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LIBERI di AMARE
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LIBERI di AMARE

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About this ebook

Simone è un giovane universitario che vive a Firenze. Nel tempo libero aiuta il padre nell'officina di famiglia. Immerso nella pandemia, Simone diventa da subito un attivista e attraverso manifestazioni e interventi, tenta di far aprire gli occhi alla massa della popolazione, troppo spaventata dal Covid per comprendere che non esiste solo una strada per uscire dalla minaccia e che molta della comunicazione di massa è stata manipolata dai media. Martina è figlia di un medico che ha creato una barriera verso il mondo attraverso le procedure sanitarie e i vaccini. Martina crede religiosamente a tutto quello che le propina la TV e il padre. Un giorno i due ragazzi si incontrano casualmente. Dopo un'iniziale e radicata antipatia, tra i due scatta la scintilla di un giovane sentimento. Martina e Simone riusciranno ad andare oltre le differenze e a seppellire gli ideali per dare forza a un sentimento improvviso? L'amore può davvero far superare qualsiasi difficoltà?
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateNov 21, 2022
ISBN9791221437935
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    LIBERI di AMARE - Stefano Tesi

    Tifare per il più debole

    Ripensandoci, credo di aver sempre odiato i poteri forti. Altrimenti non si spiega il fatto che fin dall’età di cinque anni ho scelto di tifare per la Fiorentina. Tutti i miei compagni di classe avevano scelto squadre più blasonate che ogni anno vincevano campionati o coppe, team di cui tutti i notiziari sportivi facevano menzione.

    Per avere ragguagli sulla Fiorentina occorreva un evento particolare, una striscia di vittorie oppure un suo calciatore conteso da altri club. Le altre formazioni vincevano scudetti e coppe, la mia si doveva accontentare di battere ogni tanto la Juventus, nostra acerrima nemica. Venivo spesso preso in giro dagli altri bambini che tifavano per le squadre più titolate, ma pur rimanendoci male, mi consolavo con il bel gioco espresso dal mio club e con un senso di appartenenza che andava oltre il significato calcistico. L’impegno profuso dai ragazzi per raggiungere un obiettivo, anche se minimo, mi rendeva fiero di tifare per loro.

    Fin da piccolo avevo capito cosa significasse non essere dalla parte della maggioranza.

    Ero con quelli che non avevano voce, con chi, pur urlando, non veniva ascoltato.

    «Che divertimento c’è a vincere sempre? Non è più bello assaporare qualche sconfitta, in modo che quando arriva una sudata vittoria, questa riesca ad assumere un valore ancora maggiore?» Era il modo che spesso usava mio nonno per consolarmi dopo qualche sconfitta. Le sue parole erano state sempre molto importanti per me, così come quelle di mio padre.

    La mia famiglia mi aveva insegnato a non guardare mai le apparenze e a pormi sempre delle domande.

    «Nulla è come sembra.» Era solito dire mio padre. «Soprattutto se chi parla dice l’unica verità senza contradditorio e voci fuori dal coro. Tanti ti danno del matto solo per il fatto di vedere le cose in un altro modo. Quando ero giovane, spesso ascoltavo da persone più grandi di me la solita litania lo hanno detto in televisione, come per dire che ciò che veniva raccontato era la prova della verità assoluta. Chiedi sempre chi ha un vantaggio a mostrare tale fatto oppure se esistono altre spiegazioni. Occorre verificare da ogni angolazione, anche se per molti è la più sconveniente. Il bravo giornalista non è colui che fa audience, ma chi racconta la pura verità senza conflitto di interessi.»

    Come dare torto alle parole di mio padre? Crescendo ho imparato a mettere in pratica i suoi insegnamenti e a nutrire dubbi su tutto ciò che mi veniva raccontato.

    «Guarda le torri gemelle. Ancora c’è chi crede che siano cadute a causa di aerei dirottati da terroristi.» Era solito usare come esempio a chi era scettico sul nostro modo di pensare.

    Mi ero fatto una cultura su YouTube e su blog di cosiddetti negazionisti. Le Twin Tower non potevano essere crollate per la fusione delle travi d’acciaio dovuta a un incidente aereo, ma dovevano obbligatoriamente essere precipitate a causa di deflagrazioni sincronizzate. Così come l’immediata individuazione degli attentatori e dei mandanti era qualcosa che faceva riflettere.

