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Dalia nera, rosa rossa: Il crimine, la corruzione e l’insabbiamento del più grande omicidio irrisolto d’America
Dalia nera, rosa rossa: Il crimine, la corruzione e l’insabbiamento del più grande omicidio irrisolto d’America
Dalia nera, rosa rossa: Il crimine, la corruzione e l’insabbiamento del più grande omicidio irrisolto d’America
Ebook474 pages6 hours

Dalia nera, rosa rossa: Il crimine, la corruzione e l’insabbiamento del più grande omicidio irrisolto d’America

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About this ebook

Il 15 gennaio 1947, il corpo nudo e smembrato di una bellezza dai capelli neri, Elizabeth Short, fu scoperto disteso accanto a un marciapiede in un sobborgo di Hollywood. La vittima fu presto soprannominata la Dalia Nera.
L’inchiesta per omicidio che seguì consumò Los Angeles per anni e le autorità spesero milioni di dollari di risorse in un’indagine che sollevò dozzine di sospetti. Ma il caso non fu mai risolto.
Fino ad ora.
In questo libro rivoluzionario, Piu Eatwell svela per la prima volta avvincenti prove forensi e rende noti testimoni oculari, fino ad arrivare a indicare l’identità dell’assassino.
L’autrice fornisce un resoconto dettagliato del crimine e di coloro che hanno avuto in qualche modo un ruolo in questa storia intricata. Una storia oscura, di sesso, manipolazione, ossessione e psicopatia, strutturata in forma narrativa ma scritta utilizzando fatti estrapolati dai documenti prodotti durante l’indagine originale.
LanguageItaliano
PublisherNua Edizioni
Release dateJul 25, 2022
ISBN9788831399906
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    Book preview

    Dalia nera, rosa rossa - Piu Eatwell

    Dalia nera, rosa rossa

    DALIA NERA, ROSA ROSSA

    IL CRIMINE, LA CORRUZIONE E L’INSABBIAMENTO DEL PIÙ GRANDE OMICIDIO IRRISOLTO D’AMERICA

    PIU EATWELL

    Traduzione di

    BARBARA CINELLI

    NUA EDIZIONI

    INDICE

    Prefazione

    Dramatis personae principali

    Parte I

    1. Addio, mia amata

    2. Una doppia vita

    3. La cattura

    4. Gilda

    5. O come omicidio

    6. Casa di estranei

    7. Il grande sonno

    Parte II

    8. La lettera

    9. Il sospetto

    10. Dietro porte chiuse a chiave

    11. Appuntamento all’alba

    12. Punto di rottura

    Indagini Sul Fiasco Della Dalia Nera

    Svelato Il Background Del Dottor De River

    13. L’ospite

    14. Un bacio d’addio al domani

    15. Panico nelle strade

    Luogo della morte

    Caccia nazionale

    Ragazza identificata

    Sospetto identificato

    La Polizia Nega Le Voci Sulla Dalia

    Parte III

    16. Testimone chiave

    17. L’alibi di vetro

    18. Il verdetto

    19. Deviazione

    20. Caduto in disgrazia

    21. Voce nel vento

    Parte IV

    22. Il nome della rosa

    23. Lo spettro della rosa

    24. La donna alla finestra

    Appendice

    Illustrazioni

    Ringraziamenti

    Dramatis personae completa

    Abbreviazioni

    Note dettagliate

    I. Angelo Caduto

    1. Addio, mia amata

    2. Una doppia vita

    3. La cattura

    4. Gilda

    5. O come omicidio

    6. Casa di estranei

    7. Il grande sonno

    II. Passaggio Oscuro

    8. La lettera

    9. Il sospetto

    10. Dietro porte chiuse a chiave

    11. Appuntamento all’alba

    12. Punto di rottura

    13. L’ospite

    14. Un bacio d’addio al domani

    15. Panico nelle strade

    III. Trattamento Ingiusto

    16. Testimone chiave

    17. L’alibi di vetro

    18. Il verdetto

    19. Deviazione

    20. Caduto in disgrazia

    21. Voce nel vento

    IV. Dal Passato

    22. Il nome della rosa

    23. Lo spettro della rosa

    Bibliografia

    Fonti secondarie

    Nota sul denaro

    Indice analitico

    Biografia

    Note

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.


