La condizione Whinsor (viaggio ai limiti del possibile)
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La condizione Whinsor (viaggio ai limiti del possibile) - Davide Mocini
LA CONDIZIONE WHINSOR
La porta sbatte per la seconda volta, ma sono già troppo sordo per sentirla e il vecchio merlo color catrame é ancora lì con il suo sguardo dritto e perfetto.
Decido di percorrere il corridoio verso le due porte di legno scuro.
Mi dirigo verso quella aperta.
Un filo di luce ne incoraggia l’entrata.
Il mio sguardo si ferma sui decori dorati di un’ampia finestra che dà sul lago sottostante.
Mi affaccio.
Lo specchio d’acqua é chiaro e limpido come il cielo di un mattino d’inverno.
Soffia una tramontana gelida che spiana la superficie del lago lasciando intravedere il fondale sassoso e i piccoli pesci immobili.
Chiudo gli occhi.
La porta sbatte per la terza volta e la luce della stanza cade d’improvviso, come un tramonto colpito al cuore.
Dalle altre stanze la luce é ancora accesa, s’insinua sul pavimento di marmo ampliando le ombre dei mobili e dei quadri sulle pareti.
Accendo la candela che ho con me e la poso sul tavolo tenendo lo sguardo fisso sulla finestra.
Dentro di me so già, percepisco quello che é successo e ciò che deve ancora accadere.
In quell’istante, la mia mente comincia a percorrere a ritroso ogni lastra del pavimento di marmo.
Mi trovo d’innanzi al merlo color catrame.
Una folata di vento fa sbattere la porta insinuandosi fin sotto i pantaloni e la camicia.
Il mio sguardo si sposta dalla finestra al tavolo e rimane per un attimo sulla candela.
Ora sul libro.
Il vento lo ha aperto dopo averne sfogliate le pagine.
Lo raccolgo, lo tengo stretto tra le mani e comincio a leggerlo.
Racconta di un merlo color catrame e di una lunga notte, di una porta che ancora due volte deve sbattere prima che anche la candela lasci la luce.
Mi concentro sulla cera come se ascoltassi un lento e triste discorso e ancora chiudo gli occhi.
Rimango sorpreso dal fatto che il libro racconta esattamente la situazione che sto vivendo.
Quando riapro gli occhi, noto una scritta sul fondo della pagina.
Non fa parte del testo.
É un appunto a matita, dice: - Cerca Fidelio -.
La porta sbatte per la quarta volta.
Il merlo si leva in volo cominciando a scagliarsi contro le pareti come un animale impazzito.
Gracchia senza smettere, la sua voce é stanca e sgradevole, simile al verso di un corvo.
Mi accorgo dai movimenti confusi che la paura dell’animale deriva dalla sua completa cecità.
Seguita senza sosta nei suoi lamenti, come un cieco che grida alle stelle di fare rumore.
É proprio la sua cecità a costringerlo contro la finestra e a vederlo scomparire sul fondo del lago tra i pezzi di vetro.
L’attimo dopo la porta sbatte per la quinta volta.
Mi cade il libro dalle mani colpendo la candela che si spegne sul tavolo.
Buio.
Lascio la sala e la vecchia casa come ho già fatto la notte precedente e quella precedente ancora, sapendo che ritroverò all’indomani il merlo, il libro, la candela, il lago sottostante e la finestra esattamente come li ho lasciati.
Prendo il sentiero che dirige verso la foresta.
Gli alberi hanno rami altissimi che si perdono tra le stelle e la foschia, come antichi racconti senza un finale.
In lontananza s’intravedono le luci di una città.
Tutti quei segnali accesi non bastano a calmare i miei pensieri, essendo gli stessi notte dopo notte, passo dopo passo, albero dopo albero.
Confusa nella foschia ogni immagine sembra allontanarsi invece di venirmi incontro.
Non c’é un seguito a tutto questo.
La stessa situazione di ogni notte sembra destinata a ripetersi.
Avrei fermato quelle porte?
Sarei riuscito ad arrivare in tempo alla finestra, avrei salvato il merlo, avrei fermato il libro prima che potesse cadere sulla candela?
Alzo gli occhi e per un attimo piango guardando la luna, immaginando quelle lacrime a un passo dalla bocca come un sapore nuovo.
Mi sveglio l’indomani, dopo che il sole é già sorto e tramontato due volte.
Mi trovo nel luogo che divide i due istanti che collegano lo spazio di Whinsor con quello di Yuns.
Richiudo gli occhi e fermo il tempo di Yuns.
Yuns é una dimensione diversa da Whinsor.
Nella volta celeste splendono sette lune che si stagliano su uno sfondo rosa simile a un cielo di primo mattino.
Una miriade di meteore crea un effetto simile a uno spettacolo pirotecnico.
Non esiste il giorno.
La dimensione in cui mi trovo permette alla luce quest’unica e costante sfumatura, quella di un’eterna alba.
Gli esseri che vi abitano sono delle piccolissime fiammelle, blu come le lune e con gli occhi luminosi e rosei come il cielo.
Nascono e muoiono in continuazione.
Vivono poco più di un attimo.
Li osservo accendersi e spegnersi come contatti elettrici a intermittenza.
Ogni volta che una luce si spegne, nel riaccendersi prosegue il percorso della precedente pur non essendo la stessa di un istante prima.
Sembrano assorti in una conversazione senza fine che continua attraverso le generazioni successive.
In una manciata di secondi, posso osservare miliardi di esistenze nascere e morire senza mai perdere il filo del discorso.
Persino i gesti che fanno durante le conversazioni terminano nelle intermittenze successive.
Un semplice movimento può tramandarsi di padre in figlio per terminare alla fine di un vastissimo albero genealogico.