    Da un punto di vista politico, non mi potevo definire né di destra, né tantomeno di sinistra. Ero un patriota, questo sì. Nutrivo interesse per il mio paese e per il mio popolo, senza radicalizzarmi in ideologie specifiche. Pur avendo alcune simpatie, non mi riconoscevo in nessun esponente politico. Non avevo tessere, né bandiere, eccetto quella viola e quella italiana cucite sul petto.

    Ero fidanzato con Denise da un paio d’anni. Aveva tre anni meno di me. Con lei trascorrevo molto tempo, dato che frequentava anche lei la facoltà di Economia e Commercio di Firenze.

    Io, ormai, ero fuori corso da qualche anno. Mi ero bloccato con matematica finanziaria che non mi voleva assolutamente entrare in testa. Avevo già sostenuto l’esame due volte e in entrambe non lo avevo passato.

    In concomitanza a ciò svolgevo attivamente manifestazioni per la difesa dei diritti individuali e partecipavo a comizi. Ero un militante attivo nella lotta alla ricerca della verità, quella che non ci veniva mostrata.

    Aiutavo saltuariamente mio padre in un’autofficina vicino casa. Questo mi permetteva di guadagnare un minimo per soddisfare i miei fabbisogni.

    Oltre alla vita politica, utilizzavo il mio tempo per svolgere attività fisica. Ero un frequentatore assiduo della Palestra Athletic fino a quando il lockdown chiuse tutto. Il titolare, purtroppo, non era riuscito a sostenere le spese ed era fallito. Una delle tante attività che avevano dovuto chiudere a causa dei lockdown imposti. Al suo posto venne creato un centro fitness di una grande catena internazionale. Ero venuto a conoscenza che i nuovi titolari avevano ottenuto prezzi stracciati per l’acquisto dei macchinari della vecchia gestione. Per non andare contro ai miei ideali, da quel giorno non ho messo più piede in quel luogo. Se fossi tornato in quella palestra come se nulla fosse successo avrei mancato di rispetto ai vecchi titolari.

    Tale comportamento era per me una forma di solidarietà. Purtroppo, ero uno dei pochi che la pensava così. Di conseguenza, avevo iniziato a praticare regolarmente ginnastica a casa. Per l’occasione avevo acquistato una panca e qualche peso. Naturalmente ero andato a comprare il necessario in un negozio del quartiere, non volendo essere complice dell’incremento dell’economia delle multinazionali on-line che avevano visto un’espansione ai danni delle attività territoriali.

    Tali valori mi sono stati insegnati dalla più tenera età.

    Mentre quasi tutti i bambini si sono addormentati con le classiche novelle lette dai loro genitori, mio padre mi raccontava delle fiabe moderne, come gli piaceva chiamarle.

    Il fantomatico sbarco sulla Luna creato negli studi Hollywoodiani, la misteriosa morte di Lady Diana, la vita di Nikola Tesla e le sue fantastiche scoperte, le giovani dipartite di Marylin Monroe e Michael Jackson avvolte nella nebbia.

    La novella di Lady Diana iniziava così: «C’era una volta una principessa infelice che viveva in palazzi sfarzosi, circondata da ricchezze e da servitù pronta ad assecondare ogni suo desiderio. Ma tutto ciò non faceva per lei. Si sentiva fuori luogo. Aveva creduto all’amore e al sogno di tutte le bambine, ma si era svegliata in un incubo dal quale non riusciva a emergere. Un giorno…»

    Quella di Marylin Monroe invece incominciava con queste parole: «C’era una volta una donna bellissima di cui tutti gli uomini del mondo erano innamorati. Viveva negli Stati Uniti e faceva l’attrice…»

    A volte mi raccontava quella di Michael Jackson: «C’era una volta un bambino di colore che avrebbe voluto diventare un cantante. Il suo sogno si realizzò, riuscendo a diventare la star più famosa al mondo. Ma non sempre il successo equivale alla felicità…»

    Ogni favola per bambini ha sempre il lieto fine. Quelle che mi raccontava mio padre invece no. Terminavano sempre con la morte del protagonista oppure con la sua rovina.

    In prima media, la professoressa d’italiano ci chiese di comporre un tema dal titolo La mia fiaba preferita.

