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Storie oltre la vita
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E-book765 pagine9 ore

Storie oltre la vita

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Info su questo ebook

Storie oltre la vita, storie parallele di un mondo che non ha tempo. Compagni di un sogno o di una realtà che non ci appartiene più, entità che dialogano con la nostra anima. Ci sono diversi modi per riconoscerli, non temere il loro sussurro, non temere la loro eterea presenza. Vogliono solo salvarci dal male, anche se spesso il nostro male siamo noi.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2022
ISBN9788893693479
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    Anteprima del libro

    Storie oltre la vita - Arthur Zeller

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    Collana Presagi

    STORIE OLTRE LA VITA

    di Arthur Zeller

    Proprietà letteraria riservata

    ©2022 Edizioni DrawUp

    www.edizionidrawup.it

    redazione@edizionidrawup.it

    Progetto editoriale: Edizioni DrawUp

    Direttore editoriale: Alessandro Vizzino

    Grafica di copertina: Adriana Giulia Vertucci

    I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.

    Nessuna parte di questo eBook può essere utilizzata, riprodotta o diffusa, con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta.

    I nomi delle persone e le vicende narrate non hanno alcun riferimento con la realtà.

    ISBN 978-88-9369-347-9

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    Al di là della vecchia quercia

    Albert Goodman nei suoi primi mesi di vita era un bimbo come tutti gli altri, bello, vivace curioso, l’orgoglio di due neo genitori felici.

    Molto presto però si scoprì che il piccolo non riusciva a parlare, come fosse affetto da mutismo e più avanti qualche mese dopo cominciò anche a mostrare sintomi ben più gravi del non parlare.

    Dapprincipio gli occhi del bambino iniziarono a oscillare con movimenti irregolari spostandosi da un lato all’altro tanto che le pupille sparivano come inghiottite dall’occhio stesso, ma il vero segnale che allarmò i poveri genitori fu quando il piccolo cominciò a non vedere più, si accorsero che diventava quasi cieco soprattutto se esposto a luce intensa.

    Cominciò così il calvario dei due poveretti che portarono Albert da molti specialisti ma con scarsi risultati, ognuno di loro diagnosticava malattie improbabili, con improbabili e costosissime cure e comunque senza grandi risultati.

    Finché un giorno riuscirono a far visitare il bimbo da un oculista di illustre fama, che dopo innumerevoli test ed esami sperimentali diagnosticò al ragazzo una malattia rarissima, l’acromatopsia totale ossia la totale cecità ai colori associata a una forte avversione alla luce.

    Fu così che Albert, a nove mesi, ricevette per regalo il suo primo paio di occhiali scuri.

    1

    Centerville, Contea di Appanoose (Iowa) - Ruthbun Lake - Ottobre 1998

    «Mamma vado fuori con Billo» mimò il bambino comunicando ai genitori con gesti veloci mentre si accingeva a prendere il collare del cane, un bellissimo cucciolo di Labrador che gli avevano regalato per il suo ottavo compleanno festeggiato un mese prima.

    «State attenti voi due... e ricordatevi di non andare al di là della vecchia quercia» si raccomandò la mamma con un filo di ansia ma cercando di mostrarsi serena.

    Non appena il ragazzo uscì di casa, Lorna la mamma di Albert, si sporse dalla finestra e guardandolo giocare felice con il suo unico amico, il cucciolo di labrador, iniziò a piangere in silenzio.

    Suo marito Richard la raggiunse e l’abbracciò da dietro le spalle tremanti.

    «Lo so, la vita non sarà mai semplice per lui, ma Albert è un bambino forte e vedrai riuscirà a vincere questa battaglia e noi insieme a lui» esclamò l’uomo.

    «A volte cerco di ripetere a me stessa, quasi a volermi convincere, che si troverà una cura, che possa diventare finalmente un bambino normale come tutti gli altri e non destinato a vivere nella totale dipendenza... ma poi, ci sono momenti come questo che mi crolla tutto...» Lorna si voltò scoppiando in un pianto a dirotto, quindi si lasciò andare all’abbraccio rassicurante del marito.

    Rimasero così per qualche istante poi la donna aprì un cassetto e tirò fuori un album con dentro dei disegni: «Osserva questi...» disse porgendoli al marito e passandosi il braccio sul viso per asciugarsi gli occhi.

    «Li ha fatti ieri, guarda, ha colorato il cielo verde, il lago rosso, il sole blu, povero amore mio non è giusto che si perda tutte le meraviglie di cui godiamo...» disse Lorna con rabbia e risentimento verso quel destino che era stato così ingiusto nei confronti del suo piccolo.

    Intanto Albert insieme a Billo erano arrivati in prossimità della grande quercia.

    Il ragazzo percepiva nel vecchio albero il confine oltre il quale gli era stato imposto di non andare, ma non era convinto che i suoi genitori glielo proibissero solo per tenerlo sottocontrollo, pensava che quel divieto volesse in qualche modo nascondergli qualcosa che lui, essendo ancora un bambino, doveva evitare.

    Quel giorno, incoraggiato dalla presenza di Billo, decise di fare qualche passo oltre il grande albero.

    Percorse lentamente un metro, poi due, poi tre e mentre si avvicinava sentiva il battito del cuore salirgli su per la gola dall’emozione, sapeva che stava trasgredendo a un divieto che gli era stato imposto.

    Non appena con lo sguardo si affacciò sull’immensa vallata che si estendeva sul lago Ruthbun ebbe un’esclamazione di meraviglia e per l’eccitazione cominciò a tremare mentre una folata di aria calda lo investì completamente.

    Billo a sua volta comincio a emettere dei leggeri guaiti in direzione del ragazzo tenendo lo sguardo fisso sul suo padroncino.

    L’intensità di quel vento aumentò al punto da far ripiegare su se stessi gli alti arbusti incolti, che cominciarono a ondeggiare vistosamente.

    Albert rimase immobile e per un attimo sembrò quasi sparire tra la vegetazione, nonostante tutto si sentiva incredibilmente sereno e probabilmente anche Billo sembrava non percepire pericoli tant’è che si accucciò ai suoi piedi serenamente.

    Passarono alcuni secondi, gli arbusti mossi dal vento sembravano braccia protese verso il cielo, si agitavano come volessero prendere qualcosa, qualcosa che era lì immobile nell’aria.

    Albert aveva ancora lo sguardo fisso sulla vallata, sorrideva, sembrava percepire qualcosa o qualcuno vicino a lui.

    Dopo un attimo di esitazione si mise ad annuire con la testa in segno di assenso e accompagnò il gesto emettendo dei suoni gutturali che gli uscivano a fatica dalla gola: «Guh... guh...»

    Trascorsero secondi che sembrarono interminabili.

