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Storia d'Italia del Calcio e della Nazionale 1995 - 2021
Storia d'Italia del Calcio e della Nazionale 1995 - 2021
Storia d'Italia del Calcio e della Nazionale 1995 - 2021
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Storia d'Italia del Calcio e della Nazionale 1995 - 2021

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Inizia l’epoca del calcio business e della preponderanza dei diritti televisivi. Un calcio che si confronta con un’Italia diversa, che trae origine dal nuovo modello politico: si entra nella seconda Repubblica che darà vita al “berlusconismo”. Ed è proprio il Milan di Silvio Berlusconi che domina l’Italia e il Mondo conquistando trofei su trofei. Sono anche gli anni nei quali Lazio e Roma riescono a rompere l’egemonia delle corazzate del Nord. Il millennio della Nazionale inizia con la delusione dell’Europeo del 2000 e il mondiale farsa del 2002, e arriva alla vittoria del quarto titolo Mondiale a Berlino nel 2006. Ma c’è anche la finale europea persa con la Spagna nel 2012. Un lungo viaggio fino alla mancata qualificazione ai Mondiali del 2018 e alla crisi federale, con l’arrivo di Gabriele Gravina: con lui inizia la ricostruzione della Nazionale alla guida di Roberto Mancini. Ma sono anche gli anni della pandemia, del Covid-19 che cambia letteralmente la quotidianità degli italiani e mette in crisi l’economia mondiale. Le difficoltà nel mondo del calcio e la sua reazione con la straordinaria vittoria della Nazionale a Euro 2020.
LanguageItaliano
PublisherLab DFG
Release dateOct 17, 2022
ISBN9791280642219
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    Storia d'Italia del Calcio e della Nazionale 1995 - 2021 - Mauro Grimaldi

    A Flavio e a tutti quelli della sua generazione,

    nati per cambiare (in meglio) il mondo!

    Collana

    Ad maiora semper!

    Mauro Grimaldi

    Storia d’Italia, del calcio e della Nazionale

    Uomini, fatti, aneddoti - Parte terza (1995-2021)

    Prima edizione: maggio 2022

    © 2022 Lab DFG / Grimaldi

    ISBN 979-12-80642-21-9

    Copertina

    Paolo Castaldi

    Direzione editoriale

    Giovanni di Giorgi

    Lab DFG

    Via G.B. Vico n. 45-04100 Latina - Italia

    segreteria@labdfg.it / www.labdfg.it

    Amministratore

    Adriano Maria Zaccheo

    Marketing

    Francesco Borgognoni

    Editing e impaginazione

    Giulia Gabrielli

    Stampato in Italia

    Versione digitale realizzata da Streetlib srl

    Prefazione

    di Gabriele Gravina

    La trilogia curata da Mauro Grimaldi sulla storia del calcio italiano e le sue positive interazioni con la storia d’Italia si completa dell’ultimo volume arrivando a parlare dei giorni nostri. Tra le continue sfide sportive e le mille difficoltà generate dalla pandemia da COVID-19, la storia contemporanea dello sport più amato dagli italiani è ancora in via di definizione, ma l’attenzione con cui è stato affrontato dall’autore il tema della modernità lascia intendere come sia ancora incompiuta la sua stessa rivoluzione.

    Il calcio moderno, almeno quello che stiamo contribuendo a realizzare, quindi più stabile, più sostenibile e sempre più affascinante, è ancora lungi da venire. Ma il seme è stato piantato in maniera fruttuosa, con una serie di riforme strutturali da completare e con una vittoria europea quasi inaspettata, addirittura anticipatoria rispetto al completamento naturale del progetto di Rinascimento Azzurro iniziato nel 2018, che ha avuto il merito di corroborare gli italiani dopo un lungo periodo di incertezza e sofferenze. Un successo, quello dei ragazzi di Mancini, così coinvolgente da indicare all’Italia un percorso valido nel calcio come nella società civile: solo uniti, giocando di squadra, si possono raggiungere traguardi straordinari.

    Per motivi diversi che non riguardavano direttamente la storia del nostro Paese, è successo così anche nel 2006. La Nazionale di Lippi si coagulò attorno ai propri valori umani e caratteriali, prima ancora che a quelli tecnici, trovando la forza interiore per superare da squadra le vicende di Calciopoli. Un filo conduttore, di colore azzurro, che rende orgogliosi gli italiani, in Italia e nel mondo, rappresentando una delle immagini migliori del nostro Paese. Ma il calcio non è solo Nazionale, non è solo gioie, è anche sconfitte, problemi da affrontare e una trasformazione da compiere. Il calcio spettacolo è una definizione che, spiegata bene in questo terzo volume, non risponde più alle sole logiche del campo, ma trasferisce le attenzioni e le interazioni degli appassionati dalla tribuna alla televisione, passando dai media tradizionali ai social network senza soluzione di continuità. Spettacolo non è più inteso come il piacere visivo di prolungati gesti tecnici, piuttosto come un’esperienza stimolante a 360°, sia vissuta allo stadio che sul divano o addirittura in viaggio. Il calcio si sta trasformando in una vera e propria azienda dell’intrattenimento, che non deve perdere il suo connotato principale: la bellezza del gioco sul campo. Altrimenti rischia di snaturarsi e quindi di interrompere quel flusso di autoalimentazione con il suo straordinario patrimonio storico/culturale/sportivo che è parte integrante del processo unitario nazionale. Quel ricchissimo bagaglio di storie condivise protagoniste di questo ampio progetto letterario.

    Capitolo I

    La sentenza Bosman e i Mondiali del 1998

    1.1 Alle soglie del nuovo millennio. Il Trattato di Maastricht e l’entrata nell’euro

    Il 31 dicembre del 1999 il mondo si avvia verso il nuovo millennio, lasciandosi alle spalle uno dei secoli più complessi della storia, il Novecento. Uno dei massimi storici mondiali, l’inglese Eric J. Hobsbawm, nel suo saggio Il Secolo breve, 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, ha sintetizzato in tre fasi i principali periodi che hanno segnato il XX secolo.

    L’età della catastrofe, compresa tra il 1914 e il 1945, con l’accentuazione dello scontro tra il capitalismo e i sistemi totalitari come comunismo e fascismo. I due conflitti mondiali e le grandi rivoluzioni con la nascita degli Stati totalitari. Un passaggio storico violento che ha portato significativi cambiamenti in campo politico, con la scomparsa di imperi millenari come quelli russo, tedesco, austriaco e ottomano. La grande depressione che nel 1929 partì dagli Stati Uniti mettendo in ginocchio l’intero pianeta, ma anche i grandi movimenti artistici e letterari.

    L’età dell’oro, quella compresa tra il 1946 e il 1973, dalla grande ricostruzione dopo i devastanti conflitti alla guerra fredda tra i due blocchi occidentale e orientale. Su tutto, le importanti conquiste scientifiche, la conquista dello spazio e la vigorosa crescita delle Nazioni dominate dal capitalismo di stampo occidentale ma anche di quelle inserite nel sistema economico comunista.