    Questo fu il mio.

    «La favola che preferisco è quella dell’inventore che voleva bene alle persone. C’era una volta un ingegnere che brevettò numerose invenzioni. Un giorno effettuò una scoperta importantissima, che avrebbe rivoluzionato la concezione che c’era fino ad allora del mondo e l’intero futuro dell’umanità. Aveva scoperto un serbatoio infinito di energia pulita e gratuita per tutti che si autogenerava. Tale scoperta risultò indigesta ai potenti del pianeta che realizzavano profitti dall’uso quotidiano di tale bene. Con ogni mezzo Nikola Tesla, questo era il suo nome, venne screditato e distrutto economicamente e psicologicamente. Morì in povertà e in solitudine in una stanza d’albergo.»

    Il giorno seguente la professoressa riportò i compiti corretti. Dopo averli distribuiti a tutti i miei compagni, si soffermò sul mio tema. Lo lesse ad alta voce a tutta la classe. Ripeteva ciò che avevo scritto con tono di sufficienza. Tutti i presenti, eccetto me, ridevano, senza neanche sapere chi fosse il personaggio descritto. Provai vergogna e un senso di rabbia. Tale accaduto non influì sulle mie scelte.

    Queste novelle contribuirono a farmi comprendere che, ogni avvenimento, da qualsiasi visuale venga osservato, mostra dei lati oscuri. La ricerca della verità è necessaria per poter scoprire come realmente sono avvenuti i fatti in questione.

    Tutto ciò spinge coloro che come me, sono chiamati dall’opinione pubblica negazionisti a dubitare di ciò che ci viene raccontato e a farsi domande, la prima delle quali è sempre: a chi è convenuta la morte di questa persona? Oppure, a chi giova tale epilogo della vicenda?

    Il diritto di manifestare

    Via via che crescevo, pur non comprendendo immediatamente i fatti che accadevano, notavo che le versioni ufficiali della verità sembravano sempre manchevoli di qualcosa, con delle grandi zone d’ombra da analizzare. Ero ancora troppo piccolo per capire, ma la strada che avevo intrapreso era quella della ribellione.

    Fin dalle scuole medie non so quante volte sono stato buttato fuori di classe per la condotta. Non accettavo regole che per me non avevano un senso. Per questo finivo molto spesso in presidenza. I miei genitori non mi sgridavano, anzi, per loro era motivo di orgoglio avere un figlio che aveva una testa pensante.

    Anche alle superiori le cose non cambiarono. Ciò che mi salvava era il fatto che in tutte le materie, eccezion fatta per matematica, andavo bene. Avevo una buona dialettica e una capacità di comprendere immediatamente ciò che leggevo.

    Bastava una sola lettura e l’argomento era appreso. Quello che a volte mi fregava era il fatto che spesso durante le interrogazioni, oppure i compiti scritti, contraddicevo l’autore delle opere.

    Questa era la mia natura, non potevo fare altrimenti. Soltanto il professore di lettere e storia ammirava il mio modo di comportarmi, pur a volte non condividendolo.

    Era una persona colta. All’epoca, aveva circa cinquant’anni. Vestiva trasandato, indossava camicie non stirate, la stessa giacca per tutti gli anni delle superiori. I capelli lunghi e spettinati, a lui non importava il giudizio altrui. Il fatto di non essere curato da un punto di vista esteriore mi faceva capire che probabilmente spendeva il suo tempo per altro. Era un pozzo di cultura, era impossibile metterlo in difficoltà con una domanda. Ogni argomento che trattava lo affrontava con estrema chiarezza e completezza. Le sue spiegazioni mi affascinavano, dato che raccontava anche aspetti non convenzionali, punti di vista che non trovavamo neanche nei libri di testo. Voleva che approfondissimo ogni argomento su più fonti diverse.

    Ricordo ancora le sue parole. «Voi fate parte della storia che i vostri figli studieranno. Avete una grande responsabilità. Guardate al passato e cercate di migliorare il futuro. Certi errori commessi non devono più ripetersi.»

    Queste frasi sono rimaste impresse nella mia mente e hanno influito sulla mia crescita.

