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Il miliardario e la ragazza sveglia: Seconda Edizione
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E-book365 pagine4 ore

Il miliardario e la ragazza sveglia: Seconda Edizione

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Info su questo ebook

Quando a Lizzie viene assegnato il compito di trovare un servizio sveglia per il loro amministratore delegato, pensa: be’, sarà tanto difficile?
Risposta: praticamente impossibile!
Per non perdere il lavoro, inizia a chiamarlo lei stessa… alle quattro e mezza di ogni stramaledetta mattina.
Più passano i giorni, però, più i due diventano intimi, e le chiamate si fanno… bollenti.
Sotto le rispettive coperte, col chiaro di luna che penetra dalle finestre, si confessiamo i loro più peccaminosi segreti.
Lui non dovrà mai scoprire che la sexy centralinista che lo sveglia ogni mattina in realtà è la sua dimessa assistente.
Ma per quanto riuscirà a tenerglielo nascosto?
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2022
ISBN9791220702225
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    Anteprima del libro

    Il miliardario e la ragazza sveglia - Annika Martin

    1

    Lizzie


    Ripensandoci, forse avrei dovuto sentirli prima, i campanelli d’allarme.

    Il bonus iniziale particolarmente ricco, ad esempio; riscuotibile solo se fossi rimasta almeno trenta giorni.

    Chi non riesce a tenersi un lavoro per trenta giorni? avevo pensato quando mi ero candidata per quel posto.

    E poi gli strani sguardi che mi rivolgevano i colleghi quando mi presentavo come nuova social media manager della Vossameer Inc. «Sono qui per vivacizzare la nostra immagine online,» spiegavo.

    In ascensore, nell’ufficio comunicazione e marketing, giù nell’elegante e raffinata lobby: solo strani sguardi. Sorrisi incerti. Le labbra di una donna si erano arricciate in una O allarmata, prima che anche lei si presentasse.

    All’inizio avevo dato la colpa alla totale incompetenza della società in tema di social media. Dopotutto, quando ho iniziato tre settimane fa, la Vossameer non aveva nemmeno una pagina Facebook.

    Ma ora che guardo Sasha, la mia superiore, preoccupata e accigliata sul PowerPoint della relazione che ho creato per dimostrare di aver eseguito alla perfezione l’incarico che mi è stato assegnato, inizio a ripensare a quei campanelli d’allarme.

    Lei clicca su una pagina che riporta esempi dei miei post efficaci e pertinenti al nostro settore e un grafico con il numero sbalorditivo di interazioni ricevute.

    Trattiene il respiro e sussulta.

    Che c’è?

    Credetemi, ottenere interazioni su Facebook non è stato facile: il prodotto più interessante della Vossameer è un gel emostatico per il trattamento di lesioni traumatiche.

    Fa una smorfia. Poi aggrotta le sopracciglia.

    Sono io quella incompetente, allora? Avevo per caso frainteso gli sguardi che ricevevo dai miei nuovi colleghi?

    Sono come quel viaggiatore in Transilvania che racconta tutto eccitato agli abitanti del villaggio di aver trovato un meraviglioso castello in cui stare? OMMIODDIO, ho il posto tutto per me perché il proprietario si fa vedere solo di notte. Non è magnifico? Evviva! Batti il cinque!

    Trattengo il respiro mentre lei fa scorrere slide dopo slide.

    Sasha ha un caschetto biondo dal taglio severo, un amore per gli abiti a tema marinaresco e un trucco alla Crudelia De Mon anche se, a voler essere oneste, quest’ultimo potrebbe essere frutto di uno specchio male illuminato a casa.

    «Mmm…» dice finalmente. E non si tratta di un mmm di apprezzamento. È più un mmm del tipo o-oh.

    «C’è qualche problema?» chiedo.

    Scuote la testa. Come se non esistessero parole per spiegare il problema. Come se lei avesse chiesto una relazione preliminare e io le avessi dato un pugno di arachidi a cui avevo pure leccato via il sale.

    Clicca su un altro grafico di risultati positivi e di nuovo aggrotta le sopracciglia scure e arcuatissime; la vedo nel riflesso sullo schermo.