    Dalia nera, rosa rossa - Il crimine, la corruzione e l’insabbiamento del più grande omicidio irrisolto d’America - Copyright © 2022 Nua Edizioni – un marchio Triskell Edizioni

    Copyright © 2017 Black Dahlia, Red Rose - The Crime, Corruption, and Cover-Up of America’s Greatest Unsolved Murder di Piu Eatwell, pubblicato da Liveright

    Immagine di copertina: Fotografia presente sul bollettino distribuito dal dipartimento di polizia di Los Angeles, accessibile sul sito web ufficiale dell’FBI. Wikipedia conferma pubblico dominio

    Progetto grafico: Barbara Cinelli

    Prodotto in Italia

    Prima edizione Nua Edizioni – settembre 2022

    Edizione Ebook: 978-88-31399-90-6

    Edizione Cartacea: 978-88-31399-91-3

    Questo libro è dedicato a Donald e Patty Freed

    PREFAZIONE

    Questa è la vicenda di uno dei più noti omicidi irrisolti della storia della California, e probabilmente dell’America intera. È la vicenda dell’assassinio di una ragazza di ventidue anni, il cui corpo tagliato in due fu trovato nell’erba accanto a un marciapiede alla periferia di Los Angeles nel gennaio 1947. Forse, se i giornali non avessero inventato un nome, il caso sarebbe rimasto abbandonato nell’oscurità del seminterrato del dipartimento di polizia di Los Angeles insieme ad altri centinaia contrassegnati come irrisolti. Ma il soprannome Dalia Nera, evocativo di un fiore esotico, di un desiderio sia tossico che inebriante, ha fatto sì che questo delitto rimanesse per sempre impresso nella coscienza collettiva, un simbolo potente del lato oscuro di Hollywood e, per estensione, del sogno americano.

    Questo libro è in parte un romanzo poliziesco e in parte Storia. È anche un’istantanea di una grande città americana e del suo dipartimento di polizia in uno specifico momento storico. Questo periodo è per la maggior parte rappresentato da film che appartengono all’età del noir: un’epoca di poliziotti corrotti e gangster armati, eroi cinici e bionde platino che dispensavano battute al vetriolo con aria impassibile. Ma l’abile retorica dei film noir nascondeva le brutali disuguaglianze della realtà del tempo. In verità, erano tempi duri dopo una guerra dura in un mondo duro. Il caso della Dalia Nera ha attinto sia dall’immaginario che dalle problematiche reali. Pertanto, è divenuta una vera storia noir, acquisendo dimensioni mitiche quando il fatto e la finzione sono diventati difficili da distinguere.

    Nelle pagine seguenti racconterò la storia di questo caso straordinario. Tuttavia, nonostante la forma narrata, questa non è un’opera di fantasia. Qualsiasi cosa citata tra virgolette proviene da una lettera, da un memoriale o da un altro documento. Se descrivo il tempo in un giorno particolare, è perché ho controllato i bollettini meteorologici. L’azione si svolge quasi esclusivamente a Los Angeles, ma devo scusarmi per il passaggio rapido che ho eseguito attraverso i decenni che vanno dal dopoguerra a oggi. Un’azione simile è stata necessaria per narrare la vicenda nella sua interezza. Spero che il lettore mi perdoni anche il cambio di voce narrativa alla fine della storia. Questo espediente si è reso necessario per portare il racconto da una narrazione storica al contesto di un’indagine moderna. I lettori che troveranno i titoli dei capitoli evocativi di titoli dei film noir degli anni ‘40 e ‘50 avranno assolutamente ragione.

    Un aspetto particolarmente impegnativo delle indagini su questo caso è dovuto al fatto che il dipartimento di polizia di Los Angeles si è sempre rifiutato di condividere le fotografie della scena del crimine e il rapporto completo dell’autopsia. Inoltre, vari elementi chiave – nello specifico prove fisiche come la borsa, le scarpe e le lettere della vittima – non sono più disponibili o sono scomparsi. La principale fonte di prove contemporanee rimane l’ingente dossier composto dai documenti relativi al caso, raccolti per un’indagine del gran giurì nel 1949, e divulgato solo di recente dal procuratore distrettuale di Los Angeles. Sebbene sia altamente probabile che alcuni elementi chiave siano stati omessi dai membri del dipartimento di polizia dell’epoca, va sottolineato che le azioni e la condotta della polizia di Los Angeles descritte in questo libro sono limitate al periodo degli eventi storici discussi. Non c’è alcuna prova che l’odierna polizia di Los Angeles sia stata coinvolta in un insabbiamento o che sappia se queste prove esistono davvero e, se esistono, dove siano.

    In definitiva, questa è una storia sulla verità: sulla sua ricerca e la sua soppressione. Il filosofo inglese del XVI secolo Francis Bacon ha detto che la verità è figlia del tempo. Se è così, allora offro questo libro come la prole degli anni che, come Mosè nella culla, ha trovato finalmente approdo tra i canneti del Nilo (o, in questo caso, del Mississippi).

