Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'Italia dal 2016 al 2017
L'Italia dal 2016 al 2017
L'Italia dal 2016 al 2017
Ebook336 pages4 hours

L'Italia dal 2016 al 2017

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Storia - saggio (277 pagine) - Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale, vol. 9: La riforma costituzionale di Renzi.


Dopo un lungo iter la riforma costituzionale presentata da Matteo Renzi nel 2014 fu approvata definitivamente con varie modifiche  dopo tre letture dalla Camera dei Deputati e dal Senato ad inizio 2016.

La riforma riduceva il potere del Senato, sopprimeva un Ente inutile il CNEL ed avrebbe modificato le relazioni tra Stato e Regioni con la modifica del titolo V della Costituzione.

Questo volume è dedicato esclusivamente alla riforma costituzionale, che è illustrata dettagliatamente, ricostruendo sia le motivazioni storiche che avevano reso necessario un aggiornamento della carta costituzionale sia le motivazioni dei partiti. Si riporta un ampio stralcio delle dichiarazioni in Parlamento durante il dibattito sulla fiducia del progetto di legge per permettere al lettore una migliore comprensione delle posizioni dei partiti e dei gruppi di pressione.


Silvano Zanetti è nato il 21 ottobre 1948 in provincia di Bergamo, da famiglia modesta. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è iscritto al Politecnico di Torino dove si è laureato in Ingegneria Meccanica. Dal 1977 vive a Milano dove ha lavorato presso diverse aziende metalmeccaniche come tecnico commerciale e maturato una buona conoscenza di usi, costumi ed economia dei Paesi europei ed asiatici. Nel 1992 ha frequentato un Master MBA all’Università Bocconi. Alla fine della sua carriera lavorativa si dedica al suo hobby di sempre, lo studio della storia. Collabora con la rivista e-Storia dal 2010. Nel 2018 ha preso la decisione di scrivere i contenuti presenti in questa collana divulgativa di storia contemporanea.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJan 31, 2023
ISBN9788825423204
L'Italia dal 2016 al 2017

Read more from Silvano Zanetti

Related to L'Italia dal 2016 al 2017

Related ebooks

Related articles

Reviews for L'Italia dal 2016 al 2017

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'Italia dal 2016 al 2017 - Silvano Zanetti

    Introduzione

    Dato uno spazio a N dimensioni conoscendo l’intensità, la direzione ed il verso di tutte le forze attive, la risultante in direzione, verso ed intensità è nota: la Storia.

    Ogni forza rappresentativa di ogni essere vivente, agente in un qualsiasi piano è la risultante di infinite forze attive e potenziali, tutte tese a massimizzare il vantaggio esistenziale.

    Ogni forza rappresentativa di ogni essere vivente, conseguito il massimo vantaggio tende a mantenerlo ed a difenderlo strenuamente.

    Il massimo vantaggio conseguito da una forza rappresentativa di ogni essere vivente è temporale in quanto le forze escluse di ogni essere vivente tenderanno a migliorare il loro vantaggio esistenziale.

    Confesso che era mia unica intenzione di scrivere un semplice e breve saggio storico sugli ultimi anni della politica italiana, dal 2013 al 2018, ovvero la XVIII legislatura. Per esempio, un volumetto dal titolo «Da Matteo Renzi a Matteo Salvini», oppure «Ascesa e declino di Renzi e l’affermazione del M5S» ecc.

    Completato un volumetto di circa 100 pagine, ebbi la malaugurata idea di farlo leggere ad alcuni amici per un loro commento. Fui subissato da critiche costruttive quali: come si fa a parlare in poche pagine di Jobs Act, Globalizzazione, Euro, Riforme costituzionali, se non si spiega quanto avvenne negli anni precedenti? La storia è sempre un dipanarsi di eventi, talvolta nuovissimi e imprevedibili, ma il più delle volte sviluppatisi senza soluzioni definitive negli anni precedenti (es. il debito pubblico, le riforme mai riformate) o che erano «in fieri» e che sono esplosi anni dopo (es. il basso valore aggiunto del settore pubblico e privato o i diritti civili). La soluzione di alcuni problemi ne crea sempre di nuovi per cui, quelli che erano considerati rivoluzionari e che avevano contribuito a cambiare la società nell’arco di due generazioni, diventano conservatori se non reazionari; arroccati nella difesa, con le unghie e coi denti, di conquiste e privilegi, mitizzati e sacralizzati in tabù intoccabili (la riforma del lavoro, il rapporto uomo-donna).

