Carcere: luci e ombre: Le forme della mediazione
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Carcere - Alberto Giasanti
PREFAZIONE
di Alberto Giasanti
*
La luna di Kiev
Chissà se la luna / di Kiev/è bella / come la luna di Roma / chissà se è la stessa / o soltanto sua sorella / Ma son sempre quella / – la luna protesta – / non sono mica / un berretto da notte/sulla tua testa / Viaggiando quassù / faccio lume a tutti quanti / dall’India al Perù / dal Tevere al Mar Morto / e i miei raggi viaggiano / senza passaporto.
— GIANNI RODARI
Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi, 1960
I raggi della luna, di notte, ci illuminano tutti quanti senza fare distinzioni di sorta e ci rimandano a un mondo senza passaporto che non conosce confini né differenze tra territori e tantomeno guerre e violenze. Un elogio incondizionato, quello di Rodari, della solidarietà tra gli esseri umani e tra i popoli della Terra.
Se la filastrocca di Rodari è del 1960, oggi solo una voce, quasi solitaria, sembra fare riferimento a quei versi. È la voce di Bergoglio, Papa gesuita:
È ormai evidente che la buona politica non può venire dalla cultura del potere inteso come dominio e sopraffazione, ma solo da una cultura della cura, cura della persona e della sua dignità e cura della nostra casa comune. Lo prova, purtroppo negativamente, la guerra vergognosa a cui stiamo assistendo. Penso che […] sia insopportabile vedere quello che è successo e sta succedendo in Ucraina. Ma purtroppo questo è il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica. La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate; per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, un po’ dappertutto; fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno scacchiere
, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri. La vera risposta dunque non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che […] un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento, credo, del PIL nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta […] non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto […] ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare¹.
Con queste parole, e avendo come riferimento la filastrocca rivolta a tutti i bambini, intendo rendere partecipi i lettori di un mondo più ristretto, ma altrettanto pieno di tenebre: quello del carcere. Come?
Attraverso un percorso, che compio annualmente dal 2013-2014, di ascolto e di accompagnamento di persone detenute nella Casa di Reclusione di Opera, Milano, iscritte al corso Le forme della mediazione, insieme a un gruppo di studentesse del corso di laurea magistrale in Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca.
Percorso tra ombre e luci che ci fa sempre incontrare forze potenti come quelle che costituiscono ciò che chiamiamo il male, ricordandoci che non sono sufficienti a contrastarlo le buone intenzioni o la forza di volontà, ma è necessario immergersi nel profondo del nostro inconscio, dove queste forze in gran parte ci abitano e ci possiedono, per riconoscerle, smettere di essere loro schiavi e imparare a usarle come strumenti della costruzione del nostro sviluppo, individuale e sociale. Anche se, in generale, risulta più comodo per tutti noi proiettare il male all’esterno, verso altri Paesi, società, gruppi e minoranze o singoli individui, che rifiutiamo sino all’odio, senza capire che, in questo modo, non potremo mai liberarci da un malessere che si annida proprio dentro di noi. La strada per consentire alle nostre ombre di occupare sempre più territorio sino a quando non ci sarà più spazio per recuperare è la paura di vivere, che ha a che fare con la paura del riconoscimento del proprio nemico, cioè di colui che ci può realmente mettere in discussione. E chi può essere se non noi stessi o i nostri fratelli? Ma questo riconoscimento è così doloroso e pieno di sofferenza da rendere più facile falsificare la realtà e, di volta in volta, accettare di dipendere da chi intende costruire un mondo alla rovescia, dominato da un universo mentale che, grazie all’uccisione dell’anima e a un’educazione alienante, come pure attraverso la distorsione dell’identità, porta i soggetti verso un assetto mentale perverso per cui si possono liberare dalla loro stessa violenza senza doverla riconoscere. Secondo Edoardo Galeano
la scuola del mondo alla rovescia è la più democratica fra le istituzioni educative. Non richiede l’esame di ammissione, non ha costi di iscrizione e fa lezione gratuitamente a tutti e dovunque. Nel mondo alla rovescia i Paesi che custodiscono la pace universale sono quelli che fabbricano più armi e quelli che ne vendono di più agli altri Paesi; le banche di maggiore prestigio sono quelle che riciclano più narcodollari o che custodiscono denaro rubato; le industrie di maggiore successo sono quelle che avvelenano il pianeta e la salvezza dell’ambiente è l’affare più brillante delle imprese che lo distruggono. Sono degni di impunità e di congratulazioni coloro che uccidono la maggiore quantità di gente nel minore tempo possibile, coloro che guadagnano la maggiore unità di denaro con il minore lavoro possibile e coloro che sterminano la maggiore quantità di natura al minore costo possibile. Il mondo alla rovescia ci insegna a subire la realtà invece di cambiarla, a dimenticare il passato invece che ascoltarlo e ad accettare il futuro invece che immaginarlo. Il mondo alla rovescia ci allena a vedere il prossimo come una minaccia e non come una promessa, ci riduce alla solitudine e ci consola con droghe chimiche e con amici cibernetici².
