Cercando una parola che ascolti
()
About this ebook
L'autore è un sacerdote e vive in una comunità, dove tante persone si aprono alla vita, passando proprio per quest'esperienza: l'ascolto, di sé stessi e della vita che ci circorda.
Related to Cercando una parola che ascolti
Related ebooks
Gli aquiloni sono pazzi Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsBuio artificiale Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsLa trilogia delle lune Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsPirlare impasti d'anima: fluire ininfluente Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsRicordi e Rimpianti Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsLa poltrona rossa Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsNell'ombra delle donne: scelte d'amore Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsEudaimonia: Poesie e la storia dell'angelo bruno. Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsTutto inutile. Praticamente. Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsPensieri, parole, opere, distorsioni Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsSterpaglia Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsGuardando dalla finestra Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsMonolito Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsImmersa Nel Blu Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsSono una struttura pericolante Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsLago nero Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsBrandelli di sogni, di me...: TENTAZIONE Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsUn'altra vita Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsIn chiaroscuro Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsNoctis Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsTi aspettavo da una vita Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsL'Intima Essenza: La via degli haiku Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsGelsomino Giallo: Poesie Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsOmbra Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsUn ponte tra la vita e la morte Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsCerco un'anima Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsPensieri di una mente incostante Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsUn tuffo nel profondo Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsLettera precambriana ai seguaci di Filippo Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsBinari Paralleli Rating: 0 out of 5 stars0 ratings
General Fiction For You
I Malavoglia Rating: 4 out of 5 stars4/5Il nome della rosa di Umberto Eco (Analisi del libro): Analisi completa e sintesi dettagliata del lavoro Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsI fratelli Karamazov Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsLa Divina Commedia: edizione annotata Rating: 4 out of 5 stars4/5Il maestro e Margherita Rating: 4 out of 5 stars4/5La metamorfosi e tutti i racconti Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsLa coscienza di Zeno Rating: 4 out of 5 stars4/5Le undicimila verghe. Il manifesto dell'erotismo Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsL'idiota Rating: 4 out of 5 stars4/5Lotta fra titani Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsI capolavori Rating: 4 out of 5 stars4/5L'isola misteriosa Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsConfessioni di uno psicopatico Rating: 4 out of 5 stars4/5Il Diario di Anne Frank Rating: 4 out of 5 stars4/5Tutte le fiabe Rating: 4 out of 5 stars4/5Tutti i racconti, le poesie e «Gordon Pym» Rating: 4 out of 5 stars4/5Le più belle fiabe popolari italiane Rating: 5 out of 5 stars5/5Faust Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsTutti i racconti gialli e tutte le indagini di Padre Brown Rating: 3 out of 5 stars3/5Alla ricerca del tempo perduto Rating: 5 out of 5 stars5/5Leggende del mare ed altre storie Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsViaggio al centro della terra Rating: 4 out of 5 stars4/5I magnifici 7 capolavori della letteratura erotica Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsDecameron Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsLa biblioteca perduta dell'alchimista Rating: 3 out of 5 stars3/5Storia di una ninfa Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsOpere Complete di Italo Svevo (Italian Edition) Rating: 0 out of 5 stars0 ratingsLa casa sull'abisso Rating: 3 out of 5 stars3/5Le affinità elettive Rating: 4 out of 5 stars4/5Il giardino segreto Rating: 0 out of 5 stars0 ratings
Reviews for Cercando una parola che ascolti
0 ratings0 reviews
Book preview
Cercando una parola che ascolti - Alessio Ugo Ughetti
Alessio Ugo Ughetti
Cercando una parola che ascolti
Edizione a cura di Pasquale Di Donato
Copertina e grafica: Serena Fattibene
Fotografie: Claudia Amatruda
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente casuale.
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.
UUID: 5a7ba66c-d99f-11e7-aafd-17532927e555
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
UUID: 3b055a7b-7af6-482f-a636-8d3ae02fd9a1
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
https://writeapp.io
Indice dei contenuti
Ascolta
Lasciare
Essere letti
Tentativi
L’antidoto
Lontani e vicini
Solo
Reagisci
Solo
Incontro
Ruit hora
Il mare
Ruota che gira
Solo
Madre
Lontani e vicini
Festa
La vita
A gambe incrociate
Tentativi
Fantasia
L'inaspettato
Passeggiando
Lasciarsi condurre
Aprire le ferite
Primavera
L'anima che è il mare
Terra di passaggio
Danzare sotto la pioggia
Libero di essere figlio
Fragile corazza di solitudine
Sofia
Dipingere il buio
Essenziale (in)visibile oltre
Essere letti
Natale
Madre
Nudità
Sahar
Sahar
La poesia della quotidiana prosa, dal cuore
Ancora dal cuore, in versi
Amore e Psiche
Profondo e leggero
Sahar
L'abisso
Notte e aurora
Aurora
Al di là dei sogni
A te, che sai dipingere il buio sulle note della passione,
dal profondo più profondo di me.
