La resilienza di Giobbe
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La resilienza di Giobbe - Luciano Sandrin
Introduzione. Un cammino resiliente
Il dolore è un’esperienza che tutti facciamo. È quindi possibile entrare in sintonia con ciò che un’altra persona vive. È un mistero nel quale possiamo inoltrarci ma che non possiamo comprendere completamente e di fronte al quale dobbiamo levarci i sandali
in segno di rispetto. Ed essere umili perché il dolore altrui non è mai completamente condivisibile.
È legittimo riflettere "teo-logicamente sul mistero di Dio, anche a proposito del dolore, ma senza dimenticare che è sempre forte il rischio di non dire
cose rette" di lui, come gli amici di Giobbe, e di non rispettare in chi soffre la ricerca appassionata e del tutto personale della presenza di Dio. C’è sempre il rischio di nominare il suo nome invano.
Come parlare di Dio, come fare teo-logia
, come trovare un linguaggio su di Lui a partire dalla sofferenza dell’innocente? Il libro di Giobbe ci fa capire che solo l’interessato nella sua relazione, a volte appassionata ed anche burrascosa, con Dio può trovare la risposta e, pur in una situazione di sofferenza che ritiene ingiusta, affermare la propria fede in Dio e parlare bene di Lui. E la sorpresa è che proprio Dio alla fine accredita Giobbe come suo portavoce, come l’amico che lo conosce e sa dire cose rette di Lui, il suo teo-logo
, e non gli amici con le loro interpretazioni teologiche. Sarebbe stato meglio se avessero continuato a mantenere ancora un po’ il rispettoso
silenzio iniziale. Scrive Gianfranco Ravasi: «Giobbe, più che il simbolo di una ricerca e di una soluzione del mistero del dolore innocente, è la scoperta del vero volto di Dio attraverso la strada più erta, quella dell’apparente assurdo, del silenzio divino e dello scandalo. È, quindi, una celebrazione della vera fede contro le definizioni di seconda mano, le facili teodicee e le scorciatoie apologetiche. Non per nulla le ultime sue parole sono rivolte a Dio: Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono
(Gb 42,5). È, dunque, la storia di un uomo posto nel crocevia del dolore che tenta di orientarsi verso il vero volto e la vera parola di Dio, ricusando le false piste delle facili spiegazioni e dei simulacri di Dio»1.
L’esperienza di dolore porta con sé momenti di angoscia e di tristezza, interrogativi e sensi di colpa, desiderio d’amore e momenti di rabbia, voglia di presenze e ricerca di solitudine. Il dolore può generare quella regressione, quel ripiegamento su noi stessi che fa sì «che ci sentiamo come l’asse intorno al quale devono ruotare le altre persone e persino Dio stesso, che – idolatricamente – poniamo così a nostro servizio»2.
È una dinamica relazionale che la "psico-logia" ci aiuta a capire.
Il libro biblico parla di Dio e della sofferenza, ma parla soprattutto di Giobbe sofferente che, nonostante tutto, non vuol credere che Dio possa accanirsi contro di lui o che lo abbia abbandonato. La ricerca di Dio, non semplicemente intellettuale ma credente, finisce per Giobbe nelle sue braccia. Dio e la sofferenza, nel libro di Giobbe, sono due misteri che non possono essere risolti da ragionamenti, ma solo vissuti in una relazione di fiducia e di amore. L’unico che verrà incontro al dolore di Giobbe, rispettandolo, sarà Dio e Giobbe ne riconoscerà rispettosamente
il mistero.
Giobbe è l’immagine di tante persone che vivono il dolore. È uno di noi. Anzi Giobbe siamo anche noi. E il suo dialogo con Dio è il dialogo che spesso anche noi facciamo con lui. La sua storia è la storia delle persone che ancora oggi soffrono e si chiedono perché il dolore abbia colpito proprio loro. E gridano disperati: Ma cosa ho fatto di male per meritare questo? E si domandano, delusi, perché Dio nel suo amore non si interessi del loro dolore3.
