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Beyond Winter
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Ebook314 pages4 hours

Beyond Winter

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Lei: una ragazza che dalla vita ha avuto tutto.
Lui: un ragazzo a cui la vita ha strappato tutto.
Due mondi opposti, due destini differenti che si incrociano sotto il cielo di New York.
Un obiettivo in comune: ricominciare.


Sarah Munaro nasce nel 1991. La passione per la lettura e per la scrittura l’accompagnano sin da piccola. A 10 anni inizia a scrivere brevi racconti e da inguaribile romantica continuerà anche da adulta ad inventare storie da romanzi rosa. Dopo aver scritto un paio di libri come ghostwriter decide di buttarsi lei stessa nella carriera da scrittrice, pubblicando
i suoi primi due racconti rosa.
Parla tre lingue e ama viaggiare. Mamma di Dylan e moglie di Alex, al momento vive in Veneto ma si prepara a spostarsi ancora. Fortemente amante degli animali, non rinuncia mai ad inserirli nei suoi racconti.
Ama i personaggi maschili complicati, tormentati e un po' sfuggenti.
Le donne dei suoi libri sono forti, determinate e riescono sempre a rialzarsi dopo rovinose cadute.
Crede nel lieto fine e spera con i suoi racconti, di arrivare al cuore di numerosi lettori di tutte le età.
LanguageItaliano
PublisherGPM EDIZIONI
Release dateMar 2, 2022
ISBN9791222060125
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    Beyond Winter - Munaro Sarah

    UNO

    DRIIN DRIIN DRIIN

    All’improvviso la sveglia iniziò a suonare rimbombando in tutta la stanza, quella maledetta sveglia suonava insistentemente ogni mattina alle 7, un incubo per una dormigliona come lei. Clarissa avrebbe dormito tutto il giorno se solo avesse potuto. Aprì gli occhi, o meglio, ci provò.  Aveva il vizio di andare a dormire senza essersi struccata e ne pagava sempre le conseguenze al mattino successivo. Aveva il bagno pieno di prodotti struccanti e salviette di ogni tipo, ma, andando sempre a dormire tardi non aveva mai voglia di perdere cinque minuti a lavarsi il viso. Aveva gli occhi appiccicati tra loro che quasi dovette aprirseli con le mani. Allungò il braccio fuori dalle coperte per cercare il cellulare, prese a pugni il comodino un paio di volte prima di accorgersi che il suono proveniva dal pavimento, probabilmente la sveglia aveva vibrato così tanto da far cadere il suo telefono sul tappeto.

    Prese il cellulare e spense la sveglia, tirò su la coperta fino agli occhi e si voltò dall'altra parte, voleva dormire ancora un po', ma sua sorella irruppe nella stanza sbattendo la porta : Clary !! alzati! la mamma ha detto che devi accompagnarmi tu a scuola oggi disse tirando via le coperte dal viso della sorella.

    Che novità, pensò tra sé sé. Guardò la sorellina negli occhi, era così bella e spensierata.

    Pensava solo a giocare  con le bambole, ignorava i problemi del mondo e soprattutto quelli della loro famiglia. Per un attimo si ritrovò a rimpiangere i suoi sette anni, passati ormai da una vita.

    Arrivo Kate, vai giù a preparami il caffè, scendo subito le disse dandole un bacio sulla fronte.

    Andò giù per le scale di corsa, canticchiando una buffa canzoncina. Clarissa rimase ancora a letto fissando il soffitto, ormai senza coperte. Kate l’aveva scoperta così bruscamente che le coperte erano scivolate sul pavimento.

    Prese il telefono e si accorse di avere venti chiamate senza risposta e dodici messaggi di Robert. Robert era il suo ragazzo ormai da 5 anni, stavano insieme da così tanto tempo che a volte dimenticava perché si fosse innamorata di lui. Era alto e molto magro, con capelli biondi e occhi scuri, non proprio il suo tipo, eppure stavano insieme da una vita. Era stato sicuramente il suo carattere tranquillo a colpirla, era dolce, fedele e leale e soprattutto era l'unica cosa sicura nella sua vita. Gli mandò un messaggio dicendogli che quella mattina sarebbe arrivata a scuola con un’ora di ritardo. Prese coraggio, si alzò dal letto e  si avviò verso il bagno. Guardandosi allo specchio in lontananza notò una macchiolina nera sotto lo zigomo, si avvicinò meglio e notò che si trattava di un residuo di trucco rimasto lì dalla sera prima. Si soffermò a guardare il suo riflesso e rimase un po’ colpita dal suo cambiamento, era dimagrita molto e non lo aveva mai notato. Sciacquò il viso e tirò su i capelli neri con un elastico rosa di sua sorella.