    Il bimbo continuando a fissare l’ immaginario punto di fronte a lui seguitava a fare cenni con la testa, i suoni incomprensibili della sua voce diventavano sempre più acuti «Guh... guh...»

    Il sole brillava nel cielo riflettendosi nell’ immenso specchio d’acqua del lago, mai era stato così splendente come quel giorno.

    Il bambino alzò lo sguardo e sorrise ancora una volta, si sfilò lentamente gli occhiali scuri che caddero sopra a Billo che rimaneva accucciato al suo fianco.

    Per la terza volta Albert annuì guardando fisso avanti a se, apri la bocca e pronunciò anche se a fatica ma con voce chiara e cristallina: «Sì... sì...»

    Lorna, per sua consuetudine, quando Albert era fuori a giocare si affacciava molto spesso alla finestra della cucina, si preoccupava che tutto andasse bene, che il figlio non si allontanasse troppo dalla sua vista, ormai il suo era un gesto istintivo, quasi automatico.

    Spostava le leggere tendine ricamate e lo vedeva lì a portata di sguardo, al solito posto, dove nulla poteva accadere che lei non potesse porvi rimedio.

    Guardò fuori per l’ennesima volta, ma si rese conto che sia Albert che Billo erano spariti.

    Si precipitò fuori come una furia e Richard vedendola uscire di casa in quello stato si spaventò e la seguì senza cercare di fermarla.

    «Albert!» urlò la donna appena fuori, con agitazione rivolse lo sguardo girando su se stessa per non tralasciare nemmeno un centimetro quadrato di visuale, anche Richard imitò la moglie e allungando il collo prese a chiamare il bambino ad alta voce.

    Lorna, era visibilmente scossa, seguì a grandi passi il sentiero finché non arrivò alla grande quercia e proprio in quel momento una vocina richiamò la sua attenzione, proveniva dalla riva del lago proprio dove si affacciava la quercia.

    «Guarda Billo, guarda amico mio... da qui il lago è ancora più bello e anche il prato è più bello... e sai che ti dico? Anche tu sei più bello»

    Come per magia Albert cominciò a parlare, la sua voce si perdeva nel vento, era fresca, allegra e bellissima.

    E cosi, come era arrivato, quel vento cessò.

    La donna oltrepassò in punta di piedi il vecchio albero, si fermò e rimase immobile a guardare il figlio. Albert si teneva abbracciato al cagnolino che scodinzolava vistosamente e che non smetteva di leccargli la faccia.

    Poco dopo Richard la raggiunse e prima che potesse aprire bocca lei lo bloccò tenendogli il braccio e facendogli segno di restare in silenzio.

    Albert ignaro della presenza dei suoi genitori raccolse gli occhiali da terra e li indossò.

    Si girò e prese la strada per tornare a casa tirando con forza il collare di Billo che evidentemente non aveva voglia di andare via.

    I due aspettarono immobili che il piccolo li oltrepassasse, poi la donna voltandosi verso il marito gli gridò: «L’ho sentito parlare...» fece una piccola pausa, «Ti giuro Richard che ho sentito la sua voce... stava parlando proprio come me e te in questo momento...»

    Lui dopo un attimo di esitazione la tirò a se e l’abbracciò teneramente, l’aveva vista in quello stato tante di quelle volte che provò un senso di impotenza mista a rassegnazione, ma Lorna prese quel gesto come atto di commiserazione quindi si divincolò da quell’abbraccio e infastidita gli voltò le spalle.

    «Non mi credi vero? Pensi che sia ancora frutto della mia fantasia?» disse senza voltarsi. «Non sono impazzita!» fece un respiro profondo e continuò «Questa volta non puoi dirmi che sia stata un’ allucinazione, io l’ho sentito... l’ho sentito chiaramente Richard.»

    «Ascolta amore...» lui si avvicinò e le accarezzò i capelli, voleva consolarla .

    «Cosa, cosa dovrei ascoltare? Che è ancora uno scherzo della mia psiche? Che il desiderio di sentir parlare nostro figlio arriva fino al punto di farmi sentire le voci, come succede ai matti? Questo volevi dirmi?» prese un fazzoletto dalla tasca del cardigan e si soffiò il naso, era molto risentita.

    «Non è la prima volta che accade, è sempre la stessa voce... ma tu ti ostini a non credermi...» la rabbia e la frustrazione la fecero scoppiare in un pianto convulso.

    2

    Quella sera a tavola regnava il silenzio.

    Albert mimò alla mamma che voleva essere portato nella sua stanza, non aveva voglia di mangiare nonostante ci fosse lo stufato col purè che gli piaceva tanto, voleva solo andare in camera sua a riposare.

    «È strano... non ha toccato cibo e ha voluto coricarsi così presto...» Lorna rifletteva ad alta voce mentre sparecchiava la tavola.

    «Magari è solo un po’ stanco... giocare con Billo l’avrà provato particolarmente...» replicò il marito che indicando il cucciolo disteso vicino al camino continuò: «Guarda tesoro... anche lui sembra più mogio del solito...»

    La donna era inquieta, sentiva che c’era qualcosa che non andava ma evitò di parlarne, non aveva voglia di affrontare un’altra discussione: «tanto non capirebbe...» pensò.

    Cominciò a camminare su e giù per il salotto assorta nei suoi pensieri, il marito non disse nulla, si limitava a guardarla in silenzio.

    «Lo sai, è strano per Albert andare a letto così presto... con la sua malattia è abituato a vivere nel crepuscolo... come i pipistrelli...» sottolineò questo paragone con un sorriso affettuoso. «L’hai visto oggi, ha dormito quasi tutto il giorno è stato fuori solo un’ora e a cena non ha toccato cibo, eppure...» Non concluse la frase che Billo si alzò di scatto e correndo sulle scale si mise a grattare la porta della stanza di Albert, iniziò ad abbaiare così forte che Lorna urlò: «Perché fa così, Richard?»

    Senza neanche risponderle l’uomo si precipitò al piano di sopra e spalancando la porta trovò il bambino disteso a terra, Albert era privo di sensi e respirava a fatica.

    Richard sporgendosi dalle scale urlò alla moglie di chiamare subito l’ambulanza, rientrò nella stanza e sentiva il proprio cuore che stava per uscirgli dal petto, la tensione era alle stelle.

    Prese in braccio Albert e lo distese delicatamente sul letto, lo coprì con la copertina e si sedette al bordo passandosi nervosamente le mani nei capelli.

    Abbassando lo sguardo notò che da sotto il letto spuntava una scatola di cartone, senza pensare la raccolse e l’aprì, era piena di disegni.

    «Sta arrivando l’ambulanza! Quelli del Mercy Hospital mi hanno assicurato che staranno qui in pochi minuti...» esclamò la donna entrando nella stanza e chinandosi sul bambino per sentirne il respiro. Solo in quel momento notò che Richard era completamente assorto a fissare dei fogli che teneva in mano e con uno strattone richiamò la sua attenzione.