È un richiamo all’importanza delle credenze religiose, una provocazione a purificarle, e un’attenzione alle strategie che mettiamo in atto per affrontare le situazioni che ci creano angoscia, e che chiamano in causa Dio e le immagini che abbiamo di lui. È anche una critica alla relazione di aiuto di tante persone che, pur con tutte le buone intenzioni, non la sanno gestire. Non è sufficiente voler aiutare per saperlo fare4.
La storia di Giobbe è anche la nostra storia nel momento della malattia e delle sofferenze della vita, ma anche la storia della nostra ricerca di un perché che non ne dica solo la causa ma anche, e soprattutto, ne riveli il senso: la direzione verso cui andare e il significato che ci aiuti a vivere. È la storia della ricerca di chi è Dio e del suo nome a partire dalla sofferenza. E nel dialogo tra Giobbe e Dio, fatto di tante parole e di tanti silenzi, la pazienza è quella di Dio. È la pazienza dell’amore. È anche la pazienza di Giobbe, non intesa però come rassegnazione ma come resistenza nel patire, la pazienza della speranza.
I problemi di Giobbe sono anche i nostri problemi quotidiani, il suo dirsi non colpevole delle disgrazie che lo colpiscono – nei suoi beni, nei figli e nel suo stesso corpo – è simile alle nostre difese, come anche il voler credere alla non colpevolezza di Dio, alla convinzione che Dio non l’ha tradito e alla testardaggine nel continuare a sperare in un incontro con lui.
Alle persone che sono nel dolore Dio rivela il proprio volto, facendosi presente. A Giobbe vuole far comprendere che gli è accanto, si pre-occupa
di lui come fanno un padre e una madre con il loro bambino, specialmente quando è nell’angoscia e cerca un volto che lo rassicuri. Dio è vicino anche quando Giobbe non ne avverte la presenza. La soluzione del mistero del dolore di Giobbe sta nell’incontro personale e rassicurante con Dio, che risponde e si fa prossimo a lui convertendolo a una nuova immagine di Sé. Ed è quello che Giobbe cercava.
Il libro di Giobbe ci interroga sul senso del dolore, ma principalmente su cosa voglia dire far esperienza di Dio e accettare il suo modo di intervenire sulla realtà, con una potenza che ha i tratti della debolezza. «Davanti alla sofferenza, è difficile riconoscere la presenza di un Dio buono e potente, bisogna accettare di entrare nel mistero; alla fine, non resta che mettersi la mano sulla bocca
(40,4), ma con gli occhi che restano bene aperti, per vedere
Dio (42,5)», non un altro Dio ma un Dio Altro dalle immagini che ci facciamo di lui5. È un cammino di lutto per «la morte di Dio nel cuore e nell’anima di colui o colei che credeva in lui e che vorrebbe tanto credervi ancora»6. È un lutto anche dalle immagini che ci facciamo di lui, o che altri vogliono venderci come teo-logia
.
È anche la storia di un cammino resiliente, fatto di resistenza non rassegnata di fronte a una sofferenza che ne sconvolge la vita e lo fa dubitare della giustizia e dell’amore del suo Dio. È la storia di una pazienza im-paziente
, di una speranza che non viene meno e che sarà premiata dall’incontro finale e dalle parole del suo Dio, ma anche la storia di una resa di fronte al mistero del suo amore. È la storia di un uomo che, nella sofferenza, ha purificato l’immagine di un Dio che conosceva solo per sentito dire ma che ora vede con occhi diversi, con uno sguardo sapiente. Ed è un’esperienza che lo cambia profondamente. Alla fine del cammino è maturato come credente7.
Questo libro è un invito a seguire la storia dell’amico Giobbe, che è anche la storia di ognuno di noi.
1 G. R
avasi
, La sofferenza nella Bibbia: tra tenebra e luce, in A
a
.Vv., Il dolore innocente, Àncora, Milano 1999, p. 115. Per una discussione sulla validità dell’approccio della teodicea cfr. A. K
reiner
, Dio nel dolore. Sulla validità degli argomenti della teodicea, Queriniana, Brescia 2000 (or. ted. 1997).
