Il volto di Don Chisciotte: Storie confidenziali di letteratura spagnola
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Book preview
Il volto di Don Chisciotte - Valerio Di Stefano
Ai miei maestri:
Carlo Gandolfi
che mi diede 1 al primo compito di spagnolo, e fece benissimo
José Manuel Blecua Tejeiro
luminare, padre di una generazione di ispanisti. Mi offriva un whisky ogni giorno alle 10,30
Alessandro Martinengo
e ai suoi navigatori letterati (o letterati navigatori)
Francesco Guazzelli
traduttore formidabile e acuto, relatore di tesi e poi amico
Tommaso Scarano
studioso certosino e indefesso
Rafael Lapesa
gigantesco storico della lingua
Dámaso Alonso
che ai suoi 90 anni di gioventù mi diceva "Basta letteratura! Mi parli degli spaghetti."
Félix Monge
grammatico coltissimo e uomo di immensa bontà
PREFAZIONE (A MO' DI SCUSA)
L'idea di questo libro risale, in nuce, al 1997.
Ci ho messo così tanto a scriverlo e pubblicarlo perché, come diceva Unamuno, parlando del romanzo, una narrazione "se hace. Cioè
si fa", nel senso che si genera, si forma, evolve (o, purtroppo, troppo spesso, involve), assume vita propria, si stacca da chi l'ha scritta. E questo è il momento.
Il germe, o l'embrione di quanto oggi presento, è una fotografia in bianco e nero, le stesse che tanto sarebbero piaciute a Lorca. Una foto di agenzia, di quelle che servono per corredare una notizia, che pare non sia vera finché non c'è una dimostrazione visiva di quanto riportato.
Non posso riprodurla qui per motivi di copyright e, dunque, per pura vigliaccheria. Dciamo che non voglio rischiare la galera per i miei lettori, e tanto fa.
Ma immortalava l'allora Presidente della Camera Fausto Bertinotti che incontrava l'"eroe del Chiapas", il Subcomandante Marcos. Bertinotti con la maglietta a mezze maniche a righe e sigaro d'ordinanza. Marcos con il tradizionale fazzoletto scuro sul volto, per ovvi e ben giustificati motivi.
Si scambiarono un dono, i due, in quella occasione. E qui comincia il mistero, perché secondo alcune fonti giornalistiche sarebbe stato Bertinotti a recarlo al suo ospite. Secondo altre il dono sarebbe venuto proprio dalle mani del Subcomandante, a favore del politico italiano.
Sia come sia, l'oggetto del regalo in questione sarebbe stata una rara e introvabile edizione del Don Chisciotte di Cervantes, pubblicata decenni or sono in Messico.
Nulla di tutto questo. Si trattava, in maniera più materiale e prosaica, di una comunissima edizione popolare ed economica stampata (neanche tanto bene) a Madrid dall'editore Espasa-Calpe negli anni recenti. Valore attuale del volume, forse, due euro al mercatino dell'usato.
Posso dirlo con certezza perché da studente, squattrinato com'ero, ne comperai una identica durante un periodo in cui frequentavo un corso di lingua e letteratura spagnola per stranieri presso l'Università di Saragozza. Ricordo benissimo che in quella occasione conobbi una deliziosa ragazza inglese di diciotto anni, la cui memoria mi è ancora molto cara benché inevitabilmente lontana, e del cui nome non voglio ricordarmi. Quel giorno dovetti far quadrare i conti decidendo se portarla a cena fuori o entrare in possesso di una edizione seria, o, quanto meno decente dell'opera capitale del Maestro. Risolsi comprando quell'edizione, che era in assoluto la più economica, barando vigliaccamente sul prezzo finale in libreria e sottraendo qualche peseta alla proprietaria del negozio, una signora gentilissima ma un po' svampita. Riuscii a restare nel budget quotidiano di spesa e io e la ragazza inglese uscimmo felici a mangiare in una trattoriola di infimo ordine (oggi è diventata un locale carissimo e di gran lusso), dove consumammo, poveri ma innamorati, una minestrina in brodo con capellini passati di cottura, due salsicce alla brace con patate fritte e un gelato alla fragola confezionato, con la palettina di plastica. Da bere acqua del rubinetto. Ma purtroppo gli spagnoli sono delle vere e proprie schiappe nel fare il gelato. E anche nel cuocere la pasta. L'edizione del Chisciotte la conservo ancora. Della ragazza non ho mai saputo più niente.
Non volevo e non ho mai voluto scrivere una "storia della letteratura spagnola. Per quella ci sono i manuali universitari. Sapevo che una roba del genere l'avrebbe letta solo qualche studentessa universitaria
triste e solitaria nella sua stanzetta umida (come recita una canzonetta di non ricordo chi), affittata a prezzi da strozzinaggio, annoiata, di quelle che
diciotto e via", con il cellulare a portata di mano per rispondere a un fidanzato di cui, probabilmente, non gliene frega più niente. E io non volevo fare quella fine. Né quella della studentessa né quella del manuale. E nemmeno quella del fidanzato, a dirla tutta.
Però, la letteratura spagnola, questa sconosciuta... se chiedete a un italiano qualunque di media cultura quali siano i suoi autori più importanti, vi elencherà sicuramente i già citati Cervantes e Lorca. E già vi sarà andata di lusso. Se, poi, l'asticella culturale si abbassa un tantino, qualche signora ormai attempata vi dirà di aver letto (in gioventù, s'intende) le poesie d'amore di Pablo Neruda. Che però era cileno, non spagnolo. E che ha scritto poesie fantastiche che non parlano solo d'amore, tra cui un'ode alla cipolla, una alla melanzana e una al carciofo. Vegetariano ma buongustaio, Don Pablo.
Eppure è una letteratura piena di curiosità, aneddoti, peculiarità. Credo sia l'unica in Europa che annoveri tra i suoi autori personaggi che sono diventati giganteschi scrivendo un solo libro nella loro vita. O opere che sono rimaste completamente anonime, spesso per pura ma comprensibile convenienza personale di chi le ha pubblicate.
E ognuno di questi autori e di queste opere ha dietro di sé una storia. Ecco, le storie... Volevo raccontare delle storie, essere un contastorie di quello che sarebbe diventato l'interesse principale, ancorché scarsamente redditizio, della mia vita.
Quando preparavo gli esami universitari, nonché la stessa tesi di laurea, il mondo delle lettere ispaniche era popolato, per me, da scrittori e studiosi dal doppio cognome che mi entravano in testa e vi si fissavano con una rapidità sorprendente. Una collega di studi fu bocciata agli esami perché pronunciò (meschina!) la frase "E come dicono i filosofi Ortega y Gasset..." senza sapere che Ortega y Gasset era il cognome di una sola persona. Ho navigato, prima ancora che ci fosse la rete, attraverso