    L’uomo senza rispondere le porse i disegni.

    Dopo averli guardati con attenzione lei esclamò sbalordita: «Oh mio Dio!»

    Si fissarono a lungo senza guardarsi, poi sfogliarono di nuovo disegno per disegno per essere sicuri che non fossero preda di un’allucinazione collettiva: praticamente tutti i colori erano al loro posto.

    Il primo disegno raffigurava la vallata che dava sul grande lago con il sole di un colore giallo splendente, il cielo era azzurro e anche il lago era di una tonalità di blu molto vicina alla realtà, i prati intorno alle sue sponde avevano tutte le sfumature di verde che esistevano nella scala dei colori.

    Nel secondo disegno c’era la loro casa.

    Perfetta, così com’era nella realtà, al centro del giardino, in posa come in una foto di famiglia c’erano tutti, Billo compreso.

    Fu per entrambi un momento magico quanto sconvolgente, si sedettero accanto al bambino tenendole le mani. Sentirlo respirare dava loro un minimo di tranquillità.

    Il suono della sirena li scrollò da quel momento surreale riportandoli alla realtà.

    3

    Centerville, Mercy Medical Center - Reparto di rianimazione, Ottobre 1998

    Richard e Lorna attendevano oramai da molte ore.

    Nessuna notizia dai medici.

    Erano seduti nella saletta adiacente al reparto di rianimazione dove il piccolo era entrato senza mai aver ripreso conoscenza.

    Era quasi l’alba e la coppia oramai distrutta dalla stanchezza e dalla tensione sedeva scomposta sulle fredde panchine dell’ospedale, ma ogni rumore che proveniva dal corridoio della rianimazione li faceva sobbalzare, speravano che qualcuno si avvicinasse a portar loro notizie del figlio.

    Un’improvvisa agitazione del personale medico li fece scattare in piedi per l’ennesima volta, Richard si affacciò al vetro della porta che divideva la sala d’aspetto e il corridoio del reparto, vide un gruppo tra medici e infermieri che con voci concitate si dirigevano velocemente proprio nella stanza di Albert.

    «Sta succedendo qualcosa lì dentro...» disse Richard.

    «Io vado! Ho tutto il diritto di sapere cosa sta succedendo... .» senza indugiare oltre spalancò la porta e si precipitò nella stanza del figlio seguito come un’ombra dalla moglie. «Cosa sta succedendo dottore?» chiese Richard.

    «Fatemi vedere mio figlio... voglio vedere mio figlio...» disse Lorna cercando di farsi spazio nella stanza per vedere il piccolo, ma quando lo vide immobile sul letto non riuscì ad aggiungere altro e si accasciò tra le braccia del marito.

    Il medico fece cenno all’infermiere di soccorrere la donna e di metterla distesa sul letto di fronte a quello del figlio, ordinò inoltre di somministrarle immediatamente un calmate. Poi il medico guardò Richard e poggiandogli una mano sulla spalla scosse leggermente la testa, quel gesto fu una chiara sentenza: il piccolo Albert non ce l’aveva fatta. «No! Ditemi che non è vero...» urlò la donna cercando di scendere dal letto.

    «Lo voglio vedere... lasciatemi... voglio abbracciare il mio bambino...» continuò a urlare mentre l’infermiere a fatica la tratteneva.

    Lorna continuava a urlare piangendo dalla disperazione.

    «Com’è potuto succedere... il mio bambino... .perché, perché tutto questo...» anche Richard non si sforzò di trattenere le lacrime.

    Burt Lincoln, il medico che aveva prestato le prime cure al ragazzo si avvicinò all’uomo: «Signor Goodman...» le sussurrò cercando di essere il più delicato possibile in quel momento di dolore.

    «Signor Goodman... mi ascolti...» continuò cercando di richiamare l’attenzione di Richard.

    «Per conoscere le cause della morte dovremmo aspettare il risultato del medico legale... è ancora presto per capire la causa del decesso... ma ho comunque qualcosa di importante da dirle...» mentre parlava il giovane dottore era visibilmente scosso.

    «Sì...» sussurrò Richard.

    «Prima di...» il medico fece una breve pausa per non usare un termine che potesse sembrare indelicato in quel momento «Prima di andarsene... il ragazzo ha lasciato un messaggio per voi...» disse il dottore.

    «Ha parlato? Ma nostro figlio soffre... soffriva di mutismo sin dalla nascita...» replicò Richard sconcertato da quella rivelazione.

    «Eppure l’abbiamo sentito tutti qui...» rispose l’infermiere che precedentemente aveva soccorso Lorna, il medico gli lanciò un’occhiata e disse: «Ha aperto gli occhi per un pochi istanti... giusto il tempo di farmi il cenno di avvicinarmi. La voce era flebile, ma chiara, vi ripeto testuali parole... dite alla mia mamma e al mio papà che li aspetto al di là della vecchia quercia... loro capiranno... lì è tutto più bello, io vado lì... li aspetterò...» Richard si avvicino al letto e abbracciò la moglie, rimasero stretti per un tempo interminabile, il personale medico uscì in silenzio dalla stanza, si ritrovarono soli e ancora abbracciati.

    «Perdonami se non ho mai creduto alle tue parole... perdonami...» sussurrò commosso Richard alla moglie.

    Era ormai mattina, Lorna e Richard erano sfiniti e provati dal dolore.

    Il personale del reparto li pregò con la massima discrezione di accomodarsi nella sala d’attesa, lì non potevano più stare, loro gli chiesero ancora qualche minuto.

    Richard tirò fuori dalla tasca interna della giacca uno dei disegni raccolti la sera prima nella stanza del piccolo, lo aprì e con stupore esclamò: «Oh mio Dio Lorna... guarda... Albert non è più nel disegno...»

    «Ma cosa stai dicendo? Che vuol dire che non è più nel disegno?» rispose Lorna ansiosa di capire.

    «Guarda...» disse lui mostrandole il foglio.

    «Santo cielo ma è vero... non c’è più... ma che sta succedendo? Forse stiamo impazzendo davvero...» continuò Lorna ancora più confusa.

    «Anche Billo è sparito... anche Billo non è più nel disegno...» continuò Richard indicando con il dito il punto esatto dove prima c’era ritratto il cane.

    «Non è possibile...» Lorna continuava a scuotere la testa sempre più vistosamente e continuò: «Cosa sta succedendo Richard? Io non riesco a capire... ti prego... aiutami a capire...»

    «Non lo so... non lo so... Cristo Lorna... io non lo so...»

    Richard, girando nervosamente nella stanza, riportò lo sguardo sul disegno come volesse trovare una chiave di lettura a quello strano mistero.

