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La fine delle tenebre
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La fine delle tenebre

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About this ebook

Per Beluviel, consorte dell’Alto Signore degli elfi, e Graydon, grifone e prima sentinella dei wyr, è proibito anche solo provare desiderio l’una per l’altro. Ma duecento anni fa, dopo il disperato salvataggio del figliastro di Beluviel che li aveva lasciati in debito con il crudele djinn Malphas, hanno scoperto che i loro destini erano inesorabilmente legati e la passione troppo intensa perché potesse essere ignorata…
Due secoli dopo, il debito nei confronti di Malphas sta per scadere, e Beluviel e Graydon si rendono conto che, se vogliono avere qualche possibilità di salvare le loro anime, devono tornare a lavorare insieme, e questa volta devono farlo più uniti che mai. Ma ogni momento che trascorrono l’una con l’altro li avvicina alla perdita di qualcosa di ancora più vitale: i loro cuori...
LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2019
ISBN9788893125673
La fine delle tenebre

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    La fine delle tenebre - Thea Harrison

    1

    Con un movimento secco dell’indice, Graydon digitò un SMS sullo smartphone.


    Non possiamo rimandare oltre il nostro incontro. Non riesco a spiegartene il motivo via messaggio, ma il tempo sta per scadere. Ho bisogno…


    Si fermò mentre veniva travolto da un’ondata di emozione.

    Ho bisogno di vederti.

    Devo toccare la tua guancia, stringere la tua mano.

    Ho bisogno di guardarti negli occhi. I tuoi bellissimi occhi. Di sapere che la preziosa luce dentro di te non è morta.

    Fu allora che la visione lo colpì.

    Era abituato ad avere visioni. Le aveva avute per tutta la sua lunga vita. Il Gaelico prevedeva molte espressioni e termini per spiegare quella cosa: Un Da Shealladh, o seconda vista, era quello più noto.

    Quando era tanto stanco da diventare distratto, o affamato al punto da sentirsi vuoto, vedeva immagini di luoghi che non aveva ancora visitato, o di cose che non aveva ancora fatto. E sapeva che avrebbe visto quei posti e fatto quelle cose. Prima o poi.

    La visione lo investì, ineluttabile; come se lui si fosse immerso nel vasto oceano e l’acqua si fosse richiusa sopra la sua testa.

    Negli ultimi duecento anni quella scena gli era diventata familiare. L’aveva vista tantissime volte. Odorava di pericolo: acre come polvere da sparo e tagliente come uno stiletto.

    Un candore, simile a quello della neve, ricopriva il terreno, vicino a una spiaggia scura e tempestosa. Quel candore era interrotto da rocce nere come la mezzanotte; lì vicino, un edificio colossale abbarbicato in cima a una scogliera come un enorme predatore. Quando Graydon guardò giù, vide qualcosa di uno scarlatto brillante sbocciare sul terreno bianco, come delle rose che si aprono al sole.

    Solo che non si trattava di fiori, ma di sangue.

    Il suo sangue, che gli gocciolava tra le dita.

    «Zio Grey?»

    La voce del ragazzo si insinuò tra le immagini e la visione si spezzò.

    Non si dissipò del tutto, ma rimase ai margini della sua attenzione, pronta a riaffiorare nel momento in cui fosse stato troppo stanco, affamato o distratto.

    Frustrato, lui la spinse da parte con la sola forza di volontà. Era in servizio e non aveva tempo per quelle stronzate. Non gli importava che la visione potesse tornare più tardi, al momento gli bastava potersi concentrare su ciò che lo circondava. Avrebbe lottato contro i suoi demoni interiori nel tempo libero.

    Mentre si sforzava di schiarirsi le idee, attorno a lui prese forma la realtà, solida e banale.

    Indossava anfibi, jeans e una giacca di pelle, e portava un fucile d’assalto appeso a una spalla. Al suo fianco c’era un giovane e curioso drago in forma umana.

    Aveva portato il fucile solo per sicurezza, dato che il compito più importante che avrebbe dovuto assolvere quella notte sarebbe stato tenere d’occhio il ragazzo. Se fosse accaduto qualcosa di bizzarro, qualunque azione avesse compiuto sarebbe stata a scopo puramente difensivo.

