Gli impiccati non muoiono subito
By Maena Delrio
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About this ebook
Una festa privata, su uno yacht di lusso, finisce in tragedia.
Arbatax, Sardegna. Pochi giorni dopo.
Il cadavere di un ricco imprenditore viene ritrovato, dilaniato dai cinghiali, nel bosco che conduce all’antico faro. Sembra un incidente, ma l’ispettrice Marcialis non è convinta. Muove le corde giuste, fa pressione, sprona all’indagine, fino ad addentrarsi nei segreti oscuri del promontorio, luogo maledetto secoli prima, destinato a portare alla rovina chiunque vi abiti.
Riuscirà una donna a spezzare la catena del fato?
Il romanzo ha vinto la seconda edizione del concorso letterario Misteri d'Italia, promosso dall'associazione Nati per scrivere.
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Gli impiccati non muoiono subito - Maena Delrio
PROLOGO
L’impiccato oscilla come mosso dal vento, con il collo stretto nel cappio ben annodato. La testa reclinata di lato, punta il dito verso la donna in piedi di fronte a lui. Gli occhi vagano sul viso pallido, giudici imparziali e incorruttibili.
Colpevole
, sembrano mimare le labbra sottili, ma nessun suono attraversa la gola spezzata. Colpevole
, dichiarano le pupille contratte come capocchie di spillo, prima che le iridi si rovescino e mostrino i bulbi lattiginosi solcati da un reticolo di vene bluastre.
Il corpo appeso sussulta, gli spasmi si propagano attraverso l’aria circostante, scuotono il soffitto. Le pareti si lacerano, l’intonaco si sgretola, ricopre il pavimento.
«Non sei reale, non sei reale». La voce della donna è un rantolo soffocato. Fa un passo indietro, incespica, cade. Le scosse la travolgono. L’ultima immagine, prima di chiudere gli occhi, è una crepa sul muro che si allarga, macchia nera e indelebile sulla sua anima. La inghiotte insieme ai suoi incubi.
1
Porto di Genova.
Venerdì 23 novembre 2018.
La barca oscilla leggermente.
Cullata dalle onde che scivolano all’interno della baia, dondola sotto lo sguardo imparziale della vecchia Lanterna, che spinge il suo fascio luminoso verso chiunque abbia smarrito la rotta, anche contro chi non ha alcuna intenzione di ritrovarla, completamente immerso nella propria bufera personale.
Dormono quasi tutti, sul Perseo. Un sonno alcolico, alterato dalla vodka e dalle piste di coca che il padrone di casa ha generosamente messo a disposizione di chiunque volesse servirsene.
La festa è stata la ciliegina sulla torta, eppure l’uomo non sembra essersi divertito. Vaga sul ponte, scavalca bottiglie di costoso champagne. Qualcuno ha rotto un bicchiere, i cristalli brillano sotto la luce bianca della luna. Dappertutto, i segni della baldoria appena consumata mostrano impietosi le debolezze e le vergogne di chi ha oltrepassato ogni limite. Escort abbandonate sui divanetti, come bambole disarticolate, giacciono a fianco dei clienti, alcuni talmente fatti da aver dimenticato di sollevarsi i pantaloni prima di cedere alle lusinghe di Morfeo. Il trucco colato sul viso le rende simili a certi dipinti di Pollock, i capelli disfatti e sudati si appiccicano alla fronte, sul collo, sulle spalle. Alcune sono esperte, vere e proprie veterane dell’intrattenimento erotico per giovani e uomini maturi.
Sono quelle più care, dai vestiti raffinati, che sanno quanto valgono e non tollerano scherzi. Altre sono giovanissime. Sono costate poco. Una cinta di Vogue, un paio di occhiali di Gucci. La promessa di partecipare al party più esclusivo della città. Un misero prezzo per abusare della freschezza di quei corpi dai seni piccoli e dai fianchi sinuosi, dagli occhi innocenti e dalle bocche rosse come fragole al sole.
Mentre riposano però si somigliano, sono tutte vulnerabili, fragili. Tristi, o solo malinconiche. L’uomo si sorprende a cercare di indovinare cosa stanno sognando, forse una normalità alla quale non potranno mai avere accesso.
Anche la ragazzina dorme, stesa su uno dei letti della cuccetta di prua. Indossa un paio di mutandine con i cuoricini e una maglietta che tira sul seno, troppo piccola per contenere la floridità dei suoi quindici anni, sulla quale fa bella mostra di sé un’emoticon gialla, tonda e sorridente. I piercing sul sopracciglio e al naso le conferiscono un’aria aggressiva, di giorno. La notte, però, torna a indossare i tratti aggraziati della sua fanciullezza.