    «Il numero di interazioni è già migliore di quello di molte aziende simili alla Vossameer,» le faccio notare.

    Silenzio assoluto. Si sarebbe potuto udire il cri-cri dei grilli.

    Anzi, nemmeno quello. Grilli fa pensare a piccole creature che friniscono felici in un prato. Quello che sento assomiglia di più al malinconico silenzio delle pietre in un parcheggio dimenticato da Dio.

    Clicca sulla pagina seguente. La mia proposta di sito web.

    «Volevate che il nostro sito comparisse nella prima pagina di Google,» le ricordo. «Ora compare, ma faremo ancora meglio quando sarà attivo quello nuovo. Penso che gli utenti si soffermeranno più a lungo.»

    È un commento fin troppo gentile. Il sito attuale della Vossameer sembra essere stato fatto nel 1998 da un robot depresso.

    Certo, quando sei la Vossameer, una società da un miliardo di dollari rara come un unicorno, non hai bisogno di un bel sito. La Vossameer potrebbe anche non avere un sito, e gli enormi gruppi sanitari pagherebbero lo stesso trilioni di dollari per il suo gel salvavita.

    Ma ora stanno tentando di associarsi con un’importante fondazione benefica: la Locke Foundation, parte della Locke Construction.

    Quindi devono sembrare appetibili online.

    Ed è proprio questo il motivo per cui mi hanno assunta. Era quello, il mio incarico.

    Quando si fa una ricerca sulla Vossameer, il primo risultato è un articolo di Forbes sul misterioso CEO Theo Drummond che può essere riassunto in nove parole: è uno stronzo, ma i suoi prodotti salvano vite.

    E non è l’unico. Un sacco di articoli dipingono Drummond come un genio schivo e solitario. Un burbero misantropo. Uno stronzo scorbutico.

    Non ho mai incontrato il famigerato signor Drummond, ma non è difficile credere che sia uno stronzo. Le prove sono dappertutto.

    Gli impiegati qui sono sempre angosciati, come se si aspettassero di essere licenziati, o decapitati, da un momento all’altro. Gli ambienti sono tutto acciaio e lucido marmo grigio, come quelli di un’elegante prigione futuristica. Nessuna decorazione è permessa, neppure all’interno della propria postazione.

    Non si salva nemmeno la facciata dell’edificio: un moderno bunker di cemento grigio, con file ordinate di finestre rettangolari. Un esempio di rigida geometria.

    Il signor Drummond non apprezza le decorazioni, mi ha detto una volta Sasha. La Vossameer si occupa di soluzioni salvavita, non di stelle filanti.

    Al mio secondo giorno di lavoro, avevo portato un enorme contenitore pieno di biscotti glassati fatti in casa, e a tutti era quasi venuto un coccolone. Avevo scoperto che non si può portare cibo da condividere. Mai.

    Questo è un luogo di lavoro, non una scampagnata, mi aveva ammonita Sasha.

    Sono diventata brava a riconoscere gli indizi di paternità del signor Drummond in quelle dichiarazioni da stronzo, e sono piuttosto sicura che anche quella fosse sua. Idem per il commento sulle stelle filanti. Un po’ per quel tocco di bastardaggine pura, e un po’ per il tono della voce di Sasha, che si fa più affannosa e intensa.

    Qui, tutti sono ossessionati da lui. Sembrano rispettarlo come gli antichi rispettavano gli dei che controllavano il tempo e le pestilenze. Divinità rabbiose e vendicative, ma allo stesso tempo magnifiche. E di cui non si doveva mai parlare male.

    Per di più, nessuno parla del signor Drummond senza usare la parola strabiliante almeno una volta. Forse anche questo è scritto da qualche parte nel mansionario aziendale.

    L’ossessione di Sasha però si spinge oltre, più simile a quella di una donna innamorata persa.

    Pronuncia il suo nome come se stesse sussurrando segreti agli oracoli greci sul monte Olimpo: Il signor Drummond ha detto questo, il signor Drummond ha fatto quello. Il signor Drummond è strabiliante.