    «La signora Garland...» esclamò poi Richard bloccandosi di colpo.

    «La signora Garland?» replicò Lorna sorpresa.

    La signora Garland era l’anziana vicina a cui si rivolgevano ogni volta che avevano un problema, era una persona buona e sapevano di poter contare su di lei in qualsiasi momento.

    «Sì, le chiederò di controllare le condizioni di Billo...» rispose l’uomo tirando fuori dalla tasca il suo cellulare.

    Richard dopo una breve conversazione con l’anziana signora chiuse il telefono e abbracciò la moglie: «Le ho detto che Billo stava poco bene... andava a controllare le sue condizioni e ci richiama immediatamente...»

    Passarono meno di cinque minuti e la suoneria del cellulare li colse di sorpresa facendoli sobbalzare.

    Richard rispose sotto lo sguardo attento della moglie pronta a leggere nei suoi occhi.

    L’espressione avvilita dell’uomo fu un inequivocabile segnale.

    «Immaginavo... stava molto male...» disse Richard con un filo di voce rispondendo alla signora Garland.

    «No, non si preoccupi... penseremo a tutto noi... è stata come al solito molto gentile...» Richard chiuse il telefono e abbracciò la moglie, l’espressione disperata dell’uomo non lasciava alcun dubbio.

    «Credo di aver capito...» commentò l’uomo senza nascondere le lacrime che scendevano sul suo volto. Poi, avvicinandosi alla moglie, la strinse forte se e continuò: «Lo so che tutto questo è assurdo amore, sconvolgente e soprattutto per me che ho sempre rifiutato l’idea che ci sia qualcosa al di là della vita terrena... ma l’idea che il nostro bambino possa essere felice là dove si trova adesso mi rasserena e mi da la consapevolezza che la vita non è tutta qui...» esclamò queste ultime parole avvicinandosi al corpo del piccolo Albert e accarezzando il suo volto continuò: «Lo so... che eri infelice piccolo mio... che ci sarebbe stato qualcuno pronto a farti sentire un diverso... e questa diversità avrebbe dilaniato la tua esistenza dandoti solo infelicità... e tu non meritavi tutto questo... l’ho capito sai?» Richard abbracciò il piccolo corpo privo di vita sotto lo sguardo intenerito di Lorna poi, senza più trattenere il pianto e stringendo sempre più intensamente il suo piccolo continuò: «Io l’ho capito... l’ho capito solo ora... ma qualcuno che sta al di là di quella quercia... al di là di questa nostra esistenza... quel qualcuno l’ha capito prima di me... prima di noi... e pure se ti ha strappato al nostro affetto... al nostro amore... ti ha reso felice...» adagiò il corpicino dolcemente sul letto e tirò fuori l’altro disegno che raffigurava la vallata con il grande lago e questa volta non fu colto da nessuno stupore ma solo da una conferma: «Lui è qui, con il suo Billo...» passò il disegno alla moglie senza neanche guardarlo.

    Ora su quel ritratto Albert e Billo sorridevano felici.

    «Non l’abbiamo perso amore...» disse tenendola stretta in un tenero abbraccio.

    «»Lui e lì... al di là della vecchia quercia... e ci aspetta lì... il nostro bambino ora è proprio come tutti gli altri... ora è un bambino felice!»

    Il cuscino del Dr. Proud

    Alex Freeman e sua moglie Susan Labbot, finalmente avevano raggiunto il loro grande sogno: possedere una casa immersa nel verde!

    Anche se per comprarla avevano contratto debiti per i quindici anni a venire, erano felici, muoversi nella casa dei propri desideri significava per entrambi il raggiungimento di un traguardo importante, una fonte inesauribile d’ottimismo per il futuro.

    Ma la coppia non sospettava minimamente cosa li attendeva in quella casa, in quali misteriosi eventi sarebbero stati coinvolti, neanche il più sano ottimismo sarebbe bastato per affrontare ciò che stava investendo le loro vite.

    1

    Avevano deciso, di comune accordo di trasferirsi da Atalanta a Greenville, nell’Alabama, per due motivi: il primo perché in provincia le case costano meno e poi perché ad Atlanta la vita si era fatta troppo caotica.

    La casa non era molto grande ma era ben esposta e soprattutto, cosa della quale s’innamorarono subito, era completamente circondata dal verde.

    Sicuramente aveva bisogno di molti lavoretti, ma il budget era ormai quasi esaurito, così Alex e Susan si alternavano nelle vesti di tuttofare, evitando così un ulteriore aggravio di spese.

    Tutto questo non gli dispiaceva affatto, anzi, li aiutava a sentire la nuova casa ancora più vicina, ad amarla ogni giorno di più.

    Curavano ogni particolare come nessun altro, tanto che neanche l’operaio più attento avrebbe potuto far meglio, i loro interventi erano dettati dai sentimenti e non tralasciavano il minimo dettaglio, nulla era messo lì per caso.

    Dopo qualche settimana ultimarono gran parte dei lavori e gli rimaneva solo di sistemare soffitta e la cantina.

    Decisero di iniziare dalla soffitta poiché Susan, che da poco si era laureata in psicologia, avrebbe potuto sfruttarla come studio dove poter accogliere i suoi pazienti.

    La cosa non entusiasmava Alex il quale aveva sempre criticato le persone che si portavano il lavoro a casa; spinto però dal desiderio di entrambi di avere presto un figlio decise di acconsentire affinché potesse almeno lavorare a casa durante il periodo della gravidanza, poi magari avrebbero rivisto la cosa.

    Era una mattina di sabato quando stava inconsapevolmente per avere inizio lo sconvolgimento del loro equilibrio, la riscrittura delle proprie esistenze, di lì a poco avrebbero messo in discussione ogni certezza; anche il più insignificante convincimento stava per immergersi nel mare dei dubbi.

    Entrarono in soffitta con la ferma intenzione di uscirne solo dopo averla completamente rassettata.

    La prima cosa che li colpì fu la quantità di polvere che risiedeva sopra gli oggetti e sul pavimento.

    C’erano cianfrusaglie ovunque, vecchie cose accatastate in ogni angolo della mansarda e sopra ogni mensola, a quella vista Alex rimase bloccato sulla porta; ma il fascino di rovistare in quella miniera di passato e immaginare le persone che potessero aver usato quegli oggetti attrasse Susan immediatamente che spinta dalla curiosità decise di prendere la cosa come un gioco.

    «Ehi, Alex... ricordi la pesca della fortuna?» chiese sorridendo la donna mentre si dirigeva al centro della mansarda, poi, sempre gironzolando con sguardo tutt’intorno continuò: «Dal momento che la polvere rende davvero impossibile il riconoscimento degli oggetti, peschiamone uno ciascuno con la libertà di tenerlo o buttarlo senza che l’altro ne abbia a ridire... ci stai?»