    Piu Eatwell, 2017

    DRAMATIS PERSONAE PRINCIPALI

    (Per l’elenco completo vedi in fondo dopo i ringraziamenti)


    I POLIZIOTTI

    Capo della polizia di Los Angeles

    Clemence B. Horrall (fino all’estate 1949)

    William A. Worton (dopo l’estate 1949)


    Assistente capo della polizia di Los Angeles

    Joe Reed (fino all’estate 1949)


    Capo dei detective della polizia di Los Angeles

    Thaddeus Franklin Thad Brown (dall’estate 1949); fratello maggiore di Finis Brown


    Sezione Omicidi della polizia di Los Angeles

    Capo della Omicidi:

    Capitano Jack Donahoe (fino a settembre 1947)

    Capitano Francis Kearney (dopo settembre 1947)

    Detective della Omicidi assegnati al caso Dalia:

    Tenente Harry The Hat Hansen

    Sergente Finis Albania Brown; fratello minore di Thad Brown


    Squadra anti-gangster della polizia di Los Angeles

    Capo della Squadra anti-gangster:

    William Willie Burns (fino a fine 1949)


    Detective della Squadra anti-gangster assegnati al caso Dalia:

    John J. JJ O’Mara

    Archie Chase

    James Ahern

    Loren K. Waggoner

    Con Keller


    Psichiatra della polizia di Los Angeles

    Dottor Paul De River, psichiatra della polizia di Los Angeles dal 1937 al 1950

    Fred Witman, investigatore privato e amico intimo del dottor De River


    I GIORNALISTI

    James Hugh Jimmy Richardson, caporedattore del Los Angeles Examiner, quotidiano Hearst

    Agness Aggie Underwood, caporedattrice per il Los Angeles Evening Herald & Express, un altro quotidiano Hearst e rivale dell’Examiner


    LA VITTIMA

    Elizabeth Short, la Dalia Nera, vittima di un raccapricciante omicidio nel gennaio 1947

    Phoebe Mae Short, madre della vittima

    Mark Hansen, proprietario danese di nightclub e uomo d’affari di Hollywood, amico intimo di Short; nessuna relazione di parentela con Harry the Hat Hansen della polizia di Los Angeles

    Ann Toth, attrice di Hollywood, amica intima di Short

    Marjorie Graham, amica di Short

    Lynn Martin, cantante di nightclub, amica di Short

    Dorothy ed Elvera French, assistente cinematografica e sua madre, che ospitarono brevemente Short a San Diego nel dicembre/gennaio 1947-48.


    I SOSPETTI

    George Hodel, famoso medico delle celebrità di Hollywood

    Leslie Duane Dillon, ventisettenne fattorino d’albergo

    Caporale Joseph Dumais, uno degli oltre cinquecento falsi rei confessi che hanno affermato di aver commesso l’omicidio

    PARTE I

    ANGELO CADUTO


    Questa è una città marcia piena di gente marcia.

    GLI OSTAGGI (1955)

    1

    ADDIO, MIA AMATA

    La mattina di mercoledì 15 gennaio 1947 l’alba sorse alle 6:58 a Los Angeles. Quel mese era stato insolitamente cupo per la California del Sud. Una fitta nebbia era scesa sulle città costiere di Long Beach e Redondo. La foschia marina era accompagnata da una brezza tagliente che sferzava i cavalloni del Pacifico e soffiava lungo i viali di una città più avvezza alle folate calde, secche e polverose dei venti di Santa Ana.

    La notte precedente era stata ancora più insolita per Los Angeles, perché c’era stata una forte gelata. Il cielo era solcato dal fumo nero proveniente dalle stufe dei frutteti accese per proteggere gli alberi di arance che, in quei giorni, ancora tappezzavano i pendii della San Fernando Valley. Uno spicchio di luna calante era sospeso sugli alberi, i pallidi fiori e il profumo delicato erano già in procinto di essere spazzati via da file di case a schiera in cemento bianco. Più a sud di San Fernando, a Hollywood e nel centro di Los Angeles, i tram, che sembravano ignari del loro imminente annientamento nonostante sferragliassero proprio all’ombra degli ultimi lavori di costruzione della Hollywood Freeway, trasportavano per la città il loro carico notturno di ubriachi, passeggiatrici e vagabondi. Nel giro di pochi anni, la superstrada sarebbe diventata l’arteria principale di collegamento tra la periferia nord e Tinseltown. La vecchia tramvia centrale sarebbe stata demolita come previsto dall’ambizioso piano per trasformare la Città degli Angeli in quello che, per dirlo con le parole dell’attore Bob Hope, sarebbe stato il più grande parcheggio del mondo. ¹

    Come la maggior parte di Los Angeles, Leimert Park, nel sud della città, era una comunità residenziale concepita da un intraprendente agente immobiliare. Quando Walter H. Leimert ² aveva dato inizio al suo progetto da sogno nel 1927, aveva immaginato una comunità perfetta con abitazioni nel nuovo e spagnoleggiante stile Colonial Revival, che avrebbe regalato alle famiglie bianche di ceto medio la loro fetta di sogno americano. Situato tra Jefferson Park a nord, Hyde Park a sud e Baldwin Hills a ovest, il quartiere residenziale vantava una propria piazza, un cinema e centri commerciali. E, cosa ancor più impressionante, era stato ideato dallo studio Olmsted and Olmsted, dei figli di Frederick Law Olmsted, l’uomo che aveva progettato Central Park a New York.

