Topografia di un paese nebbioso
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Topografia di un paese nebbioso - Cristina Cigognini
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2022 Oltre S.r.l.
www.librioltre.it
ISBN 9791280075543
isbn_9791280075543.jpgTitolo originale dell’opera:
Topografia di un paese nebbioso
di Cristina Cigognini
Marchio editoriale Oltre edizioni
Collana Narrazioni
diretta da Diego Zandel
prima edizione cartacea: agosto 2022
con ISBN 9791280075420
a Chiara
1 (via Ugo Foscolo)
Coltelli, piatti, ciotole. Un caos.
La cucina sembrava la scena di un crimine. Schizzi ovunque, di olio e pomodoro. Il lavandino poteva benissimo essere stato usato per sgozzarci qualcuno. Ma a ben guardare, si trattava solo di pesce. Una bella orata, pulita per bene, pronta per essere cotta al vapore, prima di finire affogata nel sugo con olive taggiasche e capperi. La morte sua.
Qualcuno suonò alla porta.
Non aspettava visite; irritato andò ad aprire. Guardò dallo spioncino e la sorpresa fu tale che aprì la porta d’impulso, come quando saluti qualcuno che incontri inaspettatamente in un luogo insolito. L’aria umida lo investì con il suo odore di freddo.
«Buonasera… cosa posso fare per lei?»
La persona entrò senza dire una parola, scura in volto. Si diresse alla cucina, come attratta dal disordine.
Lui la seguì, scocciato.
«Ehi, ma che fa? Se ne vada, sono impegnato. E poi che vuole, scusi?»
Ancora prima di finire la frase, si trovò di fronte alla lunga lama del coltello che aveva usato per sventrare il pesce.
Si voltò per scappare, ma la lama gli squarciò la schiena.
Le mattonelle scure accolsero il corpo con un suono flaccido e un po’ bagnato. Prima le ginocchia, poi il torace, e la faccia dal lato della guancia destra.
Pochi minuti dopo era immobile, sul pavimento, mentre una macchia densa e scura gli si allargava intorno come lo sfondo di un cammeo.
L’assassino si avvicinò circospetto. Osservò il cadavere per qualche istante, per assicurarsi che fosse effettivamente morto. Lo toccò leggermente con la punta di una scarpa.
Inerte. Stecchito.
Uscì dalla stanza, perlustrò il piano terra, attento a non lasciare tracce, e se ne andò dalla porta da cui era entrato senza che nessuno lo notasse nella bruma leggera ma palpabile della prima nebbia.
2 (dintorni)
Il fiume scorre tra le ampie sponde, sussurrando sogni di un paesaggio mai nato. Mai rinato. A nessuno importa di questo fiume imponente, di queste terre, vittime incolpevoli dell’agricoltura intensiva. Il colore di quell’acqua non lascia dubbi: ricorda i caffellatte dell’infanzia, con tanto di inganno, perché era orzo, mica caffè, a colorare quel latte, come qui, in questo fiume, è sporcizia, mica terriccio, a intorbidire le acque.
C’è un punto, poi, in cui il fiume forma un’ansa ampia, permettendo alla sabbia di farci nascere una spiaggia bianca che altrove sarebbe invitante. Qui è tanto fuori luogo da suscitare diffidenza.
È così anche con le persone, in fondo, no? Quando ne trovi una che risplende come un diamante, ti chiedi subito se non sia l’effetto di una luce troppo forte. Troppo bello per essere vero.
Il bello. Il brutto. La luce. Il buio.
Forse questo paesaggio è devastato perché altri possano risplendere al confronto. Lo sfacelo della natura dà prospettiva alla bellezza.
E quel nome. Po. Lascia in sospeso, come se dovesse arrivare un’altra porzione di suono per rendere la parola completa, ma in realtà non arriva mai.
Quei luoghi, poi... Basso Lodigiano, la Bassa, danno un alone di anti-esteticità.
Arrigo Corvi, ora in piedi sull’argine con la fronte verso il tramonto, si sforzava di vedere la bellezza anche in questa terra dove anni di incuria hanno sostituito una pianura incredibile con distese di capannoni.
Arrigo si sforzava di vedere la bellezza e trovare un senso al resto. È brutto il bello, e bello il brutto, voliam nella nebbia e l’aer corrotto. Ma Arrigo lascia andare questo presagio Macbethiano di sventura e si incammina sulla via del ritorno.
«Jeeves, forza. È ora di andare. Tra poco qui non si vede più niente. Guardala, come sale dai campi, la nebbia.»
Il suo inseparabile Bracco di Weimer lo raggiunse trotterellando, mentre non smetteva di annusare qua e là, sempre in cerca di qualche indizio interessante, proprio come il suo padrone, che da qualche mese aveva vinto il concorso per passare al grado di Commissario. Era stato poi affidato a Conaglia, nel cuore della Bassa. Dal di fuori si sarebbe potuto pensare che si trattasse di una promozione, ma sarebbe stato un tantino esagerato. Sì, certo, era commissario e non più ispettore, ma lo avevano spedito a Conaglia. Non a Milano, Torino, Roma... Conaglia, 34.302 abitanti. Non succede granché: qualche fermo per ubriachezza, qualche piccolo spacciatore da tenere d’occhio, i soliti furti nei periodi di vacanza. Insomma, routine. Ma Arrigo è contento, in fondo è nato in questi posti, conosce la mentalità della gente, e per un poliziotto è sempre un vantaggio sapere chi si ha di fronte.
