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Una colpa fatale (eLit)
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Ebook287 pages4 hours

Una colpa fatale (eLit)

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About this ebook

Una morte inaspettata, un concorso di bellezza e un nuovo appassionante caso per la coppia Loveday e Ryder.
Oxford, 1960.
Mentre la città si prepara per l’inaugurazione del concorso di bellezza Miss Oxford Honey, una delle concorrenti più promettenti viene trovata morta. Avvelenata. Le autorità inizialmente ipotizzano un suicidio, ma a seguito di scherzi, tentativi di ricatto e depistaggi, l’agente in prova Trudy Loveday e il medico legale Clement Ryder vengono chiamati a indagare sul caso.

In un clima di feroce concorrenza, la lista dei sospetti appare infinita. Una competizione che è iniziata come un innocuo divertimento può trasformarsi in una gara mortale per vincere il premio? La coppia di investigatori deve sbrigarsi a individuare l’assassino, prima che la tragedia si ripeta…

 

LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2022
ISBN9788830532427
Una colpa fatale (eLit)

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    Una colpa fatale (eLit) - Faith Martin

    Prologo

    Oxford, Inghilterra, 1960

    Quella bella mattina di settembre aveva albeggiato con un gradito velo di foschia che nascondeva ogni cosa. Nonostante ciò, mentre scivolava in uno dei tanti cimiteri sparsi per la città, una figura si aggirava circospetta.

    L'orologio del campanile doveva ancora battere le 6. Non c'era da sorprendersi che non ci fosse in giro nessuno così presto, a eccezione del povero lattaio e di un coscienzioso padrone che passeggiava con il suo cane. Eppure quella misteriosa persona, avvolta in un impermeabile grigio pallido che le conferiva un'aria spettrale, si assicurava di continuo che il cappuccio attaccato fosse ben tirato in avanti a nasconderle il volto.

    Un merlo solitario appollaiato su una lapide emise il suo familiare canto d'allarme, ma la figura in grigio lo ignorò, dirigendosi svelta ma con cautela verso la parte più antica del cimitero dove le lapidi erano rese illeggibili dai licheni e dal tempo e un antico tasso carico di bacche sopravviveva alle intemperie in tutto il suo splendore.

    L'unico ospite vivente del cimitero si guardò intorno con ansia, per assicurarsi che l'azione che stava per compiere rimanesse segreta per sempre, poi allungò la mano e colse diverse bacche rosse dalla buccia lucida, scegliendole con cura.

    Dopo essersi compiaciuta per aver colto le preziose bacche così in fretta e averle infilate in un sacchettino di carta marrone, l'anonima figura in grigio le nascose in una delle grandi tasche laterali dell'impermeabile.

    Si fermò al cancello del cimitero e scrutò attentamente la stradina deserta in entrambe le direzioni. Come previsto, non c'era nessun altro a smuovere la foschia immobile del mattino.

    Un orologio nella città delle guglie sognanti batté le ore e allora si fermò a contarle con un ghigno capriccioso. Oxford. Laggiù, nelle sacre sale dell'accademia, era depositata una conoscenza secolare, dagli oscuri aneddoti sulla vita di un poeta metafisico minore alle ultime scoperte nella fusione nucleare. In quella città universitaria di fama mondiale, con un minimo di tempo e di impegno, era possibile scoprire qualsiasi cosa si volesse, su qualsiasi argomento dello scibile umano.

    Come le proprietà dei veleni, per esempio...

    La sagoma spettrale uscì dal cancello del cimitero e si dileguò silenziosa sul marciapiede reso scivoloso dall'umidità.

    Quante persone sapevano che le bacche di tasso erano velenose? E, anche tra quelli che ne erano a conoscenza, quanti si erano mai soffermati a pensare alla loro possibile importanza?

    La gente era sempre così compiacente, ignorante e ignara delle brutture del mondo. Finché stavano bene e nel loro piccolo universo personale tutto filava senza intoppi, non si curavano d'altro, tantomeno del prossimo.

