Il realismo giuridico americano e le sue interpretazioni in Italia
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Il realismo giuridico americano e le sue interpretazioni in Italia - Luca Chiellino
Introduzione
La genesi, lo sviluppo e il declino del movimento giusrealista americano (" American Legal Realism ") si collocano nella prima metà del ventesimo secolo, considerando come primi esempi di critica realista le opere di Joseph W. Bingham ( What Is The Law? , del 1912; The Nature Of Legal Rights And Duties , del 1913; Legal Philosophy And The Law , del 1914).
I realisti americani forniscono i loro maggiori contributi nelle opere pubblicate tra il 1925 e il 1940 e raggiungono il massimo livello della loro attività negli anni ’30, periodo in cui vengono pubblicati i saggi più rappresentativi di J. Frank e K. Llewellyn, i due più noti esponenti del movimento americano.
In sostanza, dopo il 1940 non si hanno più apporti innovativi e originali nel pensiero realista; le opere successive a tale periodo sono essenzialmente rielaborazioni di idee già precedentemente espresse oppure raccolte di saggi e scritti già pubblicati singolarmente.
I primi studi italiani sul movimento realista americano, negli anni ’50, si limitano ad articoli, interventi su riviste di diritto o a brevi saggi.
In questo periodo, sono da citare nel dibattito italiano sul realismo giuridico americano gli interventi nella Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto: da parte di N. Bobbio, con lo scritto La certezza del diritto è un mito?, del 1951, che riprende e analizza le idee espresse in proposito da Frank; da parte di G. Bognetti, nel 1954, con il saggio Intorno al concetto di giustizia nel neorealismo giuridico americano.
Sempre di G. Bognetti occorre citare Holmes e le origini del pensiero filosofico-giuridico americano del secolo XX (in Studi Urbinati, XXV, 1956-57), essenzialmente rielaborato e sintetizzato nel cap. II del successivo Il pensiero filosofico-giuridico nordamericano del XX secolo. I Fondatori: Holmes, Pound, Cardozo, del 1958.
Possiamo ancora ricordare, del 1957, Sistematica e «Case-method» come metodi di istruzione giuridica, intervento di A. Giuliani in Jus, VIII; sempre di Giuliani, del 1958, Dal positivismo benthamiano al realismo giuridico, in Il pensiero americano contemporaneo (a cura di F. Rossi Landi). Questi ultimi lavori, per quanto accurati, non si soffermano in particolare sul realismo giuridico, bensì vi dedicano solamente brevi accenni all’interno di una descrizione più generale del pensiero legale e dei metodi di istruzione giuridica prevalenti negli Stati Uniti, soprattutto negli anni precedenti allo sviluppo del movimento giusrealista.
Tuttavia, tali testi appaiono molto utili per inquadrare l’ambiente culturale, in continuo fermento, del diritto americano, tra la fine del 1800 e i primi anni del 1900: ambiente che ha fatto da fertile substrato per la genesi delle innovative, per non dire radicali, idee dei realisti.
Come si è detto, pertanto, fino agli inizi degli anni ’60, gli studi organici sul realismo giuridico americano in Italia sono pressoché inesistenti, se si escludono i brevi articoli e le pagine dedicate al movimento all’interno di opere di carattere generale.
Il primo importante studio in Italia sul movimento, intitolato per l’appunto Il realismo giuridico americano, è del 1962 ed è opera di G. Tarello. Alla distanza di circa sessant’anni dalla pubblicazione, questo libro appare ancora oggi un testo imprescindibile di riferimento, grazie all’analisi chiara ed esauriente in esso compiuta, per chiunque in Italia voglia affrontare lo studio del movimento statunitense.
Al libro di Tarello devono essere riconosciuti, indubbiamente, almeno due meriti: da un lato, ha contribuito a diffondere nella cultura giuridica italiana la conoscenza del giusrealismo americano; dall’altro lato, ha fornito lo spunto importante per riflessioni e analisi successive.
Tarello fornisce a tale studio un taglio interessante ed originale.
Infatti, si tratta dell’analisi compiuta da uno studioso con un bagaglio di cultura giuridica di tipo europeo-continentale ( Civil Law), il quale si accosta ad un movimento sorto in una cultura giuridica radicalmente diversa, qual è appunto un sistema di Common Law, fondato essenzialmente sulla dottrina del precedente (principio dello " stare decisis"), secondo cui la decisione del giudice deve basarsi sulle sentenze formulate anteriormente.
Tarello è interessato alle eventuali implicazioni in senso politico-sociale del movimento e lo sottolinea soprattutto in chiusura di volume; nello stesso tempo, egli evidenzia le proposte dei realisti in sede di ricerca e di pedagogia giuridica.