    Era notte e loro si trovavano in cima alla Torre Cuelebre, situata nel cuore del territorio wyr: ottanta piani di potere politico e finanziario che si stagliavano sul paesaggio di New York. L’aria era gelida e tonificante; fiocchi di neve bianca e soffice avevano iniziato a fluttuare e turbinare nell’incostante brezza.

    Nessun altro edificio nelle immediate vicinanze era alto quanto la Torre. Alcuni sostenevano che il motivo fosse da ricercarsi nell’arroganza di Dragos Cuelebre, signore dei wyr, multimilionario e capo delle Cuelebre Enterprises.

    Graydon e le altre sei sentinelle però sapevano come stavano le cose. Anche se Dragos aveva orgoglio da vendere, la relativa altezza dell’edificio non aveva nulla a che fare con quello.

    Tra i wyr alati e gli occasionali elicotteri, il tetto della Torre era molto trafficato. La decisione di Dragos di corrompere il consiglio comunale per mantenere gli edifici circostanti più bassi era dettata da motivi di pura e semplice sicurezza.

    Quando Liam Cuelebre, figlio di Dragos e principe dei wyr, lo fissò, Graydon si rese conto di non avergli risposto. Si schiarì la voce: «Sì, che c’è campione?»

    Il vento arruffò i capelli biondo scuro del ragazzo. Aveva gli occhi grandi, di un viola intenso, molto simili a quelli della madre. «Va tutto bene?»

    Graydon era rimasto immobile troppo a lungo e, anche se Liam poteva sembrare un ragazzo normale e solare, era nato soltanto nove mesi prima. Non c’era più niente di normale in lui.

    Fisicamente sembrava un dodicenne alto e bello, ciò però era dovuto al potente drago dentro di lui, che si sforzava di diventare adulto.

    Nella sua forma umana, Liam era più grande e forte di qualsiasi comune dodicenne. Nella sua forma wyr, il suo drago era già il doppio di un grifone, e i grifoni erano alcuni dei wyr più grandi del mondo. Nella sua forma wyr, Graydon aveva più o meno le dimensioni di un SUV: una massiccia e muscolosa miscela di aquila e leone.

    In termini di forza, Liam avrebbe potuto sopraffare qualunque sentinella. Questo però non significava che potesse avere la meglio su uno di loro in combattimento dato che, dalla loro parte, le sentinelle avevano età, astuzia ed esperienza. Nessuno di loro aveva affrontato Liam se non in allenamento, sotto attento controllo.

    A livello intellettuale, il ragazzo era in grado di leggere testi universitari e possedeva abilità matematiche fuori dall’ordinario; solo gli dèi potevano dire quanto affinata fosse la sua percezione della verità o qualunque altro dei suoi sensi. Aveva un’indole buona, molto di lui però rimaneva un mistero.

    Così Graydon gli arruffò affettuosamente i capelli e gli diede la propria versione di verità: «Scusa, mi ero perso nei miei pensieri. È tutto a posto. Vuoi ascoltare le nostre trasmissioni per un po’?»

    Lo sguardo del ragazzo si accese di interesse. «Certo.»

    Lui annunciò nel microfono: «Attenti a quello che dite, gente. Metterò un ospite in linea per qualche minuto.»

    Anche se il canale del servizio di sicurezza era criptato, gli hacker erano una preoccupazione costante e nessuno utilizzava mai nomi reali. Tuttavia, tutti conoscevano l’identità dell’ospite di Graydon.

    Una delle sentinelle di turno quella notte era Alexander, il pegaso. La sua voce, profonda e calda, gli arrivò attraverso il comunicatore. Sembrava divertito: «Ricevuto.»

    Graydon si tolse l’auricolare e lo porse a Liam. «Se lo accosti all’orecchio, sarò in grado di sentire anche io.»

    Affascinato e con gli occhi spalancati, il giovane annuì. Sollevò la trasmittente per ascoltare gli addetti alla sicurezza.

    Graydon appoggiò un piede sulla ringhiera, incrociò le braccia sopra un ginocchio e scrutò l’area circostante, mentre gli eventi si svolgevano con la precisione di un orologio. Annuì soddisfatto. Gli piacevano le serate senza sorprese.

