Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'Italia dal 2014 al 2015
L'Italia dal 2014 al 2015
L'Italia dal 2014 al 2015
Ebook488 pages6 hours

L'Italia dal 2014 al 2015

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Storia - saggio (385 pagine) - Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale: Il governo Renzi - Il Jobs Act - La fine della globalizzazione - L’ascesa della Cina


A Febbraio 2014 l’outsider Matteo Renzi, sostituì l’amico Enrico Letta al governo. Questa fulminea scalata al potere era stata legittimata dalla vittoria alle primarie del Pd, dall’inconcludenza dell’azione governativa di Letta, e dall’alleanza con Berlusconi con il patto del Nazzareno stipulato per garantirsi la maggioranza parlamentare per realizzare le riforme. Il giovane premier, galvanizzato da uno strepitoso successo alle elezioni europee, iniziò una frenetica attività politica ed in poco tempo fece approvare un insieme di leggi chiamate JOBS ACT, atte a rivoluzionare le relazioni industriali tra imprenditori e dipendenti. Le aziende non potevano più sostenere i costi dello stato sociale per i margini di guadagno ridotti indotti dalla agguerrita concorrenza dei paesi del terzo mondo dopo che erano state abbattute le barriere doganali.

Nel IV e V capitolo si parla della de-industrializzazione dell’Italia e della fine della globalizzazione guidata dall’America di Donald Trump nel disperato tentativo di impedire lo strapotere della Cina.

Nel VI capitolo infine si parla del successo della Cina nell’ultimo ventennio.


Silvano Zanetti è nato il 21 ottobre 1948 in provincia di Bergamo, da famiglia modesta. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è iscritto al Politecnico di Torino dove si è laureato in Ingegneria Meccanica. Dal 1977 vive a Milano dove ha lavorato presso diverse aziende metalmeccaniche come tecnico commerciale e maturato una buona conoscenza di usi, costumi ed economia dei Paesi europei ed asiatici. Nel 1992 ha frequentato un Master MBA all’Università Bocconi. Alla fine della sua carriera lavorativa si dedica al suo hobby di sempre, lo studio della storia. Collabora con la rivista e-Storia dal 2010. Nel 2018 ha preso la decisione di scrivere i contenuti presenti in questa collana divulgativa di storia contemporanea.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateNov 15, 2022
ISBN9788825421422
L'Italia dal 2014 al 2015

Read more from Silvano Zanetti

Related to L'Italia dal 2014 al 2015

Related ebooks

Related articles

Reviews for L'Italia dal 2014 al 2015

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'Italia dal 2014 al 2015 - Silvano Zanetti

    Introduzione

    Dato uno spazio a N dimensioni conoscendo l’intensità, la direzione ed il verso di tutte le forze attive, la risultante in direzione, verso ed intensità è nota: la Storia.

    Ogni forza rappresentativa di ogni essere vivente, agente in un qualsiasi piano è la risultante di infinite forze attive e potenziali, tutte tese a massimizzare il vantaggio esistenziale.

    Ogni forza rappresentativa di ogni essere vivente, conseguito il massimo vantaggio tende a mantenerlo ed a difenderlo strenuamente.

    Il massimo vantaggio conseguito da una forza rappresentativa di ogni essere vivente è temporale in quanto le forze escluse di ogni essere vivente tenderanno a migliorare il loro vantaggio esistenziale.

    Confesso che era mia unica intenzione di scrivere un semplice e breve saggio storico sugli ultimi anni della politica italiana, dal 2013 al 2018, ovvero la XVIII legislatura. Per esempio, un volumetto dal titolo «Da Matteo Renzi a Matteo Salvini», oppure «Ascesa e declino di Renzi e l’affermazione del M5S» ecc.

    Completato un volumetto di circa 100 pagine, ebbi la malaugurata idea di farlo leggere ad alcuni amici per un loro commento. Fui subissato da critiche costruttive quali: come si fa a parlare in poche pagine di Jobs Act, Globalizzazione, Euro, Riforme costituzionali, se non si spiega quanto avvenne negli anni precedenti? La storia è sempre un dipanarsi di eventi, talvolta nuovissimi e imprevedibili, ma il più delle volte sviluppatisi senza soluzioni definitive negli anni precedenti (es. il debito pubblico, le riforme mai riformate) o che erano «in fieri» e che sono esplosi anni dopo (es. il basso valore aggiunto del settore pubblico e privato o i diritti civili). La soluzione di alcuni problemi ne crea sempre di nuovi per cui, quelli che erano considerati rivoluzionari e che avevano contribuito a cambiare la società nell’arco di due generazioni, diventano conservatori se non reazionari; arroccati nella difesa, con le unghie e coi denti, di conquiste e privilegi, mitizzati e sacralizzati in tabù intoccabili (la riforma del lavoro, il rapporto uomo-donna).