    Ma ora che aveva raccolto il prezioso bottino, l'oscura persona in impermeabile si avviò a passo svelto e cauto verso casa. Sorrideva e annuiva. Presto infatti l'intera città avrebbe scoperto di cosa fossero capaci i frutti dell'umile tasso. Eh già! Allora sì che sarebbe scoppiato un bel putiferio.

    La gente sollevava le antenne solo quando cominciavano a morire quelle giovani e belle.

    1

    Grace Farley si fermò davanti al cancello del giardino della sua vecchia amica Trudy Loveday e fece un respiro profondo. Aveva appena compiuto ventidue anni ed era di poco più grande di Trudy, che conosceva dalle elementari. Ma era passato un po' di tempo dall'ultima volta che si erano viste e aveva bisogno di un momento per ricomporsi.

    Non era affatto sicura che quello che stava per fare fosse la cosa giusta. E se le si fosse ritorto tutto contro? Un cipiglio preoccupato le increspò il bel viso punteggiato di lentiggini mentre combattuta si chiedeva se non fosse meglio girare i tacchi e tornare a casa.

    Una parte di lei era tentata di farlo e basta. Dopo tutto, c'erano così tante cose che potevano andare storte, ma la situazione stava diventando sempre più disperata e lei aveva bisogno di aiuto, su questo non c'erano dubbi. Tutti sapevano che Trudy era entrata in polizia e che se la stava cavando molto bene. La zia di Grace, May, aveva sentito dire dalla parrucchiera che Trudy aveva contribuito a risolvere ben due omicidi. Certo, tutti erano convinti che fosse stato uno dei medici legali della città la vera forza dietro i casi. Ma comunque...

    Grace era una ragazza piacevolmente rotondetta e i suoi capelli corti e ricci, di un castano ramato, si prestavano bene all'acconciatura vaporosa che prediligeva. Si guardò intorno, sapendo di non potersene restare imbambolata davanti al cancello del giardino dei Loveday per tutto il giorno. La gente avrebbe cominciato a notarla e a farsi domande, e questa era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Attirare l'attenzione su di sé poteva essere disastroso. Inoltre, erano quasi le sei, presto avrebbe iniziato a fare buio e lei doveva tornare da sua madre. Le aveva promesso di aiutarla a fare il bagno e...

    Rendendosi conto che stava cincischiando, spinse con decisione il cancello, andò verso la porta d'ingresso e, prima di cambiare idea, batté con decisione tre volte sul battente.

    Si accorse che le tremavano le mani, così le ficcò in fretta nelle tasche del cappotto. Strada facendo aveva ripetuto più e più volte mentalmente quello che avrebbe detto, ma ogni cosa fu spazzata via non appena la porta si aprì, e si trovò davanti il signor Loveday, il padre di Trudy. Sapeva che guidava gli autobus, anche se non quello che lei prendeva per andare al lavoro ogni giorno.

    Si sforzò di sorridergli allegra e, quasi senza fiato, gli disse: «Buonasera, signor Loveday. C'è Trudy?».

    Frank Loveday guardò il viso preoccupato della ragazza, che lo fissava dal basso con i grandi occhi grigioverdi sgranati, e le rivolse un sorriso cordiale. «Grace, quanto tempo! Certo che c'è Trudy. Entra, Barbara ha appena preparato il tè.»

    «Oh, non vorrei disturbare» si affrettò a replicare Grace, seguendolo nel piccolo corridoio che portava in cucina. Quando abitava in quella zona, in una casa popolare a qualche strada di distanza, casa sua aveva la stessa disposizione delle stanze, così come anche quella, dall'altra parte della città, in cui si erano trasferiti per il lavoro di suo padre.

    «Guarda chi è venuta a trovarci» annunciò Frank Loveday, accompagnando in cucina una Grace improvvisamente intimidita e visibilmente nervosa. Il piccolo spazio, dipinto di un bel giallo allegro, era pervaso dall'appetitoso aroma della shepherd's pie, il tradizionale pasticcio di carne e puré che la famiglia aveva appena consumato per cena. Grace rivolse un sorriso incerto a Barbara Loveday, che era al lavello a fare i piatti. La madre di Trudy si affrettò ad asciugarsi le mani e accorse ad abbracciarla.