Certo, mai fare di tutta l’erba un fascio, ma la sua laurea in letteratura inglese di sicuro lo aiuta a classificare i tipi umani che gli girano attorno – di questo lui è convinto. È un lavoro tranquillo, fatto di piccole soddisfazioni, niente indagini eclatanti. Ma Arrigo conosce bene l’importanza che assumono i piccoli nel generare la grandezza dei grandi.
Non tollera svogliatezza o lentezze nell’assoluzione del proprio dovere da parte di nessuno, al commissariato. Tutti devono dar prova di dedizione, e anche il lavoro di pattuglia non deve battere la fiacca.
Solo il mese precedente aveva fatto spostare due agenti che aveva trovato a dormire in macchina durante la pattuglia notturna, perché, per loro somma sfortuna, di tanto in tanto gli capita di prendere Jeeves e andare a perlustrare la notte, inseguendo i propri pensieri in cerca di tranquillità. E lì, su una stradina sterrata che divideva due campi dove il granturco era stato lasciato alto a seccare, la pattuglia 314 dormiva con le luci spente, come una nutria gigante che si fosse stancata della vita nei fossi.
La faccia dei due agenti colti in flagrante pennichella era apparsa talmente ridicola da sfiorare la tragedia. L’espressione shockata del commissario di certo ancora li perseguita ovunque siano finiti dopo la richiesta di trasferimento immediato.
Per fortuna la sua calma zen non solo era proverbiale, ma concretamente gli aveva impedito di prenderli a calci.
Om e fuori di qui.
Il confine tra la campagna e il centro abitato è una linea netta, che separa la bellezza dell’argine e dei campi dalle geometrie banali delle villette a schiera, che negli ultimi anni hanno invaso il paesaggio come la cocciniglia fa con le piante. Da qui in avanti il passo si fa più veloce, sempre, anche se Arrigo non è certo il tipo da distogliere lo sguardo davanti a un problema.
«Jeeves, questa sera costolette d’agnello. Ho trovato una ricetta spettacolare. Per te, invece, abbiamo croccantini al gusto di anatra e patate.»
Il cibo, da lui stesso cucinato con cura e decorato con eleganza, è per Arrigo uno spazio dove trovare rifugio da tutto ciò che lo irrita. Quella sera avrebbe cenato sorseggiando un calice di buon rosso, con Jeeves accanto e in compagnia di una giovane fascinosa e intrigante di nome Mary Shelley. Non è facile trovare una donna interessante, libera e in carne e ossa, ultimamente.
3 (via Luigi Coppedè)
Adelaide scese dal treno in ritardo e si avviò a passo svelto verso casa, ticchettando con gli stivali per le strade ormai buie, dove i lampioni rétro che la nuova amministrazione comunale aveva installato conferivano all’aria umida un alone giallastro, che ricordava un set televisivo per una produzione a basso costo e poco aiutavano nel miglioramento della visibilità notturna.
Giunta a casa, non aveva ancora aperto del tutto la porta d’ingresso, che riconobbe uno scalpiccio di piedini nudi sopra il legno. Margherita ed Erica le si avvinghiarono al collo, mentre si abbassava per accoglierle. Le loro voci si sovrapponevano per fare a gara a chi fosse riuscita per prima a raccontare la propria meravigliosa giornata, anche se Margherita ancora non articolava propriamente i concetti.
«Mamma, mamma...»
Dal soggiorno emerse Viola, la babysitter, che guardava divertita la scena.
«Ciao, Adelaide, hai bisogno che resti?»
«No, grazie Viola, puoi andare a casa.»
Erano giorni che Adelaide covava una sensazione di abbandono, quel senso di solitudine esistenziale che ci fa sentire respinti e isolati.
Il fatto che i suoi genitori si fossero da poco trasferiti in Bretagna per godersi la pensione non era certo d’aiuto, ora che era diventata una mamma single. Si era affidata a una babysitter per le sue due bambine, di quattro e due anni, e faceva i salti mortali per tutto il resto.
«Non ti preoccupare, Adelaide, puoi telefonarmi quando vuoi e per le emergenze pratiche c’è sempre Costanza.»
Sì, Costanza, sua sorella, la cui presenza è palpabile quanto un ectoplasma.
La ragazza salutò le bambine con un abbraccio e, avvolta nel suo giaccone imbottito, si lasciò inghiottire dal freddo velo biancastro con cui novembre si ammanta.
La cena era una sorta di rituale. Le bambine aiutavano come potevano ad apparecchiare la tavola e poi se ne stavano appollaiate sugli sgabelli della cucina a osservarla mentre si dava da fare ai fornelli, con i loro occhi curiosi e le esclamazioni