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Giustizia sociale: Aspetti teorici e assetti istituzionali
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Ebook326 pages4 hours

Giustizia sociale: Aspetti teorici e assetti istituzionali

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Il volume ha per oggetto principale la potenziale tensione fra pluralismo e giustizia sociale, e più esattamente il nesso fra una concezione della filosofia politica intesa a elaborare e difendere un ideale di società giusta e una concezione della filosofia politica che la vede indirizzata a fronteggiare il fatto (inevitabile) del pluralismo delle società democratiche. 
 
LanguageItaliano
Release dateJan 18, 2023
ISBN9791281331006
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    Giustizia sociale - Ingrid Salvatore

    Etica e Politica

    1

    Collana diretta da

    Roberta

    Sala

    Comitato scientifico

    Elvio

    Baccarini

    (University of Rijeka)

    Benedetta

    Giovanola

    (Università di Macerata)

    Beatrice

    Magni

    (Università degli Studi di Milano Statale)

    Roberta

    Sala

    (Università Vita-Salute San Raffaele)

    Fabrizio

    Sciacca

    (Università degli Studi di Catania)

    Se pareba boves, alba pratalia araba,

    et albo versorio teneba, negro semen seminaba.

    Gratia tibi agimus, potens sempiternus Deus.

    © Proprietà letteraria riservata

    Edizioni AlboVersorio, Milano 2022

    www.alboversorio.it

    mail-to: alboversorio@gmail.com

    ISBN: 9791281331006

    Direzione editoriale: Erasmo Silvio Storace

    Impaginazione a cura di: Giorgia Toppi

    Ingrid Salvatore

    Giustizia sociale

    Aspetti teorici e assetti istituzionali

    Indice

    INTRODUZIONE

    Capitolo 1

    Pluralismo in società giuste, giustizia sociale in società pluraliste.

    Cosa cambia?

    1. Giustizia e conflitto sociale

    2. Il problema della stabilità

    3. Il ragionevole

    4. Il giusto e il bene

    5. Tendenze disgregatrici e istituzioni unificanti

    Capitolo 2

    Assetti istituzionali: Property-Owning Democracy

    vs Welfare State

    1. La teoria della giustizia e il welfare state

    2. La Property-Owning Democracy

    3. Mondi e modelli di welfare state

    4. Disoccupazione europea e lavoratori poveri in America

    5. Piena occupazione, welfare e servizi

    Capitolo 3

    L’idea di unione sociale dopo la svolta politica

    1. La Property-Owning Democracy nella teoria della giustizia

    2. L’indeterminatezza della scelta

    3. Assetto costituzionale e politiche economiche

    4. Disaccordo e unione sociale

    Capitolo 4

    Liberalismo e socialismo:

    la questione normativa e la teoria sociale

    1. Due tipi di controversia

    2. Sull’ingiustizia del capitalismo. La tesi scandalosa di

    Allen Wood

    3. Teoria sociale e teoria morale

    4. Cohen, Nozick e la self-ownership

    5. Da un punto di vista esterno o punto di vista interno?

    Spiegazione e ricostruzione

    6. La natura della critica socialista al liberalismo

    7. La questione distributiva

    Capitolo 5

    Procedure, partecipazione e procedure per la partecipazione

    1. Decisione democratica e politiche socioeconomiche

    2. Pubblico/privato: due significati dell’autogoverno

    3. Autogoverno e democrazia diretta

    4. Valore strumentale e valore intrinseco della democrazia

    5. Democrazia e populismo

    RIFERIMENTI

    Introduzione

    1. Il problema del pluralismo

    A quasi un ventennio dalla pubblicazione di Una teoria della giustizia (TG), Rawls ha ritenuto necessario rivederne alcuni aspetti, correggendo in senso politico e non più filosofico l’impianto teorico delle tesi allora presentate. Come Rawls ha chiarito, il political turn impresso da Liberalismo politico (LP) è dipeso dall’insoddisfazione per il modo in cui la teoria del ’71 si confrontava con il problema del pluralismo. A caratterizzare la società bene ordinata in TG, infatti, è l’assunzione che i suoi cittadini condividano gli stessi principi di giustizia sulla base di un’unica dottrina comprensiva (comprehensive doctrine), condividendo, cioè, una concezione morale generale da cui far dipendere considerazioni molto ampie, dalla condotta personale all’organizzazione della società (LP, 156). Questa richiesta, per come Rawls la vede in LP, è troppo onerosa, incompatibile con il carattere inevitabilmente pluralistico delle società democratiche (LP, 6). Con quali conseguenze per la giustizia sociale?

