La Corruzione tra privati: La guida completa per dirigenti, amministratori delegati e responsabili d’azienda, per districarsi in una norma che in pochi conoscono.
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Tali fattispecie di infedeltà patrimoniali erano volte a reprimere gli abusi sociali da parte degli amministratori.
Una tesi di Laurea divenuta ora la guida necessaria da collocare su ogni scrivania.
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Anteprima del libro
La Corruzione tra privati - Giuseppe Domenico Mezzini
INTRODUZIONE
L'intento del legislatore nella formulazione della norma incriminatrice: brevi cenni.
L'articolo 2635 c.c. fu introdotto nel nostro ordinamento, assieme all'art. 2634 c.c., in tempi relativamente recenti. Con la riforma dei reati societari, operata con D.Lgs. 11 aprile 2002 n. 61, il legislatore sostituì interamente il Titolo XI del Libro V del codice civile, dettando nuove disposizioni in materia di illeciti penali ed amministrativi commessi da soggetti operanti all'interno di società e consorzi, costituendo in tal modo una significativa riforma del diritto penale societario.
In particolare, la riforma in questione intervenne più specificatamente sulla tutela del patromonio sociale, tutela che fu affidata a due ipotesi di infedeltà patrimoniale prima sconosciute al nostro ordinamento: si tratta delle ipotesi di infedeltà patrimoniale disciplinata dall'art. 2634 c.c. e di infedeltà a seguito della dazione o promessa di utilità di cui all'articolo 2635 c.c..
Tali fattispecie di infedeltà patrimoniali erano volte a reprimere gli abusi sociali da parte degli amministratori.
Nel corso degli anni si rese, tuttavia, necessario operare una ulteriore modifica normativa, per dare attuazione all'obbligo di intervenire in maniera più decisa in materia di corruzione nel settore privato, imposto all'Italia dai vincoli internazionali, quali la Convenzione di Merida ¹, art.21, e la Convenzione di Strasburgo ², artt. 7 e 8, oltre che dalla raccomandazione XIX del rapporto del GRECO ³ sull'Italia dell'ottobre 2009.
Da qui il legislatore intraprese un complesso iter normativo, che, infine, portò alla promulgazione della legge 6 novembre 2012 n. 190, detta anche legge anti-corruzione
, con la quale il legislatore intese sottoporre il fenomeno corruttivo ad una visione più ampia ed estesa rispetto al passato.
Tale intervento in tema di corruzione ha risposto, quindi, ad una duplice esigenza. Sul piano interno, l'esigenza di una rivisitazione dei delitti di corruzione, soprattutto in seguito ad una sempre più diffusa consapevolezza della realtà crimonologica della corruzione e della necessità di fornire risposte legislative di contrasto a tale fenomeno. A questo si deve aggiungere che, la corruzione mina la stessa crescita economica del nostro Paese, poiché lede beni come la concorrenza. Sul piano internazionale, la necessità di una riforma derivava da precisi obblighi imposti dall'Unione Europea ai suoi Stati membri, obblighi ai quali l'Italia si era impegnata ratificando diversi accordi sovranazionali, ai quali ha dato applicazione con la legge n.190/2012.
Una delle principali novità della legge n.190/2012 è costituita dalla esplicita previsione di una ipotesi delittuosa di corruzione in ambito privatistico, ottenuta configurando nell'art. 2635 c.c. il delitto di corruzione tra privati
in sostituzione di quello di infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità
.
La nuova fattispecie è stata costruita in modo da tutelare due interessi: da un lato il patrimonio della società, dall'altro lato l'osservanza delle regole della concorrenza; il primo ha portata interna, mentre il secondo è caratterizzato da una proiezione esterna rispetto alla società.
CAPITOLO I
LA CORRUZIONE TRA PRIVATI: SUCCESSIONE DI LEGGI NEL TEMPO.
1. La corruzione tra privati prima della riforma del 2012.
La fattispecie incriminatrice prevista e punita dall'art. 2635 c.c., nata dalla previsione normativa ex art. 1 D.Lgs. 11 aprile 2002 n. 61 ⁴, era chiamata "infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità". Questo articolo inserito nel Libro V, Titolo XI ⁵, Capo IV del codice civile fu poi oggetto di modifiche nel 2006 e nel 2010 e, da utimo, fu sostituito dall'art. 1, comma 76, legge 6 novembre 2012 n. 190, in vigore dal 28.11.2012, che gli conferì l'attuale formulazione.
Nella precedente versione l'art. 2635 c.c. puniva amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari ⁶, sindaci e liquidatori ⁷, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità
, si macchiavano di un'infedeltà
, specificata nel compimento od omissione di atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio
, cagionando nocumento alla società. A quest'ultima, in quanto persona offesa dall'infedeltà e danneggiata, spettava il diritto di sporgere querela, da cui dipendeva altresì la sussistenza della condizione di procedibilità. La pena edittale prevista era della reclusione fino a tre anni, senza distinzioni di sorta tra le figure di promittente e promissario, di dante e accipiens. Il reato era aggravato qualora ricorresse la circostanza ad effetto speciale (pena raddoppiata
) prevista in caso di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani, o di altri Stati dell'Unione europea, o con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (c.d. TUIF) ⁸.