    Infilò dei pantaloni della tuta e una felpa di Robert, era talmente magro che le sue felpe le stavano strette.

    Scese le scale e si avviò in cucina, avevano una casa bellissima arredata in stile moderno, era una delle più belle dell' Upper East Side.

    Scendendo le scale vide il gattino Sam che goffamente cercava di salire al piano superiore, lo prese in braccio e lo riempì di bacini. Adorava gli animali, avrebbe fatto di tutto per loro. Lo Aveva trovato  incastrato nella ruota della sua macchina un mese prima e aveva pensato di regalarlo alla sorellina. Era praticamente appena nato quando lo portò a  casa. Era infreddolito e inerme, ora invece era un batuffolino di pelo sempre al caldo e con una mollettina rosa attaccata sulla testa. Kate si rifiutava di capire che era un gatto, non una bambola.

    In cucina trovò la solita scena di ogni giorno: la mamma era vestita in modo elegante in piedi davanti ai fornelli, beveva il caffè con la sua solita tazza nera con su la scritta AMO IL MIO LAVORO gliel’avevano regalata i suoi dipendenti circa un anno prima, la usava ogni giorno per ogni tipo di bevanda calda.

    Il perché le piacesse così tanto era ovvio, non amava niente al mondo più del suo lavoro; nemmeno la sua famiglia. O almeno questo è quello che voleva far sembrare.

    Il padre era seduto sulla sua poltrona preferita e leggeva il giornale, l'angolo della finanza per essere più precisi.

    I suoi genitori non parlavano molto con lei, anzi non parlavano nemmeno tra di loro, ormai da un paio d’anni la situazione era degenerata, si guardavano a malapena.

    Prese la caraffa del caffè e si riempì la tazza fino all'orlo, ne beveva tantissimo  prima di andare a scuola, altrimenti si sarebbe addormentata sul banco alla seconda ora.

    La signora Reynolds si mise il cappotto e si avviò verso la porta: Clarissa, accompagna Kate a scuola, vai a riprenderla alle quattro, poi vai in centro da Amelia e portale questa borsadisse indicando una borsa rossa con dei disegni natalizi. Prese le chiavi e uscì senza salutare.

    Ogni mattina era la stessa storia, dava ordini su ordini e poi andava via senza salutare la sua famiglia.

    Dov'è andata la mamma? chiese Kate.

    È dovuta scappare, ha detto di darti un bacio disse Clary. Odiava mentirle, ma preferiva  non sapesse la verità, cioè che aveva una madre troppo impegnata con il lavoro per accorgessi di lei.

    Saluta Sam, prendi lo zaino e corriamo a scuola, topolinodisse. Lei si mise a ridere, adorava essere chiamata topolino.

    Corse via come un razzo e tornò in meno di due secondi con lo zaino in spalla.

    Clarissa si infilò il giubbotto, la cuffia e la sciarpa in lana, le temperature erano calate a vista d'occhio.

    Era vestita malissimo, ma tanto sarebbe tornata a casa a cambiarsi prima di andare a scuola.

    Kate corse a dare un bacio al papà, lui le sorrise e fece un cenno con la mano per salutare la figlia maggiore. Era un uomo di poche parole.

    Clarissa prese  le chiavi del suv e corse fuori  tenendo Kate per mano. Erano già le sette e mezza.

    Aveva nevicato tutta la notte e la neve era alta almeno venti centimetri, in più il cielo era nebbioso e cupo.

    Per fortuna la scuola di Kate era a solo dieci isolati da casa loro, altrimenti con quel tempo e il traffico sarebbero arrivate per il pranzo, forse.

    Kate obbligava la sorella a mettere la radio a tutto volume, lei acconsentiva perché le piaceva vederla cantare a squarciagola, sembrava felice e senza pensieri. Clary  invece non riusciva a cantare nessuna canzone, ormai da molto tempo, si limitava solo ad ascoltarle.