    Alex, immobile sull’uscio, si limitava a tenere lo sguardo incredulo su quella montagna di chincaglierie.

    «Ehi...» esclamò Susan voltandosi verso il marito.

    Lui, completamente assorbito dall’idea di come rimediare quel marasma fu riportano nella realtà.

    «Non credo sia una buona idea Susan... penso che la cosa più giusta da fare è buttare tutto senza neanche pensarci...» rispose smorzando l’entusiasmo di Susan.

    In quel mentre squillò il telefono.

    «Vado io...» disse l’uomo ruotando su se stesso in direzione delle scale.

    Quella soffitta aveva un’atmosfera che ammaliava Susan.

    Senza indugiare oltre e approfittando dell’assenza di Alex, prese a rovistare.

    La maggior parte erano libri, per di più di psicologia e questo dava maggiore impulso alla sua ricerca, tanto che cominciò a passarli in rassegna uno a uno.

    Passarono non più di due minuti e Alex fece ritorno.

    Proprio in quell’istante Susan tirò fuori da una pila traballante un vecchio diario pieno di polvere, c’era scritto sopra il nome di un certo Dr. Anthony Proud.

    «Chi era al telefono?» chiese sfogliando le prime pagine del diario.

    «Era Peter... dell’agenzia immobiliare, passa più tardi a trovarci...»

    «Guarda, vieni a vedere Alex... è il diario di uno psicanalista, un certo dr. Proud... ho già sentito questo nome...» disse mostrandolo al marito.

    «Sì... è vero... pare sia stato uno dei precedenti proprietari della casa, almeno da quello che mi è stato riferito all’agenzia immobiliare... credo sia morto più di vent’anni fa...» spiegò Alex.

    La donna non stava più nella pelle dal desiderio di leggere quelle pagine, lo aprì e lesse ad alta voce: «18 Febbraio 1952... è incredibile sono passati più di quarant’anni... guarda Alex...» mostrando la pagina all’uomo,«Ci sono gli appunti delle sedute con i suoi pazienti... e sembra che l’ultimo sia stato un certo William Bralley... la visita risale al 10 Maggio del 1965... sarà interessantissimo leggerlo...» non terminò la frase che Alex le sfilò dalle mani il prezioso diario.

    «No Alex... che intenzioni hai? Ridammelo...»

    «Che intenzioni ho? Di buttare tutto... ok? Siamo saliti con uno scopo ben preciso... ripulire questa dannata mansarda... è un’ora che stiamo qui a respirare polvere e tutto è rimasto come quando siamo entrati...» replicò con tono determinato Alex preparando i grandi sacchi di plastica da riempire.

    «Perché questo tono?» commentò Susan a voce bassa ma con tono amareggiato.

    Era davvero strano il comportamento di Alex, in tanti anni non l’aveva mai visto perdere la pazienza con nessuno ma soprattutto con lei.

    L’uomo lesse sul volto della moglie un velo di delusione e tornò subito sui propri passi, si avvicinò alla donna e cercando di recuperare la situazione le disse con tono amabile: «Ok cara... tu muori dalla voglia di sfogliare questo misterioso diario... mentre a me non interessa per niente... perciò... se sei d’accordo ti propongo un baratto...»

    «E cioè?» chiese incuriosita.

    «In cambio di questo...» facendo ruotare il diario davanti agli occhi della moglie, «Tu ripulisci la soffitta tutta da sola senza il mio aiuto!» sentenziò lui con un sorriso ironico.

    «Dai Alex... non fare il vermiciattolo...» avvicinandosi «Davvero mi lasceresti pulire la soffitta tutta sola... ?» lo guardò con aria sensuale e provocatoria.

    «Susan dai... non fare così... non è corretto...»

    La donna sapeva come girare la situazione a suo vantaggio.

    «Guarda che anche volendo qui la cosa riuscirebbe molto difficile...» Alex non concluse la frase.

    Finirono per fare l’amore sopra un vecchio baule.

    2

    «Caro... cosa hai deciso di fare con quel diario? Me lo sono meritato?»

    «Altro che diario... ti sei meritata un’ intera enciclopedia!»

    Lei raccolse il diario, baciò velocemente l’uomo e scappo via seminuda verso le scale.

    «Ehi, ma non eri tu quella che voleva scendere dalla soffitta solo quando l’ aveva completamente ripulita?» Domandò con tono canzonatorio Alex.

    «Adesso ho bisogno di un bel bagno, sei tu l’uomo di casa, sei pure grande e grosso e puoi farcela benissimo da solo...» terminò la frase per le scale.

    «Ci avrei scommesso che sarebbe andata a finire così...» commentò sottovoce e rassegnato a terminare il lavoro da solo.

    «Meglio così...» pensò «Difficilmente Susan si sarebbe liberata di tutti questi libri.»

    Si rimboccò le maniche e iniziò a riempire dei grandi sacchi di plastica che si era portato precedentemente.

    Erano passati solo venti minuti quando Alex, mentre trascinava un grosso baule per toglierlo da dove stava, fece saltare il meccanismo di chiusura.

    Incuriosito da quella fatale apertura alzò il coperchio.

    Susan si era già immersa nella vasca quando Alex bussò alla porta del bagno: «Susan... ehi tesoro, guarda cosa ho trovato in uno di quei vecchi bauli...» disse entrando e mostrando alla moglie un piccolo e bellissimo cuscino di colore nero e con una stupenda fantasia ricamata in giallo.

    «È stupendo Alex... ed è pure in ottimo stato...»

    «Era completamente avvolto nel cellophane e chiuso in una borsa... guarda non ha un granello di polvere...» commentò l’uomo battendo il cuscino con le mani.

    Alex le alzò la testa dal bordo della vasca da bagno e le mise sotto il cuscino.

    «Eh... che ne dici, va meglio?»

    «Accidenti amore non puoi capire... è incredibilmente comodo... sarà sicuramente una coincidenza ma da poco ho una leggera emicrania dovuta sicuramente alla polvere respirata in soffitta, non ci crederai ma stavo proprio desiderando di avere qualcosa da mettere sotto la testa e questo cuscino così morbido mi ha dato un immediato sollievo... mi hai letto nel pensiero...»

    «Bene, ora ti lascio... i tuoi desideri sono stati esauditi... quindi, torno al lavoro in soffitta...» esclamò baciandola e uscì dal bagno.

    Susan socchiuse gli occhi e si rilassò.

    Nella casa regnava il silenzio totale.

    A interrompere quel silenzio era la perdita del rubinetto della vasca che lasciava cadere ogni cinque secondi circa, una goccia d’acqua.