    Negli anni ’40, Leimert Park era il posto perfetto per le giovani coppie bianche sposate intenzionate a mettere su famiglia. E così fu per John e Betty Bersinger, che nel 1945 avevano acquistato un bungalow con un bel giardino e cancellate di ferro battuto, nell’isolato 3700 su Norton Avenue, una delle strette strade a nord di Leimert. Come altrove, la guerra aveva fermato lo sviluppo edilizio in quell’isolato, e i lotti di quello più a sud erano ricoperti di piante secche: ippocastano legnoso, senape gialla e ortiche pungenti in primavera e in estate; ciuffi di erba ispida, oleandro messicano e terra dura e nera in inverno. Nulla si ergeva su quella macchia desolata, se non una serie di tralicci dell’elettricità, una linea di piloni neri collegati con fili che si alzavano e si abbassavano fino all’orizzonte.

    Nonostante i complessi residenziali fossero incompiuti, lungo i lotti liberi erano stati posizionati i marciapiedi, e quella parte del parco era un’area ricreativa molto frequentata da madri e bambini. Era anche il luogo in cui i Ringling Bros e i Barnum & Bailey talvolta si stabilivano con il loro circo. Fu così che, alle 10:00 della chiara e fredda mattina di mercoledì 15 gennaio 1947, Betty Bersinger mise la figlia di tre anni, Anne, nel passeggino e si diresse a sud attraverso gli appezzamenti liberi, diretta dal calzolaio per ritirare le scarpe del marito. Lo scricchiolio dei vetri rotti sotto i piedi all’isolato 3800 di Norton attirò l’attenzione della giovane casalinga mentre cercava di allontanare il passeggino dai frammenti sparsi sul marciapiede.

    Poi, quando alzò lo sguardo, Betty vide le mosche. C’era una grande nuvola nera che ronzava bassa su qualcosa. Strizzando gli occhi, la giovane madre riuscì appena a distinguere quello che sembrava essere un manichino bianco steso sulla sterpaglia a pochi passi da lei. Cosa bizzarra, sembrava essere stato tagliato a metà. «Mio Dio, era così bianco,» disse Betty, molti anni dopo. «Non sembrava niente di più che un corpo di plastica. Era così bianca, e separata nel mezzo. Ho notato i capelli scuri e questa forma bianca, bianca.» La presenza di quell’oggetto dal pallore scintillante in un luogo dove i bambini giocavano aveva destato la sua preoccupazione. «Non mi sembrava giusto,» continuò Betty. «Vedevo quei bambini sulle loro biciclette, e ho pensato, magari si spaventano se lo vedono andando a scuola, quindi farei meglio a chiamare qualcuno che venga almeno a dare un’occhiata, per vedere cos’è.» Il pensiero che ciò che aveva visto fosse qualcosa di diverso da un manichino rotto di un negozio le aveva sfiorato a malapena la mente.

    Affrettandosi oltre i lotti liberi, Betty suonò il campanello della prima casa nell’isolato successivo. Non c’era nessuno. Alla seconda, però, una donna aprì la porta. Betty spiegò che aveva visto qualcosa di strano un isolato prima. Chiese di poter usare il telefono. Quando la stazione di polizia rispose alla chiamata, lei descrisse brevemente ciò che aveva visto e chiese che qualcuno andasse a controllare. Poi – avendo scatenato quella che sarebbe diventata una delle più grandi cacce all’uomo nella storia dell’America moderna – la signora Bersinger si incamminò con il suo passeggino e la sua bambina verso il centro commerciale.

    La chiamata arrivò alla polizia alle 10:55. Una donna dalla voce stridula – che riagganciò bruscamente senza identificarsi – si lamentò della presenza di un oggetto sgradevole accanto al marciapiede nel lotto libero di Norton Avenue tra la Trentanovesima strada e il Coliseum, al centro dell’isolato sul lato ovest, e domandò che qualcuno andasse a occuparsene. Alle 11:07 fu inviata sulla scena una radiomobile con all’interno i poliziotti in uniforme Frank Perkins e Will Fitzgerald della University Division. Abituati, come normali piedipiatti, ad arrestare passeggiatrici, spacciatori e ubriachi che erano la solita spazzatura di Skid Row, Perkins e Fitzgerald erano impreparati a ciò che li aspettava. Contattarono immediatamente via radio la Sezione Omicidi.

    Alle 11:30 del mattino, si era diffusa in città la notizia che c’era un uomo a terra sulla Norton tra la Trentanovesima strada e il Coliseum. Una folla di giornalisti con pesanti attrezzature fotografiche e lampade fosforescenti si riunì per raggiungere il sergente Finis A. Brown e il tenente Harry L. Hansen, i detective della Omicidi che erano stati inviati sul posto. Il codice 390W-415 veniva utilizzato per indicare la presenza di una donna ubriaca svenuta senza vestiti, ricordò il giornalista di Los Angeles Will Fowler, all’epoca ventiquattrenne. Fowler non si era mai fatto fotografare con un cadavere prima, così promise al fotografo Felix Paegel di dividere una bottiglia di bourbon se gli avesse fatto quel servizio. Un cerchio di Fedora, di dita rapide e flash fumanti circondò presto la forma umana avvolta nel suo sciame di mosche ronzanti.