    Arrivarono davanti alla scuola, erano già le otto ed erano un po’ in ritardo, ma con quel traffico non avrebbe potuto fare di meglio. Kate diede alla sorella un bacio al volo e scese dalla macchina. Clary si incantò a guardarla, era talmente  piccola che il suo zaino era più grande di lei, era così fragile e dolce, ignara che molto probabilmente, presto si sarebbe trovata sballottata tra la mamma e il papà in due case diverse, lei non aveva idea che le loro vite sarebbero cambiate radicalmente da un giorno all'altro. Clary lo sapeva da molto tempo invece, anche se non sapeva niente con certezza, visto che era stata tagliata fuori dalla vita dei suoi genitori, da molto tempo ormai.

    L'unica cosa che sapeva di sicuro, era che non avrebbe mai permesso a nessuno di ferire sua sorellina, né ora né mai.

    BEEP BEEP BEEP

    Un suono di clacson la fece tornare alla realtà, Kate probabilmente era già in classe e lei era ancora lì,  ferma con la macchina a guardare il vuoto. Aveva  bloccato il traffico creando una fila immensa di macchine dietro la sua, alzò la mano in segno di scuse e andò via velocemente. Il signore dietro di lei non sembrò disposto ad accettare  le scuse e lei corse via prima di creare polemiche.

    Tornando a casa vide il parco vicino alla scuola e decise di fermarsi un attimo a prendere un po’ d'aria. Il panorama era splendido, la neve sulle panchine e sulle giostrine dei bambini era bianca e perfetta, nessuno era ancora stato lì, quella mattina.

    Probabilmente nessuno andava al parco al mattino presto con dieci gradi sotto lo zero, ma a lei un po’ d'aria avrebbe fatto bene e soprattutto le avrebbe fatto bene restare da sola con i suoi pensieri.

    Prese il suo ipod e si sedette sulla panchina, si sentì quasi in colpa a distruggere l'opera d'arte creata dalla neve.

    Conosceva quel parco come le sue tasche, quando era piccola e frequentava la  scuola di Kate suo padre la portava a prendere il gelato nel chioschetto lì vicino e stava a guardarla giocare per ore.

    Il chioschetto dei gelati aveva chiuso da anni e non era l'unica cosa cambiata col tempo.

    Le si spezzava il cuore solo al pensiero che Kate non avrebbe mai conosciuto la loro famiglia come l'aveva conosciuta lei, non avrebbe mai visto la loro madre tornare a casa con dei regali per lei, non avrebbe mai visto il loro padre fare la fila per comprarle il gelato alla panna e non avrebbe mai avuto la possibilità di ridere e scherzare con entrambi i genitori, perché quei genitori ormai non si guardavano nemmeno negli occhi, se non per sbaglio. Non  litigavano nemmeno, semplicemente si ignoravano.

    Il tutto era successo da un giorno all'altro e Clary non sapeva nemmeno il motivo, era sicura però, che fosse colpa della madre, lei era in grado di rovinare tutte le cose belle con un solo sguardo.

    Stare lì da sola era una delle cose più belle che avesse  fatto nell'ultimo periodo, adorava l'odore della neve e adorava poter stare da sola con se stessa, l'unica persona che non l’avrebbe mai tradita.

    Pensò a mille cose, pensò a Robert, e al perché lo avesse scelto. Era totalmente diverso da lei, lei era sempre stata legata alle cose materiali e soprattutto legata all'apparenza;  lui invece era umile e gentile.

    Lei era considerata da molte persone una snob viziata e in fondo, non avevano tutti i torti. Non le era mancato mai nulla nella vita, aveva sempre avuto vestiti all'ultima moda, macchine costose e telefoni più intelligenti di lei, l'unica cosa che non aveva mai avuto però, era tutto il resto.

    Non aveva un pasto caldo cucinato da sua madre ormai da moltissimi anni, non aveva un abbraccio o un bacio dalla persona che l’aveva messa al mondo, nessuno che l’ascoltasse o le desse consigli, aveva sempre avuto tutto tranne il calore di una famiglia. Cercava spesso di auto convincersi,  che anche senza una famiglia,  sarebbe cresciuta e diventata la donna che voleva diventare. Anche se, in fondo, a tutti fa piacere avere qualcuno accanto che ti accompagna nella crescita.