    Infine, l’era della frana, ovvero gli anni che vanno dal 1973 al 1991, che inizia con la guerra arabo-israeliana del Kippur e la prima grande crisi petrolifera. Poi la dissoluzione dell’Urss con la caduta del muro di Berlino nel 1989, che ha generato la fine della guerra fredda e il crollo delle politiche ideologiche totalitarie. Ma è anche il periodo delle gravi crisi economiche, soprattutto dei regimi socialisti, con il dissolvimento, assieme con l’Urss, della Jugoslavia, con l’accentuazione dei nazionalismi tenuti sotto controllo da Tito per oltre mezzo secolo, poi degenerati in sanguinosi conflitti. A ciò si aggiungono, con la Prima guerra del Golfo, le avvisaglie del riemergere della questione islamica che sarà uno dei temi dominanti degli anni a seguire.

    Quindi un secolo difficile, fatto di cambiamenti radicali, riguardo al quale lo stesso Hobsbawm, al termine del saggio, non potrà che dichiarare:

    «La ragione di questa impotenza non sta solo nella profondità e complessità delle crisi mondiali, ma anche nel fallimento apparente di tutti i programmi, vecchi e nuovi, per gestire o migliorare la condizione del genere umano».¹

    Ma a prescindere dai percorsi storici, la gente si affaccia al nuovo millennio con una serie di paure ancestrali come quelle del mille e non più mille di memoria medioevale. Infatti, ciò che mette maggiore ansia è il Millenium bug: in un mondo completamente informatizzato si teme un colossale blocco della programmazione informatica con il conseguente arresto indiscriminato di tutte le attività mondiali. Un problema che avrebbe coinvolto non solo le imprese ma anche i privati poiché, con la presentazione nel 1995 da parte di Microsoft di Windows 95, viene commercializzato il primo sistema operativo Microsoft a 32 bit concepito per il grande pubblico. Tra l’altro le piattaforme informatiche iniziavano a inserirsi sempre di più nella vita della gente. Nel 1995, infatti, era stata fondata eBay, la prima importante piattaforma di compravendita on line tra privati e la Sony aveva lanciato sul mercato la Playstation che coinvolgerà negli anni, nelle sue varie versioni, milioni di appassionati di giochi elettronici.

    Già alcuni mesi prima della fine del 1999, il dubbio di un crack informatico si era diffuso tra gli esperti, in quanto l’orologio interno presente nei computer di allora funzionava a due cifre: 98 invece di 1998, 99 anziché 1999 e così via. Con l’arrivo dell’anno 2000 l’orologio avrebbe segnato un doppio zero, con il rischio che il computer potesse interpretarlo come 1900, creando una serie di criticità. In realtà la notte del 31 dicembre 1999 passò senza problemi e il mondo interò festeggiò il nuovo millennio tirando un sospiro di sollievo.

    Sotto l’aspetto politico, alla grave crisi politico-istituzionale che si era innescata all’inizio degli anni Novanta con Tangentopoli, che aveva cancellato intere formazioni politiche come la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, seguì un vuoto all’interno dello schieramento moderato. Nelle elezioni del 1994, con il 43% dei voti, si era affermato un nuovo partito, Forza Italia, fondato dall’imprenditore Silvio Berlusconi, che pur assorbendo alcuni dei protagonisti della precedente classe politica ottenne un forte successo con due distinte coalizioni: al Nord con la Lega Nord, al Centro-Sud con il MSI, poi confluito, nel 1995, dopo la Svolta di Fiuggi, all’interno di una nuova formazione, Alleanza Nazionale.

    È l’inizio della fase politica definita Seconda Repubblica dove si consolideranno il principio del bipolarismo e l’alternanza fra i governi dei due schieramenti di centrosinistra e di centrodestra. Le urne si riaprono appena due anni dopo a seguito della caduta Berlusconi con le elezioni del 1996. È qui che esplode il fenomeno della Lega Nord di Umberto Bossi che supera la soglia del 10% dei voti, ma ad affermarsi è l’Ulivo di Romano Prodi con uno scarto minimale dell’1,3% sulla coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Sono gli anni in cui si alterneranno, oltre a quello di Prodi, i Governi di centrosinistra di Massimo D’Alema e di Giuliano Amato, chiamati a gestire uno dei periodi più delicati del dopo Maastricht in cui l’Italia si rende conto di non riuscire a rispettare i parametri imposti con la firma del Trattato, motivo che portò Prodi ad accentuare la pressione fiscale imponendo la celebre Tassa Europa, varata nel dicembre del 1996.

    Tutto ciò era la conseguenza dei grandi cambiamenti geopolitici ed economici che erano seguiti, nel 1991, al Trattato di Maastricht, il quale aveva segnato storicamente la creazione di una realtà europea indipendente con l’introduzione della cittadinanza europea, con l’istituzione dell’Europol, la prima entità di polizia europea, con l’avvio di nuove procedure sull’immigrazione e l’introduzione di nuovi criteri di regolamentazione delle dogane. E soprattutto fu sancito il principio di sussidiarietà e furono potenziati i poteri del Parlamento Europeo. Il nuovo scenario fu completato il primo gennaio del 1999 con l’immissione della moneta unica europea, l’euro.

    Va sottolineato, però, il difficile percorso seguito dall’Italia per entrare all’interno dell’Unione monetaria europea che prima dello scandalo di Tangentopoli aveva registrato una crescita economica straordinaria, tanto che uno dei più autorevoli giornali europei in materia, l’Economist, l’aveva collocata quale quarta potenza economica mondiale. Il ciclone che sconvolse gli assetti politici consolidati rese estremamente vulnerabile il comparto economico che nel settembre del 1992 – ancora oggi ricordato come il mercoledì nero – subì un attacco speculativo senza precedenti che comportò una perdita di valore della lira di oltre il 30% rispetto al dollaro, avviando il Paese, inevitabilmente, verso la recessione. Era il segno di una delle più gravi crisi finanziarie dalla nascita della Repubblica, accentuata da un debito pubblico pari al 108% del PIL e da un disavanzo corrente di oltre il 10% del bilancio annuale dello Stato. Uno scenario che si aggravò ulteriormente a fronte del rifiuto della Bundesbank di venire in aiuto della moneta italiana. Tutto ciò portò a una forte svalutazione, ponendo la lira fuori dei parametri standard previsti per entrare all’interno del Sistema Monetario Europeo. Da qui la necessità di una forte pressione fiscale da parte del Governo in carica, quello di Giuliano Amato, il quale varò una pesantissima manovra di oltre 93.000 miliardi di lire, che dovevano essere recuperati a fronte di una drastica riduzione della spesa pubblica, di una più incisiva lotta all’evasione fiscale e soprattutto, con un sensibile aumento del carico fiscale: grazie a tali provvedimenti l’Italia riuscì a rientrare tra i parametri previsti dal Trattato e quindi nello SME.

    Si chiudeva, però, quel periodo di crescita economica costante che aveva contraddistinto l’economia italiana dal dopoguerra in poi. Tuttavia, le restrizioni non incisero più di tanto nella vita degli italiani che continuarono a mantenere lo stile di vita di sempre, anche se il rapporto con il denaro stava cambiando, indirizzandosi verso un atteggiamento di maggiore prudenza.