    Convinto da questi suggerimenti amichevoli mi sono accinto a questa immane, ma anche piacevole fatica, che mi ha impegnato due anni di vita.

    Per evitare che i lettori abbiano un giudizio sfavorevole su questo mio lavoro, concentrato soltanto su alcuni aspetti di quanto accaduto in questo lasso di tempo, vi aiuto a districarvi in questo mio «libro-puzzle».

    Il XX secolo fu contrassegnato in Europa da due sanguinose guerre mondiali, che hanno determinato la fine dell’Eurocentrismo, e della contrapposizione tra Capitalismo e Socialismo, con tutte le loro varianti: dal Nazifascismo al Liberalismo democratico, dalla Socialdemocrazia al Comunismo. Verso il 1990 si ebbe il crollo del regime comunista-utopista nell’URSS. Contemporaneamente prese forma ed ebbe successo l’originale «via cinese al Socialismo» che nega sì il Liberalismo politico (solo il Partito Comunista è legale) ma incentiva l’economia di libero mercato favorendo l’affermarsi di un Capitalismo senza Liberalismo.

    Le due culture politiche, Liberalismo e Socialismo, a cui si erano ispirate le élites politiche e culturali al comando in Europa, verso la fine del secolo, avevano esaurito il loro compito e le masse popolari, drogate dai media, erano pronte a dare il consenso ad altre élites più vicine ai loro bisogni primari, rifiutando le precedenti mediazioni ideologico-culturali. Le mediazioni religiose erano già state da lungo tempo rifiutate.

    L’Italia, essendo geopoliticamente e culturalmente parte integrante del mondo occidentale, da quegli sconvolgimenti e crisi di valori ne uscì a pezzi.

    Con il crollo del Comunismo in URSS crollò anche il duopolio democristiano–comunista che aveva retto l’Italia per 40 anni, e nel contempo si ebbe l’ascesa al potere politico di una élite avida e populista senza ben definiti ancoraggi culturali. Questo trapasso di potere reale segnò il fallimento della classe borghese liberale e degli intellettual-marxisti senza profonde radici nelle masse popolari. Tutti si dimostrarono incapaci di guidare la società italiana a fare il salto di qualità, passando da una società di consumi ad una società ad alto valore aggiunto, in cui il fabbisogno di maggiore democrazia e partecipazione è anche più elevato.

    E mentre in questi ultimi 25 anni alcuni paesi continuavano ad accrescere il loro benessere, a cui partecipavano sempre più vasti strati della popolazione, l’Italia andava scivolando verso gli ultimi posti in Europa sia per i livelli di reddito sia per i livelli di diseguaglianza.

    L’avere aderito a pieno titolo, fin dall’inizio alla costituzione dell’Europa negli anni ’50, era stato di grande vantaggio per l’Italia, che aveva ricavato notevoli benefici per la propria industria manifatturiera, e di conseguenza aveva incrementato l’occupazione ed il benessere generale. Tuttavia dal 2.000, con la creazione della moneta unica, l’euromarco, l’Italia perdeva anche la sovranità della moneta. Le sarebbero rimasti solo gli obblighi di onorare i propri debiti, avendo ceduto a terzi sia il proprio mercato, sia la propria sovranità, delegata a Bruxelles con una infinita serie di accordi commerciali e civili.

    Il fallimento post 2.000 era insito nelle motivazioni della classe politica italiana che riteneva di poter rifilare all’Europa parte del suo enorme debito pubblico, essendo incapace ad attuare quelle riforme atte a ridurre la rendita parassitaria.

    Il gioco del cerino acceso da passare a qualcun’altro funzionò. Nessuno era disposto a farti entrare nel condominio chiamato Europa se poi non eri disposto ad accollarti le spese condominiali.

    La Gran Bretagna, verificato che gli svantaggi della sua partecipazione ad un’Europa a trazione tedesca erano superiori ai vantaggi, sarebbe uscita da questa trappola, con l’appoggio del suo popolo.

    Ed ecco in breve i fili conduttori, che mi hanno ispirato nello scrivere questo saggio e che aiuteranno i lettori a capire quanto accaduto negli anni dal 1994 al 2018.

    In tutti i volumi, il primo, il secondo e talvolta il terzo capitolo, descrivono sia il panorama politico, sia i dibattiti tra i partiti, sia i Governi che si sono succeduti con le loro promesse, programmi e provvedimenti legislativi realizzati in quel preciso momento storico.

    I Partiti politici ed i loro leaders sono tutti coinvolti in una rissosità continua e, per dirlo alla Guicciardini, sembrano tutti super interessati a conseguire i propri interessi «particolari» piuttosto che pensare al bene comune. La lotta tra il cartello delle Sinistre e il cartello delle Destre, dominato da Silvio Berlusconi, durerà venti anni e finirà per portare il Paese stremato fuori da tutti i giochi politici europei.