    Il volume che presento ha per oggetto il nesso largamente inesplorato fra pluralismo e giustizia sociale, e più esattamente il nesso fra una concezione della filosofia politica intesa a elaborare e difendere un ideale di società giusta e una concezione della filosofia politica che la vede indirizzata a fronteggiare il fatto (inevitabile) del pluralismo delle società democratiche.

    La tesi che avanzo è che, nonostante Rawls abbia insistito sul fatto che LP assuma e difenda esattamente la stessa concezione egualitaria della giustizia (LP, 26), non c’è ragione di credere che un’istanza redistributiva così onerosa come quella promossa dal principio di differenza possa essere giustificata nel quadro del liberalismo politico¹.

    La potenziale tensione fra giustizia sociale e pluralismo democratico, come ho detto, è rimasta una questione largamente inesplorata nella poderosa letteratura che ha fatto seguito alla pubblicazione di LP. Quando la questione del pluralismo ha fatto il suo ingresso nel dibattito filosofico ispirato da Rawls, dopo un ventennio di discussioni su questioni distributive, infatti, la sua urgenza per la filosofia politica, sottolineata da Rawls, è stata subito condivisa. Se la giustizia sociale era stata il problema della filosofia politica, dopo LP questo posto è stato occupato dal pluralismo. Mi è sembrato utile, in questa introduzione, rendere conto di alcune delle ragioni, in parte esterne, in parte interne al lavoro di Rawls, che hanno determinato questo stato delle cose.

    Ragioni, per così dire, esterne all’opera di Rawls che spiegano la centralità assunta dal pluralismo nel dibattito filosofico sono piuttosto semplici da comprendere.

    Sovrapposto o no al conflitto, il pluralismo rappresenta un tema tradizionale della filosofia politica della modernità e del liberalismo, in particolare. Prima che Rawls facesse del liberalismo una teoria della giustizia sociale, prima del suo tentativo di mostrare che principi o criteri di giustizia distribuiva sono impliciti nel liberalismo tradizionale, prima, se si vuole, che Rawls provasse a superare il conflitto fra socialismo e liberalismo (cap. 3), libertà di opinione, tolleranza e libertà di culto sono state considerate non solo principi cardine del liberalismo, ma costitutivi della dottrina liberale. Che si trattasse dello svuotamento etico dell’obbligo politico di Hobbes, del rifiuto all’assolutismo sancito dall’inviolabilità delle libertà personali di Locke, o dell’accordo sul disaccordo di Voltaire, il liberalismo è stato considerato la teoria politica della modernità proprio in virtù dell’autonomizzazione dell’unione politica dall’adesione a visioni sostantive su cui gli individui non sono d’accordo. Non è sorprendente che il pluralismo abbia attirato l’attenzione di studiose e studiosi animati dal liberalismo rawlsiano (Galston 2002).

    In modo più basilare, inoltre, l’esperienza non solo del disaccordo, ma della persistenza dei nostri disaccordi, fa parte così pervasivamente della nostra vita che, anche prima dell’interesse per una questione filosoficamente così cruciale per la genesi del liberalismo, è l’evidenza fenomenica a catturare l’attenzione. Come ciascuno sa, siamo in disaccordo su quale partito votare e su come educare i nostri i figli, sull’importanza da attribuire alla dimensione privata e affettiva rispetto alla vita pubblica. Siamo in disaccordo sulle ragioni per cui vale la pena vivere e quelle per cui si potrebbe morire. Spiegare in termini di irrazionalità, entro una cornice epistemica, questo genere di disaccordi è difficile, specialmente se si considera come caratteristico di questi disaccordi sia il fatto che, per quanto comunemente ne facciamo esperienza, essi non sembrano mettere in discussione la nostra coesistenza. Le società contemporanee, con tutte le loro storture, i loro difetti, la loro promesse mancate, non sembrano messe in pericolo dalla presenza di disaccordi anche profondi su questioni così cruciali. Non è sempre stato così. Che cosa ha reso, e rende, ciò possibile? Quali sono le condizioni della convivenza in condizioni di pluralismo? E’ il pluralismo nient’altro che un aspetto dell’anomia, indifferenza o ripiegamento individualistico delle società contemporanee, o c’è di più? Sono domande che suscitano naturalmente l’attenzione delle studiose e degli studiosi di filosofia politica.