...E la vita continua a chiamarti
immagine 1Ascolta
La mia stanza è una prigione, un’oscura prigione appena rischiarata da una fredda, pallida luce al neon, non illumina dentro.
I miei nervi tesi, tirati, gridano un bisogno carnale di libertà, di essere me stesso. Come mi appare inospitale la città là fuori! Fredda anch’essa, è una scatola che racchiude, ibernandole, dolcissime emozioni, cinicamente bloccate, ma che rimane misteriosamente romantica. Sì, crudelmente romantica nella sua glaciale freddezza. Lì l’ho incontrata la prima volta, in quel surreale scenario allora così intimo: com’era bella! Nei suoi occhi brillava una promessa di felicità. Chissà... – mi domandavo tremante – quello sguardo è davvero una porta aperta che mi permette di sprofondare piano, dolce, nelle profondità del suo cuore? Oppure mi sto ingannando, sto costruendo tutto io?
.
Abbiamo cominciato a frequentarci, ed è stato un incredibile cuore a cuore! Stando insieme anche le cose più banali o ridicole parevano un sogno che inaspettatamente si veniva realizzando sotto i nostri occhi, nelle nostre vite.
Poi poco fa, qui, nella stessa città del nostro primo incontro, in un attimo senza più palazzi né macchine, mi ha guardato sofferente e dolce, come se non volesse farmi troppo male:
«Senti, è bene che per un po’ non ci vediamo più!».
«Come! Credevo stesse andando bene, stavo già sognando di organizzarci per vivere insieme».
«Luca, ho perso il lavoro! Non torno più a Bologna».
Ho provato una fitta al cuore: «Mi spiace, ma… non ti preoccupare, insieme ce la faremo! Io ti amo!».
«Luca, non è questo, non è il lavoro… cercherò… ma è che sono confusa, non riesco a spiegarti, adesso. Ho bisogno di qualche settimana di distacco».
«Set-ti-ma-na?!».
Ci siamo scambiati qualche parola di circostanza, parole imbarazzate, quindi mi ha dato un bacio sulla guancia e «ciao» – mi ha detto, con voce sottile, tremante ma tremendamente decisa.
Sdraiato sul letto della stanza d’ostello in cui mi trovo, chiudo le palpebre: riporto alla mente quello sguardo, quell’ultimo sguardo carezzevole di chi non vuole farti troppo soffrire, e per questo forse ti fa stare ancora più male, come si sente male la durezza accanto alla tenerezza. Vorrei amarla, così come è, e vorrei capire (maledetta testa) se è mai possibile che la dolcezza di questi due anni possa svanire così, improvvisamente, misero sogno alla luce di uno scioccante risveglio!
Ma è proprio vero che è stato tutto così improvviso? Un’angoscia mi attanaglia, sale dentro da non so dove. È già da un po’ che lei era diversa: più chiusa, a volte si perdeva con lo sguardo come se vagasse con la mente, sfuggente… e io, io le ho mai chiesto con calma come stesse davvero? Come si sentisse in quei momenti?
Terrore: forse ho sottovalutato quei segnali, forse ho detto cose che l’hanno ferita o che hanno cercato di distrarla maldestramente dai veri sentimenti che stava vivendo e che mi spaventavano. Forse ho cercato di attirarla nella bolla di un abituato, spensierato star bene insieme, minimizzando da pachiderma tante piccole cose… e forse il nostro star bene era solo mio!
Giro un attimo lo sguardo e osservo la parete bianca della stanza d’ostello in cui mi trovo: un solo quadro, un bozzetto di Chagall, appeso. Macchie di rosa e verde sbiadite nel pallido squallore che mi circonda. Queste mura sono una prigione. Mi pare di contemplare lei, Elisa, da dietro le sbarre di questa bianca cella, senza possibilità di raggiungerla.