    Nei restanti capitoli di ogni volume si introducono argomenti a tema che si distribuiscono fra i vari volumi. I due temi principali trattati sono: le rivoluzioni industriali, fino a quella dell’informatica, che si sviluppano di pari passo con il Capitalismo-liberale e, come contrappunto, la storia dello Stato sociale, dalla riforma delle pensioni di Bismarck, alla Third Way di Tony Blair, Gerhard Schröder,ed al Jobs Act di Matteo Renzi.

    Accanto a questi due mainstreams si introducono anche temi completamente nuovi: l’immigrazione, gli attentati terroristici islamici, i mutamenti nella Chiesa Cattolica, il cambiamento dei costumi degli italiani, la Repubblica Popolare Cinese, la globalizzazione, il crollo del sistema bancario mondiale e poi la bancarotta sfiorata delle banche italiane.

    Per finire, un ringraziamento lo devo al nostalgico gruppo degli «amici Einaudini» capitanato da Francesco Favero (collegio universitario Principe Amedeo di Torino) sopravvissuti al ‘68 ed in particolare ad Alessandro Accorinti, che si è sobbarcato l’immane compito di raddrizzare le mie bozze creative.

    Non vi è mai stata l’ambizione di redigere qui una storia onnicomprensiva del passato ventennio, ma solo una parziale rivisitazione dei momenti più significativi di cui sono stato testimone diretto o indiretto.

    Buona lettura…

    Silvano Zanetti

    Introduzione al settimo volume

    Con questo volume inizia la trilogia dedicata a Matteo Renzi: l’outsider della politica italiana che ebbe nelle sue mani la possibilità di attuare le riforme che avrebbero fatto uscire il Paese dalla stagnazione e dallo stallo in cui si era cacciato da 20 anni. Fallirà sia per colpa sua sia per colpa della società italiana fondamentalmente reazionaria decisa a difendere il potere e le rendite economiche ed ideologiche.

    Al sindaco di Firenze, Matteo Renzi, l’investitura a Primo Ministro fu conferita a furor di popolo. Nel febbraio del 2014 per uscire dallo stallo politico in cui si dibatteva la classe politica italiana, Renzi, per realizzare le riforme tanto attese, strinse un patto tra gentiluomini con il nemico di vent’anni della sinistra:¹ Berlusconi. Costui era interessato al di là dei motivi ideali neo liberisti, soprattutto alla grazia ed all’annullamento della condanna che l’aveva escluso dal Parlamento.

    Il non eletto al Parlamento ottenne uno strepitoso successo alle Europee che fino ad allora erano neglette, ora aveva il Partito ai suoi piedi.

    Il Governo Renzi, assicuratosi l’appoggio dei centristi e di Forza Italia, procedette a marce forzate nell’approvazione di alcune riforme tanto attese. In particolare riuscì a fare approvare una profonda riforma dello Stato sociale, che passerà alla storia come Jobs Act. Ma questo gli costerà l’appoggio della Sinistra radicale del suo partito. E qui iniziano i limiti di Renzi incapace anche in futuro a trovare una pace temporanea con la minoranza ideologica del suo partito. Doveva ben sapere che l’80 % dei parlamentari PD erano stati scelti dal precedente segretario Bersani, che si era ben cautelato vagliando e scegliendo quelli di provata fede ex comunista o suggeriti dalla potente confederazione sindacale CGIL. Costoro di fronte al consenso enorme del loro Segretario che li aveva tratti d’impaccio, si erano accodati al carro del vincitore. Fino a che il vento non avrebbe fatto il suo giro.

    Per meglio comprendere il valore delle leggi sul Jobs Act, ultimo atto della storia dello stato sociale da noi descritto nei precedenti volumi, un intero capitolo, il terzo, è stato dedicato alle politiche del lavoro, dallo statuto dei lavoratori del 1970 alle innovazioni del Jobs Act ed all’abolizione dell’art. 18.

    È necessario capire l’evoluzione e la contrazione della industria manifatturiera italiana (con la delocalizzazione di impianti a basso valore aggiunto in paesi a basso costo di manodopera) ed esclusione di innovazione tecnologiche, ed ecco il capitolo IV che parla della deindustrializzazione dell’Italia e dell’affermarsi dei servizi.

    Accanto a questi fenomeni indigeni nel V capitolo, in ideale continuazione con i capitoli dei volumi precedenti, si tratta della fine della globalizzazione, che stava portando enormi vantaggi alla Cina.

    Gli Usa che dal 1945 erano stati Paladini interessati alle liberalizzazioni, dal 2010 virarono verso un protezionismo che fu ufficialmente dichiarato da Donald Trump nel 2015, consapevole che verso il 2030 la Cina sarebbe diventata la prima potenza economica e militare ed avrebbe dettato le leggi al pianeta intero.