    Infine, ancora da un punto di vista filosofico, ma in un senso meno sostantivo, il pluralismo suscita l’interesse di filosofi e filosofe per la sua tendenza a generare, non appena si cominci ad esaminarne i contorni, paradossi.

    Il pluralismo nelle nostre società, come abbiamo visto, è un fatto, un fatto ricorrente, per giunta, cui siamo continuamente esposti. Ma il pluralismo è anche un valore. Per alcuni di noi le società dovrebbero promuovere pluralismo e diversità anche se fosse possibile sopprimere le differenze senza violare la libertà di alcuno. Ma potrebbe non essere così per tutti. Se siamo pluralisti dobbiamo ammettere la possibilità che qualcuno non sia pluralista. Ma non possiamo essere pluralisti senza difendere il pluralismo contro chi lo contrasta. Così, la difesa del pluralismo sembra richiedere che tutti siano liberi di pensare come credono, purché tutti abbraccino il pluralismo. Uscire da questa impasse è una sfida comprensibilmente attraente per filosofe e filosofi (Talisse 2011).

    Se questo insieme di ragioni contribuisce a spiegare perché il pluralismo sia subito apparso un problema politicamente importante e una sfida filosofica, il liberalismo politico di Rawls, in aggiunta, si proponeva insieme come l’apparato teorico e persino terminologico per trattarlo. Anche questo ha contribuito a definire i contorni che il dibattito sul pluralismo ha finito col prendere.

    LP è un libro difficile sotto molti punti di vista. Caratterizzato da nozioni parzialmente tecniche, da quella di overlapping consensus (consenso per intersezione) a quella di giustificazione free-standing (autonoma), dalle idee condivise incastonate nel patrimonio politico pubblico, alle dottrine comprensive, ha richiesto tempo e un elaborato confronto per comprendere, valutare, difendere o rigettare la soluzione proposta.

    Negli ultimi decenni, molto si è discusso sia nei termini proposti da Rawls, sia sul significato esatto di quei termini. Rawls qualifica come ragionevole il pluralismo che caratterizza le società democratiche, distinguendolo dal pluralismo di fatto. Ma che cosa distingue il dissenso ragionevole da quello irragionevole e chi sono gli irragionevoli? Che cos’è esattamente il Ragionevole? Ci si è interrogati sulla natura delle dottrine comprensive e sul ruolo che gioca l’overlapping consensus. Si è discusso del disimpegno epistemico che Rawls reclama alla filosofia politica e sulla natura pratica della filosofia politica.

    La rilevanza storica, politica e concettuale del pluralismo, insieme all’apparato teorico proposto da Rawls e alle dispute interpretative e sostantive che lo hanno accompagnato, contribuiscono a spiegare il perché dell’interesse per il pluralismo, rendendo conto, in particolare, di come nel dibattito addensatosi attorno al liberalismo politico sia prevalsa la tendenza a considerare il pluralismo un problema che meritasse di essere discusso di per sé, indipendente cioè da TG e dalla questione distributiva che ne era stata al centro. Ciò ha fatto sì che la questione relativa al senso in cui il pluralismo rappresentasse un problema specifico per la teoria della giustizia rimanesse del tutto sullo sfondo.

    Tuttavia, questo spiega solo in parte il prevalere della tendenza ad occuparsi di pluralismo indipendentemente dal suo impatto sulle questioni di giustizia sociale, come se Rawls avesse inteso il problema del pluralismo come un tema indipendente che abbia attratto il suo interesse, dopo essersi lungamente occupato di giustizia sociale.