    Convinto da questi suggerimenti amichevoli mi sono accinto a questa immane, ma anche piacevole fatica, che mi ha impegnato due anni di vita.

    Per evitare che i lettori abbiano un giudizio sfavorevole su questo mio lavoro, concentrato soltanto su alcuni aspetti di quanto accaduto in questo lasso di tempo, vi aiuto a districarvi in questo mio «libro-puzzle».

    Il XX secolo fu contrassegnato in Europa da due sanguinose guerre mondiali, che hanno determinato la fine dell’Eurocentrismo, e della contrapposizione tra Capitalismo e Socialismo, con tutte le loro varianti: dal Nazifascismo al Liberalismo democratico, dalla Socialdemocrazia al Comunismo. Verso il 1990 si ebbe il crollo del regime comunista-utopista nell’URSS. Contemporaneamente prese forma ed ebbe successo l’originale «via cinese al Socialismo» che nega sì il Liberalismo politico (solo il Partito Comunista è legale) ma incentiva l’economia di libero mercato favorendo l’affermarsi di un Capitalismo senza Liberalismo.

    Le due culture politiche, Liberalismo e Socialismo, a cui si erano ispirate le élites politiche e culturali al comando in Europa, verso la fine del secolo, avevano esaurito il loro compito e le masse popolari, drogate dai media, erano pronte a dare il consenso ad altre élites più vicine ai loro bisogni primari, rifiutando le precedenti mediazioni ideologico-culturali. Le mediazioni religiose erano già state da lungo tempo rifiutate.

    L’Italia, essendo geopoliticamente e culturalmente parte integrante del mondo occidentale, da quegli sconvolgimenti e crisi di valori ne uscì a pezzi.

    Con il crollo del Comunismo in URSS crollò anche il duopolio democristiano–comunista che aveva retto l’Italia per 40 anni, e nel contempo si ebbe l’ascesa al potere politico di una élite avida e populista senza ben definiti ancoraggi culturali. Questo trapasso di potere reale segnò il fallimento della classe borghese liberale e degli intellettual-marxisti senza profonde radici nelle masse popolari. Tutti si dimostrarono incapaci di guidare la società italiana a fare il salto di qualità, passando da una società di consumi ad una società ad alto valore aggiunto, in cui il fabbisogno di maggiore democrazia e partecipazione è anche più elevato.

    E mentre in questi ultimi 25 anni alcuni paesi continuavano ad accrescere il loro benessere, a cui partecipavano sempre più vasti strati della popolazione, l’Italia andava scivolando verso gli ultimi posti in Europa sia per i livelli di reddito sia per i livelli di diseguaglianza.

    L’avere aderito a pieno titolo, fin dall’inizio alla costituzione dell’Europa negli anni ’50, era stato di grande vantaggio per l’Italia, che aveva ricavato notevoli benefici per la propria industria manifatturiera, e di conseguenza aveva incrementato l’occupazione ed il benessere generale. Tuttavia dal 2.000, con la creazione della moneta unica, l’euromarco, l’Italia perdeva anche la sovranità della moneta. Le sarebbero rimasti solo gli obblighi di onorare i propri debiti, avendo ceduto a terzi sia il proprio mercato, sia la propria sovranità, delegata a Bruxelles con una infinita serie di accordi commerciali e civili.

    Il fallimento post 2.000 era insito nelle motivazioni della classe politica italiana che riteneva di poter rifilare all’Europa parte del suo enorme debito pubblico, essendo incapace ad attuare quelle riforme atte a ridurre la rendita parassitaria.

    Il gioco del cerino acceso da passare a qualcun’altro funzionò. Nessuno era disposto a farti entrare nel condominio chiamato Europa se poi non eri disposto ad accollarti le spese condominiali.