    ¹. Il conflitto fu sempre incruento e si svolse principalmente tra le aule di tribunali amici e nemici, e attraverso i media.

    Capitolo I - Il panorama politico e il dibattito tra i partiti

    L’outsider Matteo Renzi per dimostrare che in politica si cambiava radicalmente rotta doveva trovare un accordo con il leader del Centrodestra e questo si avverò con il patto non scritto che passò alla storia come patto del Nazzareno, che avrebbe dovuto sdoganare le sospirate riforme: lavoro, giustizia, legge elettorale, riforma costituzionale. Il Partito di Monti sarebbe stato un supino alleato, e Forza Italia non si sarebbe messa di traverso, mentre nel PD l’estrema sinistra, espressione della lobby CGIL, cominciò da subito a differenziarsi. La Lega, M5S che erano stati premiati alle elezioni si schierarono fieramente all’opposizione.

    1.1 – Il patto del Nazareno

    Immagine

    Immagine VII.1 Renzi, il pifferaio magico

    Il neo-Segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, in un incontro svoltosi il 18 gennaio 2014 nella sede del PD a Roma, in via del Nazareno, conclusero un accordo politico tra gentiluomini² che venne consegnato alla storia politica come il "Patto del Nazareno. Lo scopo di questo contratto" non scritto era di concordare iniziative politiche che fossero di reciproco vantaggio, o almeno neutrali.

    Berlusconi premeva per la sua riabilitazione, dopo che il Senato gli aveva negato l’immunità facendolo di fatto decadere dalla funzione di Senatore con incandidabilità per 6 anni. Confidava anche di ottenere un atteggiamento neutrale da parte del futuro Governo verso la sua società Mediaset, oggetto da 20 anni di attacchi della magistratura e della sinistra, restii a concedere ad un privato la gestione di media potenzialmente atti a condizionare l’opinione pubblica.

    A Renzi invece interessava assicurarsi la maggioranza più ampia possibile in Parlamento (specialmente al Senato) per le riforme costituzionali, non potendo contare sulla lealtà della Sinistra radicale del suo partito, legata al sindacato CGIL.

    L’accordo di massima fu trovato su questi argomenti:

    a) la riforma della legge elettorale (Italicum).

    Il Mattarellum era tornato ad essere in vigore ed aveva sostituito il Porcellum, bocciato dalla Corte Costituzionale. Essendo i due leaders contrari ad un sistema di voto proporzionale che costringeva il partito di maggioranza relativa a lunghe mediazioni e ricatti da parte dei piccoli partiti, indispensabili per avere la maggioranza, essi si orientarono verso un sistema maggioritario. Il partito o la coalizione con più voti avrebbe avuto la maggioranza assoluta, con una soglia di sbarramento. Berlusconi scartò il sistema a ballottaggio che avrebbe legittimato maggiormente il vincitore.

    b) la riforma del Senato

    Il Senato avrebbe dovuto essere una Camera di Rappresentanza delle Autonomie Locali, sul modello della Camera Bassa Germanica. I Senatori avrebbero dovuto essere 100, non più eletti dal popolo ma rappresentanti degli enti territoriali. Il loro mandato avrebbe dovuto coincidere con quello delle istituzioni territoriali corrispettive. La Camera Alta avrebbe perso anche parte del potere legislativo: le sue votazioni avrebbero riguardato solo le riforme costituzionali, la ratifica dei trattati internazionali, le leggi elettorali degli enti locali, le leggi sui referendum popolari, sul diritto di famiglia, sul matrimonio e sul diritto alla salute.

    c) la riforma della Giustizia

    La riforma della giustizia, tema molto caro a Berlusconi che aveva speso una fortuna in Avvocati difensori, era già in parte diventata legge. Le novità riguardavano principalmente le pratiche di negoziazione e di arbitrato, oltre a dei capitoli appositi per il divorzio e le ferie dei magistrati. Ancora in discussione erano invece le nuove leggi riguardo la giustizia penale: prescrizione, falso in bilancio, auto-riciclaggio. Questi erano proprio i temi più delicati per il leader di Forza Italia interessato a che l’eventuale futuro Presidente della Repubblica gli fosse amico per ottenere eventualmente una grazia.

