Appunti di geologia II: Introduzione alle mineralizzazioni idrotermali della Bocciarda
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Appunti di geologia II - Emanuele Tosco
1 - PRESENTAZIONE E UBICAZIONE DELL’AREA
L'area interessata da questo studio ricade all'interno di una porzione del Massiccio Cristallino del Dora-Maira, e precisamente in un ristretto settore della bassa Val Chisone sito sul versante sinistro a nord dell’abitato di Perosa Argentina.
La ricerca bibliografica è stata svolta ricercando, oltre che all’interno degli Annali del Distretto Minerario di Torino, anche all’interno degli archivi dei comuni di Perosa Argentina e di Coazze; pare infatti che il minerale estratto venisse trasportato a Forno di Coazze per la lavorazione.
Essa è stata sede di passate attività minerarie: la Mappa Comunale di Perosa Argentina datata 1772, contiene un riferimento al Rivo delle Miniere
ed al Combal dei Ferrieri
; di tali miniere è accertato che negli anni 1625 - 1626 con il ferro estratto venivano forgiate palle da cannone (AA. VV., 1977 con bibliografia).
Alcuni documenti relativi alla seconda metà del 1800, il più delle volte indecifrabili, riguardavano alcuni permessi di coltivazione rilasciati al Cav. Tron, mentre non si faceva menzione né dell’assetto strutturale dell’area sede della coltivazione, né tantomeno dell’esatta configurazione delle gallerie.
Solo nel 1994 grazie al progetto L’oro nelle Alpi Occidentali
a cura dell’AQUATER, la mineralizzazione della Bocciarda è stata nuovamente oggetto di studi.
Proprio in questo lavoro l’area oggetto di questa tesi viene inserita all’interno di Comba della Miniera e Comba di Vozzè; i riferimenti toponomastici risultano essere comunque differenti a seconda della fonte interpellata.
Non essendoci precisi riferimenti toponomastici è possibile circoscrivere l’area sede dell’attività estrattiva con esattezza unicamente tramite coordinate geografiche rilevate attraverso il sistema satellitare G.P.S.
È comunque possibile fare riferimento alla carta geologica allegata per posizionare con esattezza ogni singolo affioramento, nonché alla figura n. 1-1 per una semplice ed intuitiva collocazione dell’area presa in esame:
• A - N 44° 59' 56.7'' - E 7°12' 16.8''
• B - N 44° 59' 50.0'' - E 7° 12' 17.5''
• C - N 44° 59' 44.9'' - E 7° 12' 16.0''
Ho ritenuto comunque opportuno, per motivi di semplicità, riprendere e mantenere i riferimenti toponomastici proposti durante lo studio sulle mineralizzazioni aurifere delle Alpi Occidentali, scelta suggerita anche in previsione di una sostanziale semplificazione durante la fase di confronto tra i dati della presente tesi e quelli ottenuti durante lo studio AQUATER (1994).
L’area, posta a quote non molto alte (si va dai 1.500 ai 1.700 metri), si sviluppa prevalentemente in un tratto di versante completamente privo di copertura arborea e ricoperto da uno strato eluvio-colluviale non troppo potente.
Gli aspetti che più sono stati presi in considerazione dagli studi precedenti sono stati essenzialmente di carattere strutturale e petrografico; per ciò che riguarda la parte giacimentologica, si può dire che solo le miniere di talco della zona sono state ampiamente studiate e, alcune di esse, risultano attualmente in fase di coltivazione.
Le finalità di questo lavoro sono proprio quelle di colmare, se pur in piccolissima parte, questa lacuna; verrà infatti presa in esame una manifestazione idrotermale filoniana che, pur non presentando un'attività estrattiva particolarmente interessante, per altro interrotta già da parecchi anni, presenta alcune particolarità degne di nota.
