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Il burraco incrociato: e l'aura rosata di Rosaura
Il burraco incrociato: e l'aura rosata di Rosaura
Il burraco incrociato: e l'aura rosata di Rosaura
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Il burraco incrociato: e l'aura rosata di Rosaura

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About this ebook

Ogni settimana due coppie sposate, tra loro molto amiche, s’incontrano per giocare a burraco e impegnarsi così in piccoli tornei a quattro, incrociandosi. Annoiati dalla monotonia di questo procedere e desiderosi di tentare nuove vie, decidono a un certo punto di scambiarsi mariti e mogli non solo al tavolo verde, ma anche in camera da letto: uno scambismo che vivono con convinzione maggiore o minore. La cosa procede tra divertenti e piccanti situazioni, ma anche spiacevoli imprevisti. Nulla in confronto all’imprevisto finale, davvero clamoroso! Il finale, come si conviene, a sorpresa. Un blando erotismo per una vicenda divertente con soluzione in chiave ironica.
LanguageItaliano
Publisher999edizioni
Release dateDec 9, 2022
ISBN9791281221000
Il burraco incrociato: e l'aura rosata di Rosaura

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    Il burraco incrociato - Ettore Frangipane

    Contents

    Ettore Frangipane

    Il BURRACO INCROCIATO

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    999 Edizioni

    di Samantha Malandri

    Proprietà letteraria riservata

    Copyright © 2022

    Prima edizione dicembre 2022

    Codice ISBN 9791281221000

    www.999edizioni.it

    Ettore Frangipane

    Il BURRACO INCROCIATO

    (e l’aura rosata di Rosaura)

    Narrativa

    Immagine in copertina: carte da gioco, foto di proprietà dell’autore

    Grafica di Black Ink

    Ogni riproduzione totale o parziale e ogni diffusione in formato digitale, cartaceo o audiovisivo non espressamente autorizzata, è da considerarsi come violazione del diritto d’autore e pertanto punibile penalmente. Questo libro è un’opera di narrativa frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi analogia con persone realmente esistite, vive o defunte, con eventi o ambienti reali, è da considerarsi puramente casuale.

    Ed elli avea del cul fatto trombetta

    (Inferno XXI, v.139)

    Prologo

    Passai gli ultimi due anni della guerra in montagna, sul Colle di Bolzano prima e poi a Nova Ponente, per sfuggire ai bombardamenti degli aerei angloamericani. Bolzano fu bombardata la prima volta il 2 settembre 1943; seguirono altre 13 incursioni, gli edifici che subirono danni, maggiori o minori, furono nell’insieme il 62 per cento. In montagna vissi la vita un po’ brada dello scolaro che trascorre il suo (molto) tempo libero pascolando mucche (attività riposante) e pecore (attività impegnativa: le pecore fuggono continuamente). Parlavo il tedesco, che avevo appreso da mia madre (germanica), ma anche il dialetto sudtirolese, col quale mi esprimevo con i miei compagni di giochi. Una delle mie attività preferite era comunque quella di stare tra i grandi e ascoltare i loro discorsi. Mi defilavo in disparte, senza dare nell’occhio, e coglievo le battute antifasciste del segretario comunale Bortolotti e dell’anziano giudice napoletano sfollato come noi: in casa sua ascoltavo Radio Londra con quei curiosi messaggi criptici alla Resistenza italiana, e in un bel tedesco privo di inflessioni locali ascoltavo i discorsi tra mia madre (originaria della Sassonia) e l’anziana signora Ravanelli (di origine austro-ungarica). La nonna Ravanelli viveva con suo figlio, impiegato di banca, in un maso un po’ fuori del paese. Era per noi bambini (io avevo dai nove ai dieci anni) lo zio Carlo. Il sabato quando mio padre saliva con la corriera da Bolzano, per trascorrere la domenica in famiglia, rientrava a casa anche zio Carlo, che ogni volta mi portava da leggere un libro di Salgari. Io gli restituivo il Salgari del sabato precedente, lui me ne allungava uno nuovo, ed erano tutti belli: stupende copertine a colori con Sandokan e il Corsaro Nero, con Cartagine in fiamme e i pellerossa, mi sono fatto una vera e propria cultura salgariana, in quell’anno e mezzo. Più tardi avrei incontrato Cuore, il Piccolo Alpino, anche Calza di Cuoio, l’ultimo dei Mohicani e Robinson Crusoe col suo servo Venerdì. Leggevo un po’ di tutto. Il prossimo passo fu l’Ottocento russo a cominciare con Tolstoj. Ma le vicende vere che la nonna Ravanelli raccontava a mia madre non erano da meno, e tra le tante mi colpì quella di non ricordo quale nobildonna imperialregia, che voleva, sempre voleva, fortissimamente voleva un figlio. Ne fece una malattia, finché un giorno non si venne a sapere che l’atteso lieto evento sarebbe avvenuto: mesi di attesa tra cure e attenzioni, le fattezze della giovane donna che mutano, acquisiscono la dolcezza delle future mamme, la pelle che s’imbianchisce, diventa diafana, il ventre che si dilata prendendo consistenza sempre maggiore. Poi alla scadenza prevista ecco le attese, invocate doglie, arriva di buon passo l’equipe medica col ginecologo in testa, tutto compreso della sua importanza, l’assistente con la borsetta dei ferri in mano, la levatrice è già accanto alla puerpera, i familiari vengono fatti uscire, alle loro spalle la porta si chiude, nel salottino accosto inizia la lunga attesa: ci vuole acqua… ancora acqua…tiepida… sì tiepida… finché… un grido lontano… del tramestio… mani giunte… occhi al cielo…passa del tempo e finalmente la porta si riapre e riappaiono medico, assistente, non ancora la levatrice, imbronciato il primo, spaesato il secondo e si dirigono verso l’uscita.