    Una delle prime persone ad arrivare sulla scena fu Agness Underwood, veterana giornalista di cronaca nera del Los Angeles Evening Herald-Express. Agness, conosciuta da tutti come Aggie, era nata a San Francisco nel 1902. Sua madre era morta quando lei aveva sei anni. In seguito era stata scaricata dal padre, soffiatore di vetro itinerante, in una serie di case di accoglienza e famiglie adottive in tutto il Paese. Infine, abbandonata da adolescente a Los Angeles da un parente che aveva cercato senza successo di farla entrare nel cinema come attrice bambina, Aggie era approdata a un ostello dell’Esercito della Salvezza in centro. Aveva lavorato come cameriera e aveva sposato un giovane gelataio, Harry Underwood, per paura di essere consegnata alle autorità perché aveva vissuto da sola da minorenne. La coppia si era stabilita a Ocean Park nel 1920, gestendo una tavola calda in cui venivano serviti pranzi leggeri. Aggie era una casalinga di Los Angeles quando aveva fatto domanda per il suo primo impiego in un giornale, e si era trovata a lavorare come aiuto durante le vacanze in un centralino metropolitano. Più tardi affermò di aver cercato quel lavoro solo per comprarsi delle nuove calze di seta, che a detta di suo marito non potevano permettersi ³.

    Nel gennaio 1947, Aggie si era fatta strada, e da centralinista era diventata primo reporter di cronaca nera dell’Herald-Express. Aveva quarantaquattro anni, era una donna bassa e robusta con la mascella quadrata, un aspetto combattivo e il sorriso sempre pronto. «Avrebbe dovuto essere un uomo,» disse l’editore dell’Herald-Express, J.B.T. Campbell. La descrisse come una reporter straordinaria e cazzuta che attraversa le linee di fuoco, segue gli assassini, si commuove per chi divorzia e viaggia su qualsiasi cosa, dagli aeroplani ai muli, pur di raggiungere il punto che sui giornali è solitamente segnato con una freccia o una x. Aggie si impegnò molto per prendere le distanze dal giornalismo strappalacrime che praticavano le colleghe del suo stesso sesso. «Al diavolo. Preferisco avere una manciata, anzi un buon mucchio, di solidi fatti,» disse. Underwood scriveva come un uomo, imprecava come un uomo e si univa alle battute dei colleghi maschi. Una volta, aveva schiaffeggiato il caporedattore con un pesce che era stato portato in ufficio in una vaschetta. Si vestiva seguendo la moda trasandata dei giornalisti maschi: abiti sgualciti e poco appariscenti, niente trucco, scarpe con il tacco basso. I colleghi ricordavano che i suoi capelli sembravano spesso pettinati con un mixer elettrico. «Era una donna dall’aspetto trascurato,» disse Jack Smith, un editorialista di alto profilo che lavorava con lei. Ma Aggie era anche in grado di sfruttare il proprio genere per trarne un vantaggio, quando le conveniva. Ricuciva i bottoni delle camicie dei colleghi, li invitava a casa sua per cene a base di spaghetti e portava i figli in ufficio per distribuire regali a Natale. Fin dall’inizio, aveva avuto ben chiaro il quadro generale: avrebbe delineato abilmente una strategia in cui sarebbe stata vista come una giornalista eccezionale che, solo per caso, era una donna. Nel giro di due anni, sarebbe diventata la caporedattrice dell’Herald-Express, una delle prime donne a essere nominata per quella posizione in un giornale nazionale degli Stati Uniti.

    Essere più tosta di qualsiasi uomo nell’occuparsi di crimini raccapriccianti era una questione di grande orgoglio per Aggie. «Non ero una femminuccia quando si trattava di tenere sotto controllo le mie reazioni a sangue e budella,» diceva. Una volta, quando la polizia aveva scoperto due cadaveri in decomposizione sul divano di un soggiorno, gli agenti e i giornalisti avevano aspettato fuori per far prendere aria alla stanza. Aggie, invece, era entrata di gran carriera, si era arrampicata sui cadaveri, aveva recuperato i loro documenti e aveva telefonato al giornale per raccontare la storia. In seguito, aveva portato il suo vestito marrone in lavanderia, ma si era lamentata che l’odore non voleva andarsene.

    Tuttavia, anche lei rimase scioccata da ciò che vide in Norton Avenue la mattina del 15 gennaio 1947.