    Tutti i tetti degli edifici vicini erano stati controllati e dichiarati sicuri, e l’ultimo membro del team aveva preso posto. Ottanta piani più in basso, in strada, lungo il marciapiede che costeggiava i gradini d’ingresso della Torre, si era assiepata una folla di paparazzi. Legalmente parlando, senza un esplicito invito a una conferenza stampa, i giornalisti non potevano avvicinarsi oltre.

    Sentì il cellulare ronzargli nella tasca anteriore dei jeans. Una vibrazione breve, che segnalava l’arrivo di un messaggio o di una e-mail. Lo ignorò per un momento, mentre controllava un’ultima volta i tetti degli edifici circostanti.

    A tre isolati di distanza, un’elegante limousine nera svoltò l’angolo. Dragos e Pia erano in perfetto orario. Con un movimento fluido, l’auto accostò davanti ai gradini della Torre.

    Hugh, un wyr gargoyle che fungeva sia da guardia del corpo di Liam che da membro della squadra di sicurezza personale di Pia, si fece avanti per aprire lo sportello posteriore. Si piegò un po’ in avanti e tese la mano in un cenno di invito.

    Delle sottili dita femminili afferrarono le sue. Anche se Graydon si trovava ottanta piani più in alto, il suo acuto sguardo di grifone riuscì a cogliere il diamante luccicante all’anulare della donna.

    Le prime a spuntare dall’auto furono un paio di gambe lunghe e snelle, poi la donna scese dall’auto. Portava i capelli lucenti, di un biondo pallido, appuntati sulla testa. Indossava un vestito di paillettes argentate e una stola di finta pelliccia bianca dall’aspetto costoso. Brillava nella notte come una sottile colonna di fuoco bianco.

    Dopo Pia toccò a Dragos, suo marito, uscire dalla limousine. Circa due metri e centotrenta chili di massiccio maschio muscoloso: il predatore wyr più letale al mondo.

    La bianca camicia dello smoking ne accentuava la scura pelle color bronzo, i lisci capelli neri e gli occhi dorati e penetranti. Numerosi paparazzi fecero un passo indietro: dovevano avere intuito che il pericolo camminava in mezzo a loro. Erano i più svegli.

    Tuttavia, l’istintiva cautela non impedì loro di svolgere ognuno il proprio lavoro. Tutto intorno alla coppia esplosero le luci dei flash. Dragos voltò il viso. Aveva un’espressione dura e annoiata. Odiava farsi fotografare.

    Pia e Dragos salirono i gradini e scomparvero dalla vista di Graydon, entrando all’interno dell’edificio. L’attenzione dei paparazzi diminuì; alcuni si allontanarono in diverse direzioni, altri si misero a parlare al cellulare. Con un silenzioso sospiro collettivo, gli addetti alla sicurezza si rilassarono.

    «Ritiriamoci. Abbiamo finito per stanotte,» annunciò Alexander.

    Graydon tese la mano verso Liam per riprendere l’auricolare, e il ragazzo glielo consegnò.

    «Ottimo lavoro, ragazzi» disse al microfono. «La cucina resterà aperta un’ora per cena. Lo chef ha detto che la mensa servirà costolette a tutti quelli che stasera hanno prestato servizio di sicurezza.»

    Una raffica di buona notte si riversò dal collegamento radio.

    Liam gli sorrise: «Uno di questi giorni entrerò a far parte della squadra.»

    «Ah sì?» Graydon ricambiò il sorriso. «Uno di questi giorni, potresti diventarne il capo.»

    «Figo.» Liam gli camminò accanto mentre Graydon attraversava il tetto, diretto alle scale. «Posso avere anch’io delle costolette?»

    Quella sera avevano già fatto fuori una pizza extra-large al salame piccante, mentre guardavano vecchi episodi di Racconti del brivido, ma il ragazzo era un pozzo senza fondo.

    «Certo che sì,» rispose lui. La mensa era appena un piano sotto l’attico. I piani superiori della Torre Cuelebre erano sicuri, così disse a Liam: «Precedimi alla mensa.»

    L’altro si fermò sui gradini per guardarlo: «Tu non vieni?»