Per studi più recenti sul movimento è necessario rifarsi soprattutto ai lavori di S. Castignone, che attualmente può essere considerata a pieno diritto, nel nostro Paese, la maggiore esperta di realismo giuridico americano.
S. Castignone ha tradotto e raccolto in antologia alcuni brani di realisti americani e scandinavi, in Il realismo giuridico scandinavo e americano (1981). Inoltre, questa studiosa ha riproposto alcuni suoi precedenti scritti sul giusrealismo, scandinavo e americano, nel libro Diritto, linguaggio, realtà. Saggi sul realismo giuridico (1995).
Tuttavia, data la particolarità e l’originalità del movimento americano, non esiste una quantità particolarmente abbondante di pubblicazioni italiane specifiche sull’argomento.
Autorevoli studiosi italiani hanno dedicato al realismo, se non sommari riferimenti, una sezione più o meno limitata in opere generali di storia della filosofia del diritto o di storia del pensiero sociologico giuridico. Tra questi, ad esempio, G. Fassò, M. Jori, R. Treves.
Per quanto riguarda l’altro importante filone del realismo giuridico, quello scandinavo, occorre sottolineare che tale movimento è stato - ed è tuttora - oggetto di maggiore trattazione da parte degli studiosi italiani, anche perché ha implicazioni di carattere più generale, specialmente in senso filosofico e psicologico, che possono essere rilevanti anche al di fuori della specifica realtà giuridica scandinava.
In Italia, tra i diversi autori che se ne sono occupati, si possono citare C. Faralli, E. Pattaro, G. Tarello, S. Castignone; ancora negli anni ’70, il realismo scandinavo è stato oggetto di vivaci discussioni nel dibattito internazionale.
Il realismo giuridico americano, nonostante la sua rilevanza a livello internazionale come una delle grandi correnti del pensiero giuridico contemporaneo, è fortemente radicato, per la sua stessa natura, nella specificità della realtà statunitense. Per tale motivo, non può essere oggetto di studio senza tener conto della particolarità del diritto positivo negli Stati Uniti che è fondato, come si è detto, sul sistema di Common Law e dunque, oltre che sulla dottrina del precedente, sulla pratica giudiziaria in generale e sul ruolo attivo
del giudice all’interno dei tribunali.
Inoltre occorre considerare le idee filosofiche che sottostanno alle tesi realiste: essenzialmente il pragmatismo di John Dewey (1859-1952), di William James (1842-1910), di Charles Sanders Peirce (1839-1914), ma in parte anche l’utilitarismo di Jeremy Bentham (1748-1832) e l’istituzionalismo di Thorstein Veblen (1857-1929) e di John Roger Commons (1862-1945).
È necessario poi tener conto della rilevanza, agli inizi del 1900, nell’ambiente giuridico nordamericano, di tre figure eminenti come quelle del giudice Oliver Wendell Holmes (1841-1935), del filosofo del diritto Roscoe Pound (1870-1964), del giudice Benjamin Nathan Cardozo (1870-1938).
I realisti americani risentiranno molto soprattutto del pensiero di Holmes e Pound.
Per comprendere e spiegare il movimento realista americano non si può, tra l’altro, non tenere in considerazione il momento storico vissuto dalla società americana in quegli anni.
Il periodo in cui si sviluppa il movimento realista vede la grande crisi economica di Wall Street, nel ’29, ma anche il successivo risorgere della società americana con il New Deal rooseveltiano. L’economia diviene sempre più importante nella società americana; nascono i grandi capitali economico-finanziari, l’America fa del liberismo economico e del liberalismo democratico le proprie bandiere, diventando inoltre una potenza colonialista ed imperialista.
I giuristi del periodo, molti dei quali esponenti del realismo, sentono sempre di più l’esigenza di adeguare il sistema di Common Law ai notevoli mutamenti sociali ed economici del Paese.
Come osservano Tarello (1962) e Castignone (1995), non si può parlare del realismo americano come di una scuola, bensì è più esatto definirlo un movimento di pensiero. Questa è, oltre tutto, l’opinione di K. Llewellyn.
