi una scorciatoia per varcare quel cancello a cui si accennava in precedenza. Nell’era digitale tutto è veloce e tutto deve essere rapido.
Non a caso esistono termini specifici per indicare la demarcazione tra le due dimensioni: reale e digitale. In Real Life
ossia Nella vita reale
abbreviato in irl indica soprattutto negli ambienti degli hacker tutto ciò che non avviene in rete. Più o meno simile è anche l’espressione Away From Keyboard
ossia Lontano dalla tastiera
, abbreviato in afk; per uno strano e bizzarro gioco di parole la stessa abbreviazione significa anche A Free Kill
ossia Una facile uccisione
, abbreviazione questa in uso prevalentemente nell’ambito del settore dei videogames sparatutto.
Per capire come, quando e quanto Internet e il personal computer siano diventati strumenti indispensabili e oserei dire assoluti nella vita quotidiana è possibile fare riferimento e ricordare la famosa copertina del settimanale americano di informazione «Time» del Natale del 2006. In quel numero la copertina, usualmente dedicata alla persona dell’anno, è stata consacrata invece proprio a un’immagine del personal computer con lo schermo acceso, la scritta You.
e il sottotitolo che recitava " Yes, you. You control the Information Age. Welcome to your world ossia
Sì, proprio tu. Controlli l’Era dell’Informazione. Benvenuto nel tuo mondo. La persona dell’anno, dunque, del 2006 per il famoso giornale americano era proprio il computer a testimonianza del fatto che tale strumento iniziava a entrare nelle nostre esistenze con una tale prepotenza da renderlo
umano. C’è poi un altro concetto fondamentale espresso nella stessa copertina:
Il controllo dell’Era dell’Informazione" (da notare le lettere maiuscole iniziali) che avviene proprio tramite l’utilizzo del personal computer e da lì a poco anche degli smartphone. Nasceva, dunque, una nuova era basata sull’informazione e sui dati. Cosa succede realmente oltre il cancello della realtà e sull’uscio della rete? In prima battuta si entra nel mondo virtuale, digitale e digitalizzato; siamo così connessi e parte integrante e interattiva della rete, in alcuni casi mantenendo e manifestando la nostra identità, in altri casi celandola.
Prima dell’avvento di Facebook l’utilizzo delle chat permetteva di entrare in contatto con altri utenti fornendo nomi di fantasia e garantendo un anonimato, comunque solo di facciata e mai realmente di fatto. Inizialmente con la diffusione di Internet c’era la convinzione che fosse garantito l’anonimato, mentre non è così, non è mai stato così né mai lo sarà soprattutto nel prossimo futuro poiché ogni attività in rete necessariamente lascia numerose tracce che possono più o meno facilmente ricondurre all’identità dell’utente. Questo è ciò che succede normalmente in rete tutte le volte che vi accediamo.
La famigliarità con la rete aumenta in maniera sempre più netta e inoltre si abbassa considerevolmente anche l’età media del primo accesso.
«È lo scenario che emerge da una ricerca di Ipsos per Save the Children diffusa oggi, alla vigilia del Safer Internet Day. L’indagine rivela che i bambini ricevono il loro primo smartphone a 11 anni e mezzo, età media più bassa di un anno rispetto alla rilevazione dell’anno precedente.
Pur di essere presenti online, i minori sono disposti anche a mentire sull’età: mediamente si iscrivono a Facebook a 12 anni e mezzo (un anno in meno del 2015), dichiarando un’età superiore.
La condivisione di immagini e video di sé stessi o di altri, con riferimenti sessuali o in pose imbarazzanti, rappresenta purtroppo un’attività molto diffusa tra i ragazzi: raccontano infatti che tra i loro amici più di 1 su 5 invia video o immagini intime di sé stesso a coetanei e adulti conosciuti in rete, o attiva la webcam per ottenere regali. Quattro su 10, infine, inviano