    «Vado a parlare con i tuoi genitori,» gli spiegò. «Torna su appena hai finito di mangiare.»

    «Va bene,» rispose il ragazzo. Lo abbracciò e gli rivolse un rapido sorriso. «Grazie per avermi permesso di uscire con te questa sera.»

    L’espressione di Graydon si addolcì e ricambiò la stretta. «È stato un piacere, campione.»

    Rimase a guardare Liam correre via, poi proseguì verso l’attico.

    Quella sera, Dragos e Pia avevano partecipato a uno dei principali avvenimenti politici dell’anno: l’evento inaugurale che avrebbe dato inizio a due settimane di incontri, cene e danze per le festività invernali.

    Per le Antiche Razze, il periodo del solstizio d’estate rappresentava la principale stagione politica. Il solstizio d’inverno segnava invece l’inizio di una stagione minore. Le riunioni coinvolgevano pochi politici e tendevano a essere più tranquille e intime.

    Buona parte delle attività del periodo invernale era di carattere sociale, perché era il tempo di celebrare il Masque degli Dèi. Ogni anno, quando Dragos ospitava uno dei balli in maschera più grandi ed elaborati del mondo, il numero degli esponenti delle Antiche Razze a New York aumentava: dignitari e celebrità arrivavano da tutti i territori per prendervi parte.

    Graydon entrò nell’attico e mise da parte delicatamente il fucile. Sentì il cellulare vibrare di nuovo, quindi lo tirò fuori dalla tasca per controllare le notifiche.

    L’applicazione dei messaggi si aprì sul precedente SMS non ancora inviato.

    Lo fissò. Non aveva digitato Ho bisogno di vederti, come aveva avuto intenzione di fare.

    Lo schermo diceva: Ho bisogno di te.

    Il silenzio freddo nell’appartamento, ampio e lussuoso, premeva contro le sue orecchie. Con delicatezza, continuò a premere il pulsante cancella finché il messaggio non svanì.

    Pia apparve sulla porta. Si era tolta la stola di finta pelliccia e adesso la portava gettata sopra una spalla. Vista da vicino, la donna era ancora più affascinante: i lustrini del suo abito catturavano ogni frammento di luce, amplificandolo.

    Era di nuovo incinta, ma lei e Dragos non lo avevano ancora annunciato ufficialmente. Solo il loro circolo ristretto ne era a conoscenza. Sebbene ancora non si notasse, la gravidanza la rendeva più bella, facendo apparire la sua pelle e i suoi capelli più lucenti che mai.

    Pia gli rivolse un sorriso stanco, ma allegro. «Tutto bene?»

    «Certamente,» rispose lui. «Adoro passare il tempo con Liam. È andato in mensa per una seconda cena.»

    Lei scosse la testa. «Perché la cosa non mi sorprende?»

    «Arriverà tra mezz’ora, più o meno.»

    Dragos entrò nella stanza. Aveva la cravatta dello smoking allentata, si era tolto la giacca e rimboccato le maniche. Gli rivolse un cenno.

    Anche se Graydon aveva già ascoltato un rapporto preliminare, chiese: «Come è andata la serata?»

    Con un sorriso cinico delle labbra, l’altro rispose: «La solita solfa.»

    Pia alzò gli occhi al cielo. Appoggiandosi al bordo del divano, si sfilò le scarpe dal tacco alto.

    «Un sacco di materiale per le riviste di gossip. L’ambasciatore dei fae di luce del Brasile si è ubriacato, si è tolto tutti i vestiti e si è fatto una nuotata nella grande fontana della hall dell’hotel. E l’erede del territorio delle streghe algerino ha vomitato sulle Stuart-Weitzman di diamante del primo ministro dei demoni.» Si fermò, pensierosa. «Se me lo chiedi, penso che l’abbia fatto di proposito. Il primo ministro era molto dispettoso.»

    Graydon le fece un breve sorriso, poi si rivolse a Dragos. «So che è tardi, ma ho bisogno di parlarti un attimo.»

    Dragos e Pia si scambiarono un’occhiata. Poi Pia si chinò per prendere le scarpe e annunciò: «Farò una doccia e andrò a letto.»

