Del resto sono solo una puttana: Lettere a Dafne
By Metilde S
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La sua unica ancora di salvezza per non sprofondare nella più cupa rassegnazione e disperazione in questi anni d’inferno era scrivere. Trasferire su carta l’impetuosa alternanza di rabbia, sofferenza, disperazione e paura le dava il sollievo e il conforto di cui aveva bisogno per restare viva e lucida, per non perdersi nel folle labirinto di gelosia ossessiva, violenza fisica e psicologica.
Questo libro è la denuncia di una donna maltrattata e umiliata dal proprio uomo, suo marito, in preda alla gelosia, ora delirio, e al suo potere di distorcere la realtà insinuando nella mente di chi governa perversioni e falsità. Ma è anche la testimonianza dell'impegno di una donna che, nonostante quotidianamente accusata di ogni genere di infamia e vizio per il solo fatto di vestire i panni naturalmente ispirati, combatte con tutte le sue forze per difendere la propria innocenza e la libertà di essere quello che è: una donna!
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Del resto sono solo una puttana - Metilde S
Metilde S
Del resto sono solo una puttana
Lettere a Dafne
First published by Epocria Edizioni 2023
Copyright © 2023 by Metilde S
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, archiviata o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione, scansione o altro senza il permesso scritto dell’editore. È illegale copiare questo libro, pubblicarlo su un sito Web o distribuirlo con qualsiasi altro mezzo senza autorizzazione.
First edition
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Contents
Preambolo
DEL RESTO SONO SOLO UNA PUTTANA
Un’infamia connaturata
Un umano aspetto
La certezza che uccide
La follia via maestra
La barbarie dell’esclusione
La velata nostalgia delle platoniche case di temperanza
Non mi resta che piangere
Il triste dramma di una negazione
Un amaro tradimento
Una convinzione sanguinaria
Un’angoscia senza mai confine
Un orifizio famelico e vorace
Quell’infausto senso di confusione e disorientamento
Il pattume di un preconcetto
La fine che non c’è
Lungo un tempo oscuro
Esta selva selvaggia e aspra
Quell’abbraccio compromettente
Quel piccolo suggello di buon auspicio
Uno stato marziale dell’anima
La nascita nella libertà
La guerra è dentro
Il seggio dei beati
Maestro di sabotaggi
Maledetto rito di purificazione
Un rituale di sangue sempervivum
Il mondo dentro una panchina
Che fare?
Per sentirla la devi amare
Nelle maglie di un umano arbitrio
Io terra di confine
La voglia di narrare
Non lo posso più sentire
Sembra un altro uomo
Dell’autrice
Della stessa penna
Preambolo
Una voce già arcaica
è ciò che sentirai
se tu percorri coraggioso
li bui cunicoli
de Le segrete di Venere.
- Marcus XXII -
A chi mi rivolgo nei momenti più bui e deprimenti della mia esistenza? Chi è che accoglie la mia sofferenza nell’istante in cui l’ottusità di una mente che odia penetra ogni fibra dentro? E chi è che ascolta le mie urla di rabbia e disperazione per la violenza subita dalla stessa mente che a riservare è soltanto pena e castigo? E poi, chi è che dona sollievo alla mia anima afflitta e seviziata dalle continue vessazioni di una mente che ignora e inibisce?
Di umane fattezze ne ho incontrate molte.
Di conforto e comprensione meno.
Forse è troppo. Per loro.
Per me il troppo non conta.
Non ho altra scelta.
E per non soffocare
per non sprofondare
per non impazzire
affido a Lei
alla mia amata Dafne
verde germoglio
padrona del suolo
legislatrice e istitutrice
di un vivere civile
le mie parole.
DEL RESTO SONO SOLO UNA PUTTANA
Lettere a Dafne
Dici di amarmi.
Chiedo di lasciarmi.
Tu mi accusi e mi condanni.
Tu mi maledici e mi torturi.
Tu mi insulti e mi deridi.
Tu mi perseguiti e mi minacci.
Chiedo di lasciarmi.
Dici di amarmi.
|Marcus Graecus|
Un’infamia connaturata
Mia amata Dafne.