L’uomo si china su di lei, le fa una carezza sulla fronte. Si sorprende a guardarle le gambe lunghe e il sedere sodo. Si vergogna dei suoi stessi pensieri. In fondo, non è diverso dai maschi carichi di testosterone buttati qua e là sul ponte. Le getta addosso una coperta, distogliendo lo sguardo. Forse è stato troppo brusco, perché la ragazza si sveglia.
«Papà…» Gli occhi di Alice brillano nell’oscurità. Alza una mano bianchissima, con le unghie rosicchiate laccate di verde e azzurro. Gli fa cenno di sedersi accanto a lei. Lui la accontenta, le prende una mano. «Non mi abbandoni, vero?»
«No, tesoro mio, non ti abbandono».
Lei gli posa un bacio leggero a fior di labbra, poi appoggia la testa sulla sua gamba.
«Ho fatto un brutto sogno. Ti prego, rimani con me».
L’uomo annuisce, in silenzio. Il respiro si fa pesante. Sprofonda di nuovo nel sonno.
2
Arbatax, Sardegna.
Domenica 25 novembre 2018.
L’ispettrice Marcialis è sempre stata una donna molto avvenente, fin dagli anni delle superiori, ma a Delussu non è mai capitato di vederla conciata in quel modo. Toglie il fiato, da quanto è bella: capelli bagnati raffazzonati in una disordinatissima coda di cavallo, leggings aderenti rosa shocking, felpa nera, corta sul bacino, che lascia intravedere un addome scolpito. Ai piedi, un paio di scarpette da corsa arancioni. Di sicuro non è tipa da passare inosservata.
«Cazzo guardi, Delussu?» Marcialis lo fulmina con un’occhiata, rimettendolo immediatamente al suo posto.
«Niente, ispetto’, niente!» L’agente tiene una sigaretta tra le dita, non ha il coraggio di muoversi, la cenere sfida la forza di gravità, accumulandosi sulla punta incandescente. L’uomo fa un tiro, la scarbona sul palmo della mano libera. Quando si rende conto di aver fatto una cosa senza senso, si infila la cenere nell’ampia tasca della giacca d’ordinanza.
«Ero da queste parti quando ho ricevuto la chiamata. Avrei perso troppo tempo se fossi passata da casa a cambiarmi». L’ispettrice è stufa di dover sempre spiegare l’ovvio, a quel branco di incapaci che obbediscono ai suoi ordini, in caserma. E aggiunge: «Ti ricordo che è domenica. Passami quella dannata giacca, Delussu».
L’uomo gliela cede a malincuore. Soffia un vento gelido, spera che la donna non abbia freddo alle mani. Istintivamente si odora le ascelle.
«Allora, cosa abbiamo qui?»
Nel momento stesso in cui Marcialis varca il nastro di delimitazione e si addentra nel bosco, una mano le tocca il braccio.
«Non è una bella scena» dichiara il capo della Scientifica.
Murru è un bell’uomo, alto, massiccio. Nonostante abbia passato i quaranta, la chioma è ancora scura e folta, solo le tempie sono leggermente brizzolate, come la barba ben curata. Dimostra fascino e sicurezza di sé, e l’aura di mistero che lo circonda lo rende ancora più attraente. Non per l’ispettrice Marcialis, però.
«Ciao Giacomo».
L’uomo la guarda in faccia, non fa caso al suo abbigliamento informale. «Vieni, ti ragguaglio sulle novità mentre arriviamo sulla scena del crimine».
Camminano a passo svelto. Man mano che si addentrano tra gli alberi, l’atmosfera si fa più cupa, la luce non riesce a filtrare tra le fronde. Sotto di loro un letto di foglie scricchiola a ogni passo.
«L’ha trovato un certo Giovanni Secci, di Montesanto. Pare fosse venuto fin qui a cercar funghi con il suo cane, un labrador». Guarda gli appunti che ha in mano, cercando di decifrare la scrittura disordinata e illeggibile. «Zara».
«Ma pure il nome del cane hai scritto?»
Murru non fa caso alla battuta sarcastica e continua: «Quando il cane ha fiutato il pericolo, ha cominciato a ringhiare e l’uomo si è accorto delle bestie a un centinaio di metri. Purtroppo per loro anche le bestie si sono accorte che qualcuno era arrivato a disturbare il lauto banchetto».
«E…?»
«E niente, Zara si è avventata contro uno dei cinghiali, che l’ha caricata. L’abbiamo fatta portare via con l’ambulanza, perché era in condizioni serie. L’uomo invece è ancora qui». Indica un vecchio, seduto su uno dei grossi contenitori della Scientifica. Sulle spalle ha una coperta termica, se la stringe addosso.
Marcialis gli tende una mano, ma lui non la stringe, è ancora troppo scioccato. «Li avrebbe dovuti vedere quei bestioni, dus dimonios parianta!»
«Giovanni Secci, giusto?»
