Il piacere è ancora mio. Escort & Psiche
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Diana J.C. Kendall è una donna libera e determinata che ama la letteratura e i piaceri della vita, e non solo quelli del corpo. Venuta dal Sud del mondo, vive da diversi anni in Italia. Ormai scrittrice affermata, questa è la sua seconda opera.
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Book preview
Il piacere è ancora mio. Escort & Psiche - J.C. Diana Kendall
Introduzione
Eccomi a voi, sono di nuovo tutta vostra.
Se avete queste pagine tra le mani, probabilmente avrete già letto il mio libro precedente, Il piacere è tutto mio. E se non lo avete ancora fatto, dopo la lettura di questo… avrete il desiderio di farlo.
Nel primo libro vi ho raccontato un po’ di me, delle mie esperienze e delle tipologie di uomini che ho incontrato nei miei infiniti incontri. Ma non vi ho detto tutto. Sono state proprio le mie prime lettrici e i miei primi lettori a chiedermi di continuare e di svelare qualche altro segreto riguardante l’essere umano. Questo secondo volume nasce da questa richiesta, oltre che da una mia voglia…quella di raccontare.
Alcune lettrici mi hanno chiesto un manuale per le donne e non solo per le escort, per capire come sono fatti gli uomini che, solo in apparenza sono animaletti semplici. In realtà sono un mondo complesso che merita di essere conosciuto, e che solo allora diventerà facilmente comprensibile.
Penso, però, che questo possa essere un libro anche per i cari maschietti, perché tutti, in un modo o nell’altro, siamo connessi, e tra queste righe ciascuno può ritrovare qualcosa di se, per assonanza o per lontananza.
Prima di tutto voglio raccontarvi una breve storia, quella del commendator Rossi, proprietario di una fabbrica di scarpe. Era un imprenditore e, come ogni imprenditore, aveva l’ambizione di crescere e ingrandire la sua produzione. Era perciò sempre alla ricerca di nuovi mercati in tutto il mondo. E fu così che decise di inviare in Africa due dei suoi migliori addetti alle vendite affinché conoscessero le opportunità che quella terra lontana poteva offrire. Lui era pronto, in magazzino aveva diecimila paia di scarpe che avrebbe inviato immediatamente in Africa una volta avuto un riscontro positivo da parte degli emissari.
Appena arrivati a destinazione, i due addetti scesero dall’aereo e decisero di separarsi e andare ognuno per la sua strada. Una volta terminato il proprio giro di ricognizione, prima di rincontrarsi, telefonarono all’azienda riferendo quanto avevano visto e capito. Entrambi dissero la stessa cosa, ovvero che in Africa camminavano quasi tutti scalzi, ma ne diedero due interpretazioni del tutto differenti. Il primo disse di non mandare assolutamente le diecimila paia già pronte, sarebbe stato inutile, uno spreco colossale, perché le scarpe non le usava nessuno e quindi non c’era alcuna opportunità di sviluppare il mercato. L’altro, invece, era entusiasta e raccomandò di raddoppiare addirittura il carico proprio perché lì le scarpe non le aveva nessuno.
La morale qual è? Non so se ci sia. Quello che so è che l’Africa rappresenta un po’ la mia professione, che è giudicata in maniera esattamente opposta da chi la osserva da fuori. Alcuni non vedono quello che c’è, ma solo quello che non c’è. E poi ci sono io che invece la conosco bene e che la so guardare ben oltre l’opportunità di mercato
, oltre il denaro che può procurarmi, e che so che mi ha insegnato moltissimo sugli esseri umani, sulle loro diversità e sulle loro sensibilità. Una vera e propria scuola di vita che mi ha permesso di leggere tutte molto sull’umana vicenda. Le paure, la vanità, le insicurezze, le aspettative, l’avidità, la generosità, l’intenso desiderio di appagamento sessuale, le ossessioni, le perversioni, le tenerezze e tutto il resto.
Anche per questa ragione, queste pagine sono per tutte e per tutti, perché sono animate dalle stesse tensioni che caratterizzano ogni persona.
Io sono un po’ come Persefone, rapita e trascinata nel regno degli inferi, che torna poi alla luce. Delle volte bisogna andare molto in basso e toccare il fondo per darsi la spinta e risalire. Ogni capitolo nasce dopo un’immersione negli abissi, e al ritorno, con grande soddisfazione ho partorito un pezzetto di mondo.
Quello che qui è nero su bianco è ciò che voglio restituire di queste esperienze, qualcosa che spero possa essere utile agli altri.
Sarebbe stato molto facile per me parlare solo di sesso, sarebbe stato pruriginoso, ne avreste scoperte delle belle e di certo avrei venduto molte più copie. Il sesso, d’altronde, va sempre di moda. E’ una vera industria che muove un sacco di soldi, fidatevi, ne so qualcosa. Ma sarebbe stato davvero interessante per me? Era davvero quello che volevo trasmettere? Sarebbe stato utile a voi? Non credo proprio. È pieno di libri di escort che raccontano le loro performance, potete leggerli senza problemi se vi interessano, ne troverete a bizzeffe. Così come è pieno di pornografia in giro, basta googolare la parolina giusta e vi si apre un mondo in cui troverete tutto ciò che cercate.