    «Il signor Drummond non è la persona più socievole del mondo,» mi aveva informata tutta affannata Sasha il primo giorno di lavoro. «Ha degli standard estremamente alti, sia per se stesso che per i propri dipendenti, ma le sue strabilianti scoperte salvano vite tutti i giorni. Il lavoro che facciamo per sostenerlo rende possibile il tutto.» E poi mi aveva guardata direttamente negli occhi e aveva detto: «Non ti capiterà mai più di fare un lavoro così importante.»

    Avevo annuito prendendo subito nota di evitare qualsiasi liquido colorato sospetto.

    Incrocio le braccia. Aspetto che Sasha finisca di scorrere il mio povero PowerPoint.

    «Nella pagina seguente ci sono le visite al sito provenienti da Facebook,» dico nervosa.

    Sasha non vuole vedere la pagina seguente. Punta una lunga unghia rossa verso lo schermo, come un razzo color sangue, e picchietta sull’immagine di un uomo anziano che tiene per mano un bambino. Poi tocca i visi di una coppia di sposini felici. «Spiegami queste persone.»

    «Beh, il nostro materiale pubblicitario tende a concentrarsi sugli effetti medici del gel emostatico, ma non è solo quello che vendiamo, no?» dico. «Vendiamo più tempo con le persone amate. Vendiamo agli operatori sanitari la possibilità di concedere più tempo ai pazienti feriti. È quello il nostro vero prodotto.»

    Lei gira la testa verso di me e mi guarda, come se stessi esponendo qualcosa di veramente innovativo. E non le basi del marketing.

    «Guarda su qualsiasi sito di compagnie farmaceutiche o ospedali,» continuo. «Va’ a vedere. Vedrai foto di persone felici che vivono la propria quotidianità insieme.»

    Tira fuori il telefono e scrive il nome di un grosso ospedale della zona. Non mi crede? Sono immensamente sollevata quando vedo l’immagine di una tizia che salta, con una sciarpa di seta che le svolazza dietro.

    Sembra sorpresa.

    Questo posto.

    Quel bastardo del signor Drummond fa lavorare le persone così tanto che non hanno più una vita. La povera Sasha sembra oberata da comunicati stampa e casi di studio. Ma sul serio, questi non guardano la TV? Non cazzeggiano online?

    «Dopotutto,» dico, «non è che gli ospedali riempiano i loro siti di immagini di bisturi insanguinati e orrende cicatrici post-operatorie. No?» Provo a sorriderle.

    Lei non ricambia.

    Ha ripreso a guardare il mio PowerPoint. C’è una famiglia che fa un picnic. Degli anziani che fanno un puzzle insieme. A un certo punto trattiene il fiato, come se le immagini le mettessero letteralmente angoscia. «Al signor Drummond non piacerà vedere tutto ciò,» dice con un tono di voce che non promette bene. «Non gli piacerà per nulla

    Come se avessi passato tre settimane a riempire i cassetti dei colleghi di palline da ping-pong invece di eseguire alla grande il mio incarico.

    «Perché non dovrebbe piacergli?» Odio quanto suoni fragile la mia voce.

    Lei scuote la testa senza rispondermi.

    «Il mio incarico era di rendere più moderna e umana la presenza online della Vossameer… e le persone si immedesimano in altre persone,» dico.

    Di nuovo lo stesso malinconico silenzio delle summenzionate pietre.

    Se fossi più attaccata ai soldi, gli darei ciò che vogliono: il sito noioso e il feed triste di Facebook ignorato da tutti. Prima che capiscano che li ho fregati, me ne sarei già andata da un bel po’. Ma non è una cosa da me. Sarò pure qui solo per il bonus, ma ho intenzione di fare un ottimo lavoro.

    «No, probabilmente hai ragione. Sulle persone,» dice. «Si tratta di social media, dopotutto.»

    «Già, vero?» concordo speranzosa.

    «Il signor Drummond vuole questa partnership con la fondazione. Ma…» Indica la foto di una famiglia felice. Fa un piccolo verso. Un piccolo verso spaventato.