    Rawls è un pensatore sistematico, largamente riconosciuto come tale. Analizzando le ragioni del successo della teoria della giustizia, Joseph Raz individua nel rigetto dell’intuizionismo frammentario con cui venivano trattate questioni ‘rilevanti’ come il razzismo, l’obiezione di coscienza, e l’aborto la ragione del profondo impatto che TG ha sollevato. A questa frammentazione, secondo Raz, Rawls contrappone il tentativo di mostrare come questi differenti problemi possano essere trattati sistematicamente come parte di una teoria unificata basata su alcune idee guida (1990, 5).

    Non tenterò di definire un termine notoriamente complesso come quello di teoria, ma è facile comprendere come la scelta di concepire i risultati della propria ricerca come una teoria dichiara piuttosto inequivocabilmente l’intento sistematico dell’impresa. L’ambizione è quella di offrire una soluzione unitaria a una varietà di questioni socialmente significative che sono alla base dei conflitti più profondi che le società affrontano, riconducendone ad alcuni principi fondamentali – i due principi di giustizia, il loro ordinamento seriale, la seconda parte del primo principio, nel caso di Rawls – le risposte. Questioni apparentemente lontane, diverse fra loro, dall’eguaglianza al razzismo e all’obiezione di coscienza, dal welfare state alla disobbedienza civile e alla tolleranza, vengono unificate mostrandone la dipendenza da certi principi generali da cui derivare principi via via più specifici in relazione alle specifiche istituzioni sociali di volta in volta in questione.

    Non si tratta di tutti i problemi. Come è noto, Rawls esclude dalla teoria della giustizia questioni centrali, come la teoria della pena, sotto l’assunzione idealizzata della completa adesione (full compliance) e la giustizia internazionale (TG, 25). Inoltre, considerando le società sistemi chiusi, isolati dalle altre società, Rawls esclude le questioni di giustizia all’ingresso, divenute così cruciali per l’immigrazione (TG 25; ma vedi Carens 2013).

    Tuttavia, la pretesa è e resta sistematica. Non solo ci sono ragioni specifiche per i temi che vengono esclusi, ma i problemi di cui la teoria si occupa e che pretende di risolvere non sono alcuni problemi sociali casualmente scelti, ma l’insieme di questioni risolte le quali possiamo dire di vivere in una la cui struttura fondamentale è giusta, capace di incorporare i problemi rimasti irrisolti.

    Data la pretesa di sistematicità della teoria, il problema del pluralismo, per Rawls, non può porsi indipendentemente, come un problema di cui è interessante occuparsi e che non era stato sufficientemente approfondito. Assumere ciò equivarrebbe a sostenere che una società possa essere giusta senza essere pluralista, o che il pluralismo rappresenti una questione secondaria, tale da poter essere tralasciata per gli scopi centrali di una teoria della giustizia. Tuttavia, non solo né l’una né l’altra sono tesi che Rawls sostiene, come dirò tra un momento. Più profondamente, proprio in virtù del suo intento sistematico, la teoria della giustizia rappresenta un’impresa architettonica: non è facile inserirvi strutture portanti senza modificare il quadro. Questo avrebbe dovuto generare più di una domanda sugli effetti che la nuova enfasi sul pluralismo produce sull’impianto generale della teoria e sui suoi impegni distributivi e genera una domanda legittima sul perché non sia successo.

    La domanda è tanto più legittima se si considera, come, nel vasto dibattito che è seguito alla pubblicazione di TG, nella grande quantità di critiche e obiezioni sollevate contro la teoria della giustizia, dall’eguaglianza alla tassazione, dal ruolo, dispensabile o no, della posizione originaria alla priorità della libertà, all’arbitrarietà del velo di ignoranza, nell’ampia letteratura stratificatasi nei vent’anni e più che separano TG da LP, il problema del pluralismo non sia mai emerso.

    Che cosa ha indotto Rawls considerare inadeguata TG alla luce del pluralismo? In che senso esattamente il pluralismo è un problema per la teoria della giustizia?