    La Gran Bretagna, verificato che gli svantaggi della sua partecipazione ad un’Europa a trazione tedesca erano superiori ai vantaggi, sarebbe uscita da questa trappola, con l’appoggio del suo popolo.

    Ed ecco in breve i fili conduttori, che mi hanno ispirato nello scrivere questo saggio e che aiuteranno i lettori a capire quanto accaduto negli anni dal 1994 al 2018.

    In tutti i volumi, il primo, il secondo e talvolta il terzo capitolo, descrivono sia il panorama politico, sia i dibattiti tra i partiti, sia i Governi che si sono succeduti con le loro promesse, programmi e provvedimenti legislativi realizzati in quel preciso momento storico.

    I Partiti politici ed i loro leaders sono tutti coinvolti in una rissosità continua e, per dirlo alla Guicciardini, sembrano tutti super interessati a conseguire i propri interessi «particolari» piuttosto che pensare al bene comune. La lotta tra il cartello delle Sinistre e il cartello delle Destre, dominato da Silvio Berlusconi, durerà venti anni e finirà per portare il Paese stremato fuori da tutti i giochi politici europei.

    Nei restanti capitoli di ogni volume si introducono argomenti a tema che si distribuiscono fra i vari volumi. I due temi principali trattati sono: le rivoluzioni industriali, fino a quella dell’informatica, che si sviluppano di pari passo con il Capitalismo-liberale e, come contrappunto, la storia dello Stato sociale, dalla riforma delle pensioni di Bismarck, alla Third Way di Tony Blair, Gerhard Schröder,ed al Jobs Act di Matteo Renzi.

    Accanto a questi due mainstreams si introducono anche temi completamente nuovi: l’immigrazione, gli attentati terroristici islamici, i mutamenti nella Chiesa Cattolica, il cambiamento dei costumi degli italiani, la Repubblica Popolare Cinese, la globalizzazione, il crollo del sistema bancario mondiale e poi la bancarotta sfiorata delle banche italiane.

    Per finire, un ringraziamento lo devo al nostalgico gruppo degli «amici Einaudini» capitanato da Francesco Favero (collegio universitario Principe Amedeo di Torino) sopravvissuti al ‘68 ed in particolare ad Alessandro Accorinti, che si è sobbarcato l’immane compito di raddrizzare le mie bozze creative.

    Non vi è mai stata l’ambizione di redigere qui una storia onnicomprensiva del passato ventennio, ma solo una parziale rivisitazione dei momenti più significativi di cui sono stato testimone diretto o indiretto.

    Buona lettura…

    Silvano Zanetti

    Introduzione al nono volume

    Questo capitolo è dedicato esclusivamente al dibattito avvenuto in Parlamento 3 passaggi al Senato e 3 passaggi alla Camera. Accanto ai cenni storici ed accadimenti avvenuti in due anni si è voluto allegare in 6 appendici uno stralcio degli interventi dei parlamentari di ogni gruppo politico in occasione della votazione finale.

    Capitolo I - L’impervio percorso della riforma costituzionale

    La riforma della costituzione della Repubblica Italiana, approvata e condizionata dal disastroso esito della seconda guerra mondiale, esigeva alcune modifiche, suggerite dalla maggioranza delle forze politiche, per snellire le procedure legislative e migliorare i poteri decisionali delle massime autorità.

    La riforma delle norme per eleggere gli amministratori locali¹ (con il sistema maggioritario) aveva dimostrato di funzionare, garantendo governabilità (maggiori poteri concentrati agli amministratori eletti) e stabilità (la sfiducia all’amministratore portava quasi sempre alle elezioni anticipate).

    Dopo un’apparente concorde collaborazione dei partiti ad elaborare un progetto condiviso, le forze politiche per vari dissidi si concentrarono maggiormente sul loro proprio interesse particolare piuttosto che per il Bene Comune. Se a questo si aggiungono le responsabilità della maggioranza di Centrosinistra al governo che impose soluzioni opinabili contro il parere avverso delle opposizioni che rappresentavano la maggioranza reale del Paese, la bocciatura era scontata. Ed il Paese si ritrovò ancora con gli stessi problemi irrisolti.