    Nonostante tutto, l’ultimo decennio del millennio aveva segnato profondi cambiamenti tecnologici nella società civile modificando lo stile di vita degli italiani. Nel 1990, in Italia, erano circa 300.000 gli utenti che facevano uso dei cellulari. Solo quattro anni dopo, nel 1994, erano saliti a oltre 2 milioni, per poi crescere oltre la soglia dei 12 milioni nel 1997, fino a sfiorare i 30 milioni nel 1999. Si andava affermando, seppure con minore intensità, la diffusione dei computer raggiungendo, alle soglie del 2000, i 10 milioni di utenti.

    La crisi economica e una maggiore attenzione degli italiani sulla spesa incisero inevitabilmente sugli acquisti voluttuari e, di conseguenza, sugli spettacoli sportivi. A parte una crescita attorno al 10% degli incassi nei cinema, a partire dal 1990 si assiste a un decremento circa la tendenza degli italiani a spendere per il tempo libero. A risentirne più degli altri fu il calcio, fino ad allora un settore trainante, che nel decennio ebbe una contrazione del 38%.

    In particolare, a farne le spese fu il calcio minore professionistico, quello della Serie C, allora divisa in due categorie, C1 e C2, che vide una sensibile diminuzione del proprio pubblico e una perdita degli incassi da botteghino fino all’80%. Le ragioni vanno ricercate all’interno del sistema calcistico dove l’aumento dell’offerta delle partite in diretta da parte dei nuovi canali televisivi determinò una sovrapposizione di eventi con la Serie A che portò i tifosi dei piccoli club locali a rinunciare a sostenere le proprie squadre sugli spalti per seguire alle telecronache. Nella stagione 1996-97 per assistere a una partita di Serie C1 si spendevano, mediamente, 18.000 lire contro le 15.000 per la C2, mentre con meno del doppio del costo di una partita di Serie C si poteva assistere, in diretta, alle grandi sfide di Serie A.

    La sintesi di questa situazione è nelle parole di un dirigente sportivo di una società di Serie C:

    «Domenica è sempre domenica? Forse non più, almeno per il calcio di casa nostra che, già dalla prossima stagione vorrebbe evitare, usando un termine di moda, il match-race con il calcio di Serie A servito in diretta in TV. Inutile negarlo: sono sempre di più, a casa o al bar, coloro che seguono in diretta le sfide del massimo campionato (anche di Serie B) trascurando quelle che giocano nel proprio paese. E siccome appare inutile condurre una battaglia contro i mulini a vento, diverse società stanno prendendo seriamente in esame l’ipotesi di anticipare al sabato i loro confronti».²

    Il calcio, effettivamente, stava entrando in una nuova fase che avrebbe cambiato in modo radicale il modello con cui si era confrontato negli ultimi decenni. Se vogliamo fare un parallelo con le fasi storiche enunciate da Eric Hobsbawm, possiamo affermare che anche il calcio ha attraversato tre diverse ere geologiche.

    La prima, che si identifica con la fine del XIX secolo con la fase pionieristica e con la lenta organizzazione e capillarizzazione sul territorio che vede, durante il Ventennio fascista, il culmine dell’affermazione del calcio come fenomeno di massa e mediatico. È il periodo dei grandi successi sportivi della Nazionale che si infrange però nell’abisso della guerra e poi nella tragedia di Superga che segna la linea di confine tra due diversi modi di intendere il calcio.

    La seconda fase coincide con gli anni della ricostruzione e del boom economico che favoriscono l’entrata dei grandi capitali. Sono gli anni del Napoli di Achille Lauro e dell’Inter di Angelo Moratti, della Juve dell’avvocato Agnelli che porteranno, alle soglie degli anni Ottanta, a ridisegnare lo status dei calciatori attraverso una legge sul professionismo sportivo. Un calcio sempre più esigente e bisognoso di risorse dove si affacciano i primi sponsor e ci si avvia verso il ruolo, sempre più preponderante, della televisione.

    Infine, la terza fase, che cambia radicalmente il modello con cui il calcio si era confrontato fino ad allora e che coincide con la sentenza della Corte di Giustizia europea, la sentenza Bosman.

    1.2 La sentenza Bosman: la rivoluzione del calcio moderno

    Quando il 15 dicembre del 1995, nel palazzo di Kirchberg, la Corte di Giustizia della Comunità europea si pronunciò sulla causa promossa dal calciatore belga, Jean Marc Bosman, anche il calcio si ritrovò a dover fare i conti con i nuovi scenari geopolitici europei. All’indomani della sentenza, infatti, ci si rese subito conto come gli effetti di quella decisione avrebbero inciso in modo radicale sull’intero sistema del calcio professionistico del vecchio continente. La questione, in realtà, era stata oggetto di un lungo iter giudiziario, iniziato l’8 agosto 1990 di fronte al Tribunal de première instance di Liegi.

    I presupposti che avevano dato origine alla vicenda traevano spunto da una controversia marginale, nata tra un modesto calciatore professionista, Jean Marc Bosman, e la propria società il Royal Football Club Liegi che aveva acquistato il calciatore nel 1988 dietro il pagamento di un’indennità di 3 milioni di franchi belgi. Nell’aprile del 1990, la società propose al calciatore di stipulare un nuovo contratto con una riduzione del compenso da 75.000 franchi a 30.000, cioè il minimo contrattuale previsto dalle norme della Federazione belga. Al rifiuto di Bosman della riduzione contrattuale la società lo aveva inserito tra i calciatori cedibili. In base alla normativa federale l’indennità di cessione veniva stabilita in circa 12 milioni di franchi belgi. Bosman, poiché nessuna società belga aveva manifestato l’interesse ad acquisire le sue prestazioni, decise di stipulare un contratto con una squadra francese di seconda divisione, la USL Dunkerque, per un compenso di 90.000 franchi al mese. Il Royal Football Club Liegi, quindi, in base agli accordi, cedeva il calciatore alla società francese per un solo campionato dietro il pagamento di un’indennità di un milione e 200.000 franchi belgi, somma che sarebbe stata versata al momento dello svincolo da parte della Federazione. Contestualmente, veniva concessa ALL’USL Dunkerque un’opzione irrevocabile per il trasferimento definitivo del calciatore in cambio di un’indennità di altri 4 milioni e 800.000 franchi belgi. Entrambi i contratti furono sottoposti a condizione risolutiva, nel senso che non avrebbero prodotto effetti se entro il 2 agosto 1990 la Federazione francese non avesse ricevuto lo svincolo. Successivamente, il Royal Football Club Liegi, sulla base di alcuni dubbi che erano sorti sulla solvibilità della USL Dunkerque, non richiese lo svincolo rendendo così inefficace la clausola risolutoria. Inoltre, per impedire a Bosman di prendere parte al nuovo campionato, gli ritirò il cartellino.