    1.1.1 – La riforma del Titolo V della Costituzione

    Si prevedevano più materie di competenza esclusiva statale lasciando ancor meno materie residuali alla competenza degli enti locali. Il ddl Boschi, che conteneva il pacchetto di riforme, prevedeva anche la revisione dell’articolo 75 della Costituzione, che riguardava l’abrogazione delle leggi con il referendum. Venne introdotto un doppio quorum, per il quale la consultazione avrebbe avuto bisogno di 500mila firme e della partecipazione della maggioranza degli aventi diritto, oppure di 800mila firme con la partecipazione della maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera.³

    1.1.2 – Le presunte clausole non istituzionali

    Il Patto del Nazareno non conteneva al suo interno solo progetti di riforme istituzionali. Le voci dei soliti ben informati sussurravano che Renzi avrebbe dato determinate garanzie politiche a Berlusconi in cambio dell’appoggio del suo partito. Fra queste, si parlava anche di un accordo salva Mediaset: l’azienda di famiglia del leader di Arcore navigava da tempo in acque poco tranquille e un appoggio istituzionale avrebbe potuto essere l’unica via sicura percorribile per ridare sicurezza alle finanze del Biscione. O ancora si vociferava di un diktat di Berlusconi sull’elezione di Prodi alla Presidenza della Repubblica nel caso in cui Napolitano avesse lasciato l’incarico prima della fine del mandato. Altri ancora accusavano un accordo per garantire una sorta di immunità per Berlusconi che gli garantisse la possibilità di ricandidarsi per le successive eventuali elezioni. Di queste voci non si trovò nessun riscontro di conferma o smentita da parte degli interessati.

    1.2 – Il PD di Renzi e la Sinistra radicale

    Abusando di una terminologia militare, Renzi era per una guerra di movimento atta a contrastare e padroneggiare le mutate condizioni economiche e di produzione in tutto il paese. La Sinistra radicale invece si arroccava in castelli e città fortificate per una statica e strenua difesa delle precedenti conquiste sociali. Va da sé che la loro capitolazione od irrilevanza sarebbe stata una questione di tempo, forse di anni. Le mutate condizioni socio-economiche le avrebbero poste fuori mercato.

    Nell’età dei Comuni gli abitanti dei borghi erano intraprendenti e si costruirono le loro fortune con i commerci e la produzione, mentre gli abitanti dei villaggi, tacciati come tonti, controllati dai castellani erano vincolati ad arcaici ed immutabili diritti e privati di ogni iniziativa che era di esclusiva pertinenza del feudatario.

    Il PD nel 2014 era ancora un’aggregazione di ex comunisti e social-cattolici, risultato di una fusione a freddo dei vertici dei rispettivi partiti (DS e Margherita) che non aveva fuso le precedenti masse di militanti ed elettori. Gli ex comunisti avevano rinnegato ideologicamente i comandamenti del Marxismo-Leninismo, ma era rimasta intatta la struttura organizzativa di base che aveva per fondamento un solidarismo di classe diffuso, un rifiuto delle leggi di mercato nell’economia, una avversione alle aziende private, ed una condivisione dei diritti civili universali. In Italia esistevano una miriade di aziende municipalizzate in passivo con perdite costantemente ripianate dalla fiscalità generale. In generale vi era una visione per un appiattimento sociale se non punitiva per la meritocrazia. Era stato rinnegata l’ideologia della presa del potere della classe operaia, ma non era stata rinnegato l’assistenzialismo universale irresponsabile.

    La revisione ideologica del PD operata nel 1991, al congresso della Bolognina, aveva abbandonato la teoria della lotta di classe spostandosi su posizioni socialdemocratiche. La sua transizione, da ideologia comunista a ideologia socialdemocratica, era stata un fatto elitario. Quando il dibattito si allargò alla base composta da un milione di militanti ed iscritti, le divisioni ideologiche esplosero con secessioni dell’ala radicale (marxista) a vario titolo, sia ideologico che clientelare. Fondamentale fu il ruolo della CGIL arroccata sì in difesa delle conquiste dei lavoratori e delle classi meno abbienti, ma totalmente insensibile ai mutamenti del mercato. E nello sterminato settore pubblico o parastatale si anteponevano i diritti del lavoratore statale ai diritti del cittadino. La gerarchia meritocratica era rifiutata a tutti i livelli dell’amministrazione statale, con preferenza per una responsabilità orizzontale.

    Si ritiene che l’80% dei parlamentari PD, in maggioranza di mezza età, fossero stati scelti singolarmente dal Segretario del PD Bersani con il consenso della Segretaria Susanna Camusso della CGIL e delle cooperative rosse. Erano principalmente di formazione comunista avendo quasi tutti aderito al PCI fin dalla giovane età. Tutto il PD in ogni caso era terrorizzato dal fallimento di Bersani alle elezioni del 2013 e dall’inconcludente fumoso Governo Letta che li stavano trascinando alla rovina. Obtorto collo accettarono Matteo Renzi come il salvatore del loro futuro.

    Al contrario, quelli della seconda componente del PD, gli ex democristiani di sinistra, non avendo mai aderito all’ideologia marxista non avevano complessi di colpa, erano per un’economia di mercato addomesticato ed erano avvezzi a divisioni ideologiche e clientelari in correnti con relativa mancanza di disciplina. La loro arma era il solidarismo tra classi diffuso e cooperante ed il rifiuto di contrapposizioni frontali tra lavoro e capitale.