    «Grace Farley! Mamma mia, come sei cresciuta! Ti sei fatta proprio una bella ragazza. No, Frank?» chiese Barbara al marito.

    «Assolutamente sì» confermò lui prima di tornare a sedersi a tavola, davanti al giornale aperto alla pagina sportiva.

    «Come sta tua madre, Gracie?» le domandò Barbara, prima di abbassare la voce. «Si sente un po' meglio?»

    La fissò preoccupata nel vederla impallidire, ma Grace annuì facendosi forza.

    «Be', sa, i medici fanno quello che possono» rispose, sforzandosi di assumere un tono vivace. Poi spostò lo sguardo oltre la spalla di Barbara e incontrò i due grandi occhi color nocciola di una ragazza alta e bruna, che le sorrideva radiosa. «Ciao, Trudy.»

    «Grace!» Trudy, che stava asciugando i piatti che sua madre le passava, posò l'asciugamano e, interpretando correttamente la complicità negli occhi della sua vecchia amica, disse: «Ho cambiato l'arredamento della camera dopo che ti sei trasferita. Vuoi venire a vederla?».

    «Volentieri» mentì Grace con un sorriso allegro. «Scommetto che è verde. È il tuo colore preferito, no?»

    «Uno dei tanti.» Trudy rise e accompagnò la sua vecchia compagna di scuola su per la stretta rampa di scale fino alla sua cameretta, in fondo al corridoio, lasciando i genitori ad ascoltare Tony Hancock alla radio.

    La camera era poco più di uno stanzino, in realtà. C'era giusto lo spazio per un letto singolo, un armadio e una piccola toeletta. Come quando erano bambine, Grace e Trudy si sedettero fianco a fianco sul letto e gli anni passati svanirono in un lampo.

    Trudy era contenta di vederla, ma gli ingranaggi del suo cervello non la smettevano di lavorare. I Farley avevano lasciato quel quartiere da circa quattro anni ormai, e anche se le erano giunte voci frammentarie sulla famiglia da varie fonti, non aveva idea di cosa potesse aver spinto Grace a bussare ora alla sua porta. Sapeva che la sua vecchia amica di scuola aveva un buon impiego, faceva la segretaria, o la ragioniera per un negozio o un'attività nella zona elegante della città. Aveva anche sentito dire, purtroppo, che la madre di Grace era gravemente malata.

    Come se avesse percepito la sua curiosità, Grace le fece un sorriso ironico e cominciò a piegare e ripiegare nervosamente le pieghe della gonna che indossava. Era un'abitudine che aveva fin da quando era piccola e Trudy corrugò la fronte, ricordando che lo faceva sempre quando qualcosa la turbava.

    «Ti chiederai perché sono qui, immagino» esordì Grace di colpo. «In realtà non so se ho fatto bene a venire, ma non sapevo proprio con chi parlare. Voglio dire, visto che tu sei in polizia...»

    Trudy rimase interdetta. Qualsiasi cosa si fosse aspettata di sentirle dire, non era quella. Insomma, perché mai una come Grace avrebbe dovuto avere a che fare con la polizia? Era difficile immaginare una famiglia più onesta e rispettabile dei Farley.

    «Accidenti, Grace, se la metti così mi fai preoccupare» commentò Trudy, sforzandosi di assumere un tono leggero. «Che succede?»

    In imbarazzo, Trudy si chiese se fosse possibile che uno dei suoi parenti fosse nei guai con la legge, e che Grace si aspettasse il suo aiuto per fare pressioni su qualcuno. Ma se qualcuno della sua famiglia fosse nei guai con la legge, non c'era davvero nulla che lei potesse fare. Era solo un'umile poliziotta tirocinante e come tale non avrebbe avuto alcun potere o influenza nemmeno se fosse stata incline a fare qualcosa, e non lo era particolarmente. Secondo lei, chi infrangeva deliberatamente la legge doveva subirne le conseguenze.