    Da questo momento in poi iniziò la vicenda giudiziaria di fronte al Tribunale di prima istanza di Liegi, limitata inizialmente alla sola richiesta di provvedimenti nei confronti della società e della Federazione belga. Solo successivamente fu citata in giudizio la UEFA sollevando l’incompatibilità delle norme sportive con quelle dell’Unione Europea che impedivano la libera circolazione dei calciatori comunitari nei campionati nazionali. Dopo circa tre anni il contenzioso approdò di fronte alla Corte d’Appello di Liegi, adita dalla UEFA, dalla Federazione Belga e dal Royal Football Club Liegi in quanto, in primo grado, il Tribunale aveva dichiarato ricevibili le richieste di Bosman. La Corte d’Appello, trattandosi di materia comunitaria, trasmise alla Corte di Giustizia Europea una serie di quesiti relativi agli articoli 48, 85 e 86 del Trattato di Roma, per sapere se esistesse un’incompatibilità tra dette norme e la richiesta dell’indennità dopo la scadenza del contratto, nonché se la limitazione di circolazione dei calciatori nei campionati comunitari andasse contro il principio di libera circolazione dei lavoratori nell’Unione Europea.

    Su questi punti la Corte di Giustizia Europea si pronunciò positivamente rispetto alle istanze di Bosman, ribadendo il principio della libera circolazione dei calciatori professionisti nell’ambito della Unione Europea e l’abolizione, in scadenza di contratto, dell’indennità di trasferimento.

    Il problema relativo alla compatibilità dell’articolo 48 del Trattato era emerso già dagli anni Sessanta, quando alcune Federazioni iniziarono a limitare il tesseramento di calciatori stranieri. Solo nel 1978, a seguito di due sentenze della Corte di Giustizia europea, relative ai casi Walrave e Donà, in tema di rapporti comunitari e attività sportive, la UEFA si impegnò ad abolire le limitazioni concernenti il numero di stranieri tesserabili, stabilendo un tetto di due calciatori per squadra. Fu deciso, inoltre, che tali disposizioni non fossero applicabili nei confronti di quei calciatori, sempre comunitari, che risiedessero da almeno 5 anni nel territorio in cui aveva sede la Federazione titolare del tesseramento.

    In seguito, nel 1991, venne adottata la regola del 3+2, cioè che a decorrere dalla stagione ’92-’93 sarebbe stato previsto un aumento del tetto a tre calciatori oltre ad altri due che avessero giocato nello stesso paese ininterrottamente per almeno cinque anni, tre dei quali in squadre giovanili. In realtà, tralasciando i successivi passaggi, il problema si presentava molto più complesso rispetto alle tiepide aperture della UEFA. La proiezione dell’Europa verso l’unificazione, la moneta unica e una serie di altre situazioni ormai in via di definizione rendevano anacronistiche le norme sportive tese a limitare la libera circolazione dei lavoratori nel territorio europeo. Né, in tal senso, sotto il profilo giuridico, poteva reggere una distinzione tra un lavoratore dell’industria e uno dello sport. Anche l’Europa del calcio si proiettava così verso un nuovo modello dai confini più ampi dove il calcio non poteva essere considerato più un’isola felice, lontana dalla quotidianità, ma parte integrante dell’evoluzione verso cui la società europea stava andando incontro.

    Anche in Italia la sentenza Bosman, oltre a favorire tantissimi trasferimenti a parametro zero, diede il via libera al passaggio nel nostro campionato di diversi calciatori stranieri incidendo in modo significativo sul modello che fino ad allora aveva regolato il calcio italiano e, in particolare, questa ondata di nuovi giocatori determinò, da parte delle società di Serie A, un minore interesse sui settori giovanili. Dal 1990, nell’arco di quindici anni, si era passati dai 53 calciatori stranieri che militavano in Serie A – vale a dire il 14% della totalità dei calciatori professionisti tesserati nel campionato – ai 228 presenti nella massima serie nel 2010, cioè il 41% dei tesserati, percentuale questa che continuerà a crescere negli anni.

    Attualmente, a livello dei principali campionati europei, dietro alla Premier inglese, che resta il campionato più internazionale al mondo, dove il 65% di tesserati sono stranieri, c’è il campionato italiano di Serie A con il 60% di tesserati stranieri (vale a dire che in Serie A ci sono solo quattro italiani ogni dieci giocatori). Seguono Bundesliga a 52,5%, Ligue 1 al 46,6% e infine la Liga, la più autarchica, al 40%. Se sotto l’aspetto delle garanzie dei diritti dei lavoratori la sentenza ha sicuramente portato una ventata di democrazia all’interno del mondo del calcio, di contro ha allargato ancora di più la forbice tra i club più ricchi e gli altri, determinando un sostanzioso rialzo degli ingaggi e la ricerca sistematica da parte delle società di aggirare in qualche modo la norma, come accaduto in Italia, con lo scandalo dei passaporti falsi nel 2001 per naturalizzare giocatori extracomunitari e più recentemente con il caso Suarez e l’esame farsa di lingua italiana all’Ateneo di Perugia.

    1.3 Gli Europei del 1996: si chiude il ciclo di Sacchi e Matarrese.

    Dopo la finale ai Mondiali del 1994, persa ai rigori con il Brasile, in molti si erano illusi che l’Italia potesse avere un ruolo da protagonista anche agli Europei del 1996, che si sarebbero svolti in Inghilterra dall’8 al 30 giugno, con gli inglesi che avevano già coniato lo slogan "Football Comes Home", il calcio torna a casa. Nessuno, però, aveva immaginato la rivoluzione che il commissario tecnico della Nazionale, Arrigo Sacchi, si preparava ad attuare. Tra la finale del Mondiale e l’esordio all’Europeo furono convocati ben 89 giocatori, un record ancora imbattuto, che di fatto incisero pesantemente sull’organico della Nazionale e sull’umore di molti calciatori.

    Nel girone di qualificazione gli Azzurri erano stati inseriti nel gruppo 4, assieme con le nuove repubbliche dell’ex-Unione Sovietica – Ucraina, Lituania ed Estonia – oltre alla Slovenia e alla Croazia, quest’ultima appena uscita da una guerra devastante. Nella gara di esordio l’Italia pareggia a Maribor, contro i modesti sloveni, per 1 a 1. Non è un buon inizio ma gli Azzurri riescono a vincere a Tallinn, per 2 a 0, contro l’Estonia, con reti di Casiraghi e Panucci, il quale aveva esordito con la Slovenia. Contro la Croazia, a Palermo, arriva l’unica sconfitta del girone, per 1 a 2. Va anche detto che i croati erano una formazione di tutto rispetto e potevano schierare giocatori del calibro di Boban, Prosinečki e Šuker. Quello con i croati sarà solo un incidente di percorso.

    L’Italia cresce, supera l’Estonia a Salerno per 4 a 1; l’Ucraina a Kiev per 2 a 0; la Lituania a Vilnius per 1 a 0; la Slovenia a Udine per 1 a 0, l’Ucraina a Bari per 3 a 1 e la Lituania a Reggio Emilia per 4 a 0. Con la Croazia, invece, era finita 1 a 1, a Spalato, risultato che qualificava tutte e due le formazioni. Da registrare solo una fastidiosa polemica che si era innescata tra la Federazione Italiana e l’esponente croato della UEFA, Duško Grabovac, a causa delle perplessità espresse dal Presidente della FIGC sull’opportunità di giocare in Croazia a fronte delle gravi responsabilità dei croati nelle operazioni di pulizia etnica compiute durante la guerra dei Balcani.