    E allora? Chiede ansioso l’aspirante padre.

    Icastica la risposta dell’aggrottato uomo di scienza.

    Es war nur ein Furz !

    Sentita la storia mia madre ride e si dà una manata su un ginocchio, la nonna Ravanelli si compiace visibilmente del successo ottenuto col suo racconto e si avvia verso casa. E a me si propone una domanda: cos’è un Furz?

    È come un Pups, è la risposta di mia madre.

    Pups è un termine tedesco che mi è familiare, vuol dire scorreggia, che però non si dice perché è volgare. Allora c’era stata una scorreggia, di là, ma Mutti ha preferito dire Pups che è quasi infantile e quindi meno volgare; ugualmente per esprimere concetti delicati ieri si usava il francese e oggi l’inglese e ieri l’altro ancora  il latino, sissignore il latino, e i buoni preti elencano il fine del matrimonio precisando la compresenza della procreatio prolis, del mutuum adiutorium e del remedium concupiscentiae, e allora perché parlare o scrivere (o prescrivere) impunemente di concupiscenza, termine lascivo che può indurre a pensieri peccaminosi? Non possumus: sulla porta dell’inferno attende grifagno il sesto comandamento, per travolgere chi si concede ai piaceri della carne (cotoletta, costina, ossobuco?). Non parliamo allora di concupiscenza, ma di concupiscentia, nell’immacolata lingua di Cicerone. E degli immacolati papi.

    È il 1944 e il piccolo Ettore ha idee precise ma confuse. Sa come nascono i bambini, ma fumosamente. E quella del Furz, o del Pups, o della scorreggia non l’ha mai sentita. Ci sono più cose tra cielo e terra di quanto ne possa comprendere tutta l’umana filosofia. Lo scrisse Shakespeare, che si scrive così ma si pronuncia Schopenhauer.

    Cerchiamo allora, con le pagine che seguono, di chiarirgli e chiarirci le idee.

    1

    Il tavolo è già preparato: il panno verde a coprirlo, i due mazzi di carte distribuiti a ventaglio, visibili solo i dorsi blu e rossi, compresi i quattro jolly; sul tavolino accanto il quadernetto sul quale trascrivere i punteggi, la matita, il foglietto per i calcoli, nell’intervallo il tavolino avrebbe ospitato anche le tazzine per il tè. E i biscotti. Suona alla porta ed entrano i Ferrari: le solite cordialità, con Giorgio che bacia Grazia sulle guance - solo uno sfiorar di labbra - e le labbra di Mauro che sfiorano appena le guance di Rosaura. Tra i due uomini una stretta di mano, un incontrarsi di sguardi.

    Tutto bene? Avete trovato parcheggio facilmente?

    Le possibili varianti alle poche parole introduttive possono vertere, da una stagione all’altra, sul tanto caldo, sul tanto freddo, o poco più in là.

