Spaccare l’atomo in quattro: Contro la favola del nucleare
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Book preview
Spaccare l’atomo in quattro - Angelo Tartaglia
Il libro
«Cari figli, nipoti, bisnipoti e così via, pensando a voi mi sono adoperato per far sì che poteste avere un cospicuo conto in banca, una buona dotazione di edifici e di macchinari e tanti oggetti da consumare. Vi lascio anche un po’ di scorie radioattive che al momento non so bene come gestire, ma che, non ho dubbi, saprete neutralizzare in futuro. Pensate a me quando affronterete il problema»
L’autore
Angelo Tartaglia è ingegnere nucleare e fisico. Già professore di Fisica presso il Politecnico di Torino, è attualmente membro dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. Si occupa di impatto delle attività umane sull’ambiente, di effetto serra e di perturbazioni dell’atmosfera generate da immissioni di gas.
Indice
Preambolo
Cos’è l’energia?
Come funziona il nucleare?
Fake news e luoghi comuni
I. Il nucleare è pulito
2. Il trasporto dell’energia nucleare è agevole e sicuro
3. La possibilità di incidenti nei reattori nucleari di ultima generazione è minima
4. L’eliminazione delle scorie è un problema risolvibile
5. Le scorie nucleari non sono un problema serio perché la quantità prodotta è estremamente limitata
6. In ogni caso la produzione di energia mediante fusione eliminerà i rischi per la sicurezza e ambientali
7. Dei piccoli reattori potrebbero produrre idrogeno e farebbero funzionare buona parte di industria e trasporti
8. Il nucleare potrebbe fornire una produzione di base costante a cui aggiungere quella delle rinnovabili
9. Escluso il petrolio e il carbone non ci sono alternative reali al nucleare (soprattutto oggi con la guerra)
10. È inutile opporsi al nucleare in un solo Paese quando i Paesi vicini sono pieni di centrali nucleari
11. Il nucleare può essere utilizzato per soli fini civili ed è scorretto evocare il rischio di un uso militare
Epilogo
Preambolo
Per secoli l’umanità ha inseguito il sogno dell’eterna giovinezza ottenibile mediante qualche miracoloso elisir o l’acqua di qualche mitica fonte nascosta chissà dove. E la stessa rincorsa di soluzioni mitologiche a problemi complessi si è avuta nel campo della scienza e della tecnica. Negli ultimi tre o quattro secoli una particolare forma assunta da questo mito, più congeniale alla crescente industrializzazione, è stata quella della macchina del moto perpetuo: un congegno che, una volta messo in movimento, sarebbe in grado di fornire ciò che in fisica si intende con «lavoro» e, dunque, di produrre energia, a tempo indeterminato e senza bisogno di apporti esterni di alcun tipo. Sono stati in tanti a prendere sul serio questo sogno, tanto da arrivare in più occasioni a convincersi di avercela fatta e qualche volta a depositare dei veri e propri brevetti per qualche specifico marchingegno dichiaratamente in grado di fornire lavoro senza apporto esterno alcuno. Nessun prototipo è mai stato esibito pubblicamente, ma gli inventori in buona fede (ce ne sono stati) ritenevano che si trattasse solo di mettere a punto qualche dettaglio che sarebbe stato indubbiamente definito in breve tempo, stante la bontà dell’idea base.
Tuttavia, già a metà del XIX secolo, la scienza ha dimostrato che il moto perpetuo è impossibile: non è questione di adeguatezza o inadeguatezza delle tecnologie; sono proprio i princìpi fondanti della fisica, che sono alla base del funzionamento del mondo materiale, a sancire quell’impossibilità. Tutto questo non ha scoraggiato illusi o sognatori, che di tanto in tanto ancora oggi si presentano con la proposta di qualche macchina del moto perpetuo, sia essa a base meccanica o elettromagnetica o altro. È capitato anche a me alcune volte di essere avvicinato da un nuovo aspirante Archimede Pitagorico (quello dei fumetti) che mi chiedeva un parere riguardo a una sua proposta di dispositivo in grado di produrre, appunto, un moto perpetuo, beninteso erogando contestualmente lavoro utile.
Lasciato sullo sfondo il moto perpetuo, quali sono i princìpi fisici che decretano l’impossibilità di simili imprese? Possiamo sintetizzarli schematicamente nelle cosiddette leggi di conservazione. Una formulazione molto efficace è quella data da Lavoisier, pressoché in coincidenza con lo scoppio della rivoluzione francese: «Nulla si crea, nulla di distrugge, tutto si trasforma». L’idea come tale aveva radici già nella filosofia greca antica, reperibili in Empedocle (V secolo a.C.) e in altri. Per certi versi potremmo dire che questa forma di conservazione la può affermare il semplice buon senso. Il problema però è che non è per nulla detto che il buon senso coincida col senso comune.
In materia di vincoli la scienza è in grado di andare anche un po’ più in là e di specificare meglio. Nel XIX secolo, parallelamente allo sviluppo dei motori a combustione interna, si è venuta definendo una branca nuova della fisica, molto rilevante per le sue applicazioni: la termodinamica. Anche in questo caso, a monte di infinite complicazioni e tecnicismi, furono scoperte e formulate alcune leggi fondamentali e universali contro le quali nulla possono parlamenti, mercati finanziari, scuole di pensiero, associazioni imprenditoriali o sindacali e chi più ne ha più ne metta.
Una prima legge, o principio che dir si voglia, è sostanzialmente una riformulazione della legge di conservazione di Lavoisier (e dei filosofi ionici), che viene estesa in maniera esplicita al dominio dell’energia. Qualche commento in più lo merita il secondo principio della termodinamica, di cui esistono diverse formulazioni equivalenti. La più appropriata in questo