Credevo di averti perduta. Invece sono io, svanita nel nulla, di colpo e senza accenno, senza indizio o pure traccia. Non mi è nuovo, il fenomeno. L’ho già visto accadere altrove, assai più di una vita fa. In quei casi, se non altro, il velo di un passaggio si era fatto già impronta.
Alla stessa maniera, improvvisa e qui brusca, mi sono svegliata, il sogno non più sogno, ora succuba di un genio incubo, sotterraneo ibrido e delirante, lì consacrata a una sorte di inguaribile puttana, prostituta impenitente.
Sento qui il dovere, mia anima e fardello, di chiedere umilmente perdono alle signore intese tutte, meretrici a dare ospizio, fuori e dentro casa. Non è in loro l’accezione, già invenzione di un’economia moderna, rispettabile nell’accordo, amara nell’abuso. Ben più angusta è la veste, più affilato già il verbo, più immonda la condizione quando è il marito a obbligare il laccio, pure pubblico in quello sdegno. E non parlo di istigazione, lungi il pensiero, la pretesa, l’attività. È più intima la dimensione, ben più ingrato il peso dal sapore di antica sorte, cucita ad arte e addosso, iscritta fra le pieghe di un corpo già plebeo, incisa sull’animo di lei or donna dall’assillo di una mente maschia, un dio misogino emulando.
Puttana! Prostituta!
il marchio mio d’infamia in quanto donna austero nome, una natura già ninfomane, l’anomalia innata dote, inveterata tempra, irredimibile colpa.
È così che vuole lui, mio marito.
È così che mi guarda.
È così che mi vede.
È così che mi vive, mia amata causa,
e immancabile ogni nuovo giorno di una vita insieme va brandendo il ferro a imprimere il suo sigillo nella carne già straziata, il mio pianto giusta croce, la mia angoscia sana spina.
Puttana! Prostituta! Non voglio guardare per tua faccia!
Il solo abbraccio divenuto morsa che mi è dato saggiare è quello di un disgusto, di un disprezzo stampato in volto a esasperare un comportamento che si è votato all’annientamento di ogni stilla di vita dentro: perchè donna già immorale in me non vi è valore, non merito la sua attenzione, non sono degna di un sentimento che di amore va campando, la distanza ancor gonfiata a cedere il passo all’avversione.
Io resisto, mi difendo,
non ho fatto niente di ciò che dici!
la tua accusa è ingiusta!
Urlo.
Mi dispero.
Mi torturano le sue parole, i suoi gesti, i suoi spettri, le sue visioni così lontane dalla realtà, dal mio mondo, dalle mie intenzioni.
Ed ecco, mia amata ragione, che a suo dire ne ha conferma, ne ha prova della vergogna, della colpa, della malefatta. Superflua ogni fame di flagranza, il sospetto è già certezza, il falso diventa autentico,
a lui non serve altro
la mia difesa?
soltanto un fastidioso assenso.
A me non resta che la punizione, autentica e per niente falsa: oscuri gironi di rifiuto, ripugnanza e odio capitalizzati che l’età hanno conosciuto. Torquemada ha cambiato volto, ha abbandonato l’antro, rinuncia alla confessione,
oggi sa perchè ha visto
.
A salvarsi dal fardello di un’infamia connaturata è solo lei, l’antica madre - che dio l’abbia in gloria -, essere (nemmeno donna) sommamente venerabile e assolutamente perfetto. A lei, mio vezzo e sorte, è consacrata ogni promessa di lealtà, vicinanza e abnegazione; con lei è a consumarsi quell’amore viscerale, impuri sogni impastando, che a me lui solo canta. Lo scacchiere doppio volto non ne ammette che quell’una di regine alla sua corte, e pure dio ha sgomberato il campo da quell’altro. Chi sono io, mio asilo e tana, per agire contro la volontà del mondo?
Del resto io donna sono solo una puttana.
Un umano aspetto
Mia amata Dafne.
Treccani illustre è ad insegnarmi l’ingiustizia in quei termini di un
"essere ingiusto come disposizione naturale contraria alla virtù della giustizia, all’equità, o come comportamento occasionale"
o in senso più concreto di un
atto ingiusto, non conforme cioè a giustizia, o che comunque costituisce una violazione, deliberata o no, del diritto altrui
.
Con tutto il mio rispetto per lui e il mondo intero, e dal cuore qui