    «Aspetto che Liam torni e poi ti raggiungo,» le rispose il marito.

    Lei annuì e si avvicinò a Graydon per dargli un bacio sulla guancia. «Buonanotte, Gray.»

    Lui si sentì travolgere da un’ondata di affetto. Pia era entrata nelle loro vite un anno e mezzo prima, ma ora non poteva immaginare la vita senza di lei.

    «Buonanotte, pasticcino,» rispose lui, dandole una pacca sulla schiena.

    Entrambi gli uomini la guardarono sparire nel corridoio. Lei chiuse la porta della suite principale e, pochi istanti dopo, Graydon sentì il debole suono dell’acqua che scorreva.

    Solo allora Dragos si mosse. Raggiunse il bar situato a un’estremità dell’ampio soggiorno, versò del brandy in due bicchieri e gliene porse uno.

    «Esci sul balcone con me,» gli propose. «Mi serve una boccata d’aria.»

    Lui fece un respiro profondo. «Certo.»

    Fuori il vento era pungente, ma i due maschi wyr generavano tanto calore corporeo da trovare il freddo rinfrescante. Dragos sollevò il viso, riempì i polmoni di aria e rilassò la linea delle ampie spalle.

    Graydon, invece, non riusciva a rilassarsi. La visione premeva contro i bordi della sua consapevolezza, cercando di riprendere il controllo della sua mente. Tese i muscoli, per reprimere l’istinto di mutare e lanciarsi nella notte.

    L’altro uomo prese un sorso di brandy. «Cos’hai in mente?»

    Lui si avvicinò al bordo del balcone e guardò il nastro incandescente del traffico sottostante. «Una volta, molto tempo fa, ti ho detto che mi sarei preso un congedo. Ti ricordi?»

    Quella domanda non era solo uno spunto di conversazione. Durante l’estate Dragos aveva riportato un trauma cranico che gli aveva causato delle lacune nella memoria.

    L’altro lo raggiunse alla ringhiera. Anche se Graydon era alto, e il più grosso fra le sentinelle, fu comunque costretto ad alzare gli occhi di qualche centimetro per guardare la nuova, pallida cicatrice che squarciava la tempia di Dragos.

    Né l’acuta intelligenza del signore dei wyr né la sua personalità aggressiva avevano risentito dell’infortunio. Dopo alcuni giorni di tensione, in cui aveva sofferto di un’amnesia totale post-traumatica, Dragos aveva ricordato le parti più importanti della propria vita: la sua compagna, la sua famiglia e coloro che facevano parte della sua cerchia più stretta.

    Nonostante ciò, Pia e le sue sette sentinelle continuavano a tenerlo d’occhio durante gli eventi pubblici, in modo da poterlo aiutare a colmare eventuali lacune inattese. Nei mesi che erano seguiti all’incidente, Dragos aveva studiato innumerevoli libri di storia e letto ossessivamente i file aziendali per recuperare quanto più poteva, il più rapidamente possibile.

    Graydon pensò a tutti i segreti che i Cuelebre custodivano. La forma wyr di Pia. La sua nuova gravidanza. L’incidente di Dragos e il fatto che, anche se aveva recuperato gran parte della memoria, non l’aveva riacquisita del tutto.

    Fino ad allora erano stati maledettamente fortunati che nessuno dei loro segreti fosse saltato fuori.

    Almeno a quanto ne sapeva lui. Con un sospiro si sfregò la nuca e abbandonò quel pensiero. Non aveva alcun senso agitarsi senza motivo.

    A quella domanda le sopracciglia scure ed eleganti di Dragos si inarcarono. Il suo feroce sguardo dorato si fece più intenso.

    «Sì, ricordo,» rispose. «Avevi detto di volerti prendere un congedo… Quando, circa duecento anni fa?»

    «Giusto. Duecento anni quasi esatti.» Con un rapido movimento del polso, Graydon mandò giù il contenuto del suo bicchiere. Sentì il liquore morbido sulla lingua, tiepido come liquidi raggi di sole, e poi infuocato in gola. Ne accolse il calore.