Mi ricordano i fotogrammi delle pellicole del cinematografo, con la differenza che l’attore di un attimo prima non coincide con quello dell’attimo dopo.
Non sembrano preoccuparsi della mia presenza, talvolta entrano ed escono dal mio corpo, appaiono e scompaiono dal terreno, volano in alto tra le lune, fino a confondersi con il cielo.
La maggior parte di loro rimane a pochi centimetri dal suolo, come un prato di lucciole che si perde all’orizzonte.
Rimango sempre molto affascinato dal mondo di Yuns, ma so che questa volta non ho tempo per godermi l’incanto.
Lascio le sette lune di Yuns con la pelle più livida di quando sono arrivato e gli occhi più rosei a causa del colore del cielo.
Poco più di tre cicli solari e sono di nuovo in Whinsor.
Whinsor, il mio contenitore, così mi diverto a definire la mia condizione.
PARTE SECONDA
- Whinsor! Whinsor! Whinsor ci sei?
Non trovo affatto divertente che tu ti assenti in questo modo mentre ti parlo. -
- Whinsor, dobbiamo parlare di Katrin. Non voglio mettere di mezzo degli avvocati come mi ha consigliato Miriam, non me lo merito.
A cosa diavolo stai pensando? -
Il pasticcio in cui mi trovo è dovuto a questi miei momenti in cui la mente evade cercando rifugio nell’immaginario del sogno.
Già, Whinsor è il mio nome.
Il nome di un uomo divorziato, uno scrittore di poca fama che deve la sua ispirazione a un incidente automobilistico e a un coma di tre giorni, dove ripetutamente ha sognato ciò che prima ho cercato di descrivere.
Sono ossessionato da quel ricordo, da quello scherzo che la mia mente continua a farmi.
Devo dire che Stephane, la mia ex moglie, ha un particolare effetto sulla mia immaginazione. Rido.
Ogni volta che mi parla la mia mente cerca riparo in quella assurda visione.
Quando è insieme alla sua amica Miriam è anche peggio.
Quelle due insieme sono ancora più noiose.
Comunque, esattamente come quanto ho descritto, tutto comincia e si ferma nello stesso punto.
Non posso parlare di blocco dello scrittore, dato che ho portato a termine moltissimi racconti per ragazzi, ma con questa storia del merlo, della candela non ho mai chiuso definitivamente.
Fumo.
- Whinsor! Whinsor! E ora dove cavolo sei? -
- Qui, Stephane porco il cavolo! -
- Qui, al tavolo del tuo stesso bar. -
Mordo la mia pipa spenta.
- Oggi è il mio giorno. Vado io a prendere Katrin a scuola. -
Mi alzo.
- Whinsor, dove vai? Dimentichi la valigia! -
Già la valigia.
(vuota)… Rido…
Ho sempre avuto l’impressione che uscire con una valigia anche se vuota mi desse l’aria di eterno viaggiatore.
Già… viaggi…
È una vita che porto a spasso la mia valigia senza neanche l’idea di un viaggio.
Eppure, una volta, prima dell’incidente viaggiavo di continuo.
- A presto, Stephane. -
- A presto. -
Taxi.
Per poco non m’investe.
Cavolo, porco il cavolo!
Lo prendo al volo.
Gli spaventi sono gli unici momenti che mi regalano attimi di lucidità.
La noia mi uccide.
La voce di Stephane mi annoia.
Quindi mi uccide… Rido…
Porco cavolo, mi annoia e mi uccide allo stesso tempo.
Penso.
Quando mi annoio la mia mente ritorna alla vecchia casa, al merlo, la candela e il libro.
Nel mio coma da sveglio.
Gatto.
Gatto, porco cavolo!
C’era anche un gatto nella casa vicino al lago.
Me lo dimentico sempre.
Forse perché era lì, ma lo vedevo scappare via con la coda dell’occhio come un’ombra dopo il primo colpo alla porta.
A pensarci bene era anche l’unico che riuscisse a sfuggire alla situazione.
Il taxi…
Dev’essere stato quest’idiota di tassista che per poco non mi investe.
Ecco, gli spaventi fanno in modo che il gatto ritorni nella storia.
Stephane non mi spaventa più…. Rido…
Lei mi annoia anche quando grida.
Quando sono con lei ricordo la casa…
Rido…
- Papà! Papà! Papà, ti è caduta la pipa.
- Papà, avevi il colloquio oggi. Papà! -
Porco cavolo, ho davanti Katrin e quella insopportabile della sua maestra Theresa da almeno cinque minuti. Da che sono sceso dal taxi, ho percorso il viale della scuola e neanche me ne sono accorto.
- Sua figlia! Sua figlia sono settimane che non la vedevamo a scuola.
Va tutto bene? Signor Whinsor, va tutto bene? -
Porco cavolo, questa mi annoia anche più della mia ex moglie.
Rido…
- Portami a casa della mamma, devi conoscere Tobias. - dice Katrin.
Casa della mamma era la casa che avevo comprato io vent’anni ormai vicino alla contea di Essex.
- Andiamo. - Le rispondo.
Mia figlia è l’unica con cui riesco ad avere un dialogo normale.
Lei non mi annoia mai.
Non mi rifugio mai nella mia mente quando sono con lei.
- Papà! Papà! L’hai fatto di nuovo! Non puoi assentarti così mentre ti parlo. -
Sorrido.
Già, mi capita anche con lei, anche se non così frequentemente.
- Andiamo Katrin. Ti porto a casa. -
Sento la sua mano che cerca la mia mentre prendiamo il viale che in una ventina di minuti ci porterà a casa.
Le nostre mani rimangono nascoste nella tasca del mio cappotto finché sento il calore delle sue piccole dita tornare a poco a poco.
Suono più volte.
Stephane non c’è.