    «Riguarda la mia amica Abigail. Abigail Trent. La ragazza che è morta» le rivelò improvvisamente Grace. Le parole le uscirono di bocca tanto rapidamente e con foga da farle capire che aveva trattenuto il fiato senza neanche accorgersene.

    Trudy rimase disorientata per qualche istante. Morta? Allora non si trattava di una stupidaggine come una multa non pagata o qualche malinteso con il bollo dell'auto, o cose del genere. E poi di colpo ricordò. «Oh! La ragazza morta per avere bevuto il veleno» disse, facendo due più due con un certo ritardo. Aveva letto tutto sul caso negli ultimi giorni sui giornali di Oxford, naturalmente. Una ragazza di circa vent'anni aveva bevuto del succo d'arancia avvelenato e purtroppo era morta. L'inchiesta si sarebbe aperta da un giorno all'altro. «C'entrava una pianta velenosa, se non sbaglio. Bacche, o qualcosa del genere?»

    «Sì.» Grace annuì, cupa. «Bacche di tasso.»

    «Giusto. Ed era una tua amica?» chiese Trudy, pensosa. «Oh, Gracie, mi dispiace tanto! Dev'essere stato terribile. La conoscevi bene?»

    «Più o meno. Cioè, non benissimo, però...» Grace sospirò, poi fece un respiro profondo. «È che... Trudy, tutti dicono che si è suicidata. Al lavoro, nel quartiere, la gente che si sente chiacchierare al bar o sull'autobus... Sai quanto alle persone piaccia spettegolare.»

    Trudy annuì. «Sì. Certe notizie si diffondono a macchia d'olio. Tutti sanno gli affari di tutti. Diranno che era triste e depressa, immagino.»

    «Ecco, è proprio questo il punto» disse Grace con tono piatto. «Non sono convinta che si sia davvero suicidata. Tanto per cominciare, non credo che Abby sapesse nulla di veleni, e tantomeno di bacche velenose o di come usarle per uccidersi. Voglio dire...» Si girò leggermente sul letto, per poter guardare meglio l'amica. «Neppure io ne so niente, non sono esperta di chimica o quello che è. Non ho nemmeno studiato scienze a scuola, e neanche Abby se è per questo! Ma non bisogna distillare quelle cose, o almeno sottoporle a qualche tipo di processo prima che diventino davvero letali? Sicuramente non può essere così semplice come... non so, versare dell'acqua calda su delle bacche e poi berla. No?»

    Trudy guardò gli occhioni grigioverdi di Grace e si avvide della sua profonda angoscia, poi scrollò le spalle, impotente. «Non lo so neanch'io. Ma forse sì? Non lo so, scusa. Ma non ha bevuto quella roba con il succo di frutta per camuffarne il sapore? È quello che dicono i giornali, in ogni caso.»

    Grace scrollò le spalle e fece un sospiro affranto. «Penso di sì. Ma sono convinta che Abby non si sarebbe mai uccisa» insistette ostinata.

    «Va bene.» Trudy annuì, conciliante, non voleva mettersi a discutere. Era chiaro che l'amica era sicura di avere ragione. Ma ora che comiciava a ricordare altri dettagli, le cose non combaciavano con quello che Grace le stava dicendo.

    «Però le persone che le erano più vicine non hanno detto che era... beh, piuttosto lunatica? Che a volte era depressa? Credo che abbiano scritto che persino sua madre diceva che aveva un carattere un po' difficile?»

    Grace fece un altro sospirone. «Mah, era fatta così. Dopotutto aveva solo diciannove anni e, sì, aveva degli alti e bassi. Una discussione al lavoro assumeva proporzioni esagerate e magari un attimo dopo era al settimo cielo per un regalo del suo ragazzo. Era il suo carattere, ma non significa che avesse impulsi suicidi!» protestò. «Abby aveva grandi progetti per la sua vita. Ne parlava spesso. E si divertiva troppo per voler davvero morire! Tanto per dirne una, non vedeva l'ora di partecipare al concorso di bellezza!»

