I geni manipolati di Adamo: Le origini umane attraverso l’ipotesi dell’intervento biogenetico
By Pietro Buffa
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Un viaggio alla scoperta delle vere origini dell’homo sapiens
Le origini della vita sulla Terra e in modo particolare dell’essere umano sono argomento di discussione di due scuole di pensiero dominanti, da sempre contrapposte: tenaci sostenitori dell’evoluzionismo da una parte e altrettanto irremovibili seguaci della tradizione religiosa creazionista, dall’altra.
Liberato da quella chiave di lettura teologica forse mai appartenuta agli antichi autori biblici, il libro della Genesi ci racconta una storia molto diversa da quella comunemente tramandata. Una storia tutta fisica in cui la presenza dell’essere umano sulla Terra potrebbe non ripercorrere i sentieri di un divino atto creazionistico né quelli di un naturale processo evolutivo ma quelli di una “terza via” che collega le nostre origini a ciò che oggi definiremmo un “interventismo biogenetico”.
In questo saggio l’autore analizza il dibattuto tema cercando di sintetizzare in modo logico l’insieme di informazioni bibliche portate a sostegno dell’interventismo biogenetico con diverse acquisizioni scientifiche a noi contemporanee, in modo da esplorare eventuali relazioni tra questi due mondi apparentemente così distanti.
Con questo libro scoprirai:
- Genesi: la creazione miracolistica dell’uomo è un falso teologico?
- I testi antichi parlano di clonazione umana?
- Dove ci porterà l’ingegneria genetica?
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I geni manipolati di Adamo - Pietro Buffa
1
Non è creazione
Il concetto di creazione, nella sua elaborazione filosofico-religiosa atta a manifestare il potere di Dio e il suo diretto rapporto con la natura, fu talmente supportato e diffuso dalla teologia dogmatica che, per un lungo intervallo di tempo, persino gli scienziati non osavano dubitarne. I riferimenti biblici alle presunte origini delle specie viventi erano generalmente accettati e diventavano indiscutibili quando ci si spingeva a interrogarsi sull’uomo, glorioso atto finale dell’intero processo creazionistico.
La scienza sentiva l’esigenza di classificare il creato in maniera razionale, evidenziando somiglianze e differenze tra gli organismi ma nessuno intendeva contravvenire all’idea, secondo la quale, tutte le specie viventi sarebbero sempre rimaste immutate nel tempo, così com’erano state in origine concepite da Dio (ipotesi fissista).
In questa direzione si muoverà anche un allora giovane e sconosciuto scienziato inglese di nome Charles R. Darwin (1809-1882), arruolato come naturalista di bordo sulla nave da ricognizione Beagle che nel 1831 si dirige verso le coste del Sud America. La spedizione parte con l’intento di raccogliere prove sul racconto biblico della creazione ma il risultato della missione si trasformerà invece, in maniera del tutto inaspettata e per un ironico destino, in quella che sarà la prima radicale confutazione alla genesi divina delle specie viventi.
Le straordinarie intuizioni che si sviluppano nella mente di Darwin negli anni successivi a quel viaggio troveranno un esito sistematico solo nel 1859, anno in cui lo scienziato (indotto anche da alcuni colleghi che indipendentemente stavano giungendo alle sue stesse conclusioni) deciderà di rendere pubblica quella serie di dati che serviranno a edificare la teoria sull’evoluzione delle specie per selezione naturale. Tanta sarà la curiosità intorno a quel rivoluzionario lavoro, che le prime due edizioni del trattato che ne descrive i princìpi, The Origin of Species¹ (L’origine delle Specie), andranno esaurite in pochi giorni.
Darwin propone un nuovo modo di pensare la natura delle forme viventi, asserendo un loro intrinseco potere di cambiare gradualmente nel tempo (evolversi) sfruttando il meccanismo della selezione naturale, senza la necessità di chiamare in causa nessun intervento divino. L’intero concetto di creazione, l’atto divino che porta all’esistenza ciò che prima non lo era (creatio ex-nihilo), punto fondamentale della teologia dogmatica, viene messo in seria discussione e considerato dallo stesso scienziato un potenziale limite alla comprensione della realtà dei fenomeni naturali alla base della vita sulla Terra.
Nel 1871, anno di uscita del libro The Descent of Man² (L’origine dell’uomo), il padre dell’evoluzionismo porta il suo discorso alle estreme conseguenze, divulgando l’esistenza di un’umanità fossile
e includendo anche l’essere umano nel quadro di un’evoluzione per selezione naturale. Attraverso i fossili, afferma Darwin, la terra fornirà i preziosi tasselli che ci consentiranno di assemblare un mosaico informativo sulle origini molto più concreto e vicino alla realtà rispetto a quanto avessero fatto i testi sacri, responsabili di aver tramandato nei secoli la falsa idea d’essere noi tutti progenie di un’unica coppia di esseri umani senza una precedente storia, apparsi sulla Terra già biologicamente moderni
. Quella coppia che la tradizione religiosa ci ha sempre presentato come Adamo e la sua compagna Eva.