«D’appu giai narau a issu, su chi appu bittu…» Il vecchio indica l’appuntato Delussu, dietro di loro, che tenta di scaldarsi strofinando vigorosamente le maniche della camicia con i palmi aperti. «Luì, e chini esti custa picciocca?»
Murru mette una mano sulla spalla dell’anziano. «Tziu Giua’, questa signora di fronte a voi è l’ispettrice Marcialis, incaricata dell’indagine, vi devo chiedere di riferire anche a lei tutto quello che avete visto».
Giovanni è perplesso, non ha grande fiducia nel genere femminile. Marcialis non pare farci caso, è abituata a questo genere di reazioni nei suoi confronti.
«Non perdiamo tempo. Secci, allora, vuole dirmi cosa è successo qui?»
«Custu mengianu…»
«In italiano, Secci!»
L’anziano le rivolge un’occhiata in tralice, ma Murru gli posa una mano sulla spalla, stringendola con dolcezza. «Ispetto’, io non sono bravo a parlare l’italiano».
«Ci provi».
«Allora, stamattina sono venuto a cercare cardolinu e’pezza e tuvaredde. Sono funghi, marescia’». Indica il cesto ai suoi piedi. «Ho parcheggiato giù nel piazzale, la Fiat Uno bianca, l’avrà vista salendo». La donna annuisce, ha ricevuto la chiamata proprio quando stava finendo l’ultima serie di ripetute nella salita antistante al piazzale di Calamorena. Pensava che non ce ne fossero più in circolazione. «Ho fatto scendere anche Zara, lei è vecchia, sa, ma è più brava di me a cercare i porcini». La voce si incrina al pensiero del cane ferito, si asciuga una lacrima che tenta di farsi strada tra le rughe del viso contratto in una smorfia di dolore. Murru lo guarda con compassione, Marcialis gli offre un fazzoletto e lo invita a proseguire. «Comunque, eravamo a metà del sentiero, quando Zara ha fiutato il pericolo e ha cominciato ad abbaiare. Io non lo so cosa mi è preso, ispetto’, me la sarei dovuta aspettare questa sorpresa, perché il mio cane non abbaia così per niente. Poi li ho visti, erano due ed erano enormi! Non ne avevo mai visto di così grossi!»
«Può essere più sintetico?» Marcialis è impaziente; di fronte a lei, a poca distanza, gli uomini della Scientifica stanno facendo i rilevamenti del caso, in terra un telo copre il corpo della vittima.
«I sirboni, marescia’, come dite voi in italiano?» Si gira verso Murru.
«Cinghiali, Secci».
«Ah, già, cinghiali. Vedo che sono intenti a mangiare qualcosa, hanno il grugno insanguinato, penso a un cervo o a qualcosa di simile. E invece noto la scarpa. Cumprendiu? Si furinti pappendu unu cristianu!» Si porta le mani sulla faccia, scuote la testa, piange.
«Tranquillo, Secci. Ora ci pensiamo noi». Marcialis dà una pacca sulla schiena all’uomo, poi si dirige verso il cadavere. Alza il telo bianco, si porta una mano sulla bocca.
Dopo qualche minuto, sta vomitando dietro un cespuglio di cisto, i palmi sudati sulle cosce fasciate dai leggings rosa. Si pulisce con la manica del giubbotto.
«Scusa, Delussu, poi te lo mando in lavanderia».
Le mosche hanno già cominciato a ronzare intorno alla carne fresca, nonostante il freddo. Del dottor Armando Primicelli rimangono intatte solo una gamba e parte della testa. Il torace aperto mostra le costole, mentre non c’è traccia delle interiora, i tessuti molli sono stati il pasto principale. Il resto è stato divorato dalle belve. Ancora qualche minuto e non sarebbe più stato riconoscibile.
«Se non fosse per il cercatore di funghi, non sarebbero rimasti nemmeno i denti». Murru le offre una salvietta, la donna la prende, si deterge il viso. «Bella fortuna, allora, che passasse da queste parti, eh? Lo facciamo tornare a casa? Non credo che la sua presenza qui ci sia più utile».
La donna annuisce. «Lo accompagniamo noi, così vado un attimo a cambiarmi». Indica i pantaloni di tessuto tecnico.
«Bella scelta».
Murru le fa l’occhiolino, probabilmente la sta sfottendo. Si avviano verso il piazzale, mentre un incredibile tramonto tinge il cielo di rosso e amaranto.
3
Arbatax.
Lunedì 26 novembre.
Claudia corre. Nelle orecchie le note di I’d love to change the world di Jetta le bombardano il cervello, i bassi percorrono le fibre neurali, azzerano la fatica muscolare. Offuscano le immagini che si affollano nella mente, come diapositive fin troppo nitide. Offrono una parentesi dal dolore acuto della realtà. Una nicchia che dura troppo poco, un tempo inevitabilmente breve.
"Vorrei cambiare il mondo, ma non so come fare, quindi lo lascio a voi".
La salita è ripida,