Il tempo di Pinocchio
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Mi siedo ˗ spesso mi siedo
sul letto della penombra,
nessuno può accorgersi dell’imbarazzo
pur scrutandone le movenze,
nessuno può accorgersi dello stropicciarmi gli occhi
di fronte ai riccioli neri:
pensavo fossero d’oro i capelli del messaggero.
Resto seduto ˗ spesso resto immobile
perché non ho voglia del mondo
pur avendo voglia dei cieli …
Luca Imperiale è nato a Brindisi nel 1983. Laureato in scienze religiose presso l’Istituto Superiore di scienze religiose (ISSRM) “Don Tonino Bello” di Lecce. Insegna religione. Ha pubblicato due opere poetiche: I giorni dell’ombra. Diario degli occhi disarmanti e Il balordo.
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Book preview
Il tempo di Pinocchio - Luca Imperiale
Prefazione
Sono spregevole, sono uno strampalato, cosa diavolo ci faccio qui? Non appartengo a questo posto
, cantava Thom York in Creep, la canzone più universalmente celebre non ché la più odiata dagli autori, quella che, durante i concerti, i Radiohead non cantano mai perché oltremodo riduttiva rispetto alla complessa poetica dell’alienazione sviluppata nell’arco dei tre decenni successivi. Eppure, quella bruciante constatazione che l’umano non è in grado di ospitare il discorso amoroso e che regole e assennatezza spingono a farsi beffa della passione in quanto impulso fine a sé stesso che non produce altro che un torpore disperato, è perfettamente in nuce già in quel primo, fulminante singolo, al quale ho continuamente pensato leggendo la silloge di Luca Imperiale nella quale l’autore dà voce, spesso in scenari crepuscolari e sfumati, a io poetanti dalla fantasia sovraeccitata, sempre in bilico tra armonia e dissidio, capziosità e pazzia, umorismo e avvilito nichilismo. La lusinga per tutto quel che è discrepante, per le zone d’ombra, gli abissi, l’ineffabile, e i momenti estremi in cui la tensione sembra volersi allentare: si avvicendano vorticosamente nello scorrere delle liriche. La sfrenata fascinazione per la follia, fluttuante fra ascese e cadute vertiginose, il tentativo di radunare diritto e rovescio, luce e tenebre, di tenere insieme facce contrapposte dell’esistenza: sono continuamente al centro dell’attenzione di Imperiale e del suo lavorio teso a sviluppare uno sguardo intenso ed eroicamente rivolto ai cigli, a tutto ciò che appare dissipato e disarticolato, ma non per questo liminale.
L’intento sembra essere quello di affrancare e salvare il particolare nell’universale, ma anche di tirare fiato e porsi in ascolto, consapevole che spingersi oltre i limiti è nient’altro che il connaturato, ontologico limite stesso dell’umano.
Livio Romano
Introduzione
Sono un folle, e non ho alcuna intenzione di non esserlo. Vivo nelle mie scarpe, nei miei passi, nei miei vicoli di bellezza, stupore, morte, dolore, Resurrezione. Vivo raccogliendo i fiori nel fango, che appare agli occhi, i miei occhi, come il giardino dove è distesa colei che amo: è distesa adesso, nello stesso pomeriggio dell’Incontro che fecero Giovanni e Andrea; nello stesso pomeriggio dell’Incontro col più Grande Folle della storia; un Rivoluzionario silenzioso, un Pazzo che aveva ed ha il nome di tutte le favole reali, di tutte le realtà sognate, di tutti i tagli sulle nocche dopo i pugni sul muro dove si riflette l’ombra somigliante alla ragione del nichilista che non smette di affascinare le fragilità non volute. Le fragilità non volute sono attratte dal potere della forza finita e illusoria ostentata sul pulpito di un’altezza tale da confondersi col cielo, da mescolarsi con la follia Celeste, ingrigendone lo sfondo, facendo impallidire le speranze autentiche delle fiabe lette ai bambini. Sono un folle immerso nella scrittura di troppe o pochissime parole che raccontano le mie malinconiche nostalgie; le mie nostalgiche malinconie; le mie inquietudini disarmate e disarmanti, in cammino e pellegrine, con tutti i fardelli del mio universo, nello zaino o nelle tasche. E cosa mai potrò raccontarvi delle meravigliose immagini nel mio folle sottosuolo
fatto di pugni nello stomaco e piccoli frammenti di felicità dopo il dolore? E cosa mai potrò raccontarvi della mia voglia di non tornare, restando, senza andar via sparendo, se non nelle fiabe lette dalla sublime voce del Regno somigliante all’uomo che un giorno scrisse il mio nome in una pagina del libro di tutti i destini: c’era pure il mio nome, per l’appunto, nel libro dei destini; c’era il nome di un folle e le sue fiabe.
E allora provo a raccontarvi del mio immaginifico esistere, provo a raccontarvelo usando i versi che forse leggerete o forse no, che forse vi interesseranno e potrebbero persino piacervi, oppure vi faranno talmente schifo da farvi provare una sorta di nausea letteraria
. In ogni caso vi ringrazio se pur non vi conosco e forse mai vi conoscerò, ma se vi ringrazio ed ho la possibilità di farlo, è perché sono pazzo, completamente pazzo, ma eternamente vivo come Qualcuno promise e promette dopo ogni Crocifissione nei secoli della carne.
Il tempo di Pinocchio
Mi siedo – spesso mi siedo
sul letto della penombra,
nessuno può accorgersi dell’imbarazzo
pur scrutandone le movenze,
nessuno può accorgersi dello stropicciarmi gli occhi
di