    Per caso il signor Drummond odia le famiglie felici? Se dovesse vedere un nonno con il nipotino lavorare insieme su un trenino, inizierebbe a lanciare sedie per l’ufficio?

    Se fosse così, perché darsi la pena di inventare soluzioni salvavita?

    «Vabbè!» Sasha drizza la schiena. «Chi lo sa, magari gli piacerà.» Il suo tono di voce è strano. Troppo vivace. «Il signor Drummond vede cose che noi non vediamo e fa cose per motivi che non sempre comprendiamo. È incredibile che sia così paziente con noi.»

    «Certo, okay,» le rispondo.

    «Ti porterò con me per la presentazione,» mi comunica. «Saliremo dopo pranzo.»

    «Aspetta… cosa?» A momenti mi soffoco con la mia stessa lingua.

    Salirò ai piani alti? Fino al covo del tiranno?

    «Mi aiuterai a spiegare.»

    «Pensavo ti piacesse fare le presentazioni… in solitaria.» Da un po’ ho l’impressione che Sasha si stia attribuendo alcune delle mie idee. Non che me ne importi. Ripeto, sono qui solo per il bonus.

    «Sei tu l’esperta.» Mi sorride.

    Tradotto: Se tutto va bene, si prenderà lei il merito. Se invece va male, mi beccherò io la colpa.

    Esamina il mio abbigliamento, o meglio, fa una smorfia.

    Mi sistemo il blazer. Sotto indosso un paio di pantaloni grigi e una camicia bianca. È qualcosa che indosserebbe una detective alla moda, o almeno lo farebbe nella mia immaginazione. I miei capelli biondo scuro sono raccolti in un banale chignon.

    Cosa ho sbagliato?

    Però, in effetti, nella maggior parte dei riti la povera vergine sacrificale indossa una camicia da notte.

    «Va bene.» Mi congeda con un cenno. «Ci rivediamo alle 13 e 45.»

    La ringrazio e passo davanti alla fila di cubicoli atti a scoraggiare ogni distrazione visiva.

    Mangio il mio sandwich di tacchino seduta alla scrivania, sentendomi spacciata. Apro un pacchetto di patatine il più silenziosamente possibile. Un’altra regola è che i prigionieri del Gulag Vossameer non devono produrre rumori che non siano pertinenti al lavoro.

    Inoltre, non devono preparare cibi che emanino un odore percepibile. I popcorn al microonde sono espressamente vietati.

    Ho questa visione di me che preparo dei popcorn al microonde – gli Orville Redenbacher con extra-burro, versione per film – mentre ballo Gimme More di Britney Spears sulla mia scrivania, indossando una minigonna rosa.

    Ma quello succederà solo dopo che il bonus sarà arrivato sul conto corrente. Quel bonus mi serve disperatamente. Più che disperatamente.

    Devo resistere solo altri sei giorni lavorativi, senza contare oggi. Si può sopportare qualsiasi cosa per sei giorni, vero?

    Due ore dopo, siamo in attesa dell’ascensore. Sasha mi guarda per la decima volta con le sopracciglia aggrottate. «Non parlargli se non vieni interpellata. Hai capito?»

    «Capito,» rispondo.

    «Non spiegare cose inutili,» dice. «Tendi a spiegare…»

    Deglutisco. «Capito. Niente spiegazioni.»

    Non ho una vera e propria laurea in marketing. Una volta possedevo una pasticceria, la Biscotto Follia, che era diventata parecchio popolare grazie al mio lavoro su Facebook e Instagram. Avevo anche vinto alcuni premi. Sono stati proprio quei premi a farmi avere questo lavoro, l’ho capito da come è andato il colloquio.

    Mi fa ancora male pensare alla pasticceria che mi è stata sottratta. La vita che mi è stata tolta. Il mio sogno. Rubato e distrutto.

    Entriamo. Sasha preme il pulsante del quindicesimo piano. «Non tutti hanno la possibilità di incontrarlo,» mi confida.

    Evviva? penso. Ma non lo dico. Mi limito ad annuire con un sorriso.