    Gli occhi di Dragos si fecero così penetranti da metterlo a disagio. «Ricordo anche che avevi detto che, se avessi mai avuto bisogno di chiedere un congedo, avresti potuto non essere in grado di dirmi perché. È ancora così?»

    «Sì. E tu avevi promesso che me lo avresti concesso, se e quando ne avessi avuto bisogno.» Graydon incrociò lo sguardo dell’altro. «Ora ho bisogno che tu mantenga la promessa.»

    Il cipiglio di Dragos si fece più profondo. Si voltò completamente verso Graydon, e lui drizzò le ampie spalle in risposta. Ottenere la completa attenzione del signore dei wyr a volte poteva essere un’esperienza inquietante.

    «Non mi piace,» ringhiò il drago. «Sento puzza di guai. Di guai per te. Dimmi cosa sta succedendo.»

    «Non posso. Ho fatto una promessa. Inoltre, non si tratta di un mio segreto,» rispose lui lentamente.

    L’aria si riempì di tensione.

    «E se io dicessi di no?» I feroci occhi dorati ardevano come lava.

    Per niente stupito, Graydon annuì. Al drago non piacevano i vincoli, nemmeno quelli che lui stesso aveva creato. «Sarebbe un peccato, perché dovrei partire comunque.»

    «Per mantenere la promessa che hai fatto?»

    «Sì.»

    La tensione aumentò, per il peso dell’attenzione di Dragos e per la visione che lo opprimeva dall’interno, così tanto che Graydon pensò la sua pelle fosse sul punto di lacerarsi.

    Irrigidì la schiena, mentre faceva respiri regolari. Restare saldi sulle proprie posizioni non indicava passività. Richiedeva, anzi, un certo tipo di forza. Glielo aveva detto lei una volta, tanti anni prima, e lui non l’aveva mai dimenticato.

    Avrebbe tenuto duro.

    Borbottando un’imprecazione, Dragos si girò per scrutare il traffico sottostante. «Ti ho dato la mia parola e la manterrò,» esordì. «Ma ora devi promettermi qualcosa in cambio.»

    Espirando in silenzio, Graydon si pizzicò l’attaccatura del naso. «E sarebbe?»

    Dragos lo colpì con uno sguardo acuto. «Sei il mio Primo. Le altre sentinelle si affidano a te. Dannazione… Io, Pia e Liam contiamo su di te. Ma più di tutto: sei la mia famiglia.»

    Inaspettatamente commosso, lui abbassò la testa. «E tu la mia.»

    «Allora,» replicò Dragos, «va’ a occuparti di ciò che devi. Ma promettimi che mi racconterai che sta succedendo appena potrai, e che verrai da me se avrai bisogno di aiuto… E promettimi che tornerai.»

    Capì perché Dragos insistesse su quell’ultima parte.

    Un wyr si accoppia per la vita. Nessuno ne comprendeva appieno le dinamiche: una complessa combinazione di tempismo, circostanze, sesso e personalità.

    Un anno e mezzo prima, Dragos aveva perso due delle sue sentinelle, Rune e Tiago, perché si erano accoppiati con donne di razze diverse. Ci erano voluti mesi per scegliere due nuove sentinelle, e altrettanto tempo perché il territorio dei wyr tornasse a stabilizzarsi dopo il cambiamento.

    Graydon si scoprì ancora in grado di un sorriso ironico. Se solo Dragos avesse saputo quanto infondato fosse il suo timore di perderlo a causa dell’accoppiamento…

    «Appena potrò dirti qualcosa prometto che lo farò. E ti chiederò aiuto, se sarà necessario.» Incrociò con fermezza lo sguardo dell’altro. «Finché sarò vivo e in grado di farlo, tornerò sempre. Questa è casa mia. Ti faccio questa promessa, qui e ora.»

    Tanto, lei non mi vorrebbe comunque.

    Serrò la mandibola. Scacciò via quel pensiero, come aveva fatto con la visione.

    Riuscendo ad apparire curioso, frustrato e rabbonito tutto in una volta, Dragos spinse in fuori il mento. «Bene,» disse. «Va’.»

    Dopo avergli rivolto un riconoscente cenno del capo, Graydon si voltò.

    Una mano pesante si poggiò sulla sua spalla, facendolo fermare sul posto. La presa di Dragos si serrò, fin quasi al punto di fare male.