    Il corpo, avvolto dal fumo di decine di flash, era indiscutibilmente femminile. Giaceva tra rade erbacce a un paio di metri dal marciapiede. Le braccia erano piegate ad angolo retto all’altezza dei gomiti e sollevate oltre le spalle in una supplica, sembrava nella morte, ma in realtà era una conseguenza dell’essere stata legata per i polsi da viva. Le gambe erano divaricate. C’erano lividi e tagli sulla fronte. Il viso era stato pesantemente malmenato. I capelli erano incrostati di sangue. Gli occhi, che erano chiusi, sembravano stranamente pacifici in contrasto con la bocca, che era stata squarciata da un orecchio all’altro in un sorriso satanico. Cosa più scioccante di tutte, il corpo era stato tagliato a metà all’altezza dell’addome, sotto le costole. Le due sezioni erano distanti venticinque o trenta centimetri l’una dall’altra. Il fegato pendeva dal torso. Una profonda fessura era stata incisa dalla zona pubica fino a poco sotto l’ombelico. Era, come ricorderà più tardi un testimone oculare, come se due pezzi di carne umana fossero stati stesi come due quarti di bue.

    Nella Los Angeles degli anni ’40, i detective della Omicidi si trovavano tra le mani un caso ogni due o tre giorni. Il dipartimento riportava 131 omicidi nel 1946 e 119 nel 1947. Solo pochi isolati a ovest, a Baldwin Hills – come sapevano fin troppo bene coloro che avevano visto il macabro spettacolo – c’era il luogo in cui dieci anni prima Albert Dyer, un vigile urbano addetto all’attraversamento stradale, aveva aggredito, strangolato e gettato via i corpi di tre bambine, le Bambine di Inglewood ⁴.

    Ma questo era l’omicidio più macabro a cui quei duri poliziotti e quei segugi di notizie avessero mai assistito. La scena, disse Aggie più tardi, mostrava il sadismo nella sua forma più delirante. L’omicidio più sanguinoso che mi sia mai stato assegnato. I poliziotti e i giornalisti pensavano che la donna avesse circa trentasei anni. Ma Aggie, con i suoi occhi acuti e la sua esperienza personale, notò la condizione giovanile dei seni e le cosce lisce. Sapeva che la ragazza era molto più giovane, probabilmente poco più che ventenne. Più tardi, quella mattina, i raccapriccianti resti di Jane Doe #1 – come era stato soprannominato il cadavere – furono sigillati in una bara di alluminio con morsetti a vite e portati dal Black Maria, come si chiamava ai tempi il furgone del coroner, all’obitorio cittadino.

    All’interno del Palazzo di Giustizia di Los Angeles c’erano ratti grandi come gatti. Scorrazzavano e squittivano lungo i corridoi pieni di spifferi del massiccio edificio di quindici piani, che con la sua facciata torva sovrastava il centro della città. La hall era stata costruita nel 1925 in granito della Sierra e le tozze colonne corinzie erano ispirate al Mausoleo di Alicarnasso, una delle sette meraviglie del mondo antico. Scelta appropriata dal momento che l’edificio in questione, oltre agli uffici del procuratore distrettuale e dello sceriffo, ospitava anche l’obitorio nelle profondità delle volte del piano interrato. L’entrata posteriore della camera mortuaria ricordava quella di un negozio di alimentari all’ingrosso. Fu lì che i due pezzi del cadavere di Jane Doe #1 vennero deposti e pesati su bilance nere a pavimento. «Quando gli fu comunicato che il corpo era tagliato in due,» ricordò il fotografo Felix Paegel, «il coroner rispose che l’autopsia sarebbe stata eseguita subito dopo pranzo.»

    Più tardi, giovedì 16 gennaio, il cadavere fu posto su un tavolo mortuario di porcellana dura. Su di esso torreggiava il dottor Frederick D. Newbarr, capo chirurgo autoptico della contea di Los Angeles. Il dottor Newbarr era vestito con un camice bianco, un grembiule di gomma, guanti di gomma e galosce bianche. Il tavolo su cui giaceva il cadavere era uno di una fila numerosa. Su ogni tavolo c’era un corpo steso sulla superficie scintillante, la testa appoggiata su un blocco di legno. La stanza era pervasa dal fetore del disinfettante, che mascherava l’inconfondibile odore di decomposizione.

    Si dice che i morti non raccontano storie, ma il dottor Newbarr sapeva che non era vero. Ognuno dei cadaveri che passavano a dozzine sotto il suo bisturi ogni settimana raccontava una storia avvincente per coloro che sapevano leggerla. Quei corpi parlavano di vite vuote nelle ville glamour di Hollywood, di violenza dietro le facciate finto-Tudor delle residenze dei magnati del petrolio, di segreti nelle cantine dei ranch nei canyon boscosi. C’erano le unghie strappate e rotte della donna che aveva artigliato il volto del suo aggressore in un ultimo tentativo di salvarsi la vita; i segni di stretta sulle spalle del bambino annegato accidentalmente; le cicatrici da esitazione e i tagli sui polsi del giovane che si era suicidato piuttosto che affrontare una corte marziale per diserzione. Per Newbarr, che lavorava nel suo obitorio sotterraneo, ogni singolo corpo costituiva un nuovo messaggio in codice da decifrare.

