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Sei personaggi in cerca di Totore: Opera comica in sette capovolgimenti
Sei personaggi in cerca di Totore: Opera comica in sette capovolgimenti
Sei personaggi in cerca di Totore: Opera comica in sette capovolgimenti
Ebook147 pages2 hours

Sei personaggi in cerca di Totore: Opera comica in sette capovolgimenti

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About this ebook

Periferia nord di Napoli, una sera come tante.
Il ventenne Totore causa un rocambolesco incidente automobilistico in cui restano coinvolte sei persone.
Poi sparisce.
In un crescendo di colpi di scena, le sei vittime prendono la parola per spiegare la dinamica dell’episodio e raccontare le loro vite.
Ma dov’è finito Totore?
Perché è fuggito?
Quali misteri si nascondono dietro il suo strano comportamento?
Domande cui solo lui, l’ultimo a parlare, darà delle risposte. Dimostrando che la verità non è mai una sola.
LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2022
ISBN9788832783148
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    Sei personaggi in cerca di Totore - Pino Imperatore

    logogufo

    Dieci

    La selezione di narrativa italiana di Homo Scrivens.

    Homo Scrivens

    Direttore di collana: Aldo Putignano

    Editing: Aldo Putignano

    Copertina: Ugo Ciaccio

    Autori: Francesca Gerla e Pino Imperatore

    Titolo: Sei personaggi in cerca di Totore

    Opera comica in sette capovolgimenti

    ISBN 9788832783148

    I edizione Homo Scrivens, novembre 2016

    I edizione ebook novembre 2022

    ©2016 Homo Scrivens s.r.l.

    via Santa Maria della Libera, 42

    80127 Napoli

    www.homoscrivens.it

    Riproduzione vietata ai sensi di legge

    (art. 171 della legge 22 aprile del 1941, n. 633)

    Francesca Gerla

    Pino Imperatore

    Sei personaggi in cerca di Totore

    Opera comica in sette capovolgimenti

    logofrontespizio

    Tutto è illusione.

    Compresa la frase precedente.

    Stanislaw Jerzy Lec

    Ai ragazzi di Napoli

    LA VERSIONE DI COSIMINO

    Io a Totore lo schifo a norma di legge. Per quello che è, per quello che m’ha fatto e per quello che mi potrebbe ancora fare.

    Lo schifo come un cane schifa ’na catena, come l’acqua pulita schifa ’na fogna.

    Tiene vent’anni come a me, ma pare ’nu criaturo. È viziato, scostumato, prepotente. Approfitta della bontà di tutti quanti, e soprattutto della mia. Va dicendo in giro che io sono ’o meglio cumpagno suo, invece me l’ha sempre piazzato a quel servizio. E quante me ne ha fatte passare! Ormai non li conto più i guai che m’ha combinato e le tarantelle in cui m’ha fatto entrare.

    Ma mo’ me l’ha fatta grossa. Grossa assai. Questa non gliela posso proprio perdonare. No, su questa non ci passo, pure se venisse a chiedermi perdono in ginocchio. Pure se mi contattasse ’o Pataterno in persona e mi dicesse: «Caro Cosimino, lascia perdere, non avere risentimento, Totore è fatto così. Porgigli l’altra guancia».

    Col cazzo che gli porgo l’altra guancia! Se lo acchiappo, gli abboffo di paccheri tutt’e due le guance; gliele faccio diventare come a due palloni. E gli spezzo pure le cosce, a quello stronzo di merda. A meno che non le tiene già sfrantummate per quello che ha fatto.

    Statemi a sentire, poi mi dite se ci ho ragione oppure no.

    Tutto è cominciato l’altro ieri pomeriggio.

    Io stavo schiattato sopra al divano del soggiorno di casa mia a vedermi l’ultima puntata di The Walking Dead, quando lui m’è venuto a scocciare. Lo fa spesso, tiene un’abilità incredibile a scassarmi le palle nei momenti meno opportuni. E purtroppo non glielo posso impedire più di tanto, perché abita di fronte a me. Da sempre. Da quando siamo nati. Non di fronte a me in un’altra casa, no, ma proprio di fronte a me sullo stesso pianerottolo. Al quarto piano di un palazzone di Marianella, uno dei quartieri della periferia nord di Napoli.

    Ha bussato, s’è fatto aprire da mia mamma, e quando ho sentito la sua voce dentro al corridoio, mi so’ fatto la croce.

    «Ecco qua, ho finito di vedermi il telefilm in grazia di Dio!» ho pensato.

    E infatti.

    Lui è entrato con il suo solito atteggiamento da buffone e m’ha chiesto: «Che staje facenne, Cosimi’?»