    Intanto la UEFA aveva cambiato le regole della fase finale dell’Europeo: le squadre erano passate da 8 a 16, divise in 4 gironi. Le prime 2 di ogni girone si sarebbero qualificate per i quarti. Viene trasferita all’Europeo anche la regola del Golden Goal – che nei supplementari avrebbe sancito la vittoria alla squadra che avesse segnato per prima – sperimentata nel Campionato Under 21, che aveva consentito agli Azzurrini di laurearsi Campioni d’Europa contro il Portogallo, con una rete al novantasettesimo minuto di Orlandini. In Inghilterra arrivano tutte le favorite, comprese l’Olanda, la Germania e i campioni uscenti della Danimarca. Si era qualificata anche la Repubblica Ceca, alla sua prima partecipazione all’Europeo dopo la scissione della Cecoslovacchia.

    È ancora Sacchi, con le proprie scelte, ad alzare il livello di attenzione stravolgendo ancora una volta l’assetto della squadra spostando Paolo Maldini come centrale – al posto dell’infortunato Ferrara – e promuovendo in difesa Luigi Apolloni del Parma. A casa restano due tra i difensori più in forma del campionato, Christian Panucci e Antonio Benarrivo, oltre a Roberto Baggio, Gianluca Vialli e Beppe Signori, questi ultimi tre in forte polemica con Arrigo Sacchi, che non appare preoccupato, e anzi dichiara:

    «Sono ottimista per dei dati precisi: sto allenando giocatori di grande valore, in questi cinque anni la Nazionale ha colto due qualificazioni e un secondo posto ai Mondiali, mettiamo in pratica un gioco che dà grandissime soddisfazioni con pochissimi contraccolpi. Non voglio dire che vinceremo sicuramente ma ci sono sicuramente i presupposti per fare bene. Questa Nazionale è superiore a quella che partecipò ai Mondiali americani, anche se non ha tra le sue fila giocatori famosi e due leaders come Baresi e Baggio».³

    Ma proprio sull’esclusione di Baggio nascono le maggiori polemiche, un passaggio, questo, che Arrigo Sacchi chiarirà quindici anni più tardi in un’intervista rilasciata a Galagol.com:

    «Baggio non era in uno dei momenti migliori della sua carriera. Aveva un problema al ginocchio. Non l’ho portato soltanto a causa delle sue condizioni fisiche, non per altre ragioni».

    Il Presidente federale, Antonio Matarrese, pur non nascondendo qualche perplessità, cerca di caricare l’ambiente:

    «Noi dobbiamo continuare a divertire e a vincere. Ci mancherebbe altro che una Nazionale come la nostra, con quel che rappresenta nel mondo e con quello che costa in tutti i sensi, avesse paura di dichiarare le proprie aspirazioni. Veniamo in Inghilterra per arrivare in finale. Non mi dispiacerebbe giocarla con i padroni di casa, però per loro è dura, non so se ci arriveranno. Sapete, io e il Presidente Millichip siamo molto amici. Mi ha impedito di ripartire subito perché mi vuole a cena a casa sua. Anche di Braun, il Presidente tedesco, sono amico e lui tiene a sottolinearlo perché è la prima volta, nella storia delle nostre federazioni, che ciò avviene».

    E ancora:

    «Terzi ai Mondiali in Italia, secondi in America, adesso non ci resta che arrivare primi. Mi piacerebbe riuscirci proprio a spese della Germania, cui abbiamo regalato un Mondiale. Fossimo arrivati in finale, a Roma non avrebbe vinto».

    Il sorteggio, però, non favorisce gli Azzurri, che si ritrovano in un girone di ferro, con la Germania, che tutti danno per favorita; la Russia che ha vinto il proprio girone di qualificazione senza una sconfitta, con otto vittorie e due pareggi e la Repubblica Ceca, vero e proprio outsider. Sacchi, comunque, è cosciente delle difficoltà:

    «Oltre alle note positive abbiamo la consapevolezza di essere inseriti in un girone di ferro che, se 7-8 mesi fa pareva difficile, oggi si è confermato durissimo. I bookmaker inglesi infatti danno la Germania favorita e la classifica della FIFA ci pone dietro altre Nazionali. L’Italia può legittimamente aspirare al titolo ma c’è anche la possibilità di venire estromessi. Inoltre, negli ultimi 30 anni la Nazionale italiana non è mai arrivata nemmeno in finale in un Campionato europeo».

    Nella prima giornata la Germania sconfigge per 2-0 la Repubblica Ceca, mentre l’11 giugno a Liverpool l’Italia batte la Russia per 2 a 1 con doppietta di Pierluigi Casiraghi. La gara, in realtà, è molto equilibrata e dopo un grande inizio gli Azzurri, che vanno meritatamente in vantaggio, subiscono il pareggio e il gioco dei russi. Arrigo Sacchi interviene nella ripresa sostituendo Alessandro Del Piero con Roberto Donadoni. È la mossa giusta che dà vitalità alla squadra, con un Casiraghi in forma splendida e con i virtuosismi di Gianfranco Zola.

    Le cose sembrano andare bene, la squadra risponde e c’è molto entusiasmo, ma Sacchi vuole stupire ancora e nella seconda partita, quella decisiva contro la Repubblica Ceca, sostituisce ben cinque giocatori, destabilizzando ancora una volta l’assetto della squadra che aveva ben figurato con i russi. Lascia in panchina il duo delle meraviglie, Pierluigi Casiraghi e Gianfranco Zola, oltre ad Angelo Di Livio, e in attacco lancia Fabrizio Ravanelli ed Enrico Chiesa mentre dietro inserisce Diego Fuser e Roberto Mussi. La scelta lascia perplessi anche i critici più benevoli e accentua le distanze, già forti, con quella parte di stampa che da tempo aveva iniziato una guerra personale contro Arrigo Sacchi. La sensazione è che siano in molti ad augurarsi una sconfitta dell’Italia che avrebbe messo fine, inevitabilmente, all’avventura del tecnico romagnolo sulla panchina della Nazionale, ormai oggetto di continue polemiche.

    Il 14 giugno le due formazioni si affrontano nello stadio Anfield di Liverpool. La partita si mette subito male. Bastano cinque minuti ai cechi per andare in vantaggio con un gol di Nedvěd. L’Italia cerca di reagire e al diciottesimo minuto riesce a pareggiare grazie a Chiesa. Il risultato non sembra convincere nessuno e le cose peggiorano alla mezz’ora con l’espulsione di Apolloni. Sacchi sembra confuso e tarda a rinforzare la difesa con Carboni. Al trentacinquesimo i cechi vanno ancora in vantaggio con Radek Bejbl. Inutile il tardivo inserimento di Zola e Casiraghi.

    Dopo alcuni anni, il commissario tecnico confesserà:

    «Non rifarei oggi quella scelta. Ho capito immediatamente che avevo fatto un errore perché subito dopo la partita un giornalista che era sempre andato contro di me mi disse che avevo fatto la cosa giusta. Sbagliare è umano, tutti commettiamo degli errori talvolta».

    In realtà l’uomo in più dei cechi è Pavel Nedvěd, incontenibile e difficile da contrastare, soprattutto se gli vengono lasciati ampi spazi di manovra:

    «Fermare un solo giocatore non è nel mio stile, preferisco fermare l’intera squadra. Ho avuto ragione con Diego Maradona, sarebbe dovuto succedere anche con Nedvěd. A ogni modo sapevo che Nedvěd era un grande calciatore».