    La donna iniziò a seguire mentalmente questa cadenza quasi ritmica e finì per lasciarsi andare completamente addormentandosi.

    3

    Si ritrovò nel mezzo di un folto bosco, era quasi il tramonto e la mancanza di luce solare rendeva i colori di quel paesaggio molto uniformi, stava scendendo una forte umidità.

    Era a piedi nudi e vestita con indumenti molto leggeri, camminava senza sentire alcun dolore su di un tappeto di foglie e arbusti secchi.

    Intanto intorno a lei iniziava a scendere la sera.

    Percorse molta strada ma senza trovare una via d’uscita né un sentiero o una radura, vedeva intorno a se solo alberi e cespugli.

    Improvvisamente notò su di un tronco d’albero un’ incisione, raffigurava un cuore e dentro c’era scritto: Margie e Phil per sempre 20 ottobre 1962.

    «È passato quasi mezzo secolo e questa scritta sembra fatta oggi...» pensò Susan, poi sfiorò quell’incisione con la mano: «È incredibile...» disse con un soffio di voce.

    L’idea di quell’amore tra Margie e Phil l’affascinava ponendole molti interrogativi.

    Quanti anni avranno avuto a quel tempo, che lavoro svolgevano, se fossero ancora vivi e se si amassero ancora così intensamente, forse avevano anche dei nipoti.

    Fantasticando su quella storia d’amore arrivò finalmente ai margini di una piccola scarpata che portava a una strada asfaltata.

    Era ormai sera ma non era completamente buio grazie anche a una luna così grande e luminosa che rendeva quel paesaggio meno ostile.

    S’incamminò sul ciglio della strada con la speranza di veder passare qualche auto, non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.

    Percorse circa cinquecento metri prima di scorgere un cartello con su scritto: Strada Provinciale 10 direzione Greenville 12 miglia.

    In direzione di marcia opposta alla sua due fari le venivano incontro, si mise al centro della strada e iniziò a sbracciarsi per farsi notare dal conducente dell’auto.

    La macchina rallentò e le si fermò a pochi metri, la prima cosa che le saltò subito agli occhi fu il vecchio modello dell’auto.

    «Meglio questa che niente... .» pensò, poi avvicinandosi al veicolo notò che si trattava di una coppia, ciò la rendeva sicuramente più tranquilla; con un sorriso chiese se era possibile avere un passaggio fino in città.

    «Prego cara, salga pure...» rispose l’uomo con tono distinto e gentile.

    Appena in auto Susan notò il singolare abbigliamento dei due perfettamente in tono con il modello della macchina.

    «Eleganti ma nostalgici...» pensò ancora, questa volta non trattenne un sorriso divertita dalla visione di quell’ originale coppietta anni ‘60.

    «Signorina... ehm... mi scusi, posso sapere il suo nome?» chiese l’uomo.

    «Susan... Susan Labbott...»

    «Molto lieto Susan, io sono Phil Norris e lei è Margie...»

    Susan nel sentire i loro nomi rimase senza parole, poi avvicinando il viso ai sedili anteriori chiese con gentilezza: «Scusate... avete detto di chiamarvi Phil e Margie?»

    «Sì, esatto... nota qualcosa che non va nei nostri nomi Susan?» chiese incuriosito l’uomo.

    «No assolutamente... ma è curioso il fatto che poco fa, camminando nel bosco, ho notato un’ incisione su di un albero con gli stessi nomi... e allora...» rispose cercando di spiegare il suo stupore.

    «Oh, ha notato quella scritta? Ma è incredibile! Lei sarà stata sicuramente la prima persona a leggerla poiché l’abbiamo incisa proprio oggi pomeriggio io e Margie... ma che incredibile coincidenza! Ma ci pensa... lei legge quella frase scritta da due sconosciuti che poi finiscono per darle un passaggio. Se fosse uscita dal bosco un minuto più tardi non ci saremmo mai incontrati. Che dici Margie, le sveliamo il nostro piccolo segreto?»

    Margie visto l’entusiasmo di Phil, fece un gesto di consenso con gli occhi.

    «Sai Susan, ai piedi di quell’albero dove abbiamo inciso i nostri nomi, abbiamo seppellito due nostri oggetti personali... quando ero ragazzo mia nonna mi raccontava sempre che così un amore può durare in eterno...»

    Susan non aveva più nessun tipo d’espressione, a fatica replicò: «Ma l’incisione che ho visto io è datata 20 Ottobre 1962...»

    «Certo, infatti oggi è il 20 Ottobre 1962...» ribatté Phil.

    Arrivarono davanti a un drugstore, Susan non aveva più aperto bocca per la paura di essere presa per pazza.

    Notò che sotto l’insegna del drugstore c’era scritto: da Bill i migliori drink di Pine Apple.

    Perlomeno ora aveva un punto di riferimento.

    Stavano per entrare nel bar quando si avvicinarono all’auto due tipi con il volto coperto e armati di fucili a canne mozze.

    I tre pensarono subito a una rapina, Phil si fece da scudo davanti alle due donne cercando di calmare i due malviventi.

    Quando questi si avvicinarono, l’uomo si tolse l’orologio e glielo porse: «Prendete... è un orologio d’oro... ho anche dei dollari... prendete tutto...» esclamò tirando fuori dalla tasca il portafogli.

    Uno dei rapinatori lo colpì allo stomaco con il calcio del fucile e Phil d’istinto accennò una reazione e con la mano scoprì il volto di uno degli aggressori.

    Presi dalla paura di essere riconosciuti, iniziarono a sparare all’impazzata uccidendo la coppia.

    Susan, terrorizzata, riuscì a sfuggire ai colpi dei due fucili e sì nascose accucciandosi sotto un furgone parcheggiato poco lontano.

    «Avanti Dave, troviamola... ci ha visti in faccia...» forse erano più impauriti loro della ragazza.

    Susan vedeva le gambe dei due girarle intorno e tratteneva il respiro per non fare il benché minimo rumore.

    Appena vide che i piedi dei banditi andavano dalla parte opposta del parcheggio, uscì da sotto il furgone tentando una disperata corsa verso il bar, ma uno dei due la raggiunse e la fermò.

    «Dove corri puttanella... volevi svignartela eh?...»

    «Uccidila Dave, uccidila...»

    «Che ne dici se ci divertissimo un po’ prima di farla fuori eh?» esclamò l’uomo con tono viscido.

    «Dave, non dire cazzate... dobbiamo rientrare al college prima che scoprano la nostra assenza...»

    «Vuoi tenere quella cazzo di bocca chiusa? Coglione!»

    I due iniziarono una furiosa discussione e lei ne approfittò per fuggire, ma evidentemente dovevano avere un’ ottima mira perché la centrarono con un colpo secco alla testa.