    Ho lavorato nei ristoranti per tutto il periodo in cui ho frequentato l’istituto alberghiero, e ho avuto un sacco di capi stronzi. I capi stronzi possono anche essere divertenti, dato che regalano ai dipendenti un nemico comune di cui sparlare, o alle cui spalle si possono scambiare occhiate derisorie, e ciò crea un senso di cameratismo, come se si partecipasse alla versione da ufficio della Resistenza francese.

    La Vossameer non ha nemmeno quelle piccole gioie. È triste e basta.

    Siamo ferme al decimo piano perché qualcuno sta cercando di fare entrare un carrello. Sasha controlla l’ora con aria nervosa.

    Lo ammetto, sono curiosa di incontrare il tirannico e sfuggente signor Drummond, puramente per un interesse teorico di tipo eccheccazzo. Perché, chi dirige un’azienda in quel modo?

    Nella pasticceria mi ero sforzata di diventare la leader perfetta per i miei cinque dipendenti, usando un sacco di stimoli positivi. Se qualcuno di loro si prendeva un rischio e gli andava male, lo elogiavo lo stesso, perché volevo che si sentissero sicuri nel provare cose nuove. Incoraggiavo l’individualità e la creatività, e la cosa mi aveva ripagata in pieno; infatti i miei dipendenti avevano avuto diverse, ottime idee.

    Arriviamo all’undicesimo. Il carrello esce.

    Non girano molte foto del signor Drummond. La maggior parte lo ritrae in mezzo a folti gruppi di persone, o dentro qualche laboratorio con addosso un paio di occhiali protettivi. Ho anche chiesto una foto per il sito, ma Sasha mi ha risposto che il signor Drummond non vuole. L’unica immagine che la sua assistente può distribuire in occasione di eventi del settore è un disegno stilizzato in bianco e nero di un becher, con due bolle sopra.

    Non gli piace attirare l’attenzione, mi aveva spiegato a bassa voce Bob delle risorse umane.

    A bassissima voce.

    Neanche ci fosse il rischio che lo strabiliante signor Drummond potesse sentirlo e aversene a male, disturbando l’importantissimo flusso dei suoi geniali pensieri salvavita, causando quindi la discesa dal cielo di uno sciame di locuste che si sarebbero cibate dei pranzi inodori di tutti.

    Ecco un indizio per i prigionieri del Gulag Vossameer: non c’è bisogno di parlare a bassa voce del signor Drummond. Non è onnisciente come un dio. Né ha l’udito di un pipistrello. Non è neppure un mago.

    È un essere umano come tutti!

    È quella l’unica cosa che si troverebbe se si scostasse la tenda. Una semplice carogna di uomo con manie di controllo e in possesso di uno strumento per fare sembrare la sua voce rimbombante e potente. Proprio come ne Il mago di Oz.

    Un attimo prima di arrivare al quindicesimo piano, Sasha estrae uno specchietto e si sistema il rossetto. È davvero una meravigliosa e intelligente tigre di donna, brillante e aggressiva. Certo, per metà del tempo la sua aggressività è indirizzata verso di me. Eppure… mi dispiace per lei.

    Mi dispiace che questo stronzo la faccia sentire così. Non è giusto!

    Le vorrei dire di non perdere tempo con un maniaco del controllo come il signor Drummond. È solo l’ennesimo uomo dietro la tenda! le vorrei dire. Le tue meravigliose scarpe sono più potenti!

    Ma non lo faccio.

    Per la cronaca, le sue scarpe sono davvero meravigliose: tacchi alti di un nero austero, lucidi e scolpiti. Indossa un abito aderente in maglina, sexy ma in modo sobrio, con sopra abbinato un blazer di lana alla moda.

    Chiude di scatto lo specchietto e mi guarda con inquietudine quando si apre la porta.

    Raramente la vedo nervosa. È spaventoso. Come quando nei film gli animali più pericolosi della giungla iniziano a scappare a gambe levate.

    «Non rovinare tutto,» mi dice.

    «Non ti preoccupare!» Provo a farle un sorriso rassicurante. «Ti coprirò le spalle.»