    Trudy batté le palpebre, sconcertata. Sapeva che stavano organizzando un concorso di bellezza, aveva visto gli avvisi e i cartelloni in giro per la città, ma non ci aveva badato troppo. «Ah, si era iscritta anche lei?»

    Grace annuì, e continuando a tormentarsi la gonna senza sosta, prese a parlare rapidamente. «Io lavoro per il signor Dunbar, il proprietario dell'omonima ditta di miele e confetture. Hai presente la fabbrica a nord dopo Summertown?»

    «Ah, sì, Dunbar's Jams, Honey and Marmalade» disse Trudy. «Sei la sua segretaria?»

    Grace fece un sorriso mesto. «Magari! No, non sono così importante! Faccio un po' di contabilità, soprattutto per le piccole spese, porto il caffè, mi occupo dell'archivio e batto a macchina quello che le altre segretarie non hanno voglia di scrivere, tipo le tabelle e... ma non ha importanza.» Agitò una mano. «Il punto è che l'anno scorso il signor Dunbar ha escogitato un piano per promuovere il suo miele. Voleva che diventasse famoso come il marchio Oxford Marmalade.» Fece una pausa e sorrise rassegnata di fronte a quella che per lei era chiaramente una follia, e scrollò le spalle. «Così gli venne l'idea di organizzare un concorso annuale di bellezza per Miss Oxford Honey.»

    Trudy non poté trattenere un sorriso e l'amica, notando la sua espressione, scoppiò a ridere.

    «Lo so, non è certo Miss Mondo!» esclamò alzando gli occhi al cielo. «Ma in realtà è un'idea molto intelligente. Ne parleranno tutti i giornali, e il signor Dunbar conosce il proprietario di quel vecchio teatro vicino a Walton Street, che gli permetterà di fare lì le prove gratis. Ha anche accettato di ospitare il concorso di bellezza aperto al pubblico un sabato sera del mese prossimo. I biglietti sono già quasi tutti esauriti. Questa è una delle ragioni per cui hanno deciso di non cancellare l'evento dopo la morte di Abby. Erano tutti così entusiasti, che sembrava un peccato disdire tutto. Non solo, è anche riuscito a convincere i negozianti a mettere in palio grossi premi e a partecipare come giudici, tutto senza spendere un centesimo.»

    «È proprio uno scaltro uomo d'affari, il tuo capo» disse Trudy, piuttosto scettica.

    «Pare proprio di sì» disse Grace, decisa. «Ma non è questo il punto. Mi è stato chiesto di dare una mano nell'organizzazione, visto che non ero esattamente indispensabile in ufficio» rise. «E la signora Dunbar...» Per un momento parve che quel nome le si incastrasse in gola, poi fece un sorriso triste. «Be', diciamo solo che lei è stata categorica nel mettere in chiaro che il marito non avrebbe dovuto dedicare tempo al concorso di bellezza o lasciare che questo fosse d'intralcio all'attività di produzione del miele.»

    «Ah, ho capito» commentò Trudy con un sorrisetto malizioso. «Non voleva che il marito trascorresse troppo tempo circondato da belle ragazze.»

    Grace fece un respiro profondo, ma era troppo discreta per confermare o negare l'analisi della sua amica su come era arrivata ad avere la gestione pratica del concorso. «Comunque, qualche settimana fa la signora Dunbar ha scritto un comunicato stampa per invitare a contattare l'azienda e iscriversi ai provini tutte le ragazze che abitavano in città o in un raggio di trenta chilometri e volevano partecipare. Ovviamente dovevano avere più di diciotto anni e meno di trenta, e anche... ehm...»

    «Essere carine e con un bel fisico?» le venne in aiuto Trudy quando l'amica s'impappinò, in cerca di un modo diplomatico di dirlo.

    Grace fece una risatina. «Be' dovrebbe essere scontato, no? Ma alcune delle donne e delle ragazze che si sono presentate...» Roteò gli occhi e fece un'altra risatina. «Diciamo solo che io, la signora Dunbar e la signora Merriweather, che sarebbe l'anziana signora che fa parte degli Amici dell'Old Swan Theatre e ci aiuta a organizzare lo spettacolo, abbiamo faticato a convincerne alcune che non erano... ehm, adatte a quello che avevamo in mente.»

