La fanciulla poetessa e l’uomo ciccione
By Leila Mirka
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About this ebook
Leila Mirka, sceneggiatrice e scrittrice, nasce a Teheran nel
febbraio del 1976. Inizia molto presto il suo percorso di scrittura attraverso le poesie. Durante l’adolescenza frequenta ambienti artistici e partecipa ai convegni e agli eventi intellettuali più famosi della capitale iraniana. Ha così inizio il suo amore per la poesia, l’arte e il giornalismo, e a soli diciotto anni diventa giornalista per un famoso quotidiano iraniano. A diciannove anni entra nella facoltà di Teatro e, benché abbia scelto la specializzazione in “regia”, dedica la maggior parte del suo tempo alla stesura di sceneggiature teatrali. Leila è la prima giornalista che, assieme a un team di archeologi italiani, documenta una delle prime civiltà umane al mondo, la cosiddetta Città Bruciata. Nel 2005 emigra in Italia e prosegue gli studi, laureandosi in “Interior Design” presso l’Università degli Studi di Firenze. Qui impara a conciliare la propria passione per la scrittura con l’amore per l’Italia, dedicandosi alla stesura di narrativa e racconti in lingua italiana. Nel 2010, il suo racconto Rosso e Grigio vince il secondo premio del Concorso letterario nazionale “Lingua Madre” del Salone del libro di Torino.
La presente raccolta di suoi racconti è la sua prima pubblicazione italiana.
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La fanciulla poetessa e l’uomo ciccione - Leila Mirka
Leila Mirka
La fanciulla poetessa e l’uomo ciccione
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-6409-8
I edizione settembre 2022
Finito di stampare nel mese di agosto 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
La fanciulla poetessa e l’uomo ciccione
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
illustrazione in copertina di Alessandra Moscatelli
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Leila Mirka
Leila Mirka nacque a Teheran nel febbraio del 1976. Fin dall’infanzia è stata appassionata di scrittura, alla quale si avvicinò attraverso le poesie. A nove anni, durante la guerra fra l’Iran e l’Iraq, mentre la sua città natale veniva colpita dai bombardamenti, fugge lontano dalla capitale insieme alla propria famiglia. Durante gli anni scolastici Leila ha ricevuto riconoscimenti nella pittura e nella poesia e ciò la spinge, seguendo i consigli dei maestri e professori, a tornare nella capitale iraniana e a proseguire i propri studi presso il liceo artistico. Durante l’adolescenza frequentò, grazie al sostegno di un suo insegnante, ambienti artistici e partecipò ai convegni e agli eventi intellettuali più famosi nella capitale, le cosiddette "Notti di poesia di Teheran". Questo fu l’inizio della sua familiarizzazione con gli ambienti poetici, artistici e giornalistici.
Non ancora compiuti diciotto anni, iniziò a lavorare nel giornale "Iran", dove imparò rapidamente il mestiere di giornalista. A diciannove anni entrò nella facoltà di Teatro e, benché avesse scelto la specializzazione in Regia, dedicò la maggior parte del proprio tempo e delle proprie energie alla stesura di sceneggiature teatrali. Durante i tre anni di studio all’Università di Teheran, collaborò con numerosi quotidiani iraniani. Scrisse per le sezioni sociali ma le condizioni politiche e sociali del proprio paese, ovvero una forte chiusura e l’assenza della libertà di espressione, non le permise di avere un’occupazione fissa. A vent’anni recitò in un tele-teatro per la televisione iraniana ma anche quest’esperienza non la soddisfò. Leila non ama i ruoli femminili assegnati alle donne e li ritiene il frutto di un sistema dittatoriale che non ha mai permesso la fioritura dei talenti femminili nel mondo del cinema. Dopo quest’esperienza abbandonò l’attività cinematografica e proseguì in quella della scrittura di sceneggiature teatrali, senza mai abbandonare la sua passione giornalistica. Nell’ultimo anno di università venne sospesa dagli studi a causa di alcuni dei suoi articoli critici nei confronti del sistema universitario.