    1.1 – Breve storia delle proposte di modifica della Costituzione Repubblicana

    La Costituzione più bella del mondo rimane e rimarrà sempre uno slogan. L’attuale Costituzione fu scritta dall’Assemblea Costituente fra il 1946 e il 1947 all’indomani della disastrosa II guerra mondiale. Fondamentalmente doveva essere sostituito lo Statuto Albertino del 1848 che non era stato in grado di impedire il passaggio da una monarchia costituzionale con Parlamento eletto ad un regime fascista a partito unico, come nei fatti era appunto accaduto.

    Le posizioni iniziali delle principali forze politiche sull’assetto da dare all’ordinamento della nuova Repubblica erano alquanto divisive. I punti di maggiore discussione furono:

    – l’assetto del potere politico di vertice (ovvero la forma di governo): c’era chi voleva un sistema presidenziale, c’era chi voleva un sistema parlamentare, c’era chi voleva un sistema direttoriale;

    – l’assetto del Parlamento: c’era chi voleva una Camera sola, c’era chi ne voleva due; fra coloro che ne volevano due (ferma la prima Camera di rappresentanza politica generale, sulla quale erano tutti d’accordo) c’era chi voleva che la seconda Camera rappresentasse le regioni, chi le regioni e gli enti locali, chi le categorie produttive e professionali, chi una delle possibili combinazioni di queste entità);

    – l’opportunità di ripartire l’ordinamento su base regionale, con regioni dotate di più o meno ampia, più o meno limitata potestà di fare leggi;

    – l’opportunità, vista la unanime decisione di dotarsi di una costituzione rigida (cioè non suscettibile di essere aggirata da leggi ordinarie), di dotarsi contestualmente di un giudice delle leggi (una Corte costituzionale che avesse il potere di verificare la conformità a costituzione delle leggi del Parlamento e delle Regioni, ed eventualmente di dichiararle nulle);

    – lo spazio da riconoscere alla partecipazione popolare diretta, attraverso referendum di vario genere, grazie ai quali gli elettori fossero chiamati a decidere.

    I Costituenti, influenzati da molte variabili e – soprattutto nel corso del 1947 –dall’inizio della Guerra fredda, cioè del confronto duro, in Europa, fra l’Unione sovietica (e i suoi alleati) da una parte e gli Stati Uniti (e i loro alleati) dall’altra, si orientarono verso istituti e regole tali da limitare i poteri e le risorse istituzionali di chi avesse, pur legittimamente e democraticamente, vinte le elezioni. Così, in materia di forma di governo – dopo aver scelto già nel 1946 quella parlamentare, caratterizzata dal rapporto di fiducia fra Governo e Parlamento – si rinunciò a dotare l’esecutivo di strumenti che ne rafforzassero la stabilità e ne garantissero l’efficacia operativa. (condizionati in questo dell’esperienza fascista e di Mussolini).

    Così, in materia di Parlamento i monocameralisti accettarono le due Camere, ma alla condizione che fossero entrambe elette dal corpo elettorale e dotate dei medesimi poteri (idea della seconda camera di riflessione o di garanzia). De Gasperi e la nuova classe Democristiana vollero con queste due Camere e con la Corte Costituzionale rendere legalmente difficile la presa del potere di movimenti politici di massa. In quegli anni era il Partito Comunista Italiano il pericolo numero 1.

    Il sistema rivelò subito i suoi difetti (di qui alcune modifiche di razionalizzazione del bicameralismo a partire dall’estensione della legge elettorale proporzionale anche al Senato: che ci si era impegnati ad eleggere con formula maggioritaria uninominale), ma tenne e funzionò per una somma di ragioni.

    Primo: il successo netto della Democrazia Cristiana nelle elezioni del 1948 che le permise di controllare abbastanza agevolmente entrambe le Camere nella prima legislatura (dal 1948 al 1953).

