E questo è quanto, Rossi!
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Ma della lucidità un uomo della legge, un uomo che fa del ragionamento la sua arma come il vicecommissario Gian Battista Rossi, non può fare a meno, anche quando il brusio spaventato del mondo sale fino a farsi quasi insopportabile. Perché comunque, lungo la costa ligure come in ogni altro luogo, il crimine non si ferma.
C’è un cadavere in un albergo, sfigurato da colpi di pistola a bruciapelo al tavolo della colazione. La sua usuale discrezione ormai inutile, la sua giovane accompagnatrice stralunata e ammutolita, la sua barca scomparsa dallo Yacht Club di Genova, e nessuna traccia sulla quale costruire una indagine. E poi, giusto una manciata di ore più tardi, ecco che degli spari nella notte in un condominio nei carruggi annunciano una agghiacciante strage famigliare, le cui cause sono tutto meno che chiare.
Fatti di sangue che portano con sé fili da dipanare, ragioni da districare, responsabili da identificare e possibilmente assicurare alla giustizia.
Ma dietro il cuore della classica indagine, sta qui una particolare sensibilità del tutto umana, costruita da uno sguardo sulla realtà attento ai dettagli e curioso delle debolezze degli uomini, che nel filtro letterario di uno spirito burbero e orgoglioso, consegna una storia gialla vivace e imprevedibile.
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E questo è quanto, Rossi! - Rosa Galli Pellegrini
1
Due anni prima
Non aveva dubbi che dovesse aspettarsi uno spettacolo poco bello: i colpi di pistola lasciano il segno. Ma non immaginava di dover vedere quello che gli stava dinnanzi.
Sulla terrazza il corpo era tutto di sghimbescio fra poltroncina e tavolo. Le gambe storte, le braccia anche. Il volto era sfigurato, pieno di sangue e materia. Sangue sui vestiti, tee-shirt e calzoncini. Altro sangue era colato giù dal tavolo sul pavimento e si stava coagulando. La sparatoria era avvenuta circa un paio di ore prima e quindi non era ancora subentrato il rigor mortis.
Il cadavere non era stato rimosso, secondo le istruzioni perentorie che Rossi aveva dato al telefono appena lo avevano avvisato: lasciare tutto come era stato trovato. La scientifica era già sul posto e attendeva i suoi ordini per poter iniziare il lavoro: i due addetti in camice bianco erano in disparte a conversare con due agenti.
Rossi si tirò su la mascherina. Adesso c’era anche questa seccatura: tutti con la mascherina, eccetto il morto, ovviamente.
È stato identificato?
Lo ha visto il direttore. Ha detto che si chiama Aurelio Venturi.
Il personale dell’albergo era stato fatto allontanare, ma tutti erano con i colli allungati dietro alle transenne rosso bianche per avere notizie. Il direttore, che aveva telefonato alla polizia quando aveva sentito gli spari, era seduto vicino alla vetrata del terrazzo e parlava in continuazione dello spavento che si era preso e di quello che aveva visto.
Rossi impartì le dovute istruzioni, telefonò a Genova a chi di dovere e al perito settore, lasciò la sua gente al loro lavoro e raggiunse il direttore.
Era il caso di accontentarlo, visto che parlava tanto: cosa aveva visto dopo che aveva sentito gli spari?
In realtà venne fuori che il direttore non aveva visto proprio nulla. Aveva sentito degli spari, ma non ci aveva fatto caso: aveva pensato che fosse un motorino in difficoltà di avviamento. In finale ammise che aveva trovato il cadavere soltanto dopo essere stato allertato dalle grida della cameriera che doveva servire la colazione sul terrazzo.
È un vostro cliente? Era, voglio dire.
Sì, è venuto più volte da noi. Viene, veniva, voglio dire, almeno un paio di volte all’anno. Questa volta era venuto per il Salone Nautico a Genova. Ha la sua barca attraccata allo Yacht Club.
Il suo nome?
Io mi chiamo Giovanni Vincenzi.
Non il suo, quello della vittima. L’avrete registrato suppongo.
Non l’abbiamo ancora registrato perché è arrivato ieri sera tardi. Si doveva fare stamattina, non appena fosse venuto il concierge.
Avete la sua carta d’identità, giusto?
Sì... cioè, no! Voglio dire, lo conosciamo, è il signor Aurelio Venturi. Abbiamo la carta d’identità della signorina.
Quale signorina?
La signorina che è venuta con lui.
