Lontano da Parsi
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Lontano da Parsi - Giancarlo Buzzi
1
Era stata adottata dalla famiglia Ristori quando aveva due anni e mezzo. Giovanni e Lisa Ristori non potevano aver figli e desideravano tanto una bambina, così decisero di recarsi presso un brefotrofio in provincia di Milano, gestito da religiose, per sentire se c'era la possibilità di una adozione, nonostante avessero entrambi cinquantacinque anni. Si poteva procedere, però, proprio a causa dell'età, avrebbero dovuto subire una lunga trafila burocratica che sarebbe durata parecchio tempo.
Non si scoraggiarono, armati di grande speranza, attesero, finché, solo poche settimane dopo, la Superiora dell'Istituto li chiamò per informarli che c'era la possibilità di avere una bambina per il momento solo in affido. Una clausola di legge, infatti, legava la piccola alla permanenza temporanea in Istituto, clausola che sarebbe decaduta se, dopo cinque anni, nessuno si fosse presentato a riprenderla.
Trascorsero i cinque anni, venne sciolto ogni vincolo di legge con atto del tribunale, che permise ai Ristori di adottarla definitivamente.
«Il Signore ha ascoltato le nostre preghiere, se ce la portavano via adesso il nostro cuore si sarebbe spezzato», ripeteva Lisa «adesso è tutta nostra, lei è davvero
la nostra Luce».
Così, Maria Luce, all'età di sette anni, divenne definitivamente Maria Luce Ristori anche se veniva già accettata con il medesimo cognome.
Lisa e Giovanni decisero di raccontarle dell'adozione il giorno del suo diciottesimo compleanno. Lisa lo disse a mia madre che, conoscendo la loro angoscia, li invitò una sera a casa nostra per parlarne in tranquillità.
Le nostre famiglie erano legate da anni di amicizia, io e Luce eravamo come fratelli.
Mia madre, sapendo che ignoravo completamente questa storia, cercò di prepararmi. Non riuscivo a crederci, tutto avrei pensato tranne che fosse una figlia adottiva perché l'amore e l'attenzione di Giovanni e Lisa nei suoi confronti andavano oltre il semplice ruolo di madre e padre adottivi e Maria Luce sentiva su di sé questa forza che le trasmettevano.
«Cosa ne pensi, Guglielmo, tu che sei il suo unico amico», mi chiese Giovanni commosso.
«Strano regalo per il suo compleanno, potrebbe anche non gradirlo al momento, ma non è più una ragazzina, saprà come reagire», risposi, cercando inutilmente di tranquillizzarli.
«Potremmo rimandare a dopo la festa, allora»
«No, Giovanni! Non rimandate, questo è il momento migliore e non abbiate paura, non l'avete trattata come Cenerentola
e poi, dirglielo proprio il giorno in cui diventa maggiorenne lo prenderà come un dono ulteriore che le offrite, non vi deluderà, dovete aver fiducia in lei».
A fine serata sembravano convinti e più sereni. Io avrei fatto la mia parte casomai rimanesse turbata dalla rivelazione, perché, per dirla tutta, conoscendola bene, non sarebbe stato da Maria Luce accettare con indifferenza la più importante notizia che riguardava la sua vita.
Organizzarono un ricevimento pomeridiano con una torta Sacher
, la sua preferita. Le regalai un mappamondo, non uno di quelli che si regalano di solito ai bambini, ma uno molto dettagliato e professionale. Sapevo che l'avrebbe gradito perché sin dalle elementari amava la geografia.
Il mappamondo aveva anche un'altra funzione, quella di distrarla mentre Giovanni e Lisa si caricavano della forza necessaria per affrontare l'argomento e quando sarebbero stati pronti e pieni di coraggio, spettava a mia mamma proporre un brindisi quale segnale di inizio.
Giovanni aveva preparato il discorso giorni prima, poi venne a casa nostra a provarlo per sentire da noi se erano le parole giuste. Quello che molti avrebbero giudicato come comuni parole di circostanza, venivano in realtà dal profondo dei loro cuori: suo e di Lisa.
«Facciamo un brindisi alla festeggiata!», disse mia madre alzandosi in piedi.
Era arrivato il momento, così mi avvicinai al tavolo seguito a malincuore da Luce, che avrebbe preferito continuare ad esplorare il mappamondo.
Giovanni sbiancò in viso mentre si preparava a parlare. Vedevo quell'uomo, alto, forte, sempre sicuro di sé, diventare piccolo, umile e solo la mano di Lisa appoggiata sulla sua destra riuscì a confortarlo ed infondergli il giusto coraggio.
«Cara Maria Luce, c'è qualcosa che io e mamma dobbiamo dirti ed abbiamo atteso questo giorno in cui sei diventata maggiorenne per farlo, perché qualsiasi decisione vorrai prendere, vogliamo che ti senta libera».