Il mio intento era fare qualcosa di diverso, meno mercificato, che potesse aiutare soprattutto le donne. Una guida orientativa, un piccolo vademecum, per rendere un po’ più chiari quali sono gli schemi comportamentali – almeno quelli più comuni – degli uomini, in particolare di quelli che hanno il vizio delle donne
, che siano a pagamento o meno. Ovviamente, non tutti gli uomini sono uguali, non tutti hanno in testa solo quella cosa là
, ma la maggior parte sì, e noi – care mie – dobbiamo imparare a orientarci nel loro mondo. Occorre imparare a cogliere i segnali che li distinguono l’uno dall’altro, in modo da non rischiare di essere sopraffatte dall’idea di non trovare l’uomo giusto o di non essere fortunate in amore. Questo di solito è per noi un serio motivo di infelicità, e l’infelicità blocca le nostre energie creative e la nostra capacità di realizzarci e di progredire. Desidero che siate libere, che siate consapevoli! Questo libro lo dedico a voi.
Ma prima di lasciarvi alla lettura, voglio confessarvi un’altra cosa che ho scoperto…molto intima...
Scrivere è una soddisfazione grandissima, addirittura più del sesso, e se ve lo dico io, potete crederci! È un atto solitario. Si pensa per mesi, si curano le proprie intuizioni, si raffinano le emozioni. Il racconto nasce come un filo, a volte invisibile, che si annoda e si riannoda per poi dipanarsi lungo pagine bianche, che una dopo l’altra cominciano a riempirsi di parole, ad affollarsi di persone, sensazioni, esperienze, propositi, riflessioni e tutto quanto riguardi la vita. E’ una cosa straordinaria, un vero e proprio orgasmo della mente!
Lavorare ad un libro – a maggior ragione un libro come questo! – è un fatto strettamente personale. Ha riguardato me e solo me. Almeno fino al momento della sua conclusione perché, adesso che è nelle vostre mani, non appartiene più solo a me stessa. Anzi, io non c’entro più niente, quello che potevo dare lo trovate nelle pagine che leggerete. Ora, le vere protagoniste e i veri protagonisti siete voi. Il piacere – se piacere sarà – è tutto vostro!
I figli di Wendy
Chi è Wendy? Dovreste saperlo da voi, o almeno dovreste saperlo se avete avuto un’infanzia normale. Wendy Darling è la fidanzatina di Peter Pan, con i capelli rossicci e gli occhioni verdi. Il cognome è tutto un programma. Lei è dolce con tutti, si occupa di tutti, legge le fiabe a tutti, è molto giovane ma molto matura per la sua età, sa prendersi le sue responsabilità esattamente come un adulto se non addirittura meglio. Tutti possono contare su di lei, e a lei piace essere un po’ il punto di riferimento irrinunciabile degli altri. Ed infatti è lei a occuparsi di Peter Pan, in tutto e per tutto.
Ok, Wendy è un personaggio di fantasia, ma non troppo. Esistono tantissime donne, madri per lo più, che soffrono della sindrome di Wendy. Sono quelle mamme iper-protettive e iper-responsabilizzate che hanno sempre qualcosa da fare e hanno sempre qualcuno da accudire sotto ogni singolo aspetto. Un po’ come la sindrome della crocerossina per intenderci. Le donne-Wendy non potrebbero esistere senza il loro alter ego, ovvero un Peter Pan che dipende interamente da loro e dalle loro cure. Spesso sono i loro stessi figli che le mamme-Wendy hanno voluto educare in questo modo, costruendo giorno dopo giorno un legame di dipendenza assoluta e pervasiva. Sono donne che, in definitiva, annullano se stesse nell’accudimento dei figli. Non hanno altra ragione di esistere se non questa. Si realizzano così, nutrendo questa loro perversione.
Entrambi i soggetti si trovano benissimo nei rispettivi ruoli: le mamme curano, e i figli si lasciano accudire. Ed è di questi ultimi che vi voglio parlare, quelli che comunemente chiamiamo i bamboccioni. Avete capito di chi sto parlando, ognuna e ognuno di noi ne ha incontrato almeno uno nel corso della sua vita. A me, per la professione che svolgo, me ne capitano davvero tanti e sono tutti un po’ uguali, presentano tutti delle caratteristiche ricorrenti.
Anche quando il figlio delle mamme-Wendy diventa adulto, loro continuano a trattarlo come un bambino, più precisamente un bambino poco sveglio e molto pigro. Gli fanno trovare la colazione pronta, gli preparano da mangiare a pranzo e cena, gli lavano e stirano i vestiti, gli rifanno il letto e tutte quelle cose che di solito si fanno per chi ancora non è in grado di farle da sé. La loro è una strategia di lunga durata. Consiste nel rendere i loro figli completamente incapaci e quindi dipendenti dalle loro cure: se cresci qualcuno come un inetto, quello necessariamente lo diventerà. Questi, infatti, anche quando saranno finalmente degli adulti, si comporteranno esattamente come a otto o nove anni. È un modo per tenerli vicini a sé, per non farli andare via di casa e quindi non rimanere da sole. È un loro problema che proiettano sui figli, e loro si accomodano come meglio non potrebbero fare. Parlo di figli perché così si concepiscono essi stessi. In realtà stiamo parlando di uomini di quaranta, cinquanta e addirittura sessant’anni, che dovrebbero essere a loro volta padri, se non nonni, e che dovrebbero prendersi le loro responsabilità, vivendo una vita autonoma e indipendente. Invece non è affatto così, rimangono figli per sempre.
Tra quelli che conosco, il più giovane ha circa quarantacinque anni, il più grande una sessantina. Insomma degli ometti belli, fatti e formati! Entrambi continuano a vivere a casa con la mamma, continuano a fare i figli tutta la vita e sembra che la cosa gli piaccia davvero. È come se non avessero altri esempi di uomini da seguire se non quella che è la proiezione delle loro mamme. In realtà di esempi maschili ne hanno tanti, ma non gli interessano; a loro piace essere proprio così. Ormai quello è il loro unico orizzonte nel quale si trovano benissimo.
A essere sincera, quello più giovane che conosco, provò ad