    Secondo: il consolidamento e poi la tenuta del sistema dei partiti politici quali si erano presentati alla Costituente e si erano affermati nel 1948. Il paese cresceva a ritmi molto elevati e si trasformava (si parlò di boom economico) e non si sentiva il bisogno di intervenire sulla Costituzione, anche perché il Partito Comunista Italiano faceva ottimamente il suo compito di opposizione e la presa del potere per via extraparlamentare era stata rinviata sine die, di fatto anzi accantonata.

    Terzo: la subordinazione agli Stati Uniti escludeva il Paese dai problemi di politica estera e relativi impegni.

    I guai cominciarono quando si trattò di tradurre in scelte operative la svolta di centrosinistra, con l’allargamento delle maggioranze al Partito socialista; quando si trattò di fronteggiare la crisi di crescita della fine anni Sessanta, le richieste studentesche e operaie, la fame di riforme. L’Italia conobbe anni assai difficili: il terrorismo stragista della destra estrema, poi quello delle schegge impazzite dei movimenti di protesta (brigate rosse e simili).

    Dalla constatazione dell’indisponibilità a riforme vere, dovuta alla faziosità dei partiti (un regime democratico imbelle perché la minoranza impediva di fatto a qualsiasi partito maggioritario di governare) esemplificata dal rifiuto di introdurre almeno l’elezione diretta dei sindaci (proposta avanzata già nel 1988-89 e che pure avrebbe avuto una maggioranza in Parlamento), nacque dal 1990 la cosiddetta strategia referendaria: cioè il tentativo di imporre dal basso quelle riforme che i partiti delle maggioranze dell’epoca non erano disposti a varare, facendo ricorso all’arma del referendum abrogativo (l’unica a disposizione).

    Furono i referendum elettorali, insieme poi alle inchieste della magistratura sull’illecito finanziamento della politica con le indagini dette mani pulite, a determinare il crollo del sistema partitico che aveva caratterizzato i primi decenni della Repubblica dalla Liberazione in poi (1946-1993).

    In realtà sin dalla Prima legislatura (1948-1953) numerose furono le revisioni costituzionali condotte in porto: ma sempre su punti limitati della Costituzione.

    L’unica eccezione fu il Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, che si occupa di Stato, Regioni, enti locali – largamente riveduto nel 1999 e 2001– in tutti i suoi venti articoli.

    1.2 – I principali progetti di riforma costituzionale

    Si iniziò nel 1983 con la Commissione Bozzi, il cui progetto consisteva, in estrema sintesi, nell’accordare al solo Presidente del Consiglio la fiducia preventiva (al momento della formazione della compagine governativa), consentendo allo stesso la facoltà di proporre al Capo dello Stato tanto la nomina quanto la revoca dei ministri. Le proposte formulate dai 40 Commissari non raggiunsero mai in Parlamento.

    La svolta avvenne qualche anno più tardi, in occasione del referendum del 1991, che abolì il meccanismo delle preferenze multiple, e dell’introduzione delle leggi 4.8.1993, n. 276 e 277, che trasformarono il sistema elettorale del Senato, in sostanza da proporzionale a prevalentemente maggioritario. Dopo tale spinta innovatrice offerta dall’ondata referendaria, nel 1992 il Parlamento approvò la legge costituzionale istitutiva della Commissione De Mita-Iotti, con il mandato di predisporre un progetto organico di revisione della II Parte della Costituzione, con particolare riferimento alle materie della forma di Stato, della forma di Governo, del bicameralismo e del sistema delle garanzie. Il risultato finale della Commissione fu però nuovamente deludente, dal momento che portò a un nulla di fatto.

    Si arrivò così alla Commissione D’Alema, la terza Commissione bicamerale attiva dal 1997 al 1998. Il progetto offerto, che non ebbe comunque seguito, perché bocciato in Assemblea, si differenziava alquanto dalle precedenti proposte di riforma: elezione diretta del Presidente della Repubblica, con poteri di sola garanzia, il quale avrebbe avuto il potere di nomina e di revoca dei ministri, su proposta del Primo Ministro, nome assegnato al capo dell’Esecutivo nel sistema semipresidenziale. Veniva altresì rafforzata la figura del Primo Ministro, non soltanto perché sarebbe stato il solo a poter presentare disegni di leggi alla Camera, ma altresì perché avrebbe potuto inserire determinati argomenti nell’ordine del giorno, chiedendo tempi certi di approvazione.