    In quegli anni accrebbe il mio senso di insoddisfazione. Partecipai a scioperi, assemblee, occupazioni scolastiche per ottenere diritti che ci erano stati tolti o negati. Per tanti ragazzi ero diventato un punto di riferimento, un leader silenzioso. Altri, naturalmente, non comprendevano il mio modo di fare, considerandomi una persona in lotta contro tutto e tutti che doveva trovare del marcio in ogni cosa. A me del giudizio altrui poco importava e andavo avanti per la mia strada.

    Riuscii a diplomarmi in tempo, senza mai farmi bocciare, pur rischiando ogni anno il sette in condotta.

    Scelsi di continuare gli studi, optando stranamente per un indirizzo che non avrei mai pensato di prendere: Economia e Commercio, indipendentemente dal fatto che non andassi bene in matematica. Desideravo comprendere aspetti che non avevo ancora del tutto chiari, senza soffermarmi a pensare al futuro sbocco lavorativo. Ogni cosa che succedeva nel mondo ruotava intorno all’economia. Le crisi, le guerre e il futuro dei popoli. Anche i diritti che ci venivano negati avevano la stessa matrice. Avevo una gran fame di conoscenza e voglia di capire se tutto ciò poteva essere vero e se sì, come avvenisse tale meccanismo. In fondo se sei all’interno di un conflitto occorre conoscere bene il tuo nemico.

    Anche all’Università le cose non cambiarono. Gli studi non andavano male, eccezion fatta per alcune materie più tecniche che non riuscivano a entrarmi in testa.

    Anche nel periodo della pandemia non rimasi certo a guardare, ma partecipai a ogni manifestazione e fui presente in ogni luogo in cui ci fosse stato bisogno di lottare.

    «Sono ormai due anni che sto combattendo insieme a voi, fratelli e sorelle, una dura battaglia. Prima ci hanno spaventati con una malattia sconosciuta in cui i governi aiutati dai media hanno alimentato paura nella gente, poi hanno iniziato una feroce caccia al diverso, incrementando odio nei confronti di chi la pensava in un altro modo. Come per magia è stato scoperto un vaccino che se pur sperimentale, piano piano sta diventando un obbligo nascosto.»

    Queste furono le parole che un sabato pomeriggio, successivamente al lockdown, stavo pronunciando alla manifestazione che si stava svolgendo a Firenze, in Piazza Santa Croce, una delle tante che si svolgevano con regolarità tutti i fine settimana, davanti a una folla composta da persone che avevano bisogno di non sentirsi più sole.

    «Le libertà stanno scomparendo e stanno spogliando la Costituzione di ogni valore. Ogni diritto viene calpestato in nome di una fantomatica pandemia. In tutto il mondo ci sono manifestazioni che i media oscurano. Anche qui in Italia ogni piazza è piena di gente che si sente tradita da chi ci governa e ci dovrebbe tutelare. Persino i sindacati non si sono schierati dalla parte dei lavoratori. Per fortuna non siamo soli. Guardiamoci l’un l’altro. Siamo tantissimi e insieme possiamo riprenderci ciò che i nostri padri e nonni hanno ottenuto con tanto sudore e sangue: la libertà!»

    Un boato si alzò dalla folla e tutti insieme intonammo in modo continuo quella parola: «Libertà, libertà, libertà…»

    Fu bellissimo ed emozionante. Come in tutte le manifestazioni, il mio cuore batteva a mille. Ciò che dicevo era sentito e non era frutto di frasi fatte per accaparrarmi il favore dei presenti. Ormai ero diventato un leader della lotta dei più deboli. In molti si rivedevano nelle mie parole. Insieme a me tanti amici che avevo di volta in volta conosciuto. Il gruppo si faceva sempre più numeroso.

    Quando scesi dal palco, tanta gente mi venne incontro per stringermi la mano. Ciò era molto importante per me. Voleva dire che quello che dicevo era arrivato ai loro cuori e che le mie parole erano anche le loro.

    Andai da Denise, presente come tutte le volte alle manifestazioni che si svolgevano le domeniche o i sabati nelle piazze. Il nostro primo incontro fu durante un corteo universitario per protestare per i tagli alle scuole e alla sanità. Era impossibile rimanere indifferenti alla sua vista. In quell’occasione notai i suoi occhi marroni seguirmi in ogni movimento. Il suo sguardo era penetrante e allo stesso tempo sicuro di sé. Aveva un fisico perfetto, ogni curva al posto

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