    Di solito il signore dei wyr era espansivo solo con Pia e Liam. Commosso, Graydon distolse lo sguardo. Dopo un momento, tese il braccio e afferrò la mano dell’altro. Soltanto allora Dragos allentò la presa e gli permise di continuare per la sua strada.

    Graydon uscì a grandi passi dall’attico, fermandosi solo per raccogliere il fucile. Sarebbe potuto andare nel suo appartamento, prendere lo zaino e, se quella maledetta visione si fosse placata il tempo necessario per permettergli di volare, avrebbe potuto essere in aria nel giro di quindici minuti.

    Di lì a poche ore l’avrebbe rivista. Quando finalmente si permise di pensarci, il suo mondo si fermò.

    Poteva vedere con i propri occhi che lei stava guarendo. La vita l’aveva ferita in modo profondo, ma lei aveva uno spirito forte e raro, forgiato e temprato – quasi con eleganza – dalle avversità e dal tempo.

    Dopo tutto quello che avevano sopportato, Graydon aveva sviluppato una fede profonda e incrollabile in lei. Era sincera, e il suo spirito era puro, retto e forte. Era riuscita a restare salda, a dispetto delle avversità.

    Tutto ciò era diventato chiaro mentre la osservava in segreto nel corso dei secoli; sapendo che avrebbe potuto solo spiarla, perché il resto, tutto il resto tra loro, era diventato troppo pericoloso.

    Sebbene fosse notte fonda, gli ascensori e i corridoi della Torre erano gremiti di festaioli notturni e degli addetti alla sicurezza del terzo turno. Graydon venne fermato diverse volte da persone che volevano fargli delle domande o scambiare convenevoli.

    Dedicò a ciascuno di loro la propria attenzione, senza fretta, mentre tutto dentro di lui lo spronava a mettersi in viaggio. La sua testa stava cominciando a pulsare per lo sforzo di mantenere il controllo, ma non si sarebbe lasciato governare dalle sue visioni o dai suoi desideri.

    Lei gli aveva insegnato quel tipo di autocontrollo ferreo e spietato. A volte l’aveva odiata per quello, con una segreta e appassionata ipocrisia che lo turbava profondamente.

    Raggiunse finalmente la privacy del suo alloggio e accese le luci. Tutte le sentinelle avevano degli appartamenti nella Torre, anche se alcuni, come Quentin e Aryal, li usavano di rado.

    Graydon era diverso. Aveva scelto di vivere a tempo pieno nella Torre. Per un uomo dai gusti semplici come lui, era una sistemazione più che lussuosa, che soddisfaceva tutti i suoi bisogni. Anche se aveva una sola camera da letto, era così spazioso che persino uno grosso come lui poteva sentirsi a proprio agio.

    Le finestre a tutta altezza, in soggiorno e in camera da letto, gli offrivano una vista panoramica dello skyline di New York. Graydon aveva perfino un balcone privato da cui godere di una cena tranquilla o alzarsi in un volo veloce per schiarirsi la mente dopo il lavoro.

    La gigantesca vasca idromassaggio nel bagno era in grado di lenire buona parte dei dolori, risultato di una brutale giornata di lavoro. E un decoratore professionista si era assicurato che i mobili fossero di suo gradimento e che i colori non facessero schifo.

    Beneficiava di un servizio lavanderia e pulizia, e la mensa della Torre riforniva il suo frigorifero di eccellenti piatti appena preparati, di panini integrali ripieni di salumi e formaggi, nonché della sua birra preferita.

    Era un posto abbastanza bello. Un posto abbastanza buono, il più delle volte.

    «Questa è casa mia,» sussurrò a denti stretti. Percepì la disperazione nella sua stessa voce. «Il posto a cui appartengo. Manterrò tutte le mie promesse. Le manterrò.»

    In quel momento l’appartamento gli sembrava una gabbia. Pensò di fracassare la vetrata con un pugno; solo per vederla andare in frantumi e sentire la forza del vento.

    Chiuse gli occhi. Rapida come un predatore, la visione della sua morte lo assalì. Quella volta non la respinse.