    Trudy scosse la testa. «Ci sarà voluto parecchio tatto, e anche diplomazia!»

    Grace ridacchiò ancora, ma poi si rabbuiò di colpo, come se avesse ricordato il motivo della propria visita.

    «Già. Comunque Abigail e la sua amica Vicky sono state tra le prime a fare domanda e noi le abbiamo iscritte subito tutte e due. La settimana dopo abbiamo ristretto la rosa delle candidate a una ventina. In realtà le selezioni sono ancora in corso ma neppure questo è importante. Il fatto è che ho conosciuto Abby e, per farla breve, era piuttosto sicura di avere buone possibilità di vincere. Non vedeva l'ora che arrivasse la sera del concorso. Le brillavano gli occhi! Per giunta, era entusiasta dell'esibizione dei talenti e le piaceva tantissimo provare gli abiti da sera... Trudy, è impossibile che si sia uccisa» concluse Grace con foga.

    Ora guardava Trudy con occhi tanto sgranati che sembrava pensare di poterla convincere solo con la forza di volontà.

    «E non so che cosa fare. Se la giuria darà il verdetto di suicidio, come pensano tutti, sarà un'ingiustizia!»

    Le tremavano di nuovo le mani e Trudy le strinse forte. «Gracie, calmati. Però non capisco che cosa pensi che io possa fare» obiettò con delicatezza. «Sono solo un'agente di polizia tirocinante, e non la conoscevo né so qualcosa sulle circostanze della sua morte.»

    «No, però conosci il dottor Ryder, vero? È un coroner, giusto? Non puoi chiedergli aiuto?» si affrettò a domandarle Grace.

    Trudy la fissò esterrefatta per qualche secondo. Non sapeva come spiegare all'amica, che ignorava il funzionamento della polizia e delle sue gerarchie, il motivo per cui la sua richiesta era tanto assurda. Tanto per cominciare, se il suo capo, l'ispettore Jennings, avesse scoperto che si era intromessa in un caso a sua insaputa, l'avrebbe scorticata viva. Tanto più che l'ispettore non era mai stato un estimatore del coroner.

    Come se avesse intuito le sue proteste, Grace la anticipò. «Ti prego, Trudy, non puoi provare a parlargli? Almeno chiedigli di chiamarmi come testimone o qualcosa del genere? Posso deporre sul suo stato d'animo, almeno, no? All'inchiesta non sarà utile sapere che Abby non aveva affatto tendenze suicide?»

    «Ma come fai a esserne tanto sicura, Grace?» ribatté Trudy, impotente. «Nessuno di noi può sapere veramente che cosa prova un'altra persona.»

    Grace incurvò lentamente le spalle. «Quindi non vuoi aiutarmi?» le chiese secca, con uno sguardo d'accusa che fece sentire Trudy mortificata.

    «Non è che non voglio, ma non posso» cercò di spiegarle. «Non sono neppure una degli agenti assegnati al caso» puntualizzò. «E, credimi, i miei superiori... Diciamo che non saranno ansiosi di ascoltare quello che potrei avere da dire al riguardo» aggiunse con una punta di amarezza. Il pensiero dell'espressione del volto dell'ispettore se gli avesse riferito quella storia era sufficiente a farla rabbrividire.

    Rendendosi conto di quello che doveva affrontare, Grace decise che, giacché era in ballo, tanto valeva ballare. Si riempì i polmoni d'aria, poi dichiarò, quasi in tono di sfida: «Non è solo la questione di Abby, ci sono anche altre cose. Al teatro...». Fece una pausa, chiuse gli occhi per un istante, poi si buttò. «Sono successe delle cose.»

    «In che senso?» chiese Trudy, tagliente.

    Grace si strinse nelle spalle guardandosi freneticamente attorno nella stanza per non dover guardare in

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