Mitologia giapponese: La raccolta dei Miti nipponici. Divinità, mostri, samurai e spiriti del Giappone
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Cosa ci fa un samurai intento a studiare una poesia? Come mai Izanagi sta trafiggendo il mare con la sua lancia? Perché Amaterasu ha appena distrutto la spada del fratello Susanoo? E, soprattutto, cosa, o meglio, chi sono i Kami?
Nel corso della storia, gli uomini hanno sempre sentito il bisogno di creare storie fantastiche che fossero capaci di dare un senso al mondo e i suoi strani fenomeni naturali. Anche nel lontano arcipelago del Sol Levante, l'antico popolo giapponese si è trovato a scrivere magici racconti e dare un nome a tutta la magia che madre natura è in grado di offrirci.
La mitologia giapponese è un insieme di credenze e culti, in cui l'uomo e la natura si fondono, in cui non c'è distinzione tra il cosmo e l'umanità. Sono due parti, distinte ma unite, di un unico mondo in cui tutto ha un'anima. È l'antichissima storia di un popolo saggio che crede nella giustizia e nel bene, ma che non manca di guerre e violenze.
"Mitologia giapponese" è un libro che vuole, attraverso una narrazione esaustiva e coinvolgente, scoprire il mondo del Sol Levante esplorando tutti i temi fondamentali di questo popolo, dalla creazione del mondo, ai potenti samurai.
Il libro tratta, in ordine:
- Del popolo giapponese, la sua storia e la sua cultura;
- Della creazione del mondo e della prima eclissi solare;
- Dei kami, le divinità della mitologia giapponese;
- Delle magiche creature di questa cultura;
- Degli spiriti e i demoni che infestano il popolo nipponico;
- Degli invincibili guerrieri samurai;
- Dei più famosi racconti del folklore giapponese;
- E di moltissime altre storie affascinanti e imperdibili.
Il libro è adatto sia per lettori alle prime armi, che per lettori alla ricerca di un approfondimento.
Se desiderate scoprire di più sulla mitologia e la storia del popolo nipponico, e volete conoscere gli elementi chiave della cultura giapponese, questo è il libro che fa per voi! Izanagi, Izanami, Susanoo, Tsukuyomi e tanti altri vi stanno aspettando.
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Mitologia giapponese - Giulio Angelis
LA MITOLOGIA GIAPPONESE
Una panoramica
Tutto il pensiero mitologico giapponese si fonda su presupposti che per noi occidentali non sono di facile comprensione. La tradizione occidentale, difatti, sebbene alle sue origini abbia attinto in larga parte da culture provenienti dall’estremo Oriente – tutta la filosofia greca arcaica, per fare un esempio, si ispirava agli antichi culti dell’Egitto e della Mesopotamia – è sempre stata un tipo di pensiero fondato su caratteristiche del tutto particolari che l’hanno spesso – e a ragione – opposto alla cultura orientale e, in particolar modo, a quel corpus di culture mitologico-religiose provenienti dal Sol Levante.
Anzitutto, lì dove la cultura occidentale vede il mondo come un sistema diviso essenzialmente in due parti – da un lato, la parte umana (dotata di un logos e di un’autocoscienza che appartengono a lei soltanto), e, dall’altro, la parte naturale (dotata di semplice istinto ma non di autocoscienza, dunque indivisa da se stessa) –, la cultura orientale non conosce questa essenziale divisione. Come in molte altre culture animistiche, infatti, nella cultura mitologica giapponese (e, in particolar modo, in quella cultura mitologica che partecipa dei principi essenziali dello shintoismo) non si dà una vera e propria distinzione tra uomo e natura, tra autocoscienza e cosmo.
Tutt’altro: l’uomo e la natura, nella visione mitologica giapponese, non sarebbero altro che due parti, apparentemente contrapposte, della stessa grande natura e cioè, come vedremo più avanti, come due espressioni del kami che tutto permea indistintamente.
Dunque, il primo elemento che possiamo sottolineare è questo: la cultura mitologica giapponese è essenzialmente una cultura animista, cioè una cultura che individua, all’interno della natura, non una materia inerte soggetta all’azione dell’uomo – unico essere capace di intelletto – ma una forma di vita spirituale, che gli antichi giapponesi individuavano proprio nelle figure dei kami (termine traducibile con divinità), dèi che abitavano per l’appunto le forme naturali e che, talvolta, venivano fatti coincidere con esse.
Il sistema religioso che sottostava a queste credenze viene chiamato shintoismo, parola che deriva dall’unione dei termini shin e Tao, significanti rispettivamente divino e Sentiero.
In accordo con la maggior parte della critica religiosa, dunque, possiamo definire il significato del termine shintoismo come La via del divino
.
Un torii, il tradizionale portale d'accesso di un'area sacra shintoista.