Nel 2003 iniziò la propria collaborazione con il primo giornale online iraniano: "Agenzia di stampa indipendente chn" (Cultural Heritage News Agency), specializzata nel settore culturale e archeologico.
Leila, insieme ad un team di archeologi italiani, fu la prima giornalista ad aver presentato al mondo la cosiddetta Città bruciata, una delle prime civiltà umane salienti ad oltre tremila anni a.C. e, contemporaneamente, sceglie di occuparsi della rubrica settimanale "Iran Venerdì, venendo incaricata della cura di una delle sue pagine. Nel 2005 emigrò in Italia e proseguì i propri studi laureandosi in
Interior Design" presso l’Università degli Studi di Firenze. Qui imparò a conciliare la propria passione per la scrittura con l’amore per l’Italia dedicandosi alla stesura di poesie e di racconti in lingua italiana.
Nel 2010 il suo racconto "Rosso e Grigio" ha vinto il Secondo Premio del V Concorso letterario nazionale Lingua Madre del Salone del libro di Torino.
La presente raccolta dei suoi racconti è la prima pubblicata in Italia.
*****
"Nella mia vita ho sempre iniziato tutto tardi: A 26 anni ho imparato a nuotare.
A 28 anni sono immigrata e quindi ho dovuto imparare un’altra lingua e in poche parole rinascere.
A 30 anni ho imparato a guidare.
A 40 anni sono diventata madre.
Viceversa, a nove anni ho visto la guerra sulla mia pelle, da adolescente ho sempre lavorato per mantenermi agli studi ed avere la mia libertà. Queste sono le uniche cose che ho vissuto presto.
Se a 46 anni, quindi, riuscirò a raggiungere il mio pubblico, sarà il mio ennesimo successo tardivo. Ben venga!".
Leila
*****
La fermata dei senza futuro
Finalmente m’immergo nella vasca piena d’acqua calda…
Durante l’infanzia m’immaginavo da grande come una persona di successo, con tanti soldi e tanti follower. Non so perché pensavo a queste cose; forse perché guardavo tanta televisione o forse perché mia madre mi ripeteva sempre: Tu terrai vivo il nome della nostra famiglia!
. Accidenti se l’ho tenuto vivo!
Ho riflettuto molto in quale vasca immergermi e alla fine ho deciso di farlo a casa mia. È importante sentirsi bene e stare a proprio agio. Non so perché appena mi rilasso un po’ mi vengono in mente tutti i ricordi del passato. A me il passato non piace ma ci penso sempre.
Mi ricordo di quel ragazzo che da giovane aveva i capelli bianchi. Un giorno che si lamentava dei capelli gli chiesi: «Sei forse un po’ nervoso?».
«Non dire cazzate!» rispose lui.
«È l’eredità di quello stronzo di nostro padre. Invece di lasciarci i quattrini, c’ha lasciato solo questi capelli!».
Parlava sempre di sé al plurale. Io non dissi niente. Aveva un carattere forte ed era orgoglioso: lui era nato per essere un leader. Con il suo gruppetto andavano ad ammazzare i gatti e spesso finiva in rissa con i ragazzi del quartiere vicino.
Lo conobbi un anno fa quando mi fermavo sotto casa dei miei e lo guardavo sparare ai gatti di strada. Era il suo divertimento preferito. Vestiva sempre bene. Indossava spesso jeans neri con una giacca di pelle color marrone. Aveva la pelle olivastra e i suoi capelli bianchi erano sempre pettinati e tirati indietro con tanto gel. Quando sparava col fucile, il ciuffo gli ricadeva sul viso fino a coprire i suoi occhi. Soddisfatto del risultato mentre guardava la cacciagione sofferente, con un gesto smorfioso faceva ritornare i capelli indietro. Ma l’orgasmo finale lo raggiungeva solo quando il branco lo applaudiva. Sapeva di essere bello e le ragazze ne andavano matte.
Un giorno mi avvicinò e mi disse: «Che guardi?».
Lo guardai ancora