    Poi Rossi e Ferrari, trascurando altri preamboli (al massimo un accenno alla salute, tema però generalmente da evitare, perché si sarebbero rischiati inutili minuti a evocare raffreddori, dolori e doloretti) prendono i propri posti, quelli di sempre. Se li sarebbero scambiati, incrociandoli, nelle due fasi successive del gioco. Alle volte si parte a coppie contrapposte: Ferrari contro Rossi. Alle volte uomini contro donne. Ma poi tutte le volte le coppie vengono sorteggiate sollevando le carte distribuite rovesciate sul tavolo, in modo che in ognuna delle tre partite previste ogni giocatore possa cimentarsi singolarmente a turno con uno degli altri tre. Al termine, ogni sera (nei giorni festivi anche nel pomeriggio), si calcolano i punti che ciascuno ha conseguito. E si aggiorna la classifica generale. Sono avanti da mesi i Rossi, ossia Mauro e Grazia nell’ordine. Seguono Rosaura e l’immusonito Giorgio (sono sfigato, ecco cosa sono!).

    Viene servito per primo chi ha alzato la carta più alta, che la riceve dal giocatore che ha pescato la carta più bassa, poi il mazziere ne distribuisce undici a testa. Chi si trova alla sua destra compone i due mazzetti - sempre di undici - per la seconda fase del gioco. Qualche accenno di discorso non attinente al burraco viene bloccato per il timore che chi conta finisca con il confondersi ed imbrogliarsi.

    … quattro… cinque… sei….

    Giorgio si guarda attorno, per riconoscere le stesse cose agli stessi posti: il quadro ad olio di una marina un po’ ingenua, quella collana di libri tutti blu che non riesce ad identificare, ricordi di viaggi, come quell’orciuolo falso-antico tipo maya o inca o che-so-io che si trova sul ripiano di destra; a proposito - si chiede Mauro - si scriverà orciuolo o orciolo? Dev’essere come aiuola, che si scrive così ma tutti dicono aiola, vietato calpestare le aiole.

    …otto… nove… dieci….

    …undici.

    Quattro mazzetti di undici carte raggiungono i quattro lati del tavolo, mentre già altri due mazzetti di undici sono stati contati e disposti sul tavolino a lato: sono i mazzi che le due coppie dovranno conquistare, per poter proseguire nel gioco, dopo aver concluso la prima serie di giri ed essere rimasti, chi prima chi dopo, senza più carte in mano.

    Mani impazienti raccolgono le carte della prima smazzata e le aprono in mano a ventaglio in bell’ordine. Mauro una carta per volta, lentamente, e lentamente le mette al loro posto nella mano sinistra, tutte undici. Sua moglie Grazia raccoglie il mazzo intero e lo apre a ventaglio, passando poi a sistemare le sue carte ai rispettivi posti, secondo l’ordine tattico che preferisce. Giorgio il mazzo lo apre, lo scompagina, lo riordina, lo richiude, si guarda in giro. Sua moglie Rosaura - anche lei come il marito - al solito sbuffa: deve annunciare subito che la sfortuna la perseguita. E anche stavolta sarà così. Tutto un lamentarsi perché non vede Matte, né Pinelle, invece gli altri… Le Matte sarebbero i Jolly, le Pinelle invece i Due, definizioni risalenti ai tempi della canasta, che aveva soppiantato il ramino e sarebbe stata soppiantata a sua volta dal pinnacolo, padre del burraco. Origine? Sudamerica, dice qualcuno. Ma sarà poi vero?

    Rosaura termina di protestare per la sfortuna che la perseguita, tanto gli altri non abboccano, lasciano pazientemente che dica. Scendono le prime combinazioni: tre Re (ma non è un peccato bruciarli così, al primo giro? Forse ne ha ancora uno in mano, vediamo come risponderà la sua compagna). Belli comunque i Re delle carte francesi, con quei baffetti neri rivolti all’insù, i capelli a boccoloni. Il primo Jolly lo cala Rosaura, che lamentava brutte carte. L’ha infilato in una serie di quattro Picche, che prelude ad un possibile burraco; sempre che lei o il suo compagno riescano a reperire una sesta e una settima Picca in scala. Cosa possibile, tanto più che altre carte di quel seme non sono ancora scese.