    Alla luce del fallimento delle citate Commissioni bicamerali, si prese atto dell’incapacità di condurre riforme per blocchi e si optò per procedere a piccoli passi seguendo il dettato dell’art. 138 Cost.

    Si riuscì così a ridisegnare gli assetti delle autonomie territoriali. Dapprima, con la riforma del sistema elettorale di Comuni e Province, si giunse all’elezione diretta dei rispettivi organi di vertice (Sindaci e Presidenti delle Province) e successivamente, con la l. cost., 22.11.1999, n. 1, si riconobbe una più ampia autonomia statutaria alle Regioni. A tale intervento legislativo, seguì, nel 2001, la l. cost. n. 3 (18.1.2001), che intervenne soprattutto sull’art. 117 Cost., ridefinendo e ripartendo la potestà legislativa tra Stato e Regione.

    Nel 2005 fu presentato un ampio progetto di riforma della II Parte della Costituzione, poi bocciato dal corpo elettorale al referendum confermativo del 2006. Le novità principali includevano la trasformazione del Senato in Senato federale (eletto contestualmente dai Consigli regionali) e la modifica del procedimento legislativo ordinario. Veniva poi modificata la figura del Presidente del Consiglio, cui era riconosciuto il potere (oggi formalmente esercitato dal Presidente della Repubblica su sua proposta) di nominare e revocare i membri del Governo e di indirizzarne il lavoro. Il testo di riforma prevedeva, in più, l’introduzione nella Carta costituzionale della cd. sfiducia costruttiva². La devolution si sarebbe concretizzata nella riforma del Titolo V, con l’attribuzione di nuove competenze esclusive alle Regioni e il passaggio di alcune materie dalla competenza legislativa concorrente a quella esclusiva statale.

    1.3 – La riforma della Costituzione: una scelta obbligata

    Con le elezioni del febbraio 2013 si affermò un sistema politico improvvisamente divenuto tripolare: il Partito Democratico, con i suoi alleati, il Popolo della Libertà, con la Lega e infine il nuovo partito Movimento 5 Stelle (M5S), che si affermò senza alleati. Questi tre poli si ripartirono i voti in misura quasi equivalente.

    Fallì l’ambizione di costruire un ulteriore polo intorno alla figura del Presidente del Consiglio uscente Mario Monti, Senatore a vita, al quale era stato affidato il compito difficile e impopolare (per le misure da prendere) di fronteggiare la crisi del debito pubblico italiano, che a sua volta derivava dalla crisi finanziaria mondiale e dall’insipienza e dall’incapacità di reagirvi del IV governo Berlusconi.

    A parte la maggior difficoltà di governare un sistema politico tripolare o multipolare (rispetto a uno bipolare), la presenza di tre grandi forze parlamentari in sé non sarebbe stata un dramma. Se non che:

    – la combinazione del bicameralismo paritario con la legge elettorale Calderoli n. 70 del 21 dicembre 2005 (detta porcellum, voluta dal Centrodestra ) aveva prodotto uno squilibrio fra Camera e Senato. Soprattutto la Camera non rappresentava la volontà degli elettori. La vittoria (di misura) del Partito Democratico di Bersani nel 2013 aveva portato alla Camera una maggioranza PD – SEL (Sinistra Ecologia e Libertà, la quale se ne andò subito per conto proprio, in barba agli accordi preelettorali), e ad un Senato nel quale, invece, il PD aveva solo un terzo dei componenti.

    Soprattutto si vide subito che il M5S, forte all’inizio di 108 deputati e 54 Senatori, non era disponibile ad alcun tipo di collaborazione in vista del governo del Paese: né col Pd né con il Popolo delle Libertà.

    Questa situazione rese subito difficile la formazione di un qualsiasi governo, nonostante gli sforzi iniziali di Bersani. Si arrivò così alla scadenza del mandato del presidente Napolitano.