E mi sento ancor più prigioniero di me stesso, del mio passato: prigioniero di parole che forse hanno rivelato di me qualcosa che non è pienamente vero, o che possono essere suonate ambigue, o che possono averla spaventata... Quel passato, che fino a poco fa era un presente così spensierato, ora mi schiaccia come un macigno per la sensazione fastidiosa, terribile, di non poter più riparare, di non poterle più stare accanto, chiarire, toccarla, ascoltarla, baciarla e accarezzarla ancora e ancora e ancora.
Un moto di reazione, non troppo deciso, mi fa sobbalzare: Tutto passerà, ne sono convinto, tutto passerà, con o senza di lei!
. Cerco così di addormentarmi dietro le sbarre di quella cella, nell’amara dolcezza di chi racconta a se stesso, fingendo di credere alla propria menzogna, che va bene così, che tutto davvero passerà. Mi sento un’aquila che, trafitta all’improvviso da un dardo infuocato, stramazza a terra e si agita impacciata dalle grandi ali dei suoi desideri, ed è così goffa nel suo dimenarsi! Ridicola. Vorrei svenire in un sonno profondo, sperando che la notte sia materna e apporti qualcosa di nuovo all’agitazione che mi fa fremere.
Perché gioia e dolore sono così vicini? Perché ci si può illudere di stare amando davvero, mentre forse si sta amando senza amore?
Gioia e dolore, l’amore è la fonte di entrambi: è la morbida tenerezza dei cuori che, quando si incontrano, produce la gioia; sono le spine che li proteggono a provocare dolore. E separarsi dopo essersi incontrati lascia smarriti, vuoti e persi.
Dio, dove sei? Questa notte, notte di confusione, avrei bisogno di te, se esisti veramente. Ma anche lui è assente, inerte, senza lacrime né sorriso. Tutto in questa notte è vuoto.
Notte assente, vuota di stelle.
Peggio,
notte popolata di gelide stelle ammiccanti
sarcastiche nel riso.
Il cuore è in colpa.
Lo stesso tenero cuore
piange
puntandosi il dito contro.
Tu… vergogna… tu…
sussurra il cuore deluso a se stesso,
amaro.
E quel tu accusato sono io,
io accuso me stesso mentre,
lacrimevole,
chiedo pietà.
Amara contraddizione!
La notte stellata di romanticismo è sorriso di beffa,
freddo,
labbra senza cuore.
Il dolore pare banale
di fronte al dolore del mondo.
No! Inganno, inganno insensibile.
Accarezzare dovrei il mio dolore,
ascoltarlo,
rispettarlo.
Non è uomo chi rifiuta di sentire se stesso
pretendendo di sentire l’altro.
Peggio,
chi rifiuta di sentire se stesso
per fingere di sentire l’altro.
Il mio dolore d’amore
è sguardo intenso,
carnale vita,
che chiede di essere assaporata,
non più ibernata,
assaporata di nuovo.
Il pentimento è desiderio di vita,
di vivere ancora e ancora e ancora.
E guarda in volto la disperazione,
languida, seducente.
E lo scoraggiamento,
che di ogni desiderio è morte.
Morte sconsolata, affascinante, smaliziata.
Vorrei accarezzare il dolore ma non riesco.
Dentro il buio gelido della notte.
Lasciare
Dove sono? Una notte nera affollata di sogni troppo vivi per farti dormire…
Che nottataccia! Un uomo dallo sguardo grigio e il risolino tra il compassato e il sarcastico mi sibila nel sonno con voce sottile, quasi metallica: «Bravo scemo, te la sei fatta soffiare da qualcuno… ora starà tra braccia più calde e soprattutto più comprensive delle tue». Poi assume un’aria cattedratica, da maestro: «Che romantico che sei… rincoglionito dal tuo pensare solo a te stesso!».
Mio Dio, ci manca solo un uomo che nel sogno ti ghigna contro tra lo sbeffeggiante e lo psicologico... ma da dove salta fuori?
A volte la notte è estenuante più del giorno, quando fallisce nel tentativo di narcotizzare il dolore e invece lo amplifica, svelandone le oscure radici che giacciono nelle profondità del cuore.
Il cuore! Che casino!
Poi mi ritrovo in una prateria immensa, sterminata, e all’improvviso un orco, di quelli con la testa verde e due dentoni che sporgono dal labbro inferiore, mi grida furioso: «Solo, solo, solo... da questo vuoto non uscirai, mai mai mai!». Poi fa come per avventarsi contro di me, con l’aspetto goloso e voglioso di chi vuole farsi una bella colazioncina ingoiando uomini scoraggiati di se stessi.