    La Germania, intanto, s’impone sui Russi per 3 a 0, qualificandosi con un turno di anticipo. Il 19 giugno a Manchester gli Azzurri non hanno scelta e se vogliono qualificarsi devono battere la Germania. In realtà potrebbero qualificarsi anche con un pareggio, sempreché i russi sconfiggano i cechi. La Nazionale parte subito forte e al settimo minuto del primo tempo ha l’occasione di andare in vantaggio grazie a un calcio di rigore, ma Gianfranco Zola se lo fa parare da Andreas Köpke. Nulla di fatto e nonostante le numerose occasioni il risultato resta invariato. Gli Azzurri, però, hanno buone speranze di qualificarsi perché i russi, dopo essere andati in svantaggio di due gol sono riusciti a rimontare e all’ottantottesimo minuto conducevano sulla Repubblica Ceca per 3 a 2. Ma a due minuti dalla fine Vladimír Šmicer segna il gol definitivo del 3 a 3 che promuove ai quarti di finale, oltre alla Germania, anche la Repubblica Ceca, seconda a pari punti con l’Italia ma vittoriosa nello scontro diretto.

    L’Europeo sarà poi appannaggio della Germania, che dopo aver superato l’Inghilterra ai calci di rigore si imporrà in finale proprio sulla Repubblica Ceca, con il punteggio di 2 a 1 grazie a un Golden Goal. Peccato per l’Italia perché soprattutto con la Germania aveva dominato sul piano del gioco, ma la sconfitta con i cechi si dimostrò determinante.

    Nelle feroci polemiche che si scatenarono all’indomani della eliminazione, oltre ad Arrigo Sacchi, fu coinvolto inevitabilmente anche il Presidente della FIGC, Antonio Matarrese. Su Radio Zorro 3131, una popolare trasmissione radiofonica condotta su Rai Radio 2 da Oliviero Beha, il 75% degli ascoltatori invoca le dimissioni di Sacchi. Anche sulla stampa, in toni più o meno marcati, prevale quest’orientamento. Aldo Agroppi, uno dei più pungenti opinionisti sportivi, commenta:

    «Godo per questa sconfitta. Come il resto degli italiani d’altronde. Ieri sera, in TV, si vedeva benissimo che nessuno era affranto per la disfatta, anzi. Tutti che si esibivano in frasi di circostanza e basta. In realtà l’ottanta per cento degli italiani era contento per Sacchi. Sfortuna? Ma quale? Abbiamo tirato in porta solo da lontano. Tranne le due occasioni di Casiraghi non ci siamo mai avvicinati alla porta. Non è una disfatta? Allora cos’è? Neanche l’allenatore del Navacchio sarebbe riuscito a sbagliare formazione contro la Repubblica Ceca, Sacchi ce l’ha fatta. Ieri abbiamo pareggiato contro una squadra di morti che ha giocato come se stesse in allenamento. E adesso siamo fuori dagli Europei. Non è abbastanza per parlare di fallimento?»¹⁰

    «Quella di Sacchi è la peggiore Nazionale di sempre. Valcareggi ha vinto un Europeo ed è arrivato secondo a un Mondiale, perdendo in finale, contro quel Brasile (non la Repubblica Ceca). Bearzot ha vinto un Mondiale dando spettacolo contro l’Argentina di Maradona e il Brasile di Falcao e Zico. Vicini è arrivato terzo a Italia ’90 senza mai perdere una partita. E lui, che non ha l’umiltà per chiedere scusa, continua a comportarsi come se si sia inventato il calcio. Se ne vada. Non lo vogliamo».¹¹

    Stesso trattamento viene riservato ad Antonio Matarrese reo di aver scelto e difeso il tecnico:

    «Adesso, se Matarrese e Sacchi hanno una dignità, devono prendersi per mano e andarsene, lontano. È vero. Ha ragione Matarrese a dire che i Presidenti federali non sbagliano i rigori, però sbagliano le scelte, le politiche, gli uomini, le frasi che è molto più grave e dannoso che non sbagliare i rigori».¹²

    Il primo a cadere è proprio Antonio Matarrese, vittima di una resa dei conti interna, che apre le porte al Commissariamento della FIGC affidata al Segretario generale del CONI, Lello Pagnozzi, il quale si rivelerà un abilissimo mediatore, pervenendo, attraverso un accordo tra le tre Leghe, alla convocazione nel dicembre 1996 dell’Assemblea federale dove verrà eletto Luciano Nizzola, già Presidente della Lega di Serie A.

    Nel frattempo, Pagnozzi era comunque riuscito a risolvere un’altra serie di delicati problemi, come l’approvazione, da parte del Parlamento, del riconoscimento del fine di lucro alle società di capitali professionistiche e della spalmatura delle perdite di bilancio conseguenti all’abbattimento del parametro, determinato dalla sentenza Bosman. Stesse frizioni emersero qualche mese più tardi nelle elezioni alla Presidenza della Lega Professionisti, dove Matarrese ritentò la scalata, in contrapposizione a Franco Carraro e al Presidente del Bologna Giuseppe Gazzoni Frascara. Anche in questo caso ci furono diverse fumate nere che portarono i grossi club a mediare alcune posizioni con quelli minori. Il superamento di questi ostacoli consentì poi l’elezione di Franco Carraro ai vertici federali.

    Il nuovo Governo federale si preparava così ad affrontare le complesse questioni sul tappeto che l’Europeo aveva momentaneamente accantonato e che la sconfitta aveva riproposto in forma più accentuata. Apparve subito evidente la necessità di una nuova costituente, indispensabile per adeguare il sistema alle trasformazioni in atto. Tra l’altro bisognava tenere in considerazione le insistenti istanze portate avanti dalle Associazioni di categoria dei calciatori e degli allenatori che premevano su un diverso ruolo nell’ambito dell’organizzazione calcistica attraverso il diritto dell’elettorato attivo e passivo all’interno della FIGC, che si tradussero, il 17 marzo del 1995, nel primo sciopero dei calciatori della storia del calcio. La delibera del Coni con cui, seppure in via sperimentale, venne sancito questo principio, demandandone l’applicazione alla Federazione, amplierà la piattaforma del dibattito.

    Intanto, il 6 novembre, dopo la sconfitta in un’amichevole con la Bosnia a Sarajevo, terminava anche l’avventura di Arrigo Sacchi sulla panchina della Nazionale: il 2 dicembre lascia l’incarico. Al suo posto subentrerà Cesare Maldini, tecnico vincente dell’Under 21. In realtà, in aiuto della FIGC era arrivata la chiamata di Silvio Berlusconi a Sacchi per un ritorno al Milan dove era stato appena esonerato Oscar Tabarez. Sacchi non seppe dire di no a Berlusconi e dovette svegliare nel cuore della notte il Commissario della FIGC, Lello Pagnozzi, per comunicargli la decisione. I tempi però sono cambiati e Sacchi non riesce a ripetere i grandi successi della sua prima esperienza in rossonero. È un disastro che si concretizza con l’eliminazione dalla Coppa dei Campioni nella fase a gironi per mano del Rosenborg, con l’undicesimo posto in campionato con una serie di umiliazioni, fra cui le sconfitte per 1 a 3 nel derby con l’Inter e 1 a 6 a San Siro con la Juventus. La reazione dei tifosi è immediata e iniziano le contestazioni dentro e fuori dagli spalti sintetizzate da uno striscione che fece il Giro d’Italia: Avete rovinato dieci anni da leggenda con uno da vergogna. Una situazione che portò Silvio Berlusconi a mettere in atto una nuova scommessa, ponendo sulla panchina del Milan una delle grandi bandiere milaniste, Fabio Capello, fino ad allora seduto dietro a una scrivania come dirigente della Polisportiva Mediolanum.