    Si può dire che la componente cattolica e quella comunista si identificassero nella valorizzazione dei diritti civili universali a prescindere del sesso e della razza, e che fossero nemici dell’economia di mercato, rappresentata dalla grande borghesia imprenditoriale. Non occorre dimenticare che il bilancio del settore pubblico nel bilancio statale rappresentava il 50% del PIL Italiano e se si consideravano i pensionati, gli impiegati statali e parastatali e le aziende municipalizzate, il 75% della popolazione italiana era a reddito fisso garantito. Forse anche per questo da venti anni l’economia era in stagnazione. La Sinistra radicale che faceva riferimento alla CGIL in strenua difesa dello stato sociale esistente, magari disponibile solo ad ampliarlo, sarebbe stata un’avversaria irriducibile anche se storicamente perdente per il nuovo Segretario.

    1.3 – Scelta civica

    Scelta Civica sostenne sin dalla nascita il Governo Renzi, avendo auspicato per prima le dimissioni di Enrico Letta tramite Andrea Romano il capogruppo alla Camera.

    All'interno del nuovo esecutivo il Partito annoverava: un Ministro, la coordinatrice e Senatrice Stefania Giannini al Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; un Viceministro, Carlo Calenda confermato al Ministero dello sviluppo economico; tre Sottosegretari, il Senatore Benedetto Della Vedova agli Affari Esteri, il Deputato Enrico Zanetti all'Economia e Finanze e la Deputata Ilaria Borletti Buitoni riconfermata ai Beni e Attività Culturali e Turismo.

    1.3.1 – Scelta Europea con Guy Verhofstadt

    In vista delle elezioni europee del 2014 il partito di Scelta Civica, unitamente a Centro Democratico, Fare per Fermare il Declino e ad altri movimenti liberal-democratici, costituirono una lista elettorale unica, detta Scelta Europea che ottenne solo 196.157 voti pari allo 0,71% del totale dei voti espressi, e non superò la soglia di sbarramento fissata al 4%. Seguirono risultati elettorali deludenti nelle elezioni regionali di Piemonte, Abruzzo ed Emilia Romagna.

    1.3.2 – Verso il I° congresso

    A seguito dell'insuccesso della lista Scelta Europea, con Stefania Giannini si dimisero tutti i dirigenti e dopo molti rinvii il congresso del Partito fu convocato nel 2015. Nel frattempo si verificarono molte defezioni. Nell'autunno lasciarono i Deputati Andrea Romano, che aderì al Partito Democratico, ed Andrea Causin, che aderì al gruppo Area Popolare, mentre il 6 febbraio 2015, due giorni prima del primo congresso nazionale, i Senatori Susta, Maran, Pietro Ichino, Lanzillotta, Giannini e i Deputati Ilaria Borletti Buitoni, Irene Tinagli, e il Viceministro Carlo Calenda annunciarono la fuoriuscita dal Partito e l'adesione al gruppo parlamentare del Partito Democratico. La fuoriuscita dei cinque Senatori provocò lo scioglimento del gruppo parlamentare al Senato. Mario Monti aderì al gruppo Misto.

    1.4 – La Lega Nord – L'era di Salvini: il fascioleghismo e la politica della Ruspa (2014-2016)

    Il barbudo e iperdinamico giovane capo partito si caratterizzò da subito per la sua determinazione a rompere con alcuni tabù storici leghisti quale l’arroccamento solo in alcune regioni alpine approfittando della scissione avvenuta in Forza Italia con l’uscita di Angelino Alfano. La secessione o l’autonomia del Nord era sempre qualificante, ma le nuove parole d’ordine erano: Crisi, Euro, Immigrazione. La platea dei suoi elettori era sempre la stessa, operai, artigiani e ceto medio produttivo (non statalista) che era molto sensibile a queste parole d’ordine sentendosi minacciato nella sua identità.

    Il quarantenne Salvini, in previsione delle elezioni Europee del 2014, cominciò a parlare apertamente di welfare per soli italiani e di fuoriuscita dall'Euro per risollevare l'occupazione e l'intera economia del Paese, secondo lui strozzata dalle tasse, dal peso dell'UE e dai costi dei programmi di accoglienza per gli immigrati. Tutto questo in sintonia con altri partiti europei, in primis il Front National di Marine Le Pen, il FPÖ austriaco di Christian Strache ed il PVV olandese di Geert Wilders. Gli sforzi del neo-Segretario furono premiati. Alle Elezioni infatti la Lega Nord prese il 6,15% (1.690.000 voti), riconfermando a Strasburgo Salvini e altri cinque Deputati, tra cui Mario Borghezio che, candidato a sorpresa nella circoscrizione del Centro-Italia, riuscì a farsi eleggere, non nascondendo di aver ricevuto parte dei suoi voti dalla galassia neofascista, in primis Casa Pound d'Italia.