    4

    Susan si svegliò di soprassalto tirandosi su nella vasca da bagno, aveva gli occhi spalancati dal terrore come se stesse ancora in quella scena.

    Istintivamente passò la mano sulla testa, la sensazione di ricevere quel colpo era stata dannatamente reale.

    La sera a cena raccontò il sogno ad Alex che si limitò ad ascoltare senza mai interromperla.

    Quando lei ebbe terminato, l’uomo non poté fare a meno di notare la sua espressione turbata solo nel ricordare l’accaduto, sorrise esclamando per sdrammatizzare: «Per fortuna volevi farti un bagno per rilassarti...»

    Susan fece una smorfia con la bocca e aggiunse: «Comunque ho intenzione di fare un giro nei posti che ho sognato, ricordo perfettamente il cartello che indicava la strada provinciale 10 in direzione Greenville è situato a poca distanza da dove sono uscita dal bosco, l’albero dove ho letto quell’incisione si trovava a pochi metri dalla scarpata che dava sulla strada... e il bar dove c’è stata la rapina subito dopo l’ingresso a sud di Pine Apple... da Bill i migliori drink di Pine Apple...» Susan fece il gesto con la mano per indicare al marito com’era disposta la scritta.

    «E poi i due rapinatori... Robert e Dave... si chiamavano così, hanno nominato un college mi sembra... vedi, sono troppi i particolari Alex, sento che c’è qualcosa che mi aspetta... non so cosa, ma devo... devo vedere quei luoghi... .» Concluse Susan aspettando la replica dell’uomo che non tardò ad arrivare.

    «Amore...» disse Alex avvicinandosi alla donna e abbracciandola poi continuò: «Sai come la penso riguardo a queste cose... premonizioni, sogni divinatori, segni del destino e tutto il resto. Penso sia stupido perdere tempo dietro a queste sciocchezze. Con tutto il da fare che abbiamo qui, credo sia meglio evitare questo inutile giro... è stato solo un banalissimo sogno condizionato dal trasferimento in questa contea... il trasloco, la nuova casa... credo che tu stia prendendo la cosa un po’ troppo seriamente...» commentò lui.

    «Alex, sento che non posso rinunciare... non é solo per curiosità... é qualcosa di dannatamente incomprensibile... non mi so spiegare neanch’io cosa ho provato, cosa sto provando... ma sento dentro di me che devo farlo, sento che devo andare là in quel bosco...» replicò Susan.

    Alex, intenerito dai modi pacati della donna la strinse a se: «Questa vicenda ti ha davvero presa molto, eh? Lascia almeno che ti accompagni, non mi va di saperti da sola a fare la detective...»

    «Non c’è nulla di cui temere Alex, stai tranquillo...»

    I due chiusero la cosa lì con un lungo bacio.

    Verso le undici Susan diede la buonanotte al marito e si ritirò nella stanza da letto.

    Una volta a letto prese dal comodino il diario del dr. Proud e iniziò a sfogliarlo.

    Nelle prime pagine c’era un elenco di nomi che dovevano essere sicuramente dei suoi pazienti; accanto ai nomi si leggeva una sorta di diagnosi.

    La incuriosì molto, il caso di un certo Robert Greyman che all’epoca aveva soli venti anni: il ragazzo soffriva d’insonnia perché oppresso da incubi ricorrenti.

    Le sedute di Robert Greyman risalivano al dicembre del ‘63.

    «Fu uno degli ultimi pazienti del dr. Proud» rifletté Susan; poi notò che il giovane fece solo poche sedute, quattro per l’esattezza.

    Cominciò a leggere i pochi appunti riguardanti Greyman e una cosa la colpì lasciandola sconcertata, il racconto dell’incubo che opprimeva Robert era identico alla parte finale del suo sogno fatto nella vasca da bagno.

    Richiuse il diario tirando un profondo respiro.

    Voleva scendere e raccontare tutto ad Alex ma ci ripensò, sicuramente non avrebbe mai preso sul serio quella storia, anzi, consapevole del suo forte scetticismo era certa che nel marito la cosa avrebbe scatenato solo ilarità.

    Iniziò a riflettere su tutta la vicenda.

    Poi si chiese fino a che punto potevano considerarsi tutte coincidenze.

    Robert Greyman, uno sconosciuto che trent’anni prima era oppresso da un incubo in cui lei era stata in qualche modo protagonista, si chiedeva in quale maniera potesse far parte di quegli eventi, a quelle persone ormai anziane di cui ignorava fino a pochi minuti prima l’esistenza.

    Chiuse gli occhi cercando di non pensare a nulla, non voleva farsi suggestionare dagli ultimi eventi, si addormentò.

    La mattina seguente la donna si svegliò distrutta, non disse niente al marito ma era stata ancora vittima di quell’incubo e questa volta la sgradevole sensazione di panico si unì un sottilissimo dolore agli arti inferiori.

    Si guardò i piedi e notò dei taglietti superficiali e del terriccio tra le dita e sotto le unghie, sentì lo stomaco capovolgersi.

    Corse in bagno e vomitò, poi si ripulì prima che Alex potesse accorgersi dell’accaduto, ma all’uomo non sfuggì lo stato di agitazione con cui Susan si era alzata dal letto, la raggiunse e una volta intuito il motivo di quella tensione fece un ultimo tentativo per dissuaderla dall’andare in quel bosco, ma lei lo pregò di stare tranquillo e di lasciarla fare.

    «Andrà tutto bene vedrai...» gli sussurrò nell’orecchio.

    5

    Susan salì sull’auto e si diresse fuori Greenville.

    Era una bella domenica assolata, il calore dei raggi del sole riscaldava piacevolmente l’interno dell’auto ancora freddo per il gelo della notte.

    Prese la provinciale 10 facendo attenzione alla segnaletica che incontrava lungo la strada. Dopo circa due miglia ebbe un flash e per un attimo rivide la scena dell’incubo in cui lei usciva dal bosco, si fermò.

    «Non ho incontrato nessun cartello...» pensò.

    «Sono scesa in strada e mi sono diretta verso Greenville, quindi il cartello deve stare più avanti in direzione opposta a Pine Apple...» considerò sempre mentalmente.

    Percorse ancora altri cinquecento metri ma non trovò nulla, proseguì ancora per alcune centinaia di metri facendo la massima attenzione, ma del cartello neanche l’ombra.

    Si fermò di nuovo.

    Nel sogno aveva sicuramente percorso meno strada.

    Tornò indietro dove aveva avuto il flashback e parcheggiò l’auto lasciandola come punto di riferimento sul ciglio della provinciale, quindi decise di continuare la ricerca a piedi.

    Camminava sul margine della strada rimuovendo con un bastone la folta vegetazione che a tratti le arrivava alle ginocchia.