    1.4 L’Italia di Cesare Maldini e la difficile qualificazione ai Mondiali

    È Luciano Nizzola, appena eletto alla Presidenza della FIGC, a ratificare la nomina di Cesare Maldini alla guida della Nazionale. Maldini è una delle pietre miliari del calcio italiano e della Nazionale. Bandiera del Milan di Nereo Rocco e, dal 1980 al 1986, secondo di Enzo Bearzot, con cui aveva vinto il Mondiale nel 1982; nel 1986 era stato dirottato all’Under 21, dove aveva sostituito Azeglio Vicini, passato alla Nazionale maggiore. Con la Nazionale minore aveva conquistato tre edizioni consecutive del Campionato europeo, facendo emergere grandi talenti.

    Ragion per cui appare inevitabile che la scelta ricada su di lui, sembra quasi un atto dovuto, un riconoscimento a un grande maestro del calcio ma che, in ogni caso, non convince completamente i vertici federali i quali impongono un biennale, fino al 31 dicembre 1998 – quindi alla fine dell’anno del Mondiale – con la clausola che se avesse fallito la qualificazione ai Mondiali il contratto si sarebbe risolto di diritto nel dicembre del 1997, ma è un’ipotesi che nessuno si augura.

    Con Maldini la Nazionale torna a giocare in modo tradizionale, privilegiando il 5-3-2. Niente voli pindarici né esperimenti improbabili. È la vecchia scuola, quella di Bearzot, probabilmente la soluzione migliore in un momento di passaggio difficile come quello che sta vivendo la Nazionale.

    L’Italia è inserita nel secondo dei nove gruppi di qualificazione previsti dalla UEFA. Si classificano solo la prima di ogni gruppo e la migliore seconda in assoluto, mentre le altre seconde accedono agli spareggi. Non è un’impresa facile per l’Italia che si ritrova assieme con Inghilterra, Polonia, Georgia e Moldavia. Quando Maldini prende in mano la Nazionale, gli Azzurri hanno già disputato due gare di qualificazione ottenendo due vittorie, una con la Moldavia, per 3 a 1, e l’altra di misura con la Georgia, per 1 a 0. L’esordio di Maldini non è dei più semplici e, dopo un’amichevole vittoriosa con l’Irlanda del Nord, deve affrontare l’avversario più accreditato per il primo posto del girone, l’Inghilterra. Tra l’altro l’Italia a Wembley aveva vinto una sola volta, nel lontano 1973 con un gol di Capello.

    C’è grande scetticismo e la maggior parte della stampa specializzata è convinta che gli inglesi siano nettamente superiori all’Italia, un divario ancora più accentuato con Maldini in panchina. L’Inghilterra scende in campo senza il portiere titolare David Seaman. Mancano anche Paul Gascoigne, Tony Adams e Paul Merson; in compenso ci sono Matthew Le Tissier e Alan Shearer. Gli Azzurri si presentano senza Christian Panucci, messo addirittura in tribuna, con Billy Costacurta libero, Fabio Cannavaro stopper e Gianfranco Zola, idolo dei tifosi inglesi, in attacco.

    Si inizia sotto il diluvio ma dura poco. Dopo una pressione iniziale degli inglesi sono gli Azzurri a dettare i tempi di gioco. All’undicesimo minuto Casiraghi lancia Zola che lascia partire un destro deviato in angolo. È un’Italia senza timori reverenziali. Qualche minuto dopo, al diciottesimo, è Costacurta, con un passaggio di almeno quaranta metri, a lanciare il solito Zola che stoppa al volo di sinistro e poi lascia cadere la palla spingendola con il destro alle spalle di Walker. È il gol del vantaggio azzurro. Proprio il giorno prima, il quotidiano londinese The Independent aveva scritto, «Zola is the problem»: niente di più profetico. L’Italia potrebbe raddoppiare al trentesimo minuto ma Paolo Maldini inciampa a cinque metri dalla porta. Non è l’unica occasione e con uno Zola in stato di grazia alla fine il punteggio va anche stretto agli Azzurri. È un risultato importante che mette tutti d’accordo: stampa, Federazione e critici. Per Maldini non poteva esserci un inizio migliore. È una Nazionale concreta, che vince pur senza esaltare, difficile da superare in difesa.

    Il cammino prosegue con una vittoria con la Moldavia per 3 a 0; un pareggio in Polonia a reti inviolate e un’altra vittoria con la Polonia in casa per 3 a 0. A due partite dalla fine del girone di qualificazione gli Azzurri sono primi con tredici punti, seguiti dall’Inghilterra a una lunghezza. Le cose sembrano andare bene e le prospettive di qualificazione sono buone, anche perché l’Italia deve affrontare la Georgia, con cui in realtà ha sofferto all’andata, vincendo di misura, e l’Inghilterra in casa, con cui potrebbe bastare non perdere per evitare la lotteria degli spareggi. Qualcosa va storto e gli Azzurri, di fronte ai 25.000 spettatori del piccolo stadio di Tbilisi e al Presidente georgiano Eduard SHEVARDNADZE, non vanno oltre lo 0 a 0, annullando l’esiguo vantaggio che avevano sull’Inghilterra che, a sua volta, supera la Moldavia 4 a 0.

    Maldini cerca di stemperare gli animi e quando gli rimproverano di mettere ansia alla squadra, replica secco:

    «Non trasmetto ansia, do stimoli, è un po’ diverso. Ci mancherebbe, né sono stato eccessivamente timoroso. Avevamo di fronte una buona squadra, c’erano tre avversari da rispettare e l’ho detto. Qualche giocatore l’ha capito, a qualcun altro l’ho dovuto spiegare. Voglio solo ricordare che nel primo tempo non abbiamo mai corso pericoli e che nel secondo tempo i georgiani hanno passato quattro volte la metà campo. Quando alla vigilia ho detto che i nostri erano stremati, era una provocazione per i giocatori affinché dimostrassero che non era così e l’hanno dimostrato dato che nel secondo tempo i georgiani avevano i crampi. La mia risposta l’ho avuta».¹³

    Maldini però non è convincente, troppo debole l’avversario per qualsiasi alibi, ma è anche vero che fino ad allora il percorso della Nazionale era stato ineccepibile con cinque vittorie e un solo pareggio, senza mai subire gol. Ma questo pareggio resta un passaggio indelebile e scatena una polemica tra il commissario tecnico e la stampa, in particolare con l’inviato della RAI, Enrico Varriale, che non eviterà mai di ricordargli che con quel pareggio aveva messo a rischio la qualificazione ai Mondiali, tanto che Maldini, a un certo punto, spazientito, lo apostrofò chiamandolo «bassottino».