Io scappo col volto perlato di quel sudore che ti sorprende nei momenti di panico, materializzando l’ansia che ti porti dentro.
Poi, all’improvviso, l’orco scompare ed ecco giungere da non so dove una voce dolce, supplichevole:
«Vieni, vieni!». È una voce rotta da lacrime. Sì, è lei, con la chioma bionda… è sdraiata per terra, adagiata sul manto verde della grande prateria. Mi inginocchio tremante accanto a lei, sussurrando:
«Eccomi, sono qua, perdonami». E mi chino per baciarla sulla guancia. Elisa si scosta e si gira verso di me, sollevando gli occhi ancora umidi. Non dice nulla. Nel suo sguardo c’è la delusione fredda e irreparabile di chi percepisce una distanza incolmabile nel cuore dell’altro. Ma non sembra soffrirne troppo. Continuiamo a guardarci negli occhi in silenzio, e in quel silenzio mi sembra di cogliere che in fondo lei si sente sollevata per la possibilità di chiudere la nostra storia e aprire un altro capitolo nella sua vita, anche se non ha il coraggio di dirmelo perché non vuol farmi soffrire troppo.
«Ciao» – mi dice piano all’improvviso per poi scomparire, lasciandomi sotto il grigio perlaceo del cielo e il verde umido del prato.
Solo. Silenzio e solitudine.
Non mi ero mai reso conto di come i colori, quando dentro è tutto scuro, potessero rabbuiarsi e divenire sfumature della notte.
Apro gli occhi di scatto, sudato. Vado verso la finestra, barcollante. Ho bisogno di aria, ho bisogno di vita.
La dolce luce, inebriante, del mattino scalda la pelle: è quella luce liquida del sole di settembre che porta in sé la promessa dell’autunno e pare bagnare i palazzi alti di quel quartiere di cemento, rendendoli per un attimo più leggeri, opachi scrigni che custodiscono insospettati sogni di persone vive. E ferite.
Il treno parte fra due ore.
Mi lavo i denti, senza guardarmi troppo allo specchio per paura della mia faccia sfatta, faccio la valigia, pago la camera, salgo sulla metro, arrivo in stazione... tutto mi sembra un finto scenario che guardo inebetito, distratto, come si trattasse di un film girato per altri. In primo piano nella mia mente, nitidi, solo gli occhi e i contorni di lei: Elisa. Mi sembra che possa sbucare da un momento all’altro, uscendo da un vicolo o da un bar… oppure lì, ferma ad un binario della stazione. Ma la vita non è un film, fa molto più male. E dire che al cinema quasi quasi godi mentre ti struggi nei finti tormenti amorosi degli altri. Ora non c’è godimento né poesia, solo stordimento.
Essere letti
Il treno regionale stride contro le rotaie, furiosa scatola indifferente ai miei sentimenti invisibili eppur così materici, carnali, reali. Davanti a me una donna sulla quarantina guarda dal finestrino, persa in chissà quale mondo. È la prima volta che ho la sensazione della vertigine pensando a quanto abissale possa essere il mondo di sentimenti che ci portiamo dentro, il mondo dell’amore e quello del dolore, il mondo dei sogni e quello delle delusioni. E la terra mi appare come una stupida palla, troppo angusta per contenere tutta quella marea. E troppo sperduta nell’universo, questo sputo d’universo, per contenere l’immensa preziosità dei cuori: che davvero l’uomo sia un essere inutile e il suo un inutile dolore? E l’amore soltanto una delle sue tante passioni tristi?
Il solo pensiero mi fa rabbrividire e stride, peggio delle ruote del treno contro le rotaie, stride in modo assordante con l’intensità del mio dolore: bruciante, acuto, tagliente, affilato. Penso al dolore come a una spada che trafigge dentro: tutto comincia a sanguinare, tenerezza, stupore, speranza, futuro, tutto è trapassato con gusto sottile e cinico dalla lama affilata del dolore che fende la carne del cuore da parte a parte.
Proviamo a leggere o impazzisco
mi dico esausto aprendo il mio bel libro di Gibran. L’occhio cade su dei versi che paiono scritti giusto per me:
"Gli altri vedono in te una bellezza
che passa più velocemente dei suoi anni.
