Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Need for speed: Edizione italiana
Need for speed: Edizione italiana
Need for speed: Edizione italiana
Ebook202 pages2 hours

Need for speed: Edizione italiana

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Need for Speed è il seguito della storia di Solo e Pantera e può essere letto solo dopo aver letto il primo volume della serie, Danger Zone.

Sotto il torrido sole della California, gli animi si infiammano e i desideri si accendono, con Solo e Pantera che cercano di resistere all’attrazione reciproca mentre competono per diventare il numero uno. La loro relazione si fa ancora più intensa e profonda, ed è difficile tenerla nascosta, ma non hanno altra scelta.

Con una passione così intensa, la vera domanda è: chi raggiungerà per primo la vetta?
LanguageItaliano
Release dateFeb 14, 2022
ISBN9791220702362
Need for speed: Edizione italiana

Read more from Ella Frank

Related to Need for speed

Related ebooks

LGBTQIA+ Romance For You

View More

Related articles

Reviews for Need for speed

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Need for speed - Ella Frank

    1

    PANTERA

    Ce l’avevo in pugno.

    Mentre il comandante Levy pilotava attraverso le nuvole sulla linea di difesa, vidi la mia occasione per vincere. Mi spostai dietro di lui, preparandomi ad agganciare l’obiettivo, quando la sentii.

    Aria. Nella cabina di pilotaggio.

    Il mio cuore si fermò nel rendermi conto, in quella frazione di secondo, di cosa dovevo fare. In una manciata di attimi la pressione dell’aria sarebbe calata a picco, e la velocità avrebbe spinto il jet in una caduta libera che non avrei potuto evitare.

    «Aria nella cabina di pilotaggio,» comunicai al centro di controllo. «Mi preparo a lanciarmi col paracadute.»

    Non ebbi il tempo di pensare o di farmi prendere dal panico mentre mi preparavo all’inevitabile. Non mi ero mai eiettato prima, ma eravamo stati tutti addestrati a fondo per affrontare le situazioni di emergenza, sapendo quali rischi correvamo ogni volta che volavamo. Con il cervello impostato sul pilota automatico, non potei soffermarmi a pensare a quanto fosse pericoloso lanciarmi con il paracadute. Non quando l’alternativa era schiantarsi insieme all’aereo.

    In quel momento, il pannello di controllo andò in tilt e il jet iniziò a precipitare così velocemente da spingermi ad agire, e a farlo subito.

    «Perdo quota. Ho perso i comandi.» Subito dopo aver spiegato la mia situazione al centro di controllo, mi posizionai in modo tale che, quando gli ingranaggi di espulsione sotto il sedile mi avessero sparato, avrei avuto la possibilità di uscirne vivo.

    Avvenne tutto in fretta. Allungai la mano verso la maniglia di eiezione, il tettino si aprì sopra la mia testa e poi, di colpo, fui sbalzato tra le nuvole con una forza tale da pensare che ogni osso del mio corpo si stesse spezzando. Non avevo mai provato così tanto dolore in vita mia, e per un istante mi chiesi quanto gravi fossero i danni.

    Nel momento in cui il sedile si staccò dal mio corpo, il paracadute si aprì automaticamente, rallentando la forza della mia caduta, e fu allora che vidi il jet precipitare nell’oceano. Non riuscii a distogliere lo sguardo mentre si schiantava sulla superficie dell’acqua, andando in frantumi.

    Ero stato lì dentro fino a pochi secondi prima. Se avessi esitato un attimo in più non avrei avuto il tempo di eiettarmi.


    La stanza era troppo luminosa e i miei occhi faticarono ad aprirsi. Venni accolto da una delle camere del Mesamir Hospital: bianca, sterile e con un forte odore di disinfettante; un’accoglienza molto più gradita dell’essere due metri sottoterra.

    Ormai completamente sveglio, faticai a sedermi e, quando un dolore accecante mi attraversò la testa, il petto e le spalle, crollai di nuovo sul cuscino con un gemito sommesso.