    Il cipiglio di Sasha viene rafforzato dalle sue severe sopracciglia alla Crudelia. Studia di nuovo il mio completo, e di nuovo non sembra piacerle quello che vede.

    Poi iniziamo la nostra camminata lungo il lucido corridoio del rigore.

    A questo punto, oltre che della presentazione, mi sto preoccupando del mio abbigliamento. Alla pasticceria non ho mai dovuto vestirmi in modo professionale. Sono così nervosa che mi tolgo la collana e me la infilo con discrezione nella tasca. Meno addobbi.

    Poi un’ondata di irritazione mi colpisce, perché: come? Ho speso le ultime tre settimane a farmi un mazzo così sulla loro presenza online. Se questa azienda fosse gestita in modo competente, in questo momento mi sentirei orgogliosa ed emozionata, magari solo appena un po’ nervosa. E anche Sasha si sentirebbe così. Entrambe saremmo bramose di ricevere il feedback per usarlo nella creazione del miglior sito possibile.

    Invece l’atmosfera è la stessa di quando ci si sta dirigendo al patibolo.

    Passiamo davanti a un paio di chimici, che stanno uscendo da un laboratorio con espressione preoccupata. Ci sono laboratori a ogni piano qui. È quello che accade quando una compagnia è diretta da un chimico.

    Arriviamo davanti all’ufficio del signor Drummond. Sasha bussa.

    Una donna dall’espressione turbata ci fa entrare in un’ampia reception piena di schedari. «Vi sta aspettando,» mormora, accompagnandoci verso un paio di porte nere. Anche i suoi capelli grigi sembrano agitati, a giudicare da come le si rizzano sulla testa.

    Le sorrido. «Grazie.»

    Le due si scambiano uno sguardo.

    Come?

    Sto iniziando a diventare paranoica. E un po’ arrabbiata. La gente qui lavora così duramente per lui, e come li ripaga? Facendoli stare sempre a nervi tesi.

    La segretaria bussa piano – due volte – poi apre la porta.

    Seguo Sasha dentro un ufficio caotico decorato con grafici di elementi chimici e lavagne piene di cerchi, linee e lettere scarabocchiate in modo folle, come se l’alfabeto fosse esploso proprio lì a fianco.

    Schedari e scaffalature piene di scatole, faldoni e flaconi rivestono i muri, e al centro di tutto è posizionato un enorme piano di lavoro ricoperto da pile di manuali, blocchi per gli appunti e una tazza di caffè solinga di fianco a un altrettanto solingo computer portatile.

    In un lugubre angolo sul fondo c’è una larga scrivania di legno, scura, a parte il caldo cerchio di luce proiettato da una lampada solitaria. Di fronte, due sedie austere, come sentinelle sull’attenti.

    Ma dov’è lo strabiliante signor Drummond? Perché la sua segretaria dovrebbe comportarsi come se fosse presente, se il suo ufficio è vuoto?

    Una porta sul lato è ricoperta da colorati cartelli di sicurezza, incluso uno che dice: "Camice da laboratorio e occhiali protettivi obbligatori". Un laboratorio. È lì dentro?

    Mi spingo oltre il piano di lavoro. «Sembra che il signor Strabiliante stia strabiliando da un’altra parte,» borbotto.

    «Che hai detto?» chiede Sasha.

    «Sembra che sia da un’altra parte,» dico a voce più alta.

    Mi avvicino alla scrivania. Abbastanza vicino da poter scorgere, all’improvviso, due freddi occhi grigi che mi fissano severamente da dietro un paio di occhiali dalla montatura nera. Occhi splendidi. Meravigliosi.

    Il signor Drummond.

    La paura mi investe come una folata di vento. Avrà sentito quello che ho detto? Speriamo di no!

    Il signor Drummond si alza e si toglie gli occhiali, continuando a fissarmi.

    Gulp.

    Il suo camice da laboratorio è sbottonato e lascia intravedere il raffinato completo grigio che indossa. Mi si avvicina con la grazia di un grosso felino.

    Ma non è quello che lo rende così straordinario.