    Ecco il terreno bianco, le rocce nere e le rosse gocce del sangue del suo cuore che si allargavano sul terreno, come rose in boccio. Si perse nella sensazione del calore liquido che gli scorreva tra le dita.

    Quando finalmente fu di nuovo in grado di vedere, si ritrovò inginocchiato sul pavimento, le spalle curve. Quella dannata scena era come una pietra appesa al collo, tanto da indurlo a desiderare accadesse davvero, solo per potersene liberare.

    Aveva portato quella pietra per quasi duecento maledetti anni, fin dal momento in cui aveva risposto alla richiesta di aiuto di una damigella in difficoltà, e si era ritrovato invischiato nella maledizione di un altro uomo.

    Non poteva considerarla una semplice coincidenza.

    Era tutto collegato. Lo sapeva.

    Rigido, si costrinse a rimettersi in piedi. Si diresse verso una credenza e tirò fuori una bottiglia di Johnnie Walker Blue. Dopo aver mandato giù dei lunghi sorsi direttamente dalla bottiglia, fece scorrere rapidamente i contatti sul suo telefono fino a trovare quello giusto.

    Premette il pulsante di chiamata.

    Nonostante l’ora tarda, la persona all’altro capo della linea rispose quasi subito: «Pronto?»

    La voce femminile suonava cauta e guardinga. In sottofondo, Graydon sentiva della musica elfica, rapida e appassionata.

    «Linwe,» esordì lui. Non si preoccupò di presentarsi. Linwe sapeva molto bene chi l’aveva chiamata, anche se si rifiutava di pronunciare il suo nome ad alta voce.

    Attraverso la linea sentì un rapido e leggero rumore di passi, poi la musica svanì. Con quei suoni la sua mente costruì un’immagine. La donna stava uscendo dalla grande sala nella casa degli elfi.

    «Cosa vuoi?» chiese Linwe.

    Lui mandò giù un sorso di scotch. «Non risponde alle mie telefonate, né ai miei messaggi.»

    «Non risponde alle telefonate e ai messaggi di nessuno,» replicò la giovane elfa a voce bassa. «Non porta più con sé il cellulare, non dopo… Non dopo quello che è successo a marzo.»

    Lui serrò il telefono. «Come sta?»

    «Si sta riprendendo, come tutti nel territorio degli elfi. Ascolta, non dovrei parlarti di lei. O raccontarti delle cose. Non mi sembra giusto. Devi smetterla di chiamarmi.»

    «Hai ragione,» rispose. «Devo smetterla.»

    Quando chiuse gli occhi, Graydon rivide i colori. Il bianco, il nero e il rosso, simile a quello delle rose. Quei colori assomigliavano molto al destino.

    «Non è niente di personale,» aggiunse lei, e la sua voce si addolcì. «Le hai salvato la vita. Tutti noi ti siamo grati per quello che hai fatto.»

    «Dille che sto arrivando,» disse Graydon, mantenendo un tono morbido, come quello di Linwe. Morbido, cortese, ma inesorabile. «Sarò lì domattina. Abbiamo delle cose di cui discutere.»

    E un demone da esorcizzare una volta per tutte.

    Il respiro di Linwe divenne udibile. «Non lo farò assolutamente. È andata a letto e presto lo farò anch’io. Graydon, non puoi entrare nel territorio degli elfi senza permesso.»

    «Bene,» rispose lui. «Qualunque cosa tu faccia, non dirlo a Ferion.»

    Riattaccò, spense il telefono e procedette a ficcare le proprie cose in uno zaino. Armi, vestiti, articoli da toeletta, contanti, carte di credito e un paio di sandwich per il viaggio. Quando ebbe finito, salì di corsa le scale fino al tetto, mutò in grifone e prese il volo.

    Di solito la città di New York brillava di splendore, ma la nevicata si era fatta più fitta e oscurava gran parte della sua luminosità. Mentre volava attraverso la notte gelida, sentì il peso delle sue responsabilità verso la Torre cadergli dalle spalle. Nello spazio silenzioso e solitario che restava, si fecero largo altre immagini.

    Solo che quelle non erano immagini del futuro, ma del passato.

    Risalivano a duecento anni prima, quando tutto era cominciato.

    2

    Londra,

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