    Anche Mauro s’è trovato in mano un Jolly. I Jolly, che lui chiama giolloni, piacciono in modo particolare, con quei volti grassi e tondi, sorridenti, che sprizzano e danno allegria.Sembrano l’etichetta dell’olio Sasso e possono stare al posto di una carta qualsiasi, perché si può attribuire loro qualsiasi posizione e oltretutto valgono ben trenta punti. C’è chi durante il gioco nel disporli sul tavolo li raddrizza, ché non restino a testa in giù, forse per un certo equilibrio estetico, forse per scaramanzia, perché un Jolly capovolto potrebbe offendersi. The Jolly Joker, letteralmente giullare allegro, allegria per chi lo pesca, rammarico per chi lo vede nelle mani dell’avversario. Lo straripare giocondo del giullare, poi gli assi affiancati da una A. Ma cosa significa precisamente asso? Mauro sa che potrebbe derivare dal latino aes, una premoneta romana. Aes all’origine significava rame, bronzo.

    Buon incontro di Rosaura e Grazia, che scendono con una promettente serie di cinque Fiori, puliti, ossia privi di Matte e cioè di Jolly o Due (che sarebbero poi le Pinelle della canasta).

    Commento: Le donne partono alla grande.

    Grazia: Preferirei che tu ci definisca signore?.

    Perché? Non siete forse donne.

    Le donne sono quelle che ci vengono in casa a fare le pulizie.

    Quadri: un Tre, un Quattro, un Jolly, un Sei…

    Subito dopo Rosaura aggiunge un Sette, e fanno cinque.

    "Uh, che kulo".

    L’espressione, tra l’ilare è il pesante, è consentita agli uomini. Le donne - pardon, le signore - usano invece più elegantemente il termine fortuna; solo dopo il trascorrere del tempo e con l’espandersi della familiarità si sono risolte ora anche loro qualche volta goliardicamente al kulo. Un altro termine, che invece le donne - pardon, le signore - evitano solitamente di usare, è sfigato, o sfigata. Rosaura, che non ricorre a parolacce - dice lei - rimarca d’essere sempre sfortunata, si lamenta della sfortuna, non della sfiga. Che induce oltretutto a pensieri scorretti.

    Io quella parolina non la dico!.

    Ecco tre Jack. Cosa rappresenterebbe il Jack nell’iconografia delle carte francesi? K significa ovviamente King, il re. Q significa logicamente Queen, la regina. Ma chi o cosa rappresenterebbe J, ossia il Jack? Fante in inglese non si dice affatto Jack. E poi, perché mai se le carte sono definite francesi? E perché il motto dell’ordine della giarrettiera, che è una stupidaggine inglese, è scritto in francese? Honny soit qui mal i pense. E perché, già che c’erano, gli inglesi non si sono inventati anche l’ordine del reggipetto? O delle mutande? Mauro spesso con i suoi pensieri divaga, specie quando è il turno del lentissimo Giorgio, il re (King?) degli indecisi.

    Il gioco prosegue e Rosaura continua a raccogliere gli scarti.

    Non ti devi lamentare - poi - se non hai Matte. Cercale nel mazzo, no?.

    A Giorgio dà fastidio vedersi sottrarre il pozzo sotto il naso dall’avida Rosaura, che spesso finisce col trovarsi in mano un ventaglio smisurato. Rosaura che si ostina a non calare, celando così il suo gioco.

    Grazia le carte che ha calato in tavola se le coccola: le sposta delicatamente a formare colonne perfettamente in linea, perfettamente parallele, perfettamente perfette. Ci tiene all’estetica, all’ordine. Anche la sua casa è così: ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa. I quadretti degli antenati in casa di Grazia (sfumati di seppia, bisnonni impalati dallo sguardo fisso e severo) si raggruppano sulle pareti in file e colonne che si direbbero disposte con la squadra. Quando la Irina, la donna che le fa le pulizie (una ucraina, o moldava, o che-so-io), passa una pezza su quadri e quadretti per toglierne la polvere che non c’è, li sposta dalla loro posizione millimetricamente calcolata, forse per segnalare che lei i quadretti li ha quantomeno toccati. Poi Grazia ripassa per spostarli di quei millimetri in più o in meno che disturbano il suo equilibrio cosmologico.

    Non coprire le carte con le mani: me le nascondi.

    Ah, scusami.

    Grazia, che ha in mano uno sproposito di carte, improvvisamente le cala tutte e va al mazzetto.