    Quanto male ero ridotto? Non ricordavo molto di quello che era successo dopo l’espulsione. Era come se il mio cervello si fosse spento, proteggendomi dal trauma. Ricordavo vagamente di aver colpito l’acqua gelida dell’Oceano Pacifico, ma tutto il resto era sfocato.

    «Non lo farei se fossi in lei.»

    Socchiusi un occhio e vidi un’infermiera spingere un carrello, che fermò di fianco al letto. Controllò la fasciatura sul mio polso e mi sorrise.

    «Bentornato, signor Hughes. Come si sente?»

    «Io…» La mia gola era irritata e dolorante, come se avessi ingoiato della sabbia.

    «Assetato? Aspetti un attimo.» Uscì dalla stanza e tornò un minuto dopo con un bicchiere di plastica pieno d’acqua e cubetti di ghiaccio. «Beva a piccoli sorsi. È stato fuori gioco per un po’.»

    Dio, quell’acqua era la cosa più buona che avessi mai bevuto in vita mia, e ne buttai giù più del dovuto, rischiando di strozzarmi.

    «Penso che per il momento sia abbastanza,» affermò l’infermiera, appoggiando il bicchiere sulla mensola accanto al letto, e fu solo allora che mi accorsi che c’era qualcun altro nella stanza. Houdini era in piedi vicino alla finestra, sul viso un misto di sollievo e preoccupazione.

    «E-ehi,» gracchiai.

    Avanzò verso di me mentre l’infermiera iniziava a misurarmi la pressione e, quando si fermò vicino al letto, vidi che era ridotto a uno straccio e glielo dissi.

    Una debole risata gli sfuggì di bocca, poi scosse la testa. «Non capita tutti i giorni che un tuo amico si eietti da un aereo.»

    Tentai di nuovo di sedermi e sussultai nel muovermi.

    «Usi questo,» disse l’infermiera, mostrandomi un telecomando. Premette alcuni pulsanti e il materasso iniziò a sollevarsi fino a farmi arrivare in posizione seduta. Faceva un male cane, ma non avevo alcuna intenzione di lamentarmi.

    «È bello vederti sveglio,» disse Houdini, lasciandosi cadere sulla sedia accanto al letto.

    «Quanto tempo sono stato privo di sensi?»

    «Un paio di giorni. Ma non preoccuparti, non ti sei perso niente. Hanno posticipato le lezioni di almeno due settimane mentre indagano sull’accaduto.»

    Dannazione. Due giorni? E le lezioni erano state sospese?

    Il dolore mi attraversò tutto il corpo mentre mi muovevo. Non volevo chiederlo, ma avevo bisogno di sapere. «Sono messo così male?»

    «Non ci sono speranze per l’Hornet. Distrutto e ormai in fondo al Pacifico. Tu, al contrario, sei ancora tutto intero, e questa è una buona cosa.»

    Guardai in basso e vidi che i miei arti erano davvero tutti al loro posto, addirittura senza ingessature.

    «Se sto bene, perché mi sento come se mi avessero preso a pugni?»

    «Solo perché non ha perso nessun pezzo non significa che stia bene, signor Hughes,» disse la donna, iniettando il contenuto di una siringa nella flebo. «È ferito in modo grave e deve prendersela comoda.»

    «State dicendo che sto così a causa di un paio di lividi?»

    «Più di un paio. Guarda tu stesso.» Houdini aprì la fotocamera interna del cellulare prima di passarmelo, e… porca puttana. Non riuscii a riconoscermi. C’erano strisce viola su tutto il mio viso e i vasi sanguigni di entrambi gli occhi erano scoppiati, il che era abbastanza per spaventare a morte chiunque guardasse nella mia direzione, me compreso.

    Chiedendomi perché la parte superiore del mio corpo si sentisse come se fosse stata investita da un treno, abbassai lo scollo della vestaglia dell’ospedale e, vedendo i grossi lividi neri sulle spalle, non potei fare altro che fissarli.