Il direttore centellinava le risposte. Era già stato antipatico a Rossi al primo approccio: adesso poi gli faceva salire la mosca al naso. Direttore, sia più esplicito. Chi è questa signorina? Dov’è adesso?
È nella loro camera. È la prima volta che viene con lui. Ha avuto una crisi. L’ha visto lei per prima, morto, quando è scesa per raggiungerlo a colazione. Pare sia caduta mezzo svenuta. Insomma l’ho fatta portare su: adesso è in camera con una nostra cameriera che è anche infermiera.
E come si chiama?
Non me lo ricordo, vado a prendere il suo documento.
Il direttore si alzò in fretta. Rossi non lo trattenne.
Vada pure e mi raggiunga in camera della signorina, intanto io salgo. A che numero?
Sono al 329, sempre al solito, al terzo piano.
Rossi entrò senza bussare. Una donna in grembiule azzurro che stava seduta in una poltroncina accanto al letto balzò in piedi spaventata. Rossi esibì il distintivo: la donna si tranquillizzò, fece una specie di inchino e indicando il letto portò l’indice alle labbra come per dire di fare silenzio. Sul letto disfatto stava in posizione fetale una ragazza, poco più di una bambina, il viso seminascosto dai capelli biondi lunghi e umidi sparsi in disordine sul volto e sul cuscino. Sembrava dormisse. Rossi fece un cenno come a dire che succede? La donna rispose mostrando la porta. Uscirono nel corridoio.
Rossi si presentò.
Piacere,
disse la donna a bassa voce, io sono Elisa. Elisa Bianchi. Sono una delle cameriere del piano. Sono la più anziana.
Buongiorno signora Bianchi. Possiamo parlare? La ragazzina dentro non si sveglierà?
La donna tirò un sospiro ansioso. Non credo che si svegli subito. Il dottore le ha fatto una puntura intramuscolare, un po’ di Valium, credo. Io ho fatto l’infermiera in ospedale qualche anno fa e un po’ me ne intendo.
Bene, allora mi dica quello che lei sa e che ha visto.
Mah, io ho visto soltanto il povero signor Venturi lì riverso sul tavolino della prima colazione quando mi hanno chiamata. Un macello, per poco mi sentivo male. E la signorina Anna per terra che si agitava come se avesse le convulsioni. Io ero appena arrivata in albergo ed ero salita al piano per iniziare il lavoro. Il direttore mi ha chiamata col citofono interno e mi ha detto di scendere subito sul terrazzo. Quando sono scesa ho visto quella roba, col direttore che sembrava ammattito e i camerieri anche. Il signor Giovanni mi ha detto di chiamare subito il nostro medico e di cercare di portare la signorina in camera. Mi sono fatta aiutare da Beppe, il cameriere, perché questa poveretta si contorceva tutta. L’abbiamo portata in camera e io ho chiamato il dottore. È bravo, è il nostro medico di base, abita qui vicino ed è ancora di quelli alla vecchia maniera che vengono in casa quando uno sta male. Gli abbiamo detto della cosa, ha visto la ragazza che era fuori di testa e le ha fatto quella puntura. Poi ha detto che andava subito via perché non voleva essere coinvolto. Non è neanche sceso a guardare in terrazzo o a parlare con il direttore.
E poi?
Poi è venuto su il direttore; la ragazza era seduta sul letto e pian piano si è coricata. Il direttore ha detto che ha chiamato voi, la polizia, e mi ha dato l’incarico di stare accanto alla signorina, di non lasciarla sola. Ecco.
Come si chiama la ragazza? Il direttore ha detto che ha la sua carta d’identità.
Si chiama Anna, il cognome non lo so.
Lei non la conosceva quindi da prima?
No, l’ho vista stamani per la prima volta. Il direttore mi ha detto che era arrivata con il signor Aurelio, ieri sera dopo che io ero già andata via. Non è mai venuta prima qui da noi.
Ma il signor Aurelio veniva solo, le altre volte?
Quando mai solo, il signor Aurelio? Parlandone da vivo, era uno che a casa mia si chiama... lasciamo stare. Tutte le volte veniva con una ragazza nuova. Per lo più ragazzine, bionde e giovanissime come questa poveretta.
"Bene. Grazie per le informazioni. Stia con la signorina. Quando si sveglia non la lasci andare via e mi chiami in commissariato, anzi no, mi chiami sul cellulare, le do il numero. La saluto