Il realismo giuridico americano non è una scuola in quanto:
- il termine realismo
è di per sé abbastanza ambiguo, poiché si tratta di una locuzione del linguaggio comune, che soltanto in seguito ha assunto un significato tecnico grazie all’utilizzo che ne ha fatto Karl Nickerson Llewellyn (in Some Realism About Realism. Responding To Dean Pound, 1930) per riferirsi ad un certo numero di giuristi americani, accomunati da una serie di critiche realistiche
mosse al pensiero giuridico tradizionale;
- non si può parlare di un caposcuola o comunque di un fondatore e di un gruppo di suoi discepoli, come invece si può fare per il realismo scandinavo, riconoscendo il caposcuola nel filosofo Axel Hägerström e gli allievi nei suoi epigoni giuristi, gli svedesi Vilhelm Lundstedt e Karl Olivecrona e il danese Alf Ross;
- il gruppo dei realisti americani è assai eterogeneo e le posizioni di alcuni sono spesso assai diverse da quelle di altri;
- il movimento ha confini assai sfumati, per cui è difficile la collocazione di alcuni studiosi al suo interno e quindi la creazione di una lista di realisti americani.
Ciò nonostante, come sostengono sempre Tarello e Castignone, si può utilizzare il termine realismo giuridico americano
come utile strumento di classificazione per tutti quei pensatori accomunati da alcune premesse di ricerca e dai risultati più o meno simili, a volte anzi complementari, cui sono giunti.
Anche se non si trovano d’accordo su tutti i problemi affrontati e sulle soluzioni proposte, tuttavia, parafrasando Llewellyn, i realisti hanno avuto gli stessi presupposti di partenza e hanno svolto ricerche che, seppur tra loro indipendenti e motivate da interessi differenti, sembrano convergere in un’unità, integrandosi a vicenda.
Pertanto, rifacendoci all’elenco stilato da Tarello, possiamo riconoscere nella schiera dei realisti i giuristi americani Thurman W. Arnold, Joseph W. Bingham, Felix Salten Cohen, Walter Wheeler Cook, William O. Douglas, Jerome N. Frank, Leon Green, Karl Nickerson Llewellyn, Herman Oliphant, Max Radin, Hessel E. Yntema.
Solitamente vengono ricordati come i più importanti K. Llewellyn e J. Frank, per i seguenti motivi:
- Llewellyn e Frank sono presenti in tutte le enumerazioni del gruppo dei realisti fatte dai diversi studiosi;
- Llewellyn è il giurista cui si deve l’espressione " legal realism" e l’autore del libro ricordato Some Realism About Realism (1930), che può essere considerato il manifesto del realismo giuridico americano, in quanto definisce in una serie di punti le caratteristiche programmatiche del movimento;
- Frank è l’esponente più radicale del realismo e l’autore di Law And The Modern Mind (1930), che presenta le posizioni più estreme cui si spinge la critica realista. Per tali ragioni, egli è anche l’autore realista che meglio si presta agli attacchi da parte di studiosi contrari al movimento;
- Llewellyn e Frank rappresentano i due poli del movimento, i rappresentanti più notevoli dei due sottogruppi in cui si è soliti suddividere la corrente realista americana; questa distinzione è stata operata da Frank, il quale ha definito il gruppo cui egli stesso appartiene (insieme a studiosi quali Green, Radin, Arnold e Douglas) come scettici dei fatti
(" fact-skeptics) ed il gruppo cui apparterrebbe Llewellyn (e, per diversi aspetti, anche Cohen, Bingham, Yntema, Oliphant, Cook) come
scettici delle regole (
rule-skeptics").
Se il sottogruppo dei " rule-skeptics è più moderato, in quanto critico solo delle
norme di carta (
paper rules), il sottogruppo dei
fact-skeptics" è ben più radicale, in quanto muove critiche non solo alle regole scritte, bensì va oltre, mettendo in dubbio addirittura la possibilità di giudicare su un fatto oggettivo.
Frank afferma l’impossibilità di prevedere le decisioni dei giudici, in quanto i fatti su cui esse si basano non sono precedenti alla decisione, ma al contrario vengono determinati durante la decisione, mediante un processo di induzione. Da qui i dubbi di Frank sulla certezza del diritto e sulla scienza giuridica.
La critica alla certezza del diritto è peraltro solo la più nota e sicuramente la più clamorosa fra quelle portate dai realisti alla concezione legale tradizionale. Infatti, i realisti non risparmiarono attacchi al concettualismo, al sistema
giuridico e all’argomentazione giuridica tradizionale, fondata sullo schema sillogistico. Essi sottoposero ad una severa critica tutti gli elementi della concezione classica della scienza giuridica, smantellandola completamente.
Dopo la critica realista, il diritto e la scienza giuridica non sono più gli stessi.
Il sistema giuridico non è più un macchinismo astratto, all’interno del quale il giudice rappresenta solo un semplice esegeta meccanico
.