    Si stava congelando, si alzò dalla panchina e cercò invano di rimettere apposto la neve che aveva spostato con il peso del suo corpo.

    Corse in macchina e si avviò verso casa, la nebbia era sempre più fitta e faceva fatica a vedere il cofano grigio del suo Suv.

    Arrivò a casa in meno di venti minuti, il traffico era più scorrevole di quando aveva portato Kate a scuola.

    Andò in camera sua e si sistemò un pochino, sembrava una disperata e di certo non era quello che voleva, cercava sempre di mantenere le apparenze in un modo o nell'altro.

    Si sciolse i capelli, si truccò leggermente, si infilò dei jeans stretti e un maglione rosa a collo alto, era molto freddolosa. Indossò gli stivali neri e il cappotto nero, era il suo preferito, lo aveva pagato duecento dollari l'anno prima. Difficilmente indossava gli stessi vestiti per due anni di seguito, ma quello era davvero bello e comodo.

    Si era fatto tardi, erano le nove e mezza e doveva correre a scuola, si mise in macchina, provò a fare una scorciatoia sperando di arrivare prima del solito e per fortuna non trovò traffico.

    Parcheggiò davanti al cancello, fuori dal portone c'erano Robert e Emma ad aspettarla, il che significava che non aveva fatto tardi rispetto all'orario comunicato agli amici.

    Emma era la sua migliore amica dai tempi dell'asilo, andava a dormire da lei quasi ogni sera quando erano piccole, era molto gentile e generosa, era magrissima, aveva dei capelli biondo cenere e gli occhi azzurri, sembrava una bambolina.

    Ciao Clary disse Emma con un sorriso a trentadue denti. Robert si chinò a baciarla.

    Ciao Emma disse spostando il viso in modo da baciare Robert solo sulla guancia. Nell'ultimo periodo le stava diventando difficile baciare il suo ragazzo, non ne capiva il motivo ma probabilmente tutti i pensieri della sua famiglia le stavano dando alla testa.

    Andiamo o faremo tardi per la lezione di ginnastica, oggi pallavolo disse Robert mettendole un braccio intorno alla vita.

    Clary odiava ginnastica, ogni volta doveva inventarsi una scusa diversa per stare in panchina.

    Oh ma guarda un po’, la signorina Clarissa Reynolds ci degna della sua presenza oggi, quale onore disse la signora Geller vedendola arrivare.

    La signora Geller era l'insegnante di ginnastica, il che era strano visto che pesava quasi duecento chili ed era meno atletica di un bradipo.

    Salve prof, oggi non posso fare pallavolo perché non ho portato la divisa e non credo di poterla fare in jeans e stivali disse sorridendo.

    La prof se ne andò sbuffando, ormai si era arresa con lei. Come tutti in quella scuola. Ormai tutti sapevano che Clarissa Reynolds difficilmente rispettava le regole e raramente completava i compiti che le venivano assegnati.

    Mentre i suoi compagni giocavano a pallavolo fece un giretto per i corridoi e incontrò John, il capitano della squadra di lacrosse. Era alto e muscoloso, biondo con gli occhi chiari, era un bel ragazzo ma non era il suo tipo, non sarebbe mai stata insieme a uno che si dedicava alla bellezza esteriore  più di quanto facesse lei. Guarda chi c’è qua, Clary la bambola disse avvicinandosi verso di lei.

    Chiamami Clarissa, John. Non siamo amici

    Va bene, va bene C-L-A-R-I-S-S-A" disse scandendo ogni singola lettera del suo nome.

    Quando ti deciderai a mollare quello scheletro del tuo ragazzo, ricordati che qua c'è uno stallone canadese pronto per te disse mentre si allontanava.

    Che schifo! Urlò lei imbarazzata.

    Non sarebbe stata con lui nemmeno sotto tortura e poi non avrebbe mai potuto lasciare Robert, gli voleva molto bene e non lo avrebbe mai fatto soffrire in nessun modo.

    Tornò indietro, ma vide i suoi compagni fuori dal corridoio correre verso l'aula di matematica. La partita di pallavolo era finita.