«Tu sei davvero la nostra luce, la gioia della nostra vita sin da quando sei arrivata tra noi ed il bene che ti vogliamo cerchiamo di dimostrartelo ogni giorno», aggiunse Lisa.
«Ma certo che è così, mamma! Che discorsi mi fate?»
«Vogliamo dirti, Luce, che noi non siamo i tuoi genitori. Tu hai un altro papà ed un'altra mamma che ti hanno generato e purtroppo non siamo noi», continuò Giovanni.
«Cosa? Ditemi che state scherzando!» disse Luce, incredula, quasi terrorizzata.
«No, ti abbiamo adottato quando avevi poco più di due anni», aggiunse Lisa.
Seguì un silenzio prolungato, gli occhi di tutti erano puntati su di lei, che aveva sul volto una smorfia, un sorriso forzato che di solito si nota sui volti di chi sta per scoppiare in lacrime, ma cerca di trattenersi.
Si avvicinò a loro per abbracciarli, primo Giovanni, poi Lisa, un abbraccio lungo, carico di amore per entrambi.
«Siete voi i miei genitori e non vi cambierei per niente al mondo. Nel mio ieri, nel mio oggi e nel mio futuro, ci sarete sempre e solamente voi. Quello che è successo nel passato, appartiene a un passato che non conosciamo nemmeno, ma è il presente che importa e nel presente c'è anche una buonissima torta da mangiare».
La serenità era ritornata, ma Luce voleva conoscere altri particolari del suo passato e Giovanni rispondeva ad ogni sua domanda con la sicurezza di un padre che sta educando un figlio.
Le parlò del brefotrofio, della difficoltà per l'adozione e della clausola che la legava all'Istituto per cinque anni e su questo particolare, ci tenne a dire qualcosa anche lei: un vago ricordo di una bimba di due anni e mezzo.
«Allora vi dirò anch'io qualcosa che non ho mai detto e che solo adesso riesco a spiegarmi: probabilmente capivo già qualcosa a quell'età, perché nella mia mente ho impressa la figura di un uomo che mi tiene in braccio, mi stringe forte, ha gli occhi chiari, sta piangendo, la sua barba punge le mie guance, mi da un bacio e mi mette tra le braccia di una donna, con un velo scuro in testa, poi se ne va, senza voltarsi, nonostante allungassi le braccia verso di lui per implorarlo di riprendermi».
«Potrebbe essere un tuo parente, forse tuo padre», le dissi.
«E la donna con il velo una delle suore», aggiunse mia madre.
«Mi piacerebbe proprio capire se quell'immagine nasconda qualcosa di vero oppure è solo frutto della fantasia, ma l'ho sempre così viva che non può essere una elaborazione della mia mente, no, era reale».
«Non abbiamo mai chiesto informazioni alle suore, eravamo felici di averti e questo ci bastava. Quando ti ho
preso in braccio non c'era più un passato, c'era solo un presente, accanto a noi», disse Lisa
«Vorrei indagare, giusto per curiosità, voi mi permettete di farlo?»
«Certo che permettiamo, vero Giovanni?»
«E ti daremo volentieri una mano se ce lo chiedi».
La festicciola proseguì nel migliore dei modi, ma ogni volta che guardavo Luce in viso, la vedevo estraniata, pensierosa.
2
Sapevo che prima o poi avrebbe deciso di fare qualcosa, infatti, due giorni dopo, la incontrai sul cancello di casa che stava uscendo:
«Ehi, Willy, posso chiederti una cosa?»
«Dimmi tutto!»
«Te la sentiresti uno dei prossimi giorni di accompagnarmi sino al famoso brefotrofio da dove provengo?»
«Per fare cosa?»
«Così, giusto per capire se ci sono dei ricordi che mi riguardano»
«Cosa speri di trovare? Il nome di chi ti ha accompagnato?»
«Porterò anche dei soldi per un'offerta, magari le suore mi sanno dire qualcosa»
«Vuoi corromperle?»
«Ma come di viene in mente una cosa simile? Davvero pensi che possa fare una cosa del genere? Forse è meglio che vada da sola».
«Scusa, scusa, ok, vengo con te, ti accompagno, ma solo per curiosità».
Telefonò al brefotrofio per fissare un appuntamento e qualcuno le rispose che potevano riceverla due giorni dopo.
L'ambiente era piuttosto povero, c'era giusto il necessario: vecchie panche nell'ampio corridoio bianco con una sola nota di colore dovuta ad uno zoccolo tinto a vernice lavabile di un color verde indefinibile, però pulito. Sul fondo del corridoio un tavolino con la Madonna di Lourdes, con attorno vasi di fiori in parte artificiali, completava l'arredo.