    Il cadavere rinvenuto a Leimert Park era una sfida anche per il più esperto dei patologi forensi. Eppure, dopo un esame e una valutazione meticolosi, il dottor Newbarr riuscì a elencare le molte orribili mutilazioni inflitte alla vittima. Il suo rapporto finale, con la sua terminologia scientifica distaccata, fu una lettura agghiacciante. Il corpo, annotò Newbarr, era quello di una donna di circa quindici o vent’anni, che misurava un metro e sessantacinque di altezza e pesava cinquantadue chili. C’erano lacerazioni multiple sul viso, inflitte da un coltello affilato: in particolare, una profonda e lunga più di sette centimetri, che si estendeva dagli angoli della bocca. I denti erano in avanzato stato di deterioramento: i due incisivi centrali superiori erano allentati, e così un incisivo inferiore. I restanti mostravano delle cavità. La testa evidenziava segni di colpi molto forti, sebbene il cranio non fosse stato fratturato. Segni profondi intorno ai polsi suggerivano che la ragazza fosse stata legata e torturata. I colpi alla testa e le lacerazioni alla bocca erano stati inferti mentre la vittima era viva. Erano stati quelli, decise Newbarr, ad averla probabilmente uccisa. Il resto delle lacerazioni le era stato inflitto dopo la morte, compresa una caratteristica rete di fendenti incrociati su varie parti del corpo e sulla regione pubica, dove i peli erano stati tagliati e rimossi. Non c’erano prove di strangolamento o soffocamento. L’erba su cui era stato deposto il corpo era bagnata di rugiada, e ciò suggeriva che fosse stato messo lì prima dell’alba. Newbarr era del parere che la morte fosse avvenuta non più di ventiquattro ore prima.

    Un quadrato di tessuto era stato rimosso dal seno destro e c’erano graffi multipli sulla superficie del sinistro. Le cicatrici sul petto suggerivano una vecchia operazione ai polmoni. Ciò era confermato dal fatto che, mentre il polmone sinistro era sano, il destro aveva aderenze pleuriche. Entrambe le braccia erano coperte di tagli e graffi. Le unghie erano molto corte e mangiucchiate fino alla carne. I palmi delle mani erano ruvidi, ma senza calli. I capelli erano marrone scuro ma erano stati trattati con l’henné, e si notava la ricrescita delle ciocche naturali ancora più scure. Su ogni piede, l’unghia dell’alluce era dipinta di rosso vivo ⁵.

    Il tronco era sezionato in due da un’incisione che tagliava l’intestino e il disco morbido tra le vertebre. Sembrava che per recidere il corpo fosse stato usato un coltello da macellaio o da intaglio molto affilato e a lama lunga, e che l’assassino potesse aver usato un rasoio per torturarla prima della morte. Gli organi dell’addome erano interamente esposti, con lacerazioni dell’intestino e di entrambi i reni. Non c’erano segni di gravidanza e l’utero era piccolo. C’era, tuttavia, la prova di ciò che Newbarr descrisse con delicatezza come un problema femminile, e che fu poi spiegato come una ciste sulla ghiandola di Bartolini ⁶. C’era anche una lacerazione lunga dieci centimetri, che si estendeva dall’ombelico fino a poco sopra il pube. Un reticolo di tagli era stato fatto su entrambi i lati di quella ferita, sopra l’osso pubico. C’era anche una serie di incisioni sulla pelle dell’anca destra, e una forma irregolare di carne era stata rimossa dalla parte anteriore della coscia sinistra. Il canale vaginale era rimasto intatto, ma l’apertura anale era notevolmente dilatata e presentava abrasioni multiple, e ciò indicava l’inserimento di un oggetto estraneo. Le piante dei piedi erano macchiate di marrone e il ventre era pieno di feci e particelle non identificabili. Tutti gli strisci eseguiti per la ricerca degli spermatozoi erano negativi. Il cadavere era completamente pulito e privo di sangue, e ciò suggeriva che l’uccisione era stata compiuta in un luogo diverso da quello in cui era stato rinvenuto il corpo. Le fibre di quella che sembrava essere una spazzola rivelarono che era stato accuratamente sfregato, in particolare nella regione pubica e nei punti di mutilazione. Le fibre furono inviate all’FBI per essere analizzate. Si scoprirono essere filamenti di cocco, probabilmente di una spazzola economica. Non furono d’aiuto per una possibile identificazione.