    In ogni caso, per ottenere la qualificazione diretta l’Italia deve battere l’Inghilterra in casa. Si gioca a Roma, in un Olimpico gremito con oltre 65.000 spettatori. È l’11 ottobre 1997. Si temono scontri con i tifosi inglesi, soprattutto con gli hooligans. La questura schiera 3.000 tra poliziotti e carabinieri e 500 vigili urbani, ma non riesce a evitare incidenti. Alla fine, è un bilancio pesante: 30 feriti e 40 arresti. È una giornata di guerra metropolitana che esplode nella notte tra il venerdì e il sabato che precede la partita. Sono da poco passate le 17 quando, in via del Babuino, una quindicina di hooligans ubriachi, nonostante il divieto di vendita di alcolici, si scontrano con un gruppo di ultrà italiani all’uscita da un bar. Gli inglesi raccolgono in un cantiere vicino dei sampietrini e pezzi di cemento armato con cui distruggono il bar. Scatta il passa parola ed è caccia agli inglesi. Gli scontri si allargano da Piazza del Popolo – dove inizia una mega rissa – a via di Ripetta fino in via della Croce, con lanci di bottiglie e pietre contro i passanti. A Roma è il caos. Tutti i negozi chiudono le serrande. Gli hooligans distruggono ogni cosa che trovano sul loro percorso. A terra restano cocci di bottiglie, bicchieri rotti, motorini rovesciati. La chiusura al traffico di via Salaria in entrambi i sensi manda in blocco il traffico a Roma Nord. Paralizzati per ore i quartieri Flaminio, Fleming, Parioli e Prati. Anche fuori dello stadio ci sono incidenti e un poliziotto viene ricoverato per trauma cranico.

    In tutto questo caos i bagarini ne approfittano per vendere gli ultimi biglietti disponibili, con prezzi che oscillano dalle 200.000 alle 500.000 lire. Il Rotary Club, invece, coglie l’occasione per distribuire sugli spalti 150.000 volantini con l’Inno di Mameli, in occasione del 150° anniversario dell’inno e i 200 anni dalla nascita della bandiera italiana. In questo scenario l’Italia si prepara ad affrontare l’Inghilterra in una partita decisiva per la qualificazione ai Mondiali.

    Cesare Maldini, sorprendentemente, opta per un’Italia a tre punte. Fuori Attilio Lombardo e dentro Filippo Inzaghi in coppia con Bobo Vieri, mentre Gianfranco Zola è leggermente arretrato. La gara è molto equilibrata, con qualche occasione in più per gli inglesi nel primo tempo. Nella ripresa entra Enrico Chiesa al posto di Inzaghi. L’Italia soffre a centrocampo e Angelo Di Livio, già ammonito, viene espulso lasciando gli Azzurri in dieci. Nel finale l’Italia rischia moltissimo su un contropiede di Ian Wright che supera in contrasto Peruzzi e colpisce il palo. Nel rovesciamento di fronte, su cross di Antonio Benarrivo, Vieri svetta di testa e manda di un soffio a lato della porta inglese, con Seaman battuto. Alla fine, è uno 0 a 0 che qualifica l’Inghilterra con diciannove punti contro i diciotto degli Azzurri. Ora l’Italia dovrà aspettare per conoscere l’avversario per lo spareggio.

    Come al solito è polemica e il più criticato è sempre Cesare Maldini. Ferruccio Valcareggi, dall’alto della sua saggezza, in risposta alle voci che reclamavano le dimissioni di Maldini, dichiarerà ai microfoni della RAI: «Le panchine scottano tutte, non solo quella azzurra, e si raffreddano con la stessa velocità con la quale prendono fuoco».¹⁴

    Maldini non è fortunato neanche questa volta e viene sorteggiato con la Russia. È il risultato di un sorteggio integrale contestato fino all’ultimo dall’Italia che aveva chiesto di inserire nell’urna quattro teste di serie. L’avversario è il peggiore che potesse capitare. La Russia è la squadra con la migliore classifica FIFA. Maldini, però, sembra tranquillo:

    «A questo punto, va tutto benissimo. Sono convinto che faremo una buona partita. Ormai non sarà importante nemmeno il ritorno in Italia. Della Russia so poco, ma i filmati ci aiuteranno a capire i nostri avversari. Queste sono le regole e bisogna adeguarsi. Non siamo agli esami di riparazione, ma lo spareggio era l’obiettivo minimo e contro la Russia sapremo se siamo da Mondiale o no, perché, in fondo, a questa Italia manca solo una cosa: la qualificazione. Inutile girare intorno alle parole».¹⁵

    Franco Carraro, con le proprie dichiarazioni non contribuisce a rasserenare l’ambiente:

    «Non bisogna recriminare per il pareggio con l’Inghilterra, ma per quelli con la Polonia e la Georgia che ci hanno visto pavidi e intimiditi. Forse non abbiamo ancora assorbito al meglio la lezione dei tre punti, senza capire che un successo e una sconfitta sono meglio di due pareggi».¹⁶

    In realtà i rapporti tra l’Italia e i vertici del calcio internazionale non erano migliorati e ancora scontavano le violente polemiche innescate da Antonio Matarrese soprattutto con Blatter. A lanciare la prima battuta è Michel Platini: «L’Italia non era presente neppure all’Europeo ’84, eppure ce ne siamo fatti una ragione e abbiamo anche vinto il titolo.»¹⁷

    Per poi chiarire: «Da Presidente del CFO devo essere al di sopra delle parti; da amico dell’Italia, spero invece che gli Azzurri passino».¹⁸

    Sulla questione interviene anche il Segretariodella FIFA, Joseph Blatter, chiudendo così ogni polemica:

    «Il sorteggio non piace all’Italia? Io non l’ho fatto e non ho voluto gli spareggi. La decisione sui criteri di qualificazione è stata presa dalle federazioni continentali. Dell’Europa si è occupata la UEFA; a noi non sarebbe spiaciuto che fossero formati 7 gruppi da 7 squadre, con le prime due qualificate al Mondiale, senza gli spareggi. Altre soluzioni possibili c’erano. Ma la UEFA e le grandi Federazioni, compresa quella italiana, hanno detto che le partite sarebbero state troppe e che di date disponibili non ce n’erano. Ed è stata scelta questa soluzione, troppo tardi adesso per piangere e lamentarsi».¹⁹

    Anche all’interno dell’ambiente russo, però, si vivono alcuni contrasti e i contrasti sono pesanti, come si desume dalle parole di Igor Shalimov:

    «Se debbo essere sincero, spero davvero che la Russia venga eliminata. Sarebbe l’unica possibilità, per la nostra Nazionale di avere una rifondazione secondo criteri tecnici e non politici, come quelli perseguiti da Ignatiev».²⁰

    La partita di andata si gioca a Mosca, alla fine di ottobre, in un clima rigido e condizioni climatiche estreme, con un campo coperto di neve e di fango. Al trentatreesimo minuto, per infortunio, è costretto

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