«Mi ricordo questo odore» disse Luce e pensai che fosse indimenticabile per chiunque arrivasse verso l'ora del pranzo in un istituto per anziani o un convitto scolastico: un odore di minestra misto ad altri aromi, che in questo caso avrebbe potuto essere sudore di bambini.
Dall'ampia vetrata si vedeva il cortile condiviso con un secondo edificio, che aveva sulle finestre incollati dei disegni e delle lettere dell'alfabeto, probabilmente erano le aule.
Una giovane suora ci invitò a sedere ed attendere qualche minuto finché la superiora non avesse terminato la lezione. Luce venne attratta da alcune vecchie foto incorniciate appese alla parete, dove erano appoggiate le panche, si soffermava con lo sguardo su di loro come stesse cercando qualcosa.
La madre superiora ci fece accomodare nel suo studio, Luce iniziò il racconto della sua adozione come gliela aveva spiegato Giovanni, soffermandosi in particolare sul ricordo dell'uomo che l'aveva accompagnata in istituto.
«Purtroppo, signorina, non posso aiutarla più di tanto. I carteggi delle adozioni vengono trasmessi per legge alle autorità competenti il giorno dopo l'adozione avvenuta per l'inoltro al tribunale dei minori. A noi rimane il minore da accudire con solo il nome, nessun cognome o altre notizie che possano indicarne la provenienza», fu la prima risposta deludente.
«Non c'è qualcuno dei tempi che ricordi di quando sono arrivata qui da voi?»
«Delle suore di allora è rimasta solo Suor Anna. Le altre sono state tutte sostituite con altrettante puericultrici perché anche il nostro centro con gli anni si è trasformato da istituto benefico a istituto di formazione per bambini abbandonati. Se ha tempo di aspettare vado a chiamare Suor Anna»
«Mi farebbe felice!»
«Ha voglia di collaborare la superiora, vero?» le dissi
«Si, è veramente gentile. Speriamo che suor Anna si ricordi qualcosa».
La superiora ritornò con Suor Anna che era già stata messa al corrente della nostra visita e di quello che cercavamo.
Suor Anna era piccolina, aveva un viso raggiante che interpretai come espressione di uno stato di grazia ed aveva un particolare che mi colpì: un neo sotto il labbro. Un viso come il suo con quel particolare, non poteva sfuggire ad una bambina anche se piccola e mi auguravo che Luce si ricordasse di lei.
«Ricordo una bambina lasciata da un uomo, che promise di tornare a prenderla di ritorno da un lungo viaggio in America Latina, anzi, volle inserire una clausola nell'atto di adozione che autorizzava a procedere con le pratiche di adozione se entro i cinque anni successivi non sarebbe tornato. Non tornò e di lui furono perse le tracce, di conseguenza, scaduto il tempo, venne dichiarata adottabile. Ricordo molto bene che disse: la bambina non è stata denunciata alla nascita e nemmeno battezzata
, allora la superiora chiese al cappellano se poteva battezzarla qui e così è stato», ricordò Suor Anna.
«Perciò questo battesimo dovrebbe essere stato registrato nelle cronache
della nostra chiesetta», aggiunse la superiora.
«Sicuramente! Ricordo che era stato fatto»
«Vado a cercare il cronicus», ed uscì.
«Invece, riguardo al luogo e alla data di nascita?», chiese Luce a suor Anna.
«Sono certa che quell'uomo indicò alla superiora la data di nascita, ma non seppe dirle il luogo, che rimase in sospeso sino all'affido»
«Per cui tu risulti essere nata a Parsi, anche se non è così», aggiunsi io.
«Succede spesso, specialmente per i bambini lasciati nella ruota», disse suor Anna.
«Li abbandonano ancora in questo modo?» chiesi stupito.
«Molti bambini vengono lasciati al proprio destino. Il nostro istituto è sempre pieno e mano a mano che i letti si svuotano, poche ore dopo vengono già occupati»
Suor Anna continuò il suo racconto parlando dei tempi in cui Luce era lì da loro:
«In quel periodo erano molti i bambini che arrivavano. Difficile ricordarli tutti. Io mi occupavo dei più piccoli, poi sono passata nel reparto maschile. Erano tutti agitati, poveri bambini. Soffrivano per la mancanza dei genitori, ma quando qualcuno ci lasciava per raggiungere una famiglia, allora era festa, la cuoca faceva le torte e
ce n'era in abbondanza per tutti. Cercavamo di dare loro un po' di felicità. Spesso mi chiedo se qualcuno di loro è diventato un buon padre di famiglia o quale strada abbia
preso o se si ricorda ancora di noi. Chissà dove sono finiti, ma li incontrerò tutti