    «Non lo vedi che sto facendo? Sto guardanne ’a televisione».

    «Che stai guardando?»

    «The Walking Dead».

    «E che è?»

    «’Na serie».

    «’Na serie ’e che?»

    «Che po’ essere, secondo te? ’Na serie televisiva. Di fantascienza».

    «Di che parla?»

    «Di zombie».

    «Zombie? Sarebbero ’e morti viventi?»

    «Sì, sarebbero ’e morti viventi».

    «Ma comme faje a te vere’ ’sti ccose?»

    «Siente chi parla! Tu comme faje a te vere’ L’Isola dei Famosi? Vatte a fa’ ’nu giro e nun me disturba’, va’».

    «Ti devo parlare. È urgente».

    «Parliamo più tardi. Fammi prima vedere come va a finire. È l’ultima puntata».

    Senza nessun rispetto per me, ha chiuso la porta del soggiorno, ha afferrato il telecomando e ha stutato ’a televisione.

    Io l’ho appicciata un’altra volta e lui l’ha stutata un’altra volta.

    Io l’ho riappiccicata e lui l’ha ristutata.

    Abbiamo fatto questo ’na quarantina di volte.

    «Toto’, pe’ piacere, te staje fermo?»

    «Cosimi’, t’ho detto che è ’na cosa urgente. ’O telefilm te lo vedi dopo».

    «Come me lo vedo dopo, se finisce?»

    «Ti scarichi la puntata da Internèt».

    «Io ’sti imbrogli non li faccio!»

    «Io sì. Te la scarico io».

    Mi so’ dovuto arrendere. Come sempre, mannaggia a me.

    «Avanti, parla, sentiamo ’sta cosa urgente».

    Lui s’è seduto sul divano, m’ha messo una mano su una coscia (lo fa tutte le volte che mi deve rifilare ’na fregatura), m’ha guardato dritto negli occhi con una faccia da baccalà e m’ha fatto ’na domanda che gli avrò sentito dire cento milioni di volte: «Cosimi’, tu me si’ frate a me?»

    Per farlo contento, per la centomilionesima volta gli ho dato la stessa risposta: «Sì, Toto’, je te so’ frate a te».

    «Di conseguenza, visto ca je e te simme frate, tu non mi puoi dire di no».

    «Dipende. Parla chiaro, nun te perdere in chiacchiere».

    È partito da lontano: «Tu sai benissimo che io so’ fidanzato cu Rosaria».

    «Eh…»

    «E sai pure che guagliona è, Rosaria».

    «Eh…»

    Rosaria è ’na ragazza bellissima. Anzi, più che bellissima: è bona. E io non ho mai capito come faccia a stare con uno come a Totore, che per quanto tenga ’na presenza accettabile, non è ’na cima, in fatto di attrazione.

    Ma oltre a essere bona, Rosaria è super intelligente ed è la gentilezza in persona. E di gentilezza ce ne vuole un tumulo, per sopportare a quel cornutone di Totore. Bisogna essere santi. Beati non basta. Santi.

    «Ultimamente io e Rosaria siamo andati in crisi e abbiamo fatto tutta ’na serie di discussioni».

    «Non mi meraviglio» ho detto io. «L’avrai fatta incazzare per qualche motivo».

    «Sì, m’ha truvato a parla’ con un’altra ragazza».

    «Dimmi la verità, Toto’: stavi solo parlando o stavi facendo qualche altra cosa?»

    «In effetti me la stavo ammoccando e maniando».

    «’O solito imbecille! Io da amico t’ho avvisato non so quante volte: nun fa’ ’o cretino con Rosaria, che a una come a lei non la trovi nemmeno se ti fai tutto il giro del mondo o se vivi cento vite».

    «Sì, sono un imbecille. Ma è stata solo ’n’avventura, ’na debolezza. Gliel’ho spiegato e spergiurato, e lei me l’ha fatta passare liscia, diciamo. Però s’è raffreddata, non mi tratta più come prima».

    «E ci credo!»

    Totore a questo punto s’è messo quasi a piangere, modello sceneggiata di Mario Merola: «Cosimi’, Rosaria è tutta ’a vita mia! Non la posso perdere!»

    «Se ti metti d’impegno e nun faje cazzate, non la perdi. Ma vorrei sapere: io che ci azzecco fra te e Rosaria?»

    Finendo di fare il chiagnazzaro, Totore m’ha fissato con serietà e mistero: «Ci azzecchi, ci azzecchi…»

    «Cioè?»

    «Mi devi aiutare».

    «E ti pareva. Ogni volta che stai con le pacche nell’acqua, ti ricordi di me, eh?»

    «Sì, ma stavolta è diverso».