    Alle votazioni per l’elezione del nuovo presidente il PD non fu in grado di sostenere compattamente un proprio candidato da votarsi (necessariamente) in accordo con le altre forze politiche: caddero sia Marini sia Prodi.

    A questo punto tutte le forze politiche, tranne il M5S e la Lega, si rivolsero a Napolitano chiedendogli di accettare – per la prima volta nella storia – un secondo mandato. Napolitano accettò, premettendo che non intendeva restare per tutto il settennato (per ragioni di età) e che condizionava la sua disponibilità al fatto che la legislatura fosse dedicata alle riforme, anche costituzionali, sulla base di una collaborazione fra forze di Centrosinistra e di Centrodestra (cioè PD, Scelta Civica, Popolo delle Libertà).

    Nacque così il Governo Letta. E venne costituita una speciale Commissione di 42 esperti³ (tutti accademici, qualcuno con precedente militanza politica), presieduta dal Ministro per le riforme Gaetano Quagliariello, che illustrò le sue conclusioni il 17 settembre 2013: esse furono la base del progetto portato avanti dal successivo governo Renzi.

    Questo progetto di riforma venne approvato da Camera e Senato ma poi fu abbandonato: infatti il tentativo di collaborazione governativa e per le riforme fra Pd e Popolo delle Libertà naufragò a causa della vicenda della decadenza di Silvio Berlusconi da Senatore (in ossequio alla c.d. Legge Severino e comunque alla sua condanna in sede penale per reati tributari).

    Così Berlusconi si tirò fuori dall’intesa sulle riforme e il Popolo delle Libertà si divise in due tronchi. La rinata Forza Italia, che andò all’opposizione, e il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, che raccolse i parlamentari (e i ministri) dell’ex Popolo delle Libertà che volevano continuare la collaborazione con il Governo e a favore delle riforme.

    Dalle precedenti larghe intese si passò a una specie di piccola intesa, con numeri appena sufficienti a garantire la maggioranza di governo (forte alla Camera grazie al premio di maggioranza ma debole al Senato).

    Nel frattempo l’8 dicembre del 2013 Matteo Renzi vinse le primarie e divenne Segretario del Partito Democratico.

    Negli stessi giorni la Corte costituzionale decise che la legge Porcellum del 2005 era incostituzionale in due punti chiave: il premio di maggioranza eccessivo e la mancanza di preferenze.

    Renzi, interessato a consolidare la sua maggioranza parlamentare e Berlusconi, interessato a schivare la sentenza definitiva di esclusione dalla vita parlamentare, stipularono il cosiddetto Patto del Nazzareno che consisteva nella redazione di una nuova legge elettorale, nell’eliminazione del Doppio Cameralismo perfetto con pari poteri, e nella revisione del titolo V della Costituzione, col trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni e l’eliminazione alcuni Enti inutili.

    Il 22 febbraio 2014 Renzi sostituì Enrico Letta alla guida del Governo per assumersi in prima persona la responsabilità delle riforme in una fase in cui l’esecutivo appariva appannato e senza iniziative.

    L’intesa Renzi Berlusconi ovvero PD/Popolo delle Libertà, più il Nuovo Centro Destra, durò fino al gennaio 2015 e costituì la base sia della nuova legge elettorale (Italicum) sia della riforma costituzionale. La riforma fu votata da tutta la maggioranza di governo e da tutto il Centrodestra fino all’approvazione al Senato in prima lettura, l’8 agosto 2014. Non proprio il testo definitivo, ma quasi.

    La stessa Lega tenne un atteggiamento costruttivo (Calderoli stesso, al Senato, era correlatore della riforma con Angela Finocchiaro). La riforma costituzionale era figlia non solo di Renzi ma anche di vari costituzionalisti, nonché dell’intesa fra il PD, i suoi alleati di governo (centristi vari e NCD), e Forza Italia. Il tutto con la supervisione del Presidente della Repubblica Napolitano.


    ¹. Il 25 marzo del 1993, il parlamento italiano approvò la

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1