Smart working da barriera architettonica a nuova opportunità
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Book preview
Smart working da barriera architettonica a nuova opportunità - Sheila Soprani
CAPITOLO 1
Introduzione
Cenni storici sullo Smart Working
Nilles, scienziato aerospaziale, iniziò ad interessarsi del problema del lavoro da remoto negli anni 70 partendo dalla considerazione che il traffico congestionato di Los Angeles avrebbe tratto beneficio se molti impiegati avessero iniziato a lavorare nelle loro case o in uffici separati dall'ufficio centrale
I primi vantaggi di questa dislocazione periferica furono visti in una maggiore efficienza degli impiegati (che evitavano lo stress di lunghi viaggi per raggiungere la sede centrale del lavoro), un risparmio di costi per la riduzione degli spazi occupati, nei costosi centri direzionali, e un generale miglioramento dell'ecosistema dovuto alla riduzione delle emissioni nocive.
Il primo esperimento pratico avvenne all'interno della USC (University of Southern California) nel 1972, quando per 9 mesi un gruppo di ricercatori adattò i concetti di Nilles a una compagnia assicurativa.
Tecnicamente fu un successo e un considerevole risparmio fu conseguito nel periodo, ma le resistenze alla nuova metodologia furono molto forti tanto che lo Smart Working in USA, prima della pandemia COVID, non superava il 3% della popolazione lavorativa.
Nilles pose già le più importanti questioni e anche se, in quel momento, alludeva solo al lavoro a distanza, ipotizzava una radicale trasformazione del lavoro con la scomparsa degli uffici centrali
per tutta una serie di categorie di industrie e di lavoratori; si affannava a tracciare la distinzione tra un istituto, che appariva di nuova concezione, e il lavoro a domicilio, che aveva invece una precisa configurazione giuridica (Legge 18.12.1973 n. 877 e successive modificazioni) e di cui il telelavoro poteva apparire, all'epoca, come una species.
Il lavoro a domicilio, però, non comprendeva l'ipotesi del lavoro in itinere (per esempio a mezzo di notebook nato solo nel 1975 da IBM studiato soprattutto per il lavoro manuale, a cui si applicava la retribuzione a cottimo).
L'ipotesi coperta dalla legge sul lavoro a domicilio, assai lontana dall'attuale Smart Working, era solo quella di un telelavoro con collegamento off-line con l'imprenditore (ossia a mezzo terminale collegato con un computer aziendale), che si materializzasse in un prodotto
, cioè un bene o servizio, quantificabile e fungibile, mentre un telelavoro on-line ( e quindi svolto nel domicilio del lavoratore, direttamente alle dipendenze dell'imprenditore e sotto il suo controllo) si qualificava come lavoro subordinato in senso stretto.
Si parlava infine di telelavoro autonomo
nel caso in cui il telelavoratore fosse collegato off-line o on-line con l'azienda committente e compisse la sua opera in sostanziale autonomia.
Qualche anno dopo, l’istituto del telelavoro venne in parte regolamentato dall'accordo interconfederale del 9 giugno 2004 che sanciva, in termini generali, il diritto del lavoratore ad una maggiore flessibilità, pur limitandone l'applicazione ai dipendenti con un livello di anzianità oltre i 6 mesi, mentre la risoluzione del Parlamento Europeo del 13/9/2016 (principio generale n. 48) dava una definizione ampia di lavoro agile, corredata dalle seguenti indicazioni generali.
(Omissis) "Il Parlamento sottolinea il potenziale offerto dal lavoro agile ai fini di un migliore equilibrio tra vita privata e vita professionale, in particolare per i genitori che si reinseriscono, o si immettono nel mercato del lavoro, dopo il congedo di maternità o parentale.
Il Parlamento si oppone tuttavia alla transizione da una cultura della presenza fisica a una cultura della disponibilità permanente; invita la Commissione, gli Stati membri e le parti sociali, in sede di elaborazione delle politiche in materia di lavoro agile, a garantire che esse non impongano un onere supplementare ai lavoratori, bensì rafforzino un sano equilibrio tra vita privata e vita professionale e aumentino il benessere dei lavoratori.
Si sottolinea la necessità di concentrarsi sul conseguimento di obiettivi occupazionali al fine di scongiurare l'abuso di queste nuove forme di lavoro, si invitano gli Stati membri a promuovere il potenziale offerto da tecnologie, quali i dati digitali, internet ad alta velocità, la tecnologia audio e video per l'organizzazione del (tele) lavoro agile"(Omissis)
E' sull'onda di tale normativa che si perviene in Italia alla citata legge n. 81/2017, la quale, nel preambolo, premette che il suo scopo è di favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato
e definisce il lavoro agile come una "modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa.
La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva".
Il perno fondamentale della normativa è che la modalità di esecuzione del lavoro in teleworking è l'accordo tra le parti, per tali intendendosi l'azienda e il lavoratore, ovvero le organizzazioni sindacali.
Questo principio è stato in parte superato da un'importante sentenza di Cassazione e