    «Ho sentito dire dal medico che sei fortunato a non esserti rotto le clavicole per la forza con cui le cinghie ti hanno tenuto quando ti sei eiettato,» disse Houdini.

    Avevo l’impressione che le mie costole fossero messe allo stesso modo, dato che anche solo prendere un respiro più profondo mi faceva vedere le stelle, ma avrei controllato più tardi. Ero vivo, ed era l’unica cosa che importava.

    Rimasi in silenzio mentre l’infermiera finiva di occuparsi di me, poi se ne andò per informare il dottore che mi ero svegliato.

    «Vuoi parlarne?» chiese Houdini una volta rimasti soli.

    «È successo tutto così in fretta…» Presi il bicchiere e bevvi un piccolo sorso d’acqua, e anche soltanto fare quel piccolo movimento mi costò un enorme sforzo.

    «Stavamo assistendo. Hai fatto venire un infarto a tutti con quella chiamata. Amico, non credo di aver mai visto Solo perdere la calma in quel modo.»

    «Solo? Perché? Cos’è successo?»

    «Beh, all’inizio non riuscivamo a vederti, e non so cosa sia accaduto. È impazzito, ha tentato di lasciare la stanza come se volesse venire a salvarti lui stesso.»

    «È una follia.»

    Houdini annuì. «Lo so. Ma i soccorsi ti hanno raggiunto in fretta. E quasi tutti sono venuti a farti visita mentre eri privo di sensi, quindi ecco da dove arrivano tutte quelle cose.»

    Guardai nella direzione che stava indicando, dove più di una dozzina di palloncini di pronta guarigione e jet da combattimento stavano galleggiando intorno al soffitto, oltre a un enorme mazzo di tulipani sulla mensola accanto al letto. «Di chi sono i fiori?»

    Houdini prese il biglietto e, quando lo aprì, le sue sopracciglia si sollevarono.

    «Cosa? Sono dei miei genitori?»

    «No, loro hanno portato le rose laggiù quando sono venuti.»

    «Allora da parte di chi sono?»

    Houdini non pronunciò una parola mentre mi porgeva il biglietto.


    Pantera,

    apprezzerei se ti sforzassi un po’ di più per non farti uccidere. Non posso batterti se sei morto.

    ~Solo


    Risi, la vibrazione che mi martellava il petto, ma non riuscii a farne a meno. L’affetto presente in quel biglietto era identico a quello che lui avrebbe mostrato a chiunque altro, ma era uno dei motivi per cui ero attratto da lui, no?

    «Immagino che si sia sentito in colpa per non essere passato.»

    «Non l’ha fatto?»

    «No. È divertente come si sia spaventato tanto e poi non si sia neppure preso la briga di venire a controllare le tue condizioni. Immagino che Solo si comporti così con te.»

    Uhm. C’era qualcosa di strano in quell’affermazione e, se le medicine non avessero già iniziato a fare effetto annebbiandomi la mente, forse avrei potuto farglielo notare. Tuttavia, in quelle condizioni mi sentivo andare lentamente alla deriva, gli occhi che si chiudevano tremolando mentre Houdini continuava a parlare del nostro compagno di addestramento.

    Poco prima di addormentarmi, una domanda mi balenò nella mente: perché Solo non era venuto a trovarmi?

    2

    SOLO

    Era incredibile quanto a lungo potesse durare una giornata quando non avevi niente di meglio da fare che fissare l’orologio. Ma negli ultimi due giorni era esattamente quello che avevo fatto.

    Sedermi. Fissare. Aspettare.

    In effetti, ero diventato un dannato esperto ad aspettare. Da quando la voce di Pantera era arrivata nella radio, affermando che c’era aria nella cabina di pilotaggio e che avrebbe dovuto lanciarsi con il paracadute, era come se la mia vita avesse cambiato marcia. Dal ritmo frenetico dove tutto era vai, vai, vai, al rallentatore, dove non succedeva niente, ed ero rimasto sospeso in quello strano limbo dal quale neppure il sonno sembrava liberarmi. Mi trovavo in un incubo a occhi aperti, uno che pareva destinato a continuare all’infinito.