    Salvini, ospite fisso in tutti i talkshow televisivi, passò all'attacco proponendo il referendum contro la Legge Fornero, scioperi fiscali contro le tasse, campagne xenofobe, l'eliminazione di tutti campi rom (la cosiddetta politica della ruspa), pieno sostegno alle forze dell'ordine, il diritto all'autodifesa armata dei cittadini, sostegno incondizionato all'agricoltura nazionale ed alla piccola impresa manifatturiera.

    In breve la notorietà del Segretario del Carroccio crebbe notevolmente e vennero create liste di appoggio (Noi con Salvini) in tutto il Centro-Sud, in aggiunta ad un’alleanza formale con i Fascisti del Terzo Millennio di Casa Pound d'Italia, rappresentati dalla lista Sovranità.

    I politici vincenti di questo periodo, Renzi, Salvini, Grillo – Di Maio – M5S, ebbero successo perché rivoluzionarono la comunicazione inondando la rete di e-mail, e di Facebook, di Twitter e di Instagram con messaggi riguardanti la politica economica, il welfare, la sicurezza, le forze di polizia, le scelte economiche dell'UE, gli immigrati. i privilegi della casta.

    Chiuso il giornale La Padania e l'emittente Radio Padania Libera in deficit, Salvini (come Renzi ed in seguito Di Maio), si impose nelle televisioni nazionali e sui rotocalchi. Si stava affermando il politico sempre in rete, che comunicava ai propri elettori le proprie opinioni sugli eventi più disparati del giorno e anche sulla propria vita privata. Va da sé che l’immagine e le comunicazioni del leader erano gestiti da società di marketing che testavano ad ogni ora del giorno gli umori degli elettori bombardati da varie informazioni nazionali e mondiali, fornivano un’interessata e corretta interpretazione degli eventi giornalieri. I social provvedevano a mantenere e ad allargare il tavolo di discussione anche ai più sprovveduti culturalmente e civilmente. Se prima il leader illuminava il popolo con discrete apparizioni e con discorsi complessi e forbiti, ora il leader era un amico con cui sentirsi in simbiosi e che ti tranquillizzava con la risposta giusta per ogni problema sorto in quell’istante. Diversamente da Bossi, ex iscritto da giovane al PCI, Salvini (anche lui iscritto in gioventù alla FGCI) non esitò a flirtare con l’Estrema destra neofascista, Casa Pound compreso. La base elettorale ubicata nella fascia prealpina, faticò a seguire l’iperdinamico nuovo Segretario e si sentiva più tranquillizzata dalle figure dei Governatori di Lombardia (Maroni) e Veneto (Zaia). Il successo alle Europee fu una conseguenza di questa strategia ed iperattività.

    1.5 – Fratelli d’Italia

    Giorgia Meloni fu eletta Presidente di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale (FdI) l’8 marzo 2014. A Fiuggi si svolse il primo congresso nazionale del partito. Nel simbolo di Fratelli d’Italia riapparve il logo di Alleanza Nazionale che era stata fondata proprio a Fiuggi nel 1995. Ignazio La Russa dichiarò: Sono l’unico ad avere vissuto da protagonista quella Fiuggi e questa: e mi trovo a mio agio nella veste di mallevadore di una classe dirigente giovane e preparata. Dal palco del congresso di Fiuggi, la neo eletta Presidente Giorgia Meloni dettò la linea di Fratelli d’Italia e lanciò una campagna sulle proposte di legge per la cittadinanza agli immigrati: "Combatteremo contro la follia dello ius soli perché diventare cittadini italiani non è un automatismo, ma deve essere una scelta". Inoltre Meloni propose l’Italia fuori dall’Euro e Fratelli d’Italia fuori dal Partito Popolare Europeo, guidato da Angela Merkel e preannunciò una dura opposizione contro Renzi anch’esso succube della Merkel come Monti e Letta.

    All'interno del proprio statuto, Fratelli d'Italia si definì un Movimento che ha il fine di attuare un programma politico che, sulla base dei principi di sovranità popolare, libertà, democrazia, giustizia, solidarietà sociale, merito ed equità fiscale, si ispira ad una visione spirituale della vita ed ai valori della tradizione nazionale, liberale e popolare, e partecipa alla costruzione dell'Europa dei Popoli. In materia economica vennero sostenute tesi riguardanti l'abbandono dell'euro, l'attuazione di forme di protezionismo per la salvaguardia del Made in Italy e l'abrogazione del fiscal compact. Infine, in materia di diritti civili si oppose ai matrimoni gay e all'omogenitorialità, affermando di voler salvaguardare la "famiglia tradizionale". A livello internazionale il Partito si dichiarava vicino all'Estrema destra del Front National di Marine Le Pen e ai nazional-conservatori polacchi di Diritto e Giustizia. Fratelli d’Italia, per il passato dei suoi leader e militanti da sempre ammiratori di Mussolini e del suo autoritarismo, era percepito tuttavia come un partito neofascista.