    Poco più avanti vide un paletto di ferro che usciva dalla cunetta stradale, si avvicinò e notò che alla sua estremità c’era un cartello segnaletico.

    Si affrettò a liberarlo dal groviglio di sterpaglie che lo rendeva quasi invisibile, lo girò e con un velo di soddisfazione mista a stupore lesse: «S.P. 10 Greenville 12 Miglia.»

    «Non è certo identico a quello visto nel sogno...» pensò ancora Susan.

    «Ma sicuramente è un valido indizio e un buon motivo per continuare le ricerche.»

    Tirò fuori dallo zainetto una polaroid e scattò un’istantanea al cartello stradale.

    Tornò verso la macchina e salì a fatica sulla piccola scarpata che portava all’interno del bosco, dallo zaino prese un pennarello rosso e iniziò a passare in rassegna gli alberi, man mano che li osservava, li siglava con una ics.

    Effettuava quel controllo procedendo in senso orizzontale, la cosa richiese molto più tempo di quanto pensasse.

    Stava quasi per perdere ogni speranza di ritrovare quell’incisione quando percepì la sensazione di essere osservata.

    Entrò nel folto della boscaglia e prese a girarsi di scatto come volesse sorprendere un ipotetico spione o chissà cosa.

    A quella strana sensazione di essere osservata, Susan iniziò a percepire come un rumore di rami spezzati.

    Questo contrattempo le fece tralasciare momentaneamente la ricerca dell’albero con l’incisione; Susan era consapevole che stava perdendo l’orientamento, si fermò dietro a un cespuglio e questa volta la sensazione di udire dei passi divenne reale.

    La paura iniziò lentamente a prendere possesso dei suoi pensieri.

    Iniziò a pentirsi di non aver dato ascolto ad Alex.

    «C’è qualcuno? Ehi... ti ho sentito!» Esclamò con tono deciso e sicuro, voleva far capire a chiunque fosse lì intorno che non era una sprovveduta.

    Il rumore di passi cessò.

    Susan continuò: «Ehi, dico a te... chiunque tu sia... ho bisogno di aiuto, fatti vedere... per favore...» disse con voce più serena.

    Sebbene il tono della donna fu più timoroso non ebbe nessuna risposta.

    Gettò dei sassi intorno per sentire se quel qualcuno avesse una qualsiasi reazione, ma nulla, tutto taceva.

    «Chiunque sia...» pensò Susan rimanendo accovacciata dietro il cespuglio «Sa benissimo qual’ è la mia posizione... il dramma è che io non conosco la sua!» mormorò la donna.

    Tra lei e la provinciale c’erano almeno un centinaio di metri, se non avesse trovato ostacoli in poco tempo avrebbe potuto raggiungere la macchina e fuggire.

    L’istinto le mosse le gambe, partì a razzo come un ghepardo che ha puntato la sua preda, aveva percorso soltanto una ventina di metri che da dietro il grosso tronco di un albero a pochissimi passi da lei sbucò fuori un uomo sbarrandole la corsa.

    L’urlo di Susan echeggiò nel bosco.

    Per evitare quella figura apparsa all’improvviso deviò dal sentiero sul quale correva e cadendo rimase intrappolata in un groviglio di rami.

    Non toccò terra che si girò subito verso l’uomo, dentro di sé sentiva la fine vicina.

    L’uomo le si avvicinò e lei cominciò a gridare: «Non ti avvicinare... mio marito... mio marito è qui vicino... avrà sicuramente sentito il mio urlo... starà per arrivare... non ti avvicinare... vattene!» era terrorizzata.

    Lui senza parlare le offrì la mano per tirarla fuori dalla matassa di arbusti.

    Era malvestito, aveva i capelli che si confondevano con la barba e l’espressione cupa dei suoi occhi non era certo rassicurante.

    Susan si trascinò a fatica sul terreno cercando con difficoltà di indietreggiare, lui rimase col braccio teso. Passato lo spavento iniziale intuì che l’uomo non era lì per farle del male, se voleva l’avrebbe già fatto. «Meglio mostrarmi tranquilla...» pensò.

    Alzò il braccio e afferrò la mano dello sconosciuto, lui la tirò su con estrema facilità tanto che lei, visto l’esile corporatura dell’uomo, ne restò sorpresa.

    Quando fu fuori dal groviglio si ricompose e cercando di nascondere l’imbarazzo lo ringraziò per l’aiuto e lo salutò, poi senza aggiungere altro si tolse subito da quella spiacevole situazione avviandosi con passo veloce verso la sua auto.

    «Ma chi se ne frega dell’incisione... usciamo di volata da questo posto...» mormorò ancora impaurita senza neanche voltarsi indietro.

    «La strada sta dalla parte opposta...» le gridò lo sconosciuto.

    «Ma veramente... sono convinta di essere venuta da quella parte...» replicò indicando quella che era la sua direzione di marcia.

    «Fai pure come credi... ma se continui in quella direzione per uscire dovrai percorrere non meno di cinque miglia...» così dicendo, l’uomo si girò e se ne andò dalla parte opposta.

    «Ehi! Ehi! Un momento... fermati!» Susan, vista l’affabilità di quei modi riprese coraggio, rincorse l’uomo e lo fermò prendendolo per una manica del logoro giubbotto.

    «Da come sembra conosci molto bene questo bosco...»

    «Abbastanza per non perdermi...»

    «E vieni spesso da queste parti?» incalzò Susan.

    L’uomo tirò un sospiro, poi si girò verso di lei e la guardò dritta negli occhi: «Ci vivo...» rispose continuandola a fissare.

    Susan sentiva tutto il peso e la soggezione di quello sguardo.

    «Tu vivi qui?» chiese ancora lei.

    «Devi avere un buon motivo per fare tutte queste domande...» commentò l’uomo voltandosi per andarsene.

    «Sì... un ottimo motivo... almeno credo... ti sembrerà strano ma... sto cercando un albero!»

    «Ah ah ah... un ottimo motivo... cercare un albero qui... ah ah ah... oh mio Dio...» poi si voltò verso Susan e allargò le braccia girando su se stesso per indicare il bosco.

    «Ma dico, ti sei guardata intorno... ? Non hai che da scegliere...» l’uomo riprese il suo cammino continuando a ridere.

    «Io... io non sto cercando...» Susan alzò la voce per sovrastare le risate dello sconosciuto: «Non sto cercando un albero qualsiasi... sto cercando un albero con sopra una particolare incisione, un cuore intarsiato tanti anni fa...»

    L’uomo si bloccò di colpo sui propri passi e smise di ridere, si voltò verso la donna e le si fece incontro: «Che stai farneticando, di quale incisione stai parlando?» esclamò riprendendo la serietà e la freddezza iniziale.

    «Risale a molti anni fa, due nomi e una dedica... Phil e Margie per

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