    Si fermò davanti alla porta della palestra, la porta era in vetro e riuscì a vedere Emma e Robert che giocavano con la palla, ridevano come pazzi. Robert le tirò la palla in viso e lei cadde per terra ridendo, lui si avvicinò a lei per scusarsi e rimasero uno davanti all'altro per almeno un minuto, erano vicinissimi, i loro nasi si toccavano.

    Ma cosa sta succedendo? C’è qualcosa tra di loro? la mia migliore amica e il mio ragazzo hanno una storia? Cosa sono quelli sguardi così intensi? Pensò  tra sé e sé.

    Le frullarono in testa mille pensieri e le venne un colpo allo stomaco. Spinse con forza la porta ed entrò a testa bassa in modo che loro potessero ricomporsi senza pensare di essere stati visti.

    Che fate ancora qui?

    Oh Clary, eccoti, ti stavamo aspettando e nel frattempo giocavamo a palla disse Emma. Le tremava la voce.

    Andarono in aula di matematica e poi in quella di chimica. La giornata passò velocemente, era entrata un’ora dopo e quindi la mattina fu più corta del solito.

    Emma la invitò a casa sua per pranzo, ma lei rifiutò e andò verso la macchina. Si sentiva tradita, la sua migliore amica e il suo ragazzo si piacevano e lei non ne sapeva niente. Ma la cosa strana era che si sentiva tradita da lei, non da lui. Le aveva sempre confidato ogni segreto, le diceva sempre tutto, ma nessuno aveva mai accennato al fatto che quei due potessero piacersi.

    Il fatto che non si sentisse tradita da lui, però, era la prova di quello che ormai sospettava da tempo, voleva molto bene a Robert, ma non lo amava più ormai da mesi.

    Appena arrivata a casa si buttò sul letto, aveva la testa in fiamme, non riusciva a capacitarsi di quello che aveva visto in quella maledetta palestra.

    Sentì il telefono suonare, era sua mamma.

    Oh cavolo esclamò ancora un po’ stordita. Erano le quattro passate, sarebbe dovuta essere davanti alla scuola di Kate e invece era ancora a letto, ridotta come uno spaventapasseri.

    Pronto disse con la voce tremante, la mamma l’avrebbe ammazzata di sicuro. Ma dove sei? mi hanno chiamato dalla scuola di Kate, nessuno è andato a prenderla! Dovevi andarci tu! Dove sei??? disse urlando.

    Scusa mamma, mi sono addormentata un attimo, avevo mal di testa è stata una giornata pesante disse con calma.

    Non me ne frega niente dei tuoi problemi, non si può mai contare su di te! vergognati! vado io a prendere tua sorella, alzati e porta quella borsa ad Amelia o ti consiglio di non farti trovare a casa quando torno urlò e poi buttò giù il telefono di colpo, non le dava mai la possibilità di risponderle.

    Per fortuna si era addormentata vestita, si sistemò un pochino il trucco e i capelli, prese la borsa rossa ed uscì di casa.

    Oh cavolo,  la borsa era pesantissima.

    Faceva  molto più freddo della mattina ed era già buio ormai, la zia abitava nel Queens, uno dei quartieri più malfamati di NY ed era impossibile andare in macchina, per il traffico e perché non l'avrebbe più portata a casa.

    Doveva per forza prendere un taxi, anche se la cosa la disturbava molto. Odiava sedersi in una macchina dove entravano persone di tutti i tipi, puzzavano e secondo lei erano guidati da possibili maniaci serial killer.

    Il taxi la fece scendere a due  isolati dal quartiere della zia, probabilmente nemmeno il tassista si fidava ad entrare in quella via. Lì ci abitavano solo spacciatori, ex carcerati, prostitute ed assassini.

    Pur di risparmiare sull’affitto sarebbe andata la zia stessa a dividere la casa con quelle persone.

    Per strada incontrò parecchie persone, donne sul marciapiede che aspettavano clienti, uomini ubriachi sdraiati per terra e almeno cinque persone provarono a venderle tipi di droga diversi.  Droghe che non aveva mai neanche sentito nominare.

    Mia mamma ancora una volta mi ha dimostrato il suo immenso affetto per me, mandandomi in un posto dove rischio di morire disse a bassa voce.