Il lavoro è articolato essenzialmente in cinque punti fondamentali:
Per ciò che riguarda il rilevamento geologico, eseguito alla scala 1:2.000, è stato condotto usando come base topografica l’elemento n.172034 della Carta Tecnica della Provincia di Torino alla scala 1:5.000, prodotto mediante ripresa aerea effettuata nell’anno 1990 ad una quota media di volo di 3.000 metri dall’impresa SIAT s.r.l. di Roma e successivamente ingrandito. L’area rilevata ricopre una superficie di circa 1.8 chilometri quadri e comprende unicamente la porzione circostante i filoni idrotermali. Compilata alla scala 1:2.000, la carta mette in evidenza i rapporti principali tra le varie litologie delle rocce incassanti, nonché le principali strutture presenti. Sono stati identificati quattro litotipi differenti più alcune variazioni locali illustrate più avanti mediante l’ausilio di un ampio supporto fotografico. All’interno dell’area studiata ho effettuato un rilevamento strutturale di dettaglio dividendo l’area a scacchiera
in ventisette piccole sub-aree (fig. n. 1.2). Ogni sub-area è stata inizialmente trattata a parte e solo alla fine i dati raccolti sono stati accorpati ed interpretati. Questo tipo di rilevamento è stato eseguito sia per mettere in luce i rapporti geometrici tra i diversi litotipi, sia per poter ubicare con la massima precisione i campioni raccolti. La divisione in sub-aree permette di rilevare variazioni giaciturali della scistosità anche se minime. L’intensità del colore in fig. n. 1.2 è riferito unicamente alla densità dei dati raccolti, questi aumentano man mano che ci si avvicina ai filoni; i numeri uno e due si riferiscono ai filoni a quarzo + feldspati, il tre al filone a quarzo + carbonato. La percentuale d’affioramento è decisamente elevata, circa il 60-70%; per ciò che riguarda i filoni è necessario ricordare che essi affiorano, se si esclude una minuscola porzione peraltro sterile, unicamente all’interno dell’incisione fluviale.
Fig. n. 1.2 - Divisione delle sub aree all’interno della zona rilevata
Studio dei campioni raccolti sia macroscopicamente che microscopicamente mediante l’utilizzo del microscopio ottico a luce trasmessa e riflessa;
analisi chimiche effettuate mediante microscopio elettronico a scansione (S.E.M.), sui minerali principali e caratteristici dell’area; analisi mediante I.C.P. di alcuni cristalli di arsenopiriti al fine di rilevare una eventuale presenza di oro;
studio sulle inclusioni fluide e sui relativi prodotti di decrepitazione mediante microscopio elettronico a scansione (S.E.M.), al fine di determinare la composizione chimica del fluido mineralizzante;
studio del quarzo relativo ai filoni a quarzo + feldspati e a quarzo + siderite in catodoluminescenza.
Il prodotto finale dell’elaborazione dei dati raccolti si presenta articolato in più parti: la prima parte viene dedicata alla ricerca bibliografica in modo da delineare un inquadramento geo-giacimentologico delle Alpi Occidentali, nonché dell’area presa in esame.
La seconda parte tratta, invece, più specificatamente l'area di tesi, prendendo inizialmente in esame la geologia generale della media Val Chisone e di conseguenza di questa porzione di Dora-Maira, con particolare attenzione alle mineralizzazioni idrotermali in essa presenti.
All’interno delle note di terreno, supportate da una carta geologica alla scala 1:2.000 allegata, vengono illustrate la petrografia e la mineralogia della zona; il supporto fotografico è stato inserito sia direttamente all’interno del testo, sia su file visionabili separatamente, inseriti all’interno del CD-ROM allegato.
La minerochimica dell’area relativa alle principali fasi delle rocce incassanti, nonché di quelle metalliche presenti sia all’interno delle incassanti, sia nei filoni idrotermali, verrà proposta mediante il supporto di tabelle riportanti i dati ottenuti mediante microsonda.
Ulteriori dati circa le varie alterazioni presenti, sia idrotermali che meteoriche, verranno trattate in un sotto capitolo collegato alla petrografia.
Lo studio delle inclusioni fluide che, assieme ai dati petrografici, si è rivelato fondamentale nell'estrapolazione delle considerazioni conclusive, verrà trattato in sotto capitolo a parte.
Infine, l’analisi in catodoluminescenza del quarzo presente nelle due diverse tipologie di vene, ha permesso una ulteriore distinzione per ciò che riguarda i filoni idrotermali.
Per quanto possibile si è sempre cercato di mantenere distinti i due tipi di filoni, ove questo non è stato possibile, si è cercato comunque di procedere al maggior numero di distinzioni possibili.
2 - Quadro minerario d’insieme
Il grado di conoscenza nelle mineralizzazioni associate al massiccio del Dora-Maira risultava essere, in un passato non remoto, alquanto deficitario ed approssimativo, derivando infatti, quasi esclusivamente, da un'accurata analisi della documentazione, peraltro scarsa ed incompleta, esistente al riguardo.
Dati più circostanziati e di ordine diretto erano stati conseguiti in seguito allo studio, relativo alla sola mineralizzazione di Roccabruna, eseguito al seguito della Convenzione Programmatica Italia Settentrionale (AQUATER, 1994).
Nel Massiccio del Dora-Maira sono presenti numerose e tipologie di manifestazioni metallifere, raggruppabili, sulla base di alcuni parametri discriminanti, nei sottoelencati insiemi:
Merita comunque segnalare che esistono sia mineralizzazioni filoniane discordanti, che orizzonti mineralizzati concordanti con le rocce incassanti.