    Fissai la parete in comune della mia stanza e di quella di Pantera – mi correggo, che era stata in comune con Pantera – e lanciai la pallina da tennis in modo che colpisse il pavimento, rimbalzasse sul muro e tornasse dove stavo con il culo piantato a terra. Non era il modo più produttivo per passare il tempo, ma, ehi, perlomeno lo stavo passando.

    Il ritmo costante prodotto dalla palla prima che tornasse da me, mi ricordò che ero ancora vivo, che ero ancora lì e, considerando quello a cui tutti avevamo assistito due giorni prima, era la cosa migliore che potesse succedere.

    La notte in cui Pantera era precipitato alcuni dei ragazzi avevano deciso di andare nel bar poco distante dalla base. Ma io non ero dell’umore giusto per sedermi e fingere di non aver mai assistito a una delle scene più terribili della mia vita.

    Guardare Pantera catapultarsi fuori dal jet mentre precipitava nell’oceano sottostante mi aveva scosso fino al midollo. Certo, eravamo tutti addestrati anche per quello. Per il momento in cui ogni cosa andava a rotoli ed eri costretto a scegliere tra la vita e la morte, senza sapere se scegliere la vita, alla fine, ti avrebbe davvero salvato. Ma stare a terra, al sicuro e impotente, a guardare la vita di qualcuno correre sul filo del rasoio, ti rendeva consapevole di quanto quella decisione fosse fottutamente rischiosa.

    Inoltre mio fratello era morto eseguendo quella stessa manovra, e io stavo cercando di aggirare i sentimenti e le emozioni che provavo per Pantera e che ancora non avevo identificato. Di colpo, quel momento per cui mi ero allenato a lungo sembrava l’ultima cosa che potevo gestire mentalmente.

    Quindi cosa avevo fatto? Niente. Dal momento in cui Pantera aveva colpito l’acqua fino a quando lo avevano soccorso, dicendoci che era vivo ma privo di sensi. In qualche modo ero riuscito a superare il debriefing, ero tornato nella mia stanza e non ero più uscito da allora.

    Molti dei ragazzi erano passati, incluso Gucci, e avevano cercato di convincermi a vedere Pantera. Ma non ero ancora riuscito a trovare il coraggio di presentarmi di persona.

    Fanculo. Perché a lui? No, non era giusto, non lo avrei augurato a nessuno. Ma l’idea del corpo forte e scattante di Pantera steso su un letto d’ospedale mi faceva rivoltare lo stomaco. Soprattutto se pensavo all’ultima volta che l’avevo visto disteso su un materasso.

    Toc, toc, toc.

    Il forte bussare alla porta mi fece voltare in quella direzione, ma non mi mossi. Non ero dell’umore giusto per vedere nessuno. Quindi, a meno che la persona nel corridoio non fosse lì per dirmi che l’edificio stava bruciando, poteva benissimo restare fuori. Ero contento di crogiolarmi nella mia infelicità… da solo.

    «Solo! Ehi, Solo?»

    Gucci.

    «Sei lì dentro? Apri la porta, amico.»

    No. Non succederà. Non oggi. Cadde il silenzio e, proprio mentre pensavo che se ne fosse andato, ricominciò a bussare.

    «Avanti, Solo. Apri questa fottuta porta. Si è svegliato.»

    Eh? Aspetta… cosa?

    «Pantera si è svegliato. Tu dove sei?»

    Appena le parole di Gucci oltrepassarono la porta e raggiunsero le mie orecchie, lanciai la palla a terra e balzai in piedi. Aprii la soglia della porta in una frazione di secondo, e vedendomi, Gucci aggrottò la fronte.

    «Okay, hai un aspetto terribile.»

    Sussultai per la forte luce del sole, i miei occhi che cercavano di abituarsi dopo essere stato seduto per ore nella mia stanza con le tende tirate. «Cos’hai detto?»

    «Che hai un aspetto

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1