2 G. G
utierrez
, Parlare di Dio a partire dalla sofferenza dell’innocente. Una riflessione sul libro di Giobbe, Queriniana, Brescia 1992³ (or. sp. 1986), p. 54.
3 Cfr. H. K
ushner
, Ma cosa ho fatto per meritare questo? Quando le disgrazie capitano ai buoni, Neri Pozza, Vicenza 1998 (or. ingl. 1981); A. G
rün
, Che cosa ho fatto per meritare questo? La giustizia incomprensibile di Dio, Queriniana, Brescia 2007 (or. ted. 2005); G. G
reshake
, Perché l’amore di Dio ci lascia soffrire, Queriniana, Brescia 2008 (or. ted. 2007); G.
Canobbio
, Perché Dio ci lascia soffrire?, Morcelliana, Brescia 2021.
4 Cfr. L. Sandrin, Aiutare gli altri. La psicologia del buon samaritano, Paoline, Milano 2013.
5 B. C
ostacurta
, Il libro di Giobbe: la scoperta di una diversa onnipotenza di Dio, in G. C
inà
(ed.), Dio è amore ma può soffrire? Deus caritas est, ovvero il pathos di carità, Camilliane, Torino 2008, p. 30.
6 J.-G. Nadeau, Dio, dove sei? Rispettare e prendersi cura del cuore e dell’anima che soffrono, in L.C. Susin – S. Lefebvre – D.F. Pilario – D. Irarrával (edd.), La sofferenza e Dio. Numero monografico, in «Concilium» 3 (2016), p. 143.
7 Cfr. L. Sandrin, Resilienza. La forza di camminare controvento, Cittadella, Assisi 2019².
1. Una scommessa
C’era una volta… Potrebbe iniziare proprio così la storia narrata nel libro di Giobbe, non una storia vera
come la intendiamo noi moderni quanto piuttosto un racconto che dice il vero
su come il credente può vivere la sua sofferenza nel rapporto con Dio, anche quando qualcuno, la vita stessa, lo mette alla prova.
Fin dalle prime righe veniamo a sapere che c’era un uomo chiamato Giobbe che viveva nella terra di Us, fuori dal territorio di Israele. Era integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male. Aveva sette figli e tre figlie, e ci teneva che anche loro si comportassero bene. Possedeva migliaia di animali. Era un uomo felice, realizzato, ben riuscito, il più grande tra tutti i figli d’oriente. Tutto gli andava per il verso giusto: salute, famiglia, ricchezze e vita sociale. E il suo rapporto con Dio era ottimo. Ma qualcuno vedeva tutto questo con occhio invidioso1.
Alcuni membri della corte divina, chiamati i figli di Dio
, si presentano un bel giorno davanti al Signore e c’è con loro anche il signor Satana, un funzionario della corte celeste, una specie di avvocato del diavolo
, che aveva il compito di girare per la terra e controllare se le persone si comportavano bene2.
Il Signore gli chiede da dove venga e il signor Satana risponde che viene dalla terra, che aveva percorso in lungo e in largo. Il Signore gli domanda se ha notato il suo servo Giobbe, un uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male: il migliore in assoluto. Risponde che l’aveva visto, ma il signor Satana insinua subito il dubbio che tutta quella sua religiosità sia piuttosto interessata, quasi un ringraziamento, un do ut des, uno scambio un po’ commerciale per tutti i benefici ricevuti.
Secondo lui bisognava saggiare la gratuità della sua fede e capire se invece non veniva usata come moneta di scambio per ottenere benedizione e fortuna. E propone, furbescamente, un esperimento. Scommette cioè che, se si mette mano sui suoi averi, finirà per maledirlo. Gran parte delle scoperte psicologiche sono state ottenute attraverso esperimenti simili, nei quali si cambia qualche