La Guerra in Ucraina e il mondo multipolare: “Momento multipolare” e “Momento socialista”
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La Guerra in Ucraina e il mondo multipolare - Lorenzo Battisti
La guerra in Ucraina nel declino egemonico americano
Le società occidentali odierne vivono una fase di nichilismo che dura ormai da diverso tempo, che le porta a concentrarsi sull’oggi, sul qui e ora
, cancellando qualsiasi profondità storica (il passato) e annullano la prospettiva (il futuro). Questa realtà, costituita solo dal tempo presente, diventa terreno esclusivo della comunicazione
a danno di qualsiasi riflessione, la quale necessita costitutivamente di un allontanamento dal presente.
Siamo ormai a tre mesi dall’inizio della guerra, e se si osservano i mezzi di comunicazione (tanto quelli classici, come televisioni e giornali, quanto quelli nuovi come i social) si trovano a stento riflessioni capaci di spiegare la realtà e di ordinare gli eventi. In Italia specialmente (io vivo in Francia ed è un po’ diverso) si è intrappolati in una narrazione emozionale che impedisce qualsiasi forma di ragionamento in quanto ritenuto privo (e di fatto contrario) all’umana solidarietà verso le popolazioni vittime della guerra.
Proprio per la portata di questa guerra (e anche al fine di trovare una via di uscita) penso sia necessario prenderne le distanze
, guardarla da una prospettiva più larga. Se i media usano metaforicamente un cannocchiale comunicativo verso gli eventi bellici, arrivando a creare una pornografia bellica, noi dobbiamo prendere quel cannocchiale e usarlo al contrario, allontanando gli eventi e inquadrandoli in un cosmo più grande.
Come viene largamente riconosciuto, questa guerra non lascerà il mondo come lo ha trovato. Lo vediamo sui mercati delle materie prime, nelle centinaia di sanzioni che stanno dividendo il mondo in tre parti, nell’allargamento delle alleanze militari, nel cambiamento delle posizioni politiche, nel cambio di agenda (la transizione ecologica è stata presto dimenticata in favore degli investimenti su fonti fossili).
La mia tesi è che la guerra in Ucraina sia un episodio, l’ennesimo in realtà, dell’ormai lungo e inarrestabile declino egemonico americano. Un fatto che può accelerarne la discesa e al contempo aumentarne la violenza. Siamo in sostanza racchiusi in quello che Le Grand Continent¹ ritiene un interregno: il vecchio mondo non c’è di fatto più, ma quello nuovo non si è ancora formato. E’ quel periodo storico a cui Gramsci attribuisce la nascita dei mostri.
___________________
¹ Le Grand Continent, 2022
Le egemonie storiche
Se si parla di declino dell’egemonia americana
sono necessarie alcune premesse: innanzitutto va spiegato cosa si intende per egemonia; inoltre vanno descritte le egemonie precedenti a quella americana, per inquadrarla in un ciclo storico di lunga durata; infine va descritta l’affermazione dell’egemonia americana che ha preceduto il declino.
Il quadro concettuale che utilizzerò sarà principalmente quello della World System Theory, in particolare userò gli strumenti concettuali forniti da Giovanni Arrighi. Questa scuola ha la caratteristica di concentrarsi sulle tendenze macro
per individuare quelle forze che disegnano le traiettorie di lungo periodo, al di là delle perturbazioni del quotidiano. In sostanza la scuola del WST si concentra sulla dimensione globale dal punto di vista geografico, e sul lungo periodo dal punto di vista storico, arrivando a delineare quelle dinamiche persistenti che disegnano il mondo e che determinano gli eventi locali.
Da questo punto di vista la storia degli ultimi secoli può essere letta attraverso le lenti di un succedersi di potenze egemoniche che hanno controllato e dato forma al mondo. Il concetto di egemonia è ripreso dal lessico gramsciano e viene trasposto sul piano della politica internazionale:
Uno stato dominante esercita una funzione egemonica se guida il sistema degli stati in una direzione desiderata e, nel far questo, è percepito come se perseguisse un interesse generale.
²
Una potenza egemonica è quella che ordina
il mondo della politica internazionale, che altrimenti sarebbe un sistema caotico e anarchico. La differenza rispetto ai sistemi politici nazionali è che quelli internazionali non dispongono di istituzioni atte a regolarne la politica (o meglio, non ancora³). Uno dei ruoli principali dell’istituzione statale è per esempio il monopolio della violenza all’interno dei suoi confini. Ma a livello internazionale ci si trova di fronte a una molteplicità di stati, tutti armati e potenzialmente volenterosi di usare la violenza a scapito degli altri stati⁴.
La potenza egemone è quella che, a livello internazionale, si occupa di mettere ordine
in un sistema internazionale disordinato. Questo ruolo è necessario anche al fine di avere un sistema economico che permetta gli scambi internazionali e i commerci, che sarebbero impossibili in assenza di un ordine internazionale. L’egemonia si esprime (anche) a livello internazionale tramite due strumenti: quello del consenso (quella che Gramsci definisce direzione intellettuale e morale
) e quello della forza. La potenza egemone è in sostanza quella che viene riconosciuta come tale non solo dai paesi vicini (quelli che ne condividono gli interessi), ma anche da quelli avversari⁵. Questi, sebbene all’interno di interessi contrastanti, ne riconoscono il ruolo ordinatore. L’egemonia si sostanzia quindi in una guida morale
riconosciuta a livello internazionale, che riesce ad attirare anche chi naturalmente avrebbe interessi divergenti. Come si vede è la stessa dinamica descritta da Gramsci sulle classi sociali, ma trasposta a livello internazionale. Il secondo strumento è quello della forza: la potenza egemone è quella che tramite la forza riesce a imporre il suo ordine internazionale ai paesi riottosi. In questo modo, pur in assenza di un governo internazionale, si crea un (quasi) monopolio della violenza che permette di assicurare la continuità dell’ordine e punire quei paesi che non lo riconoscono.
L’egemonia ha un carattere globale poiché si è sviluppata in un sistema economico, quello capitalistico, che con lo sviluppo dell’economia e della ricchezza ha unito il mondo. L’egemonia internazionale e il capitalismo sono quindi legati.
Nel definire il capitalismo Arrighi (definizione necessaria a determinare le successive potenze egemoniche) fa riferimento a due aspetti. La prima caratteristica è la produzione orientata al profitto, cioè seguendo il processo marxiano di D-M-D’ (denaro investito per produrre merci, che sono vendute per ottenere più del denaro inizialmente investito, cioè profitti). Questo però non è sufficiente a descrivere il capitalismo. Se così fosse si potrebbe farne risalire i primi esempi a molti secoli addietro. Il secondo aspetto che caratterizza il capitalismo è il controllo delle istituzioni politiche da parte dei capitalisti. In sostanza, seguendo la linea di pensiero di Marx, Gramsci, Lenin, Mao, il capitalismo è l’unione di potere economico e potere politico; è l’utilizzo (e la formazione) degli strumenti statali al fine di espandere la sfera del capitalismo stesso.
Da questa prospettiva, Arrighi individua diversi cicli egemonici di accumulazione: quello delle città stato italiane, in particolare Venezia e Genova; quello delle Province Unite; quello britannico; quello americano. Come si può osservare, ogni ciclo ha visto come protagonista un paese egemone dimensionalmente più grande.
Ogni egemone ha avuto un momento di ascesa, uno di affermazione e uno di declino. Sebbene oggi, grazie ai mezzi di comunicazione, si abbia l’impressione che l’egemonia americana sia l’unica esistica e sia infinita (c’è da sempre e ci sarà per sempre), in una prospettiva