Il mondo teologico, leso nella sua dottrina, avrebbe reagito molto duramente contro il lavoro di Darwin, spingendo alcuni scienziati a elaborare modelli alternativi alla nascente teoria bio-evoluzionistica e muovendo feroci critiche che si protrarranno negli anni a venire. Le obiezioni teologiche e accademiche non riusciranno però a oscurare la fama dello studioso, il suo lavoro, né tantomeno il suo credito come scienziato e la selezione naturale si consoliderà nel tempo come l’unica spiegazione sull’origine delle specie alternativa alla visione miracolistica.
Charles Darwin era però un uomo di fede e proprio durante gli ultimi anni della sua vita, quando ormai larga parte del mondo scientifico aveva aderito alla sua tesi bio-evoluzionistica, fu assalito da una profonda sofferenza interiore dovuta al fatto di non esser riuscito a conciliare le evidenze scientifiche con i princìpi teologici a cui era stato rigorosamente educato. Si interrogò a lungo su come fosse possibile che i dati acquisiti in tutti quegli anni e i numerosi studi in corso potessero risultare così drammaticamente in disaccordo con quanto descritto nel libro della Genesi. La sua fu una condizione di grave disagio che lo portò negli anni a pensare che il celebre racconto biblico della creazione, con particolare riferimento a quella dell’uomo, potesse non esporre la reale modalità con cui il fenomeno sarebbe accaduto. Si trattava forse di una possibile ambiguità del testo? O si sbagliava nell’interpretarlo?
Supposizioni sicuramente non accettabili a quei tempi eppure in grado di trovare oggi importanti avalli negli studi di diversi specialisti della Bibbia. Uno di questi è Mauro Biglino.
Già traduttore dall’ebraico per le edizioni San Paolo e profondo conoscitore della storia delle religioni, Biglino ha avuto il merito, secondo alcuni, o l’intemperanza secondo altri, di mettere in luce significati letterali che allontanerebbero i racconti biblici antico-testamentari da quella lettura teologica e da quel simbolismo che tradizionalmente pretende di spiegarci cosa davvero riportano i testi antichi.
In una sua specifica indagine, il biblista affronta in maniera diretta il tema della creazione attraverso una dettagliata analisi filologica di tutte le 49 ricorrenze del termine ebraico "barà", tradotto nei diversi contesti biblici con il verbo ‘creare’. I risultati di questa analisi, pubblicati all’interno di un libro dal titolo piuttosto esplicito, Non c’è creazione nella Bibbia³, evidenziano che, in nessun caso, tale termine assume il significato di ‘creare’, nel senso di azione divina che porta all’esistenza ciò che prima non lo era. Il verbo "barà", fa notare l’autore, assume nei racconti biblici un significato meno ultraterreno, più fisico, riferendosi sempre a un operato concreto, a un intervento finalizzato alla modifica di una situazione preesistente.
Sulla base di questo studio, ecco che il libro della Genesi ci racconta una storia molto diversa da quella comunemente tramandata, una storia dove l’essere umano appare ancora come il risultato di un intervento assolutamente straordinario ma che, in netto contrasto con le ricostruzioni legate all’interpretazione teologica, non avrebbe richiesto alcun atto miracoloso
. Del resto, è sufficiente consultare il portale Ancient Hebrew Research Center (ahrc)⁴ alla voce "barà" per acquisire che: «since creating
is an abstract concept, it is a foreign concept to the ancient Hebrew thought» (lett. «dal momento che creare
è un concetto astratto, esso è un concetto estraneo all’antico pensiero ebraico»).
Mauro Biglino non è il solo a denunciare l’introduzione di un concetto (creatio ex-nihilo) che non trova alcun riscontro all’interno dei testi originali. Nei suoi studi, il biblista elabora e approfondisce ciò che anni prima avevano già pubblicamente espresso altri ricercatori come Ellen van Wolde, docente di Esegesi biblica alla facoltà di Teologia dell’Università di Tilburg, in Olanda che, intervistata dal quotidiano «The Telegraph», aveva dichiarato: «God is not the Creator»⁵ (lett. «Dio non è il creatore»).
In un’analisi retrospettiva sul dio della Bibbia, riconosciuto nella figura di Yahweh, anche la scrittrice di origine israeliana Lia Bat Adam, autrice del saggio Esodo⁶, richiama l’attenzione sullo stesso tema. Bat Adam spiega infatti come Yahweh ami certamente rivendicare le proprie prodigiose gesta causa dell’inesorabile morte di numerose genti ma al contempo, lui stesso non si autoproclami mai creatore di universi, né di mondi o esseri viventi e soprattutto non se ne attribuisca mai il