    «Ogni volta è diverso. Vieni al dunque».

    E lui è venuto, al dunque: «Domani io e Rosaria facciamo un anno esatto che stiamo insieme».

    «Auguri!» ho fatto io.

    «Grazie. Per festeggiare l’anniversario e farmi perdonare definitivamente, le ho promesso di portarla a Sorrento. Ci siamo andati ’na volta sola, qualche mese fa, e le è piaciuta assai. Ci facemmo ’na lunga passeggiata, ci mangiammo un gelato, fu ’na situazione molto romantica e zuccarosa. Io stavo in perfetta forma, la feci schiattare dalle risate con le mie battute».

    «Quindi?»

    «Quindi ci vorrei ritornare, a Sorrento, ma domani sera non tengo la macchina. Serve a mio padre e a mia madre, devono andare a Pomigliano d’Arco a trovare a zia Angelina che ha avuto il terzo figlio, un maschietto».

    Mi stavo innervosendo: «Quindi?»

    «Quindi, Cosimino, fratello mio caro, mi serve la macchina tua».

    «Che?!»

    «Hai capito bene: la macchina tua».

    «Ma io la macchina non la tengo!»

    «La macchina di tuo padre, intendo».

    So’ scattato come ’na molla: «’A machina ’e papà?! Non esiste proprio! Chille m’accire, se soltanto la nomino. Se l’è accattata due settimane fa e la tiene chiusa dentro al garage come ’na collana di diamanti dentro a ’na cassaforte. Tu si’ pazzo, Toto’!»

    Dopo anni di sacrifici, mio padre Sergio, che fa il meccanico in un’officina a Piscinola, ha comprato ’na 500 ultimo modello. L’ha fatta vedere tutto orgoglioso a me e a mammà e ci ha portati a fare un giro sull’Asse Mediano. È la prima volta che si piglia un’automobile nuova; le altre che ha avuto, erano di seconda o di terza mano. A volte pure di quarta.

    Totore ha guardato verso la porta, per paura che mia madre potesse sentire: «Sssssshhh, non alluccare!»

    «Io sto a casa mia, e allucco quanto mi pare e piace!»

    «Ma non è il caso, ragiona. Che t’ho chiesto di strano?»

    «Azz, che m’hai chiesto di strano? M’hai chiesto la macchina di papà, e chesta è ’na cosa ca nun sta né in cielo né in terra».

    «Non sta in cielo ma in terra sì. Sta ’nto garage. E se non tieni il coraggio di domandargliela, ti prendi le chiavi e la pigli, senza dirgli niente. Tanto domani è sabato, e tuo padre il sabato e la domenica non esce mai».

    Vero. Dopo ogni settimana di duro lavoro, mio padre il sabato e la domenica non vuole sapere niente: abbandona il resto del mondo e si inchiomma in casa a dormire, a fumare e a guardare le partite.

    «Il fatto che non esce non significa che mi posso fottere la macchina a mio uso e consumo. Se lo venisse a sapere, mi intommerebbe di mazzate».

    «Non lo verrà a sapere, Cosimi’. Facciamo ’n’operazione silenziosa e indolore».

    «Basta, Toto’, discorso chiuso!»

    Ho acchiappato il telecomando e ho riappicciato la televisione. La puntata di The Walking Dead stava per finire.

    Con una mossa veloce, Totore ha stutato un’altra volta la trasmissione e s’è ’nfilato ’o telecomando dentro alle mutande.

    «Ja’, fammi vedere come te lo prendi».

    «Si’ ’nu bastardo!»

    Lui non ha risposto all’affronto e m’ha attaccato sul mio lato debole: «Ho detto a Rosaria di portare una compagna sua per te».

    «Come?»

    «Domani prendi la macchina e vieni pure tu. Rosaria fa venire ’n’amica sua, così facciamo un’uscita a quattro».

    Poiché non vedevo ’na guagliona dai tempi delle guerre puniche, stavo arrapato comme ’nu cardillo in calore, e la proposta m’ha fatto scattare gli ormoni sugli attenti.

    Io so’ sempre stato imbranato con le ragazze. Timido e insicuro. Ogni mia storia non è durata più di un mese. Per colpa mia. Non ci so fare, è un limite che ci ho. Ho buttato al vento certe occasioni che tuttora, se ci penso, mi viene da dirmi: «Cosimi’, sputati in faccia da solo e va’ a fa’ l’eremita in un convento, ca è meglio».

    Totore ha capito che mi stavo incuriosendo, e con malizia ha piazzato ’o colpo del kappaò: «È ’na figona esaggerata».

    «Ah, sì?» ho detto io facendo il finto indifferente.

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