Il diritto diviene uno strumento utilizzabile con efficacia dal giudice, che è di fatto creatore consapevole del diritto. Il potere del giudice gli consente di garantire la stabilità sociale e nel contempo gli permette di adattare il diritto agli impercettibili mutamenti della società, soprattutto in chiave economica, attuando così specifiche policies.
Le interpretazioni che sono state date del realismo nel dibattito internazionale sono molteplici. Sono state rivolte numerose critiche, anche in Italia, soprattutto agli aspetti più estremi del movimento.
A dire il vero, l’ambiguità degli scritti di molti esponenti del realismo favorisce le interpretazioni più diverse. Di conseguenza, a volte si sono verificati fraintendimenti e travisamenti delle idee realiste.
Sono state portate critiche anche da giuristi e studiosi che erano, al pari dei realisti, ispirati da un medesimo desiderio di critica antiformalista, seppur più moderati. Tra questi, R. Pound e H. Kantorowicz; quest’ultimo, in particolare, ha ravvisato nel realismo giuridico americano implicazioni antidemocratiche, in quanto il realismo attacca la presunta indipendenza del potere giudiziario dal potere legislativo.
Ciò significa che per i realisti il giudice assomma in sé potere giudiziario e potere legislativo, in quanto libero creatore di diritto.
Tuttavia è da notare che, a differenza dei giuristi europei dello stesso periodo come C. Schmitt, ideologo del Reich, il quale parlando di dipendenza dell’esecutivo dal legislativo non fa altro che riunire il potere assoluto nelle mani del Führer, i realisti americani invece propongono ai giudici di acquisire maggior consapevolezza del loro operato, di tener conto della rilevanza, in campo sociale ed economico, delle loro decisioni.
Essi invitano i giudici ad essere creatori responsabili
del diritto.
Nonostante molti critici non siano d’accordo, sembra evidente che i realisti non abbiano alcun intento ideologico o politico. Probabilmente essi auspicano soltanto un maggiore benessere generale ( welfare), in accordo con la politica del New Deal rooseveltiano, in un Paese che non corre rischi di una possibile involuzione antidemocratica.
Per questo è necessario che la macchina del diritto
si liberi da un concettualismo e da un dogmatismo astratti, farraginosi ed obsoleti, per intervenire efficacemente in una realtà sociale che è in continua ridefinizione. In questo senso si può parlare forse di una sorta di storicismo
del realismo americano, per la grande attenzione riservata all’evoluzione e ai cambiamenti del tessuto sociale in generale e del mondo del diritto in particolare.
K. Llewellyn coglie bene l’esigenza di coniugare stabilità e cambiamento, continuità e transizione, in campo giuridico e sociale.
Osserva infatti Llewellyn in The Bramble Bush (1930), sintetizzando i propositi dei realisti: La nostra società è in continuo cambiamento e anche il diritto deve continuamente mutare, se vuole rimanere aderente alla società
.
Il presente volume si propone essenzialmente di presentare il realismo giuridico americano alla luce delle principali interpretazioni fornite da studiosi italiani di filosofia e sociologia del diritto e si articola in quattro capitoli.
Il primo capitolo, " Il realismo giuridico americano. Una panoramica generale", delinea un quadro del movimento statunitense, visto nel suo complesso.
Viene presentata l’origine del termine " legal realism", la nascita del movimento, le principali opere dei realisti.
Si passa successivamente, da un primo approccio di tipo macro
e pertanto globale, ad uno di tipo micro
, spostando l’obbiettivo sulle peculiarità e sui filoni principali di studio e di ricerca dei realisti.
Infine, ci si sofferma sulle caratteristiche dei due sottogruppi dei " rule-skeptics e dei
fact-skeptics".
Il capitolo successivo, " Le critiche fondamentali del movimento realista", cerca di evidenziare la vivacità polemica del movimento all’interno del dibattito giuridico statunitense negli anni ’30.
Per questo motivo, presenta le principali critiche rivolte dai realisti: al concettualismo, al sistema
, all’argomentazione giuridica tradizionale.
In particolare, si evidenzia il modo in cui la critica realista smantella lo schema sillogistico, mostrando nel contempo come, di fatto, tale schema sia completamente rovesciato dagli operatori del diritto.
Inoltre si sottolinea il grande margine di arbitrarietà sempre presente in ogni decisione giuridica. Si tratta di un argomento più volte affrontato, in tono spesso polemico, dai realisti.
Le conseguenze delle critiche realiste sono di notevole rilevanza, poiché alcuni realisti, tra l’altro, giungono perfino a mettere in dubbio l’esistenza reale dei concetti giuridici, la ricostruzione attendibile del fatto
, la certezza del diritto e la possibilità che la giurisprudenza possa essere una vera