Storia di un ragazzo ebreo: Diario 1943-1946
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Il dodicenne Leopold Bermann inizia così il suo diario e descrive gli avvenimenti accaduti l'8 settembre 1943: il proclama di armistizio di Badoglio visto con gli occhi di un bambino, le voci che girano a Merano e subito dopo le colonne di carri armati tedeschi che sfilano nel centro della città. Leo vive con sua madre Anna. Il fratello Raffaele è ricoverato in ospedale. Il padre è assente.
All'interno della Comunità ebraica di Merano si capisce subito che restare in Alto Adige non è più possibile. Così anche la madre di Leopold organizza una repentina fuga per mettere in salvo la sua famiglia.
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Storia di un ragazzo ebreo - Leopold Bermann
Prefazione
Federico Steinhaus
Tra la fine dell’Ottocento e la fine degli anni Trenta del Novecento la famiglia Bermann è stata al centro della trasformazione di Merano da borgo medievale agricolo a centro di cura e di vacanza.
Era una famiglia di albergatori, e gli alberghi che i Bermann hanno gestito in quel periodo si sono immediatamente messi in luce per la loro qualità e per l’attenzione che riservavano ai loro ospiti, che erano nella quasi totalità ebrei benestanti provenienti dall’Europa centrale ed orientale.
Simi Berman,¹ la vedova di Leopold che ha condiviso con lui decenni di vita e di esperienze, li descrive così nella prefazione che ha dedicato alla pubblicazione del diario del marito, tradotto in inglese da parte del United States Holocaust Memorial Museum:
In questa comunità [di Merano, n.d.t.] i Bermann erano una famiglia importante. Il bisnonno di Leo, Josef Bermann, era venuto a Merano da Kremsier, in Moravia, per fungere da shochet [l’addetto alla macellazione kasher]. Suo figlio, il nonno di Leo, Maximilian, divenne medico ed aprì il sanatorio Waldpark, nel quale si ritrovavano persone di tutta Europa per fruire della famosa cura dell’uva. […] Qui Anna Tuch, la mamma di Leo, una giovane donna di straordinaria bellezza di Lvov, in Polonia [che oggi si chiama Leopoli e si trova in Ucraina, n.d.t.] venne a Merano con sua madre dopo la morte di suo padre, per fare la cura. Al Waldpark incontrò Siegfried [Friedl] Bermann, il raffinato figlio del dottor Bermann, che aveva studiato agraria all’Università di Perugia allo scopo di unirsi ai pionieri che andavano in Palestina. Anna e Friedl si innamorarono e si fidanzarono. Friedl avrebbe voluto che Anna andasse con lui in Palestina, ma Anna non si sentiva pronta e pertanto lui andò da solo. Si sposarono quando, un anno dopo, lui tornò, ma il suo interesse per lei era nel frattempo calato. Dopo il matrimonio vissero al Waldpark con i genitori, i fratelli e la sorella di Friedl […]
.
Leopold nacque nel 1931, suo fratello Raffaele (Ralfi) era nato due anni prima. Leo imparò da suo padre ad amare la montagna. Raffaele fu affetto tutta la vita da gravi malattie; all’età di quattro anni fu portato in una clinica a Rapallo per curare una peritonite, poi ebbe il tifo, poi ancora la tubercolosi ossea, il che gli rese penosa la vita.
Nel 1935 Friedl, il padre di Leo, si trasferì con la famiglia a Milano, dove aprì un’industria chimica che fabbricava detersivi, e nel 1939, rendendosi conto dei pericoli che incombevano sugli ebrei, partì da solo per l’America.
Anna decise di tornare a Merano coi ragazzi; era un posto in cui aveva molte conoscenze e disponeva di risorse economiche. Benché Merano non fosse un rifugio sicuro per gli ebrei, essi rimasero qui fino all’8 settembre 1943.
²
Quanto successe dopo quella data fatale ce lo racconta Leo nel suo diario. Quegli eventi lo coinvolsero profondamente proprio per la sua giovane età ed influirono su quel che lui sarebbe diventato – un architetto ed un sognatore che trasferì le sue capacità a beneficio della città in cui andò a vivere – Brattleboro nel Vermont – restaurando antichi edifici ed aiutando i suoi concittadini meno fortunati. Simi, la moglie, scrive che questo suo impegno nel custodire il passato come base per edificare il futuro era probabilmente dovuto all’aver sperimentato su di sé il meglio ed il peggio dell’umanità.
Il sanatorio Waldpark a Merano, di proprietà della famiglia Bermann
Leopold (Leo) e Raffaele (Ralfi) Bermann nel giardino del sanatorio Waldpark, 1934
A Merano vivevano anche altri membri della famiglia, ma il trascorrere dei decenni e la dispersione causata dalla Shoah hanno allontanato gli uni dagli altri geograficamente, come è avvenuto per molte altre famiglie di ebrei.
Nel 1873 furono Josef e Katharina Bermann, anch’essi provenienti dalla medesima Kremsier, ad aprire il primo ristorante kasher e pochi anni dopo, nel 1880, affittarono la Pensione Starkenhof per farne un albergo kasher, e ben presto Josef fu in grado di acquistare lo stabile. Furono loro i capostipiti di questa importante famiglia di albergatori, furono loro ad aprire le porte di Merano ad un facoltoso e rigorosamente osservante turismo ebraico, che caratterizzò la città sul Passirio fino a quando le leggi razziali del regime fascista non vi posero termine. Nel 1905 fu un altro Leopold, figlio di Josef Bermann, ad acquistare un vasto edificio che divenne il più noto degli alberghi ebraici, il Bellaria. Negli alberghi dei Bermann soggiornarono personaggi importanti della cultura e della politica, tra i quali Chaim Weizmann, leader sionista e futuro primo presidente d’Israele, e Vladimir Jabotinsky, leader sionista di opposizione, oltre che alcuni dei più noti rabbini d’Europa. Sia lo Starkenhof che il Bellaria avevano una sinagoga privata e quella del Bellaria gareggiava per vastità ed importanza con quella della Comunità, che era stata inaugurata nel 1901. Fu anche un Bermann, Josef, l’ultimo presidente della Comunità ebraica di Merano, prima che le persecuzioni e le deportazioni la cancellassero temporaneamente.
Negli anni Ottanta dello scorso secolo, in preparazione del mio libro sulla storia degli ebrei di Merano (Ebrei/Juden, ed. Giuntina), intervistai a Zurigo Sara, già proprietaria del Bellaria, una delle protagoniste della Merano ebraica nel periodo fra le due guerre. Quando eravamo tornati a Merano negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, lei ci aveva ospitati in un appartamento del Bellaria, oramai non più albergo, insieme ad un’altra famiglia che proveniva dal sanatorio ebraico annesso alla sinagoga. Ho un ricordo vivo del nostro appartamento e delle altre due famiglie che condividevano con noi questo bell’edificio nel centro della città.
Oggi quella che era stata la lussuosa sala da pranzo del Bellaria è stata trasformata in moschea.
Nell’amichevole e rilassata intervista che le feci, Sara rievocò gli anni d’oro del Bellaria e del turismo ebraico a Merano:
"Negli anni Venti, mio marito Josef, che allora aveva 18-19 anni ed era un sionista convinto, ha cominciato