Certo, prima di approfondire la religione shintoista, della quale non si può non trattare in senso abbastanza approfondito prima di cominciare a definire i discorsi principali della mitologia giapponese, possiamo dire ancora qualche parola sul rapporto che lega la cultura orientale a quella occidentale, in modo da crearci una via – un passaggio – in questa stessa via del divino. Abbiamo stabilito che la differenza fondamentale tra pensiero occidentale classico e pensiero del Sol Levante risiede essenzialmente in questo: se il primo concepisce il mondo come diviso in Uomo e Natura, il secondo non conosce questa divisione.
Infatti, il pensiero orientale non conosce neanche una vera e propria mitologia del peccato originale, che è invece canonica all’interno di tutte le mitologie e religioni di origine occidentale.
Che cosa, infatti, esemplifica il mito del peccato originale? Inizialmente, l’unità di Uomo e Natura è data dall’unità del loro Creatore: Dio. Questa unità viene però spezzata dal peccato originale, col risultato che l’uomo acquisisce il linguaggio, l’autocoscienza e tutte quelle cose che gli impediscono di coincidere con se stesso, con la propria anima e dunque di sperimentare la vera felicità.
È indifferente, ai fini della nostra trattazione, se il mito del peccato sia poi esemplificato dalla figura di Adamo o da quella di Prometeo.
Ecco, nella tradizione giapponese questo mito – il mito del peccato originale – non esiste.
E non esiste, dunque, un’impossibilità congenita di raggiungere la felicità. Tutt’altro: la natura umana non è corrotta. Ad essere corrotta, semmai, è la civiltà che l’uomo ha costruito, non l’anima. Attraverso la ritualità, dunque, e l’entrata in contatto con quell’universo spirituale che, come permea il mondo naturale, permea anche il mondo umano, è possibile raggiungere la via della pace.
È ciò che accade, ad esempio, nella religione Buddhista, all’interno della quale la meditazione assume il ruolo fondamentale di mettere in contatto l’uomo col proprio spirito ai fini della felicità assoluta e dell’uscita dal circolo del dolore e dell’attaccamento.
È allora molto curioso – come molti critici hanno fatto notare – che la cultura occidentale arrivi a teorizzare un pensiero simile a quello buddhista e a quello shintoista solo nel 1800, con la nascita della cultura romantica e idealista e in particolare con la filosofia di Hegel, Schelling e Fichte – i primi a definire l’Essere come uno Spirito che, dandosi nel mondo, si esprime attraverso l’Umanità stessa (concetto, come si può facilmente notare, non dissimile dalla mentalità shintoista).
Ma torniamo a noi. E domandiamoci: che cosa è lo shintoismo?
Certo, non è facile rispondere ad un quesito del genere, che muove già di per sé un milione di domande.
Possiamo però provare a dare una risposta quanto più chiara, che ci aiuti nella comprensione di una tradizione tanto differente dalla nostra quanto la cultura mitologica giapponese.
Lo shintoismo è naturalmente una religione e, nello specifico, una religione politeista dai tratti animistici, che venera divinità spesso legate o coincidenti con entità fisiche (acqua, terre, tuoni), chiamate kami.
La storia dello shintoismo è molto antica e secondo molti critici la sua origine andrebbe fatta risalire al primo periodo della storia Giapponese, che viene tecnicamente chiamato Periodo Jomon. Ma della classificazione in periodi parleremo più avanti.
Ovviamente, queste entità erano di diversa natura e tipo: alcuni kami, come vedremo nel terzo capitolo, erano concepiti come benevoli, altri invece come maligni, più simili dunque alle figure degli Oni – i demoni della mitologia giapponese (figure che verranno invece approfondite nel quarto capitolo).
Nel Periodo Jomon, dunque, il popolo giapponese doveva abitare in piccoli villaggi, idealmente separati l’uno dall’altro e senza tanti contatti al di fuori di quelli commerciali.
Questi piccoli nuclei, a parere degli storici, dovevano già adorare una serie di divinità locali strettamente legate alla vita contadina.
Così, in questi piccoli villaggi si adoravano, ad esempio, l’acqua del fiume che consentiva ai raccolti di crescere, la pioggia che assicurava l’esistenza di contro alla terribile siccità e così via.
Queste entità, che secondo gli abitanti abitavano quindi nel mondo fisico e naturale e talvolta arrivavano a coincidere con gli stessi elementi, erano dei prototipi di quelli che, nelle epoche successive, sarebbero stati chiamati kami e sarebbero entrati a far parte – con l’introduzione della scrittura e della filosofia buddhista – del canonizzato corpus di racconti mitologici e tradizionali della cultura giapponese di origine shintoista.
Infatti, è credenza comune pensare che lo shintoismo si sviluppò, passando dall’essere un culto locale differenziato a religione vera e propria, solo quando in Giappone fu importato il pensiero buddhista.
A questo punto, per differenziare il culto shintoista da quello buddhista, i seguaci della religione animistica cominciarono a dare un nome alla propria religione.
E infine, nel Periodo Nara, tutte queste credenze furono raccolte e ampliate attraverso la contaminazione da parte della tradizione buddhista all’interno dei due testi fondamentali della cultura mitologica giapponese: il Kojiki e il Nihongi.
Ma della storia del Giappone e della storia dei libri di