    Il rapporto del dottor Newbarr chiarì che la maggior parte delle mutilazioni più raccapriccianti era stata eseguita dopo la morte. Suggerivano necrofilia e un feticismo per i coltelli. I colpi alla testa e le lacerazioni al viso, invece, erano stati inferti quando la vittima era ancora viva. Erano i segni distintivi di un assassino sadico che agiva in preda alla lussuria. Ci furono molte discussioni sulla natura pulita della bisezione del corpo e sul fatto che il cadavere fosse stato drenato dal sangue in modo professionale. Si ipotizzò che l’assassino avesse una formazione medica o esperienza nel maneggiare cadaveri in una camera mortuaria. La possibilità che si trattasse di un medico fu presa in considerazione, ma non fu ritenuta una condizione indispensabile. Il famoso detective della polizia di Los Angeles Jigsaw John St. John, che avrebbe ereditato il caso molti anni dopo, dichiarò che mentre l’autore potrebbe aver avuto qualche conoscenza di anatomia… non svolgeva necessariamente una professione medica. Di maggiore importanza era la manifesta fascinazione dell’assassino per la morte.

    Due informazioni chiave relative alle mutilazioni non furono divulgate al pubblico. Dovevano essere tenute segrete per poter essere utilizzate durante l’interrogatorio di potenziali sospetti. Erano fatti che solo l’assassino poteva conoscere.

    Per il momento, inoltre, solo l’assassino era a conoscenza di un terzo fatto: l’identità di Jane Doe #1.

    2

    UNA DOPPIA VITA

    La notizia arrivò agli uffici del Los Angeles Examiner la mattina del 15 gennaio tramite il cronista Bill Zelinsky. Quando accadde, il caporedattore, Jimmy Richardson, dirottò sul caso ogni giornalista e fotografo della redazione. Lo staff del Los Angeles Examiner chiamava Jimmy l’ultimo degli uomini terribili. Era nato a Windsor, Ontario, nel 1894. Suo padre era stato un rivenditore di carrozze trainate da cavalli di Detroit, portato al fallimento da Henry Ford. Jimmy aveva iniziato la carriera come reporter a Winnipeg nel 1912, dopo essere stato espulso da scuola. L’anno seguente si era trasferito a Los Angeles, dove aveva trovato impiego al Los Angeles Evening Herald, al Post Record, al Daily News e infine al Los Angeles Examiner.

    Nel 1947, Jimmy – un ex alcolizzato ormai sulla cinquantina, magro, calvo e occhialuto – si era occupato praticamente di tutte le grandi storie di Los Angeles degli ultimi trentacinque anni. Negli anni ’30, aveva condotto da solo la guerra contro il gangster Bugsy Siegel. Era un uomo tutto d’un pezzo, c’era solo una piccola macchia nella sua immagine da duro: una predilezione per le citazioni delle poesie di G. K. Chesterton ¹.

    Dopo anni passati nel giro dei giornali, Jimmy sapeva che un caporedattore doveva gettarsi a capofitto su una storia e poi aspettare con il sangue che pulsava e le interiora in agitazione.

    Il reporter dell’Examiner Sid Hughes fu il primo a parlargli dell’omicidio.

    «È roba grossa,» disse a Jimmy.

    «Chi è?»

    «Non lo so. Non ci sono elementi per identificarla. Niente sul corpo. Una bella ragazza.»

    «Foto?»

    «Un sacco, ma non puoi stamparle. È tutta tagliata. La faccia e tutto il resto. Posso darti una descrizione dettagliata: capelli, occhi, altezza, peso e cose del genere. È tutto ciò che abbiamo.»

    Quando Sid presentò la storia, l’enorme sala negli uffici dell’Examiner tra l’Undicesima e la Broadway si era appena svegliata. L’editor grafico si precipitò da Jimmy con una gigantografia del corpo diviso in due. I giornalisti si radunarono intorno a lui e fissarono l’immagine. Richardson mandò un uomo del dipartimento artistico a fare uno schizzo della ragazza così come probabilmente appariva quando era in vita. Mise i fotografi al lavoro su foto stampabili della scena del crimine editate in modo che il cadavere nudo fosse decorosamente protetto da una coperta. L’edizione straordinaria dell’Examiner del 15 gennaio uscì con il titolo Maniaco tortura e uccide una ragazza. Vendette più copie dell’edizione che si era occupata del bombardamento di Pearl Harbor. L’unica a batterla fu quella che uscì il giorno della vittoria sul Giappone. Lo scrittore Arthur James Pegler aveva detto che un giornale della Hearst è come una donna urlante che corre per strada con la gola tagliata. Per una volta, nessuno accusò il giornale di esagerazione.

    Bill Zelinsky chiamò dicendo che le impronte digitali della ragazza non corrispondevano a nessuna di quelle presenti negli archivi del dipartimento di polizia o dell’ufficio dello sceriffo. «Le stanno inviando per posta aerea all’FBI a Washington,» disse. Warden Woolard, l’assistente del caporedattore, ebbe l’idea che avrebbe dato all’Examiner la sua prima grande pista sul caso: il punto di svolta che, secondo le parole di Jimmy, fece la nostra storia da quel momento in poi. Quella sera, un paio di detective della Omicidi si presentarono negli uffici dell’Examiner e chiesero se potessero avere il disegno della ragazza. Warden li rimproverò per aver spedito le impronte all’FBI di Washington.

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