    L’investigazione sulle ragioni che hanno condotto Rawls al cosiddetto political turn, l’investigazione, dunque, sul pluralismo non come problema in sé, ma come problema specifico per la teoria della giustizia, è relativamente recente rispetto al dibattito sul pluralismo, e rimane, rispetto a questo, piuttosto circoscritta. La si può ascrivere a due autori, Samuel Freeman (2018) e Paul Weithman (2010), il cui lavoro, diverso per ampiezza e contenuto, costituisce il punto di riferimento per questa indagine. Weithman e Freeman non sono gli unici ad essersi occupati delle ragioni della svolta politica (Gaus 2013), ma i loro lavori restano paradigmatici per il carattere interno, strettamente ricostruttivo, che presentano.

    Tuttavia, anche quando la riflessione sul perché della svolta politica si è resa disponibile, anche quando sarebbe stato più facile collocare il dibattito sul pluralismo nella cornice di una svolta, i due dibattiti, quello nel merito di LP e quello sul perché di LP, sono rimasti largamente indipendenti. Ciò, in parte è dipeso, in parte ha finito col rafforzare, l’impressione che LP intendesse affrontare un problema diverso da quello che era stato al centro di TG.

    Anche quando si è riconosciuto, con Rawls, che la presa in carico del nuovo problema abbia richiesto cambiamenti di qualche portata sull’impianto complessiva di TG, LP è stato prevalentemente inteso come un intervento ulteriore rispetto agli scopi della teoria, come l’opera pensata per risolvere un problema che TG aveva mancato di considerare e, soprattutto, con impatto limitato sulla questione distributiva che ne era al centro.

    Naturalmente, ha contato il fatto che Rawls abbia continuato a dichiarare che il contenuto della teoria, i due principi di giustizia, rimane intoccato dai rimaneggiamenti successivi, come si è accennato. Ma assai più che la rapida difesa di Rawls circa gli intenti egualitari di LP, il diffondersi della tesi sulla sostanziale indipendenza fra i due lavori e i due problemi cui sono dedicati è stato favorito dal fatto che, accennando alle ragioni che lo hanno indotto alla svolta politica impressa da LP, Rawls menzioni la sua insoddisfazione per la terza parte della teoria della giustizia.

    TG, come è noto, è divisa in tre parti. La prima, Teoria, è quella in cui vengono presentati o rintracciati, a mezzo della celebre procedura di decisione rappresentata dalla posizione originaria, i principi di giustizia. E’ la parte più nota e più discussa della teoria. La seconda e terza parte di TG, Istituzioni e Fini, sono parti meno discusse e meno lette del lavoro di Rawls. Per lo più, esse sono intese come appendici della prima e considerate irrilevanti ai fini della giustificazione dei principi (cap. 3).

    Si assume che, dal momento che i due principi sono giustificati nella prima parte della teoria e Rawls continua a difenderli in LP, quali che siano state le sue ragioni per rivedere parti secondarie della teoria, la questione distributiva posta in TG e la questione del pluralismo affrontata in LP siano e debbano essere viste come questioni differenti, tra loro indipendenti.

    Il volume che presento è inteso a mettere in discussione, in modo unitario, entrambe queste tesi.

    Non solo la questione del pluralismo che conduce Rawls a LP non è indipendente dal modo in cui i principi sono giustificati in TG, ciò che rende legittima una domanda sulla tenuta del secondo principio di giustizia nel nuovo impianto di LP (cap. 1), ma è falso, e precisamente per le stesse ragioni, che la seconda e terza parte di TG possano essere lette come applicazioni dei due principi, irrilevanti ai fini della loro giustificazione (capp. 2 e 3).

    Uno degli effetti più eclatanti dell’aver continuato a leggere LP come un lavoro rivolto ad un problema diverso da quello affrontato nella teoria è stato la sottovalutazione del fatto che TG esponesse già una concezione pluralista (cap. 1).

    Profilando i contorni che una società giusta potrebbe prendere, nella terza parte di TG, provando a prefigurare come sarebbe per noi vivere in una società che sia tanto efficacemente regolata dai principi della giustizia come equità, quanto considerata giusta dai suoi cittadini per il fatto di essere regolata da quei principi, Rawls chiarisce come i cittadini di questa società bene ordinata, non solo sono perfettamente liberi di scegliere i loro fini e piani di vita, ma (possiamo sapere sin d’ora che) avranno, di fatto, fini differenti e differenti ideali.