Ma io vedo in te una bellezza che non sfiorirà mai.
E ancora nell’autunno dei suoi anni
non avrà da temere a guardarsi allo specchio, perché non verrà umiliata.
Io solo amo ciò che è in te e che non si vede".
A volte la vita è misteriosa, pare... viva! E ti segue con occhi strani, non so ancora se benevoli o sadici, incrociandoti all’improvviso in quello che stai sperimentando. Le chiamiamo coincidenze, sì, quelle coincidenze che ti fanno trasalire perché un sogno, magari piccolo, diventa realtà in modo inaspettato, come se mani invisibili ti stiano conducendo dove da solo manco speravi d’arrivare. Anche se questo miracolo in genere dura solo un attimo, effimero, sfuggente. Oppure quelle coincidenze che ti fanno trasalire, perché ti pare che persone, discorsi, versi, racconti, paesaggi improvvisamente ti stiano parlando... e hai paura come si ha paura quando qualcuno ti guarda dritto negli occhi, magari dopo mesi o anni di inutile silenzio.
Ora Gibran mi apre l’orizzonte insospettato di un amore vero. Proprio ora! Non potevi dirmelo prima! Sì, è vero, questo è amore! Amore più forte dello scorrere del tempo che, fiume inesorabile, inevitabilmente scava solchi profondi nel volto e nel cuore. Perché attinge in profondità la propria forza, perché vede dentro.
Ma io vedo in te una bellezza che non sfiorirà mai
.
Io amo e voglio amare ciò che è in te e che non si vede… Posso davvero amare così? Anche se cambiasse (che stupido, è già cambiata!), se mi deludesse, se… Gli infiniti se della vita (ventaglio temibile di possibilità che la fantasia di milioni di uomini non ha saputo esaurire) mi spalancano davanti il fitto buio, palpabile, materico, dell’incertezza. E l’incertezza apre, spalanca la voragine dell’angoscia, dell’inadeguatezza e debolezza… Potrei amare così? Di certo vorrei, anche solo per un attimo vorrei vedere con gli occhi di Gibran (che occhi sono, cosa vede?). Esiste un amore che riversa sempre l’inebriante dono di un incontro rinnovato, circonfuso di una dolcezza che non è mai negata e che, anzi, cresce incessantemente e si rinnova di giorno in giorno?
Sempre: parola di piombo, piccola e pesante, che fa gettare la spugna e cadere le braccia in segno di resa a milioni di uomini.
Getto un’occhiata fuori dal finestrino, col libro aperto su quella pagina misteriosa e provocante, che parla dell’esperienza che un uomo pare aver vissuto proprio per me. La testa è stanca di questi ragionamenti così immensi, in cui i desideri e le paure dei cuori di tutti i tempi e luoghi paiono annegare.
Ora, nella mente, solo lo sguardo di Elisa. Il suo bacio. Bacio di Giuda. Ciao
. Negli occhi e nel cuore forse un addio.
Sprofondo in un sonno questa volta senza colori, il libro aperto sulle mie gambe. Sto viaggiando in un tunnel, ma non so verso dove.
Non so se ne uscirò.
Tentativi
«Allora, com’è andata?».
«Bene mamma, bene!» – rispondo con un sorriso che mal cela sotto un velo di menzogna la mia angoscia.
«Elisa come sta?» – incalza, credo abbia intuito qualcosa.
Varcata ormai con me la soglia dell’infanzia e dell’adolescenza, mamma è divenuta quasi infallibile nell’intuire il mio vero volto, anche quando cerco di trincerarlo dietro abilissime maschere di cera. La cosa mi infastidisce un casino.
«Allora, come sta Elisa?».
«Benino».
«Non sembra».
«Che ne sai tu, l’hai vista forse?».
«La vedo riflessa nella tua faccia tirata e nel tuo sguardo pensoso, assente».
Odio quando fa così.
«Dai, non farmi la radiografia, sono solo un po’ pensieroso!» – dico con tutta la gentilezza che riesco a raccogliere dentro per non mandarla a quel paese, gentilezza depositata in qualche angolo della mia anima stufa.
«Ok» – tace continuando a mangiare.
Fisso un attimo i suoi grandi occhi marrone chiaro, che rivelano trasparenti tutta la dolcezza incapace alla resa di cui profuma il suo amore di madre. Le faccio un sorrisino ebete tra il grato e l’infastidito. Grato perché mi