Sempre dalla Convenzione Italia Settentrionale
(AQUATER, 1994), si evince che il maggior numero di manifestazioni metallifere ricade nell'ambito degli Ensembles
di Dronero e degli gneiss glanduleux
(basamento polimetamorfico), descritto a suo tempo da Vialon, mentre un numero più limitato ricade negli Ensembles
di Pinerolo e Sampeyre.
Infine, per completare ed integrare gli elementi e le osservazioni di carattere generale fin qui esposte circa le mineralizzazioni del Dora-Maira, si riportano di seguito i risultati acquisiti tramite lo studio relativo alla Convenzione Programmatica Italia Settentrionale circa le manifestazioni di Roccabruna in bassa Val Maira (AQUATER, 1994).
Questo intervento era consistito in una limitata campionatura alluvionale (cinque campioni), a valle delle zone mineralizzate, nonché di una campionatura in roccia (anche qui cinque campioni), su due manifestazioni a pirite.
I concentrati dei campioni alluvionali erano caratterizzati dalla presenza di epidoto, granato, magnetite, tormalina, anfibolite, ematite e rutilo in ordine di abbondanza decrescente; tra le fasi a solfuri era presente in quantità relativamente abbondante solo la pirite più o meno ossidata; il contenuto in oro dai dati analitici non risultava essere mai nullo, e raggiungeva punte fino ad un massimo di 2.5 ppm.
I campioni litoidi prelevati sia in discarica che su qualche affioramento mineralizzato avevano mostrato contenuti in Au degni di interesse (valori medi intorno ad 1 ppm con un massimo di 14.24 ppm).
Le informazioni provenienti dagli studi minerografici confermano la presenza di pirite prevalente, molto alterata a limonite, a cui si associano tracce di calcopirite.
Circa 3 km a valle di questa mineralizzazione era stato raccolto, nel Rio Romarolo, un campione alluvionale, nel cui concentrato l'indagine mineralogica aveva evidenziato esclusivamente la presenza di modeste quantità di pirite più o meno ossidata.
Questa manifestazione ricade entro gli gneiss occhiadini omogenei (ensemble Gneiss Glanduleux
di Vialon), ed in prossimità di limitati affioramenti di micascisti e gneiss minuti granatiferi con locali intercalazioni di scisti grafitici attribuibili all'insieme di Pinerolo; inoltre essa sembra essere in relazione spaziale con la zona assiale di una grande piega anticlinale.
3 - MINERALIZZAZIONI DELLE ALPI OCCIDENTALI
Le mineralizzazioni presenti all’interno delle Alpi Occidentali rappresentano senza dubbio un interessante oggetto di studio; è necessario, però, suddividerle a seconda del minerale estratto e, all’interno di questa suddivisione, è utile distinguere ulteriormente i giacimenti a seconda della loro genesi.
Nei sottocapitoli che seguiranno sarà proprio questo il sistema da me utilizzato nella descrizione dei giacimenti, con particolare attenzione per quelli auriferi.
3.1 - MINERALIZZAZIONI AURIFERE
Le mineralizzazioni aurifere all’interno delle Alpi Occidentali hanno rappresentato un interessante oggetto di studio sin dall’antichità.
Le prime notizie circa una loro utilizzazione a livello estrattivo, risalgono infatti a Strabone e Plinio il Vecchio, ma pare attendibile che già in età pre-romana i Salassi si dedicassero a tale attività.
Le conoscenze a riguardo risultano essere comunque frammentarie e, nonostante il grande interesse che da sempre ha circondato questo tipo di mineralizzazioni, è necessario attendere il 1943 per ritrovare un primo studio di una certa importanza, studio questo condotto da Stella sui principali giacimenti auriferi delle Alpi Occidentali.
Nel 1960 Cevales si occupò degli aspetti più importanti dei giacimenti minerari del Gran Paradiso.
Un resoconto di tutti i maggiori giacimenti minerari delle Alpi, con dati riguardanti sia il contesto geologico e petrografico nel quale le varie mineralizzazioni venivano a trovarsi, sia le procedure estrattive e relativi tenori estratti del tempo, è stato affrontato da Bottino et al. nel 1975.
L’affinarsi delle tecniche di indagine, permise a Lattanzi et al. (1989), di studiare in modo molto approfondito i fluidi mineralizzanti oligocenici dell’alta Valle Anzasca, indicandone, tra le altre cose, anche la probabile origine e composizione.
Le stesse tecniche vennero utilizzate