    Con o senza gli occhiali, è l’uomo più esageratamente e terribilmente bello che io abbia mai visto. La sua sensualità ha una vita propria. Ha solennità. Ha anche un codice postale, che lo posiziona a chilometri ben oltre l’area di smettila di fissarlo e in piena zona esperienza estetico-religiosa.

    Doppio gulp.

    I suoi capelli scuri sono corti e folti, con quella particolare consistenza tipica dei ricci, se li lasciasse crescere un po’ di più, ma come tutto alla Vossameer, anche loro sono rigidamente tenuti sotto controllo.

    Ha le sopracciglia scure. Le labbra, al momento arricciate in un broncio, sono pericolosamente carnose, leggermente imperfette: quel tanto che basta per creare quell’effetto morbido e da ragazzaccio che mi piace parecchio.

    Deglutisco e raddrizzo la postura, ricordando a me stessa che questo è il pazzo maniaco del controllo, responsabile del fatto che la Vossameer sia questo luogo così inflessibile e triste. Il crudele architetto del divieto sui popcorn fatti al microonde.

    Quell’estrema sensualità è solo un’altra sua caratteristica da bastardo. Un altro modo per controllare le persone. Mandandogli in pappa il cervello. Facendogli battere il cuore a mille.

    «Signor Drummond, abbiamo qui, da sottoporre alla sua attenzione, la presentazione del restyling per i nostri social e per il sito,» balbetta Sasha.

    Continua a guardarmi, scontento. Ha sentito il mio commento sul signor Strabiliante? «Avevamo un appuntamento di qualche tipo?» chiede a Sasha, nonostante stia ancora guardando me.

    «Sì,» risponde Sasha.

    Si ficca in tasca le mani macchiate di inchiostro. «E lei è…»

    «Le presento Elizabeth Cooper. La nuova assistente.»

    «Piacere di conoscerla.» Porgo la mano con esitazione, non so se lui stringa o no la mano ai comuni mortali.

    Borbotta qualcosa nella mia direzione, poi si gira verso Sasha. «Allora, forza. Mettiamoci là.» Indica il piano da lavoro.

    Ritraggo svelta la mano, stringendola intorno alla cartellina con le stampe. Ooo-kay!

    Ogni volta che si aggiungeva qualcuno allo staff della mia amata pasticceria, sembrava quasi che stessimo dando il benvenuto a un fratello che non vedevamo da tempo, non al ragnetto domestico di qualcuno, che si sarebbe preferito non dover mai vedere.

    Ci dirigiamo verso il punto in cui il signor Drummond sta facendo un po’ di spazio. Quando ha finito, alza lo sguardo e, per un bollente attimo, ho la strana sensazione che sia ben conscio di ciò che in segreto penso di lui, come se ci fosse qualche strana connessione tra noi.

    O chi lo sa, magari ha pure qualche abilità telepatica oltre a essere il chimico più strabiliante e il CEO più orribile al mondo.

    Prende il portatile da Sasha e lo sistema dove vuole lui. Ha le mani piuttosto grandi, con dita lunghe, forti ma allo stesso tempo eleganti. Mi accorgo di non riuscire a togliergli gli occhi di dosso. Ha davvero qualche tipo di potere magnetico.

    Sasha prende posto di fronte al computer e clicca per aprire il PowerPoint. Compare il titolo. Vossameer. Empatia. Umanità. Coinvolgimento.

    Segue la pagina con il nuovo slogan: "Aiutiamo a salvare vite. Lo ha pensato Sasha. È già molto meglio di quello vecchio, ovvero: Antiemorragici medici".

    Il signor Drummond aggrotta le sopracciglia, come se facesse fatica a dare un senso a ciò che vede. Finalmente proferisce una parola, che gronda disgusto: «No.»

    Sasha mi guarda. Come se fosse sconvolta che qualcosa di così offensivo sia finito nella presentazione. «Dovrai eliminarlo, Lizzie.»

    «Non c’è problema,» rispondo a denti stretti, mentre il viso mi si infiamma.

    Lui continua a scorrere. Sta leggendo

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