    1.6 – Forza Italia

    Il rinato partito azienda Forza Italia perseguiva una strategia ben definita: l’alleanza con Renzi e con il PD, per le riforme neoliberiste, per fare ripartire l’economia (da negoziare nei dettagli) e per la riabilitazione del suo leader indiscusso Silvio Berlusconi con una eventuale grazia o simile in occasione dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica che sarebbe avvenuta l’anno seguente.

    1.7 – Il Movimento 5 Stelle: le proposte e il programma

    Dall’esaltante successo alle elezioni politiche nel 2013 ben 5 Deputati e 13 Senatori erano stati espulsi⁵ sia per violazione del codice di comportamento (quello che gli eletti avevano dovuto sottoscrivere), sia per dissenso apertamente manifestato.

    Nel codice di comportamento del Movimento – che si definiva una libera associazione di cittadini che non faceva riferimento ad alcuna ideologia di sinistra o di destra, ma solo a una serie di idee – c’era scritto che l’obiettivo principale dei parlamentari eletti era l’attuazione del Programma del M5S.

    Il Programma M5S era suddiviso in otto punti:

    1) Stato e cittadini: abolizione del Lodo Alfano, delle province, accorpamento dei Comuni, non eleggibilità per i condannati.

    2) Sviluppo dei principi della democrazia diretta come il referendum propositivo senza quorum).

    3) Energia: riduzione dei consumi energetici del patrimonio edilizio degli enti pubblici, applicazione della normativa sul riscaldamento degli edifici, incentivazione di energia con fonti rinnovabili e di biogas.

    4) Informazione: eliminazione dei contributi pubblici all’editoria, abolizione della legge Gasparri, dell’Ordine dei Giornalisti, assegnazione periodica attraverso un’asta delle frequenze televisive.

    5) Economia: class action, abolizione delle scatole cinesi in Borsa, delle cariche multiple nei Cda delle società quotate, della legge Biagi, delle stock option, dei monopoli di fatto, allineamento delle tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità, trasporti agli altri paesi europei, riduzione del debito pubblico, sussidio di disoccupazione garantito.

    6) Trasporti: sviluppo delle piste ciclabili, del trasporto pubblico, copertura nazionale con la banda larga, blocco del Ponte sullo Stretto e della Tav in Val di Susa.

    7) Salute: gratuità delle cure e parità di accesso, promozione dei farmaci generici, separazione delle carriere dei medici pubblici e privati, investimento sui consultori, finanziamento della ricerca, eliminazione degli inceneritori.

    8) Istruzione: abolizione della legge Gelmini, dei libri stampati nelle scuole, del valore legale dei titoli di studio, investimenti, valutazione dei docenti universitari.

    Il Movimento 5 Stelle, come qualsiasi movimento rivoluzionario o meno, rifiutava di collaborare con gli altri partiti. La maggior parte del lavoro svolto alla Camera e al Senato consisteva dunque nell’opposizione e nell’ostruzionismo. Le battaglie più importanti del M5S furono quelle relative ai cosiddetti affitti d’oro, al decreto Salva Roma, alla legge elettorale e all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti" entro il 2017.

    I Deputati del Movimento 5 Stelle espressero il voto contrario esponendo cartelli in cui definivano la nuova legge «la prima bugia di Renzi»: il Movimento chiedeva in sostanza l’abolizione immediata di tutte le forme di finanziamento ai partiti e un tetto massimo per le donazioni da parte dei privati.

    Il Movimento rifiutò ogni compromesso politico, sul decreto sulla terra dei fuochi e sull’ILVA, affermando che il testo era «una accozzaglia di falsità e di spot elettorali al posto di una costruttiva pianificazione per il ripristino dei siti inquinati e di una vera tutela della salute dei cittadini».

    Il 29 gennaio 2014 il Parlamento convertì in legge un decreto che riguardava temi diversi tra cui la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia e l’abolizione della seconda rata dell’IMU, nonostante tre giorni di ostruzionismo dei pentastellati, che sostenevano si trattasse di un saccheggio e di un regalo alle banche private. Quell’evento portò a una rissa in Parlamento, con alcuni Deputati M5S sanzionati, e ad un conflitto politico molto forte, con qualche deriva di sessismo e violenza, con la Presidente della Camera Laura Boldrini.

    Il Movimento 5 Stelle preferiva impegnarsi fuori dalle istituzioni con campagne mirate su temi quali l’energia, il precariato, il

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1