    Volo. Con tono trionfale.

    Ancora una volta ha nascosto i suoi giochi per sorprendere poi gli avversari (e il suo stesso compagno!) calando tutto.

    Al solito….

    Tu sei sempre tu.

    Ho rischiato.

    Adesso Grazia ha da sistemare tutte le sue undici nuove carte: bisogna aspettare. Mauro si spazientisce e poggia il suo ventaglio di carte, richiuso, sul tavolo.

    Rosaura a Giorgio: Ti sei ricordato di chiudere la finestra del bagno?.

    Penso di sì.

    Cosa vuol dire penso di sì? O l’hai chiusa o l’hai lasciata aperta?.

    Ma… certamente l’ho chiusa, come sempre d’altronde.

    Però non sei sicurissimo. Adesso io resto qua nel dubbio che la finestra del bagno sia rimasta aperta. Mentre tu te ne stai tranquillo, forse un ladro ci è entrato in casa.

    Se ti vengono i dubbi, perché non te le chiudi tu le finestre!?.

    Anche le finestre mi tocca chiudere, con tutto quel che ho da fare… Mi sono dovuta vestire mentre tu eri già sulla porta che aspettavi.

    Un momento di nervosismo, alimentato soprattutto dal fatto che Grazia ha incominciato a calare le carte del suo mazzo, ed ha già combinato due burrachi.

    Quando alcuni decenni prima il gioco delle carte aveva incominciato a diffondersi, Rosaura Grazia Giorgio e Mauro - come tanti altri - giocavano a pinnacolo. Un gioco abbastanza simile. Poi la loro amica Lalla aveva introdotto una novità annunciando il buracco. Dicevano che fosse giunto dall’Argentina e Mauro - che ne aveva sentito parlare - poté sentenziare che il nome non era buracco, ma burraco e derivava sicuramente da burro, che in spagnolo significa asino. Invece non veniva dall’Argentina, ma era nato in Uruguay (Google docet). Così aveva appreso il metodico Mauro. Comunque sta di fatto che anche in Uruguay si parli lo spagnolo, che il gioco era piaciuto e così l’avevano adottato anche loro, associandosi alla moda, come già tantissimi altri.

    Si gioca ormai in casa di Tizio e di Sempronio, dell’uno e dell’altro (… per me pari sono…), si gioca durante le vacanze, a conclusione di una gita, si organizzano anche tornei. Se si va in vacanza e si vedono altre persone, anche solo due, sciorinare carte da gioco sul tavolino di un albergo o di una pensione, si può essere quasi certi che giochino a burraco. C’è ormai pure chi passa da un torneo all’altro, anche altrove. Partono solitamente in coppia e raggiungono località turistiche. Le coppie sono composte frequentemente da vedove, che attraverso le carte trovano una ragione di svago, a conti fatti di vita. Non è ancora il caso di Rosaura, Giorgio, Grazia e Mauro, ma gli anni stanno incalzando. E nell’ambito delle combriccole del burraco nascono perfino amori tardivi.

    Luigi e Francesca li vedo sempre più insieme.

    Lei è divorziata, può fare quel che vuole.

    E Luigi?.

    È vedovo.

    Pensi che se la intendano?.

    Sicuramente.

    E Giangi con Wanda?.

    Mah… Sono vedovi tutti due, liberi di fare quel che vogliono anche loro.

    Pare che ci siano anche coppie che si scambiano le mogli.

    Ma va là.

    Non da noi, comunque.

    Ma perché si parla di scambio delle mogli? Non potrebbero esserci delle mogli che si scambiano i mariti?.

    Un velo di femminismo nei discorsi di Grazia non manca mai.

    Mauro pensa che la storia dello scambismo è intrigante e s’assenta un po’ col pensiero. Se anche Ferrari e Rossi si fossero concessi a quel gioco, a lui sarebbe toccata Rosaura. Mica male, anche se un po’ lagnosa!

    E il gioco riprende.

    All’insegna del Quattro di Fiori, del Tris di Donne sprecato, del Due che si è dovuto scartare per non dare un burracone, ossia un burraco da centocinquanta, all’insegna di quel famoso Tre di Quadri ad incastro pescato avventurosamente ("che kulo"), all’insegna del burraccone costruito grazie all’Asso scartato per sbaglio, con conseguenti rimbrotti da parte della moglie, una partita

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