    In una società bene-ordinata, scrive Rawls, i piani di vita degli individui sono diversi tra loro nel senso che … privilegiano obiettivi diversi. Poiché, per una persona possono essere buone molte cose che non lo sarebbero per un’altra, c’è da aspettarsi che le concezioni che individui hanno del loro bene differiscano tra loro in maniera significativa (TG 368).

    Prendendo l’idea da Sidgwick, Rawls assume che il perseguimento razionale del nostro bene non può consistere nella soddisfazione di desideri occasionali. Forse, scegliamo così il gusto del gelato o dove trascorrere il week-end, ma non tutte le nostre scelte hanno questo grado di contingenza. Un piano di vita, in questo senso, è il tipo di scelta che definisce il punto di vista fondamentale dal quale devono essere formulati e alla fine resi coerenti tutti i giudizi di valore relativi a una persona particolare (TG 338). E’ la scelta che le persone fanno quando si trovano a decidere cosa fare della propria vita, come quando dobbiamo scegliere una professione oppure o un lavoro (TG 341).

    I piani di vita che è razionale adottare, variano naturalmente da persona, poiché individui diversi ricercano la felicità nella realizzazione di cose diverse (TG 359). Ma in una società giusta, le persone sono lasciate libere di decidere il loro bene. Le opinioni degli altri sono considerate semplicemente come consigli, "non c’è alcun bisogno … di raggiungere un giudizio pubblicamente condiviso sul bene di individui particolari» (TG 368).

    Proprio come in LP, non c’è nessuno in TG che può dirci come dobbiamo vivere o imporci di scegliere un piano di vita piuttosto che un altro, ciò sarebbe in contraddizione, scrive Rawls, con la libertà di scelta che la giustizia come equità garantisce agli individui e ai gruppi nell'ambito di una struttura di istituzioni giuste (TG 368). Anche quando le scelte di vita di qualcuno dovessero apparirci dubbie o sbagliate, possiamo essere chiamati a dare consigli, ma nessuno è obbligato, men che mai costretto, a darci retta: non sorgono problemi di giustizia se il nostro consiglio è messo in discussione e la nostra opinione non viene seguita (TG 368).

    Nonostante LP presenti TG come una dottrina (parzialmente) comprensiva, sancendone così l’inadeguatezza a trattare del pluralismo, in qualunque senso essa lo sia, dal punto di vista LP, deve trattarsi di essere di un tipo che non contempla il perfezionismo. Infatti, benché giudicate con il metro del perfezionismo, le attività di molti gruppi possano rivelare un grado non elevato di eccellenza, ciò non ha alcuna importanza. Come cittadini, dobbiamo rifiutare lo standard di perfezione come principio politico, e per i fini della giustizia evitare qualsiasi valutazione del valore relativo dei rispettivi modi di vivere (TG 363).

    Il carattere pluralista della società disegnata dai principi della giustizia non è semplicemente accennato o marginalmente toccato nella terza parte di TG. Rawls gli dedica molto spazio, legando ad esso un bene essenziale per le nostre speranze di felicità, quello del rispetto di sé (o auto-stima), senza di cui ci può sembrare che niente meriti di essere fatto, tutti i desideri e le attività diventano vuoti e inutili, e noi sprofondiamo nell’apatia e nel cinismo. Cui aggiunge che proprio il fatto che la giustizia come equità offre alla stima di sé un sostegno maggiore che non altri principi costituisce una valida ragione per adottarla (TG 362).

    Ma soprattutto alla pluralità e differenziazione dei piani di vita Rawls lega uno degli ideali centrali di TG, quello di unione sociale, senza cui, scrive, la teoria della giustizia non può avere successo (TG 226). Per Rawls, la giustizia come equità ha un posto centrale per il valore della comunità. Essa mira a rendere conto del valore sociale, del bene intrinseco delle attività istituzionali, comunitarie e associative (TG 226).

    Il legame che TG stabilisce fra la pluralità dei piani di vita

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