La ratio dell'estensione di responsabilità anche ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari ex Legge 28 dicembre 2005 n. 262, ai sindaci ed ai responsabili della revisione ex art. 37, comma 36, del D.Lgs. 27 gennaio 2010 n. 39 si comprende meglio alla luce delle modalità esecutive della condotta ivi tipizzate, ossia il compimento o l'omissione di atti in violazione degli obblighi inerenti all'ufficio rivestito. Trattasi proprio di comportamenti omissivi e meramente organizzativi non ricompresi nella figura dell'infedeltà patrimoniale di cui all'art. 2634 c.c.. Sotto il profilo strutturale, elemento distintivo è certamente l'evento, qualificato come nocumento
, così da non richiedere necessariamente il verificarsi di un pregiudizio patrimoniale diretto per la società. L'elemento psicologico implica, poi, che il soggetto si rappresenti tale pregiudizio e, quantomeno, ne accetti il rischio di verificazione quale conseguenza della propria condotta, in modo da ricomprendere anche ipotesi di dolo eventuale. Il tratto distintivo principale si rinviene, però, nel pactum sceleris che contraddistingue questa particolare forma di corruzione privata.
Questa fattispecie, tuttavia, non fu riconosciuta a livello internazionale, perché non offriva un vero e proprio presidio contro le corruzioni private
, contro gli amministratori e i dipendenti infedeli che si arricchivano imponendo tangenti
per interessi personali, in conflitto con quelli della società, nei rapporti contrattuali con i terzi. Nella sua formulazione, infatti, non vi era alcun collegamento tra le condotte incriminate e la possibile alterazione di una concorrenza libera e leale. L'unico collegamento era quello tra dette condotte e il danno subito dalla società, che si concretizzava in un reato di evento, posto a tutela esclusiva di meri interessi interni
alla società ⁹.
Si rese, quindi, ormai improrogabile la riforma delle disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità, concernente la responsabilità per i c.d. reati societari, il cui iter legislativo fu forse accelerato anche dal parere inviato alla Camera, poco prima del voto definitivo, dal Consiglio Superiore della Magistratura ¹⁰ e dal parere espresso dall'Associazione Nazionale Magistrati (che ha evidenziato positività, criticità, proposte del disegno di legge) ¹¹.
La suddetta riforma, infine, è stata approvata in via definitiva e promulgata con Legge n. 190 del 6 novembre 2012.
2. La corruzione tra privati dopo la riforma del 2012, legge n. 190.
La Legge Anticorruzione ¹² del 2012 ha riformulato l'art. 2635 c.c., che ora punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato
, i corruttori passivi, cioè gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci, i liquidatori e chiunque sia sottoposto alla direzione o vigilanza di uno di tali soggetti che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiano od omettano di compiere atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, arrecando nocumento alla società, nonché i corruttori attivi, ossia chiunque dia o prometta denaro o altra utilità ai suddetti per il medesimo fine. Questo recente intervento legislativo ¹³ ha, dunque, modificato l'originaria rubrica della norma in discorso - da Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità
a Corruzione tra privati
- nonché subordinato la configurabilità della fattispecie all'eventualità che non risulti integrata una più grave fattispecie di reato. Rispetto alla precedente previsione ha, non di meno, ricompreso tra gli agenti anche coloro che sono sottoposti all'altrui direzione o vigilanza.
Più precisamente, al comma 1, si conferma la natura della corruzione tra privati quale reato proprio a concorso necessario, mentre al comma 2 si esprime, in modo meno grave, l'infedeltà posta in essere da coloro che, nell'assetto societario, non rivestono ruoli apicali e tanto meno svolgono funzioni di controllo gestionale o dei conti, essendo sottoposti alla direzione o alla vigilanza dei soggetti qualificati di cui al comma 1 ¹⁴.
Rileva, altresì, la condotta di chi effettua la dazione di denaro o di altra utilità ed assume autonoma importanza la violazione degli obblighi di fedeltà, il cui espresso richiamo svela l'intento del legislatore di perseguire penalmente quelle forme di mala gestio che si estrinsecano nella deviazione dal buon andamento societario.
Il correlato sistema sanzionatorio palesa, inoltre, il maggior disvalore rispetto all'infedeltà patrimoniale di cui all'art. 2634 c.c.. È stato, infatti, innalzato il minimo edittale della pena detentiva previsto per la fattispecie di cui al comma 1 fino ad un anno di reclusione, mantenendo invece il massimo fermo a tre anni, già stabilito nel testo previgente per l'infedeltà a seguito di dazione. Per l'ipotesi di cui al comma 2 il legislatore ha, di contro, fissato solo il massimo edittale della pena, prevedendo la reclusione fino ad un anno e sei mesi.
Identico trattamento punitivo, di cui ai predetti commi, è stato, peraltro, riservato all'autore della dazione o della promessa. Al comma 4 è stata, inoltre, riproposta la circostanza aggravante ad effetto speciale, che determina il raddoppiamento della pena, nel caso in cui la società danneggiata risulti quotata in Italia o in uno Stato membro dell'Unione Europea o, ancora, nell'ipotesi di un ente i cui titoli siano diffusi tra il pubblico in misura rilevante ex art. 116 del D.Lgs. n.58/1998.
Il reato è procedibile d'ufficio laddove dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nell'acquisizione di beni o servizi. Distorsione che sembra costituire un ulteriore evento lesivo e richiedere un vincolo di derivazione eziologica,