    Il palazzo della zia era vecchio e distrutto, i muri erano pieni di crepe e sembravano crollare da un momento all'altro. Le serrande erano piene di buchi di proiettile e la maggior parte dei vetri era rotto.

    Camminò un paio di minuti e poi si trovò davanti all'appartamento di zia Amelia, anzi , ci si trovò sotto, abitava al decimo piano.

    Suonò il campanello e aspettò almeno cinque minuti. La borsa era pesantissima, fu costretta ad appoggiarla sull’asfalto bagnato. Non rispose nessuno. Stufa di aspettare sbuffò e se ne andò.

    Clarissa !!Clarissa!!! Sentì una voce proveniente dall'alto che la chiamava.

    Alzò la testa e con enorme dispiacere vide Mark il ragazzo hippie della zia. Aveva almeno dieci anni in meno di lei, i capelli più lunghi dei suoi ed emanava un odore di erba quasi quanto Bob Marley. Stavano insieme da un anno e conoscendo Amelia, era un grande record.

    Fece mezzo sorriso e lui le fece segno di salire.

    Odiava entrare in casa sua, abitava al decimo piano senza ascensore, la puzza di erba si sentiva dal pianerottolo e i vicini di casa avevano una dozzina di bambini che passavano la loro giornata urlando e picchiandosi tra di loro.

    Clarissa salendo quelle scale, ogni volta rischiava un infarto, non era per niente atletica e soffriva d'asma da quando era piccola.

    Arrivò al decimo piano a fatica, le gambe le tremavano e aveva il respiro corto . La borsa che doveva portare le cadde per terra.  Fece un rumore metallico e lei sentì un tonfo al cuore, non sapeva cosa contenesse ma se l'avesse rotta la madre non l’ avrebbe mai perdonata.

    Mark aprì la porta, indossava una maglietta a fiori e dei pantaloni corti stile hawaiano, un po’ inappropriato vista la temperatura esterna sotto lo zero.

    Ciao Mark, ho una borsa per Amelia, non so cosa ci sia dentro ma Sharon ha detto che dovevo portarla oggi, l'ha fatta sembrare una questione di stato. Si avvicinò e le mise una mano sul fianco. Lei abbassò lo sguardo e fissò la sua mano finché non la tolse. Faceva sempre così, si credeva un playboy, ma su Clarissa non avrebbe sicuramente fatto colpo.

    Fece un sorriso e disse: Amelia non è in casa, sarà impegnata da oggi fino a dopo Natale, forse anche oltre, ogni giorno preparerà il pranzo e la cena per i senzatetto a due isolati da qui, sta anche cercando di costruire loro un riparo per l’inverno. Disse.

    Era tipico di Amelia, aiutare gli altri era sempre stata la sua vocazione, aveva fatto sempre volontariato sin da quando era giovane.

    Ok, credo di poterla lasciare qui, ma per sicurezza chiamo il grande capo disse lei. Lui sorrise.

    Prese il telefono e chiamò la mamma, la telefonata durò un secondo, le urlò di portarla personalmente ad Amelia e di tornare subito a casa, poi chiuse senza permetterle dì obbiettare.

    Si fece spiegare da Mark le coordinate per il rifugio dei senzatetto, prese la borsa, lo salutò e se ne andò. Solo il pensiero di dover portare quella borsa ancora per un po’ le fece venire una fitta alla schiena.

    Al terzo piano inciampò in una bambolina senza testa, di sicuro apparteneva a quella famiglia composta da talmente tanti bambini da sembrare una squadra di calcio.

    Appena uscì dal portone le sembrò di rinascere, la puzza di erba le aveva impedito di respirare correttamente per tutto il tempo che era stata lì.

    Faceva freddissimo, le temperature erano almeno a meno dieci e nonostante fosse coperta si stava congelando. Erano già le cinque passate, il cielo era grigio e probabilmente avrebbe nevicato di lì a poco.

    Attraversò i due isolati e voltò l'angolo, vide tantissime persone intorno al fuoco,  proveniva da una lattina gigante, proprio come si vedeva nei film.

    Vide una bambina sdraiata sull’asfalto, era coperta solo da un pezzo di cartone

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