Parlare di male e di ombra è in fondo un po’ come parlare di noi e del nostro doppio. Se mi guardo allo specchio e lo faccio sempre con una leggera apprensione, quasi aspettandomi che l’altro dal di dentro si possa animare indipendentemente da me, scopro che la mia immagine riflessa è uguale nella forma e nel contenuto, ma opposta nel movimento e nella direzione. Il doppio esiste da sempre come se fosse una qualità dell’essere umano, un potenziale modo di essere speculare, una possibile alternativa, un fratello gemello identico che, in certi momenti della vita o in territori tra loro diversi, riappare per chiedere la sua parte. Se riesce a ottenerla significa che l’io si sente così sicuro da lasciargli spazio e si stabilisce tra i due un rapporto che trasforma entrambi: a un io più aperto corrisponderà un doppio amichevole e mediatore tra il mondo del conscio e il mondo dell’inconscio. Così il doppio è di volta in volta, secondo il cammino che ciascuno di noi è in grado o intende seguire, avversario e compagno di strada, limite e anticipazione di quello che accadrà: una possibilità che scandisce le principali tappe della vita dell’essere umano nella sua doppia valenza di ostacolo e di stimolo. Quello che il doppio ci propone è qualcosa che sta per accadere e lo specchio fa da catalizzatore a forze inerti che acquistano un segno, positivo o negativo, secondo le energie impiegate. Quando l’essere umano riconosce il suo doppio come altro da sé e instaura con lui un rapporto amichevole, allora lo specchio irradia energie positive. Altrimenti la figura del doppio che lo specchio rimanda muta di segno, manifesta un inquietante presagio e scatena energie negative e distruttive. È il problema centrale del disagio collettivo della società contemporanea, che si prefigge di sconfiggere la morte e fallisce proprio perché non riesce a capire il modo in cui la morte è l’altra parte della vita, ma anche l’immagine di un potenziale modo di essere speculare che accomuna individuo e società posti davanti allo specchio del loro alter ego, ovvero di un altro tra due. La doppiezza come una qualità dell’essere umano è poi ben espressa nei miti e nelle credenze delle origini, nel momento in cui miti e credenze sono forse il prodotto più maturo creato dall’umanità e tendono a superare il contesto culturale specifico che li ha generati per rendere conto di problematiche che sono costitutive di ogni cultura. È Carl Gustav Jung a introdurre nelle scienze umane il termine ombra
inteso come il lato primitivo, inferiore e privo di luce dell’uomo, quasi una seconda personalità, oppure il compagno oscuro o, ancora, l’altra faccia demoniaca dell’essere umano, ma anche forza perturbante e antagonista alla persona stessa o spirito malizioso che intende fuorviare l’individuo. Come parte dell’inconscio personale, ovvero dei fatti interni
all’individuo, comprese le rimozioni di idee e di sensazioni negative, l’ombra ha a che fare con l’io, mentre, come archetipo dell’avversario, inerisce all’inconscio collettivo, cioè a quell’insieme di impulsi, istinti e contenuti universali che, proprio perché diffusi tra gli strati più profondi della psiche umana, assumono un carattere collettivo. Nell’ombra confluiscono oltre ai ricordi perduti, alle rappresentazioni negative rimosse, alle percezioni subliminali anche contenuti non ancora maturi per la coscienza. Mentre all’inizio la figura dell’ombra viene vissuta come qualcosa di strano, ostile ed esterno a noi, con la nostra progressiva consapevolezza arriva a essere interiorizzata, riconoscendola come una parte della propria personalità. Ma anche dopo che l’ombra personale viene elaborata, la sua figura archetipica rimane ancora attiva nella psiche. Il fatto che l’origine del fenomeno ombra
risieda nello sviluppo della coscienza umana viene formulato da Jung nei seguenti termini:
Aumentare la chiarezza della coscienza porta necessariamente con sé un corrispondente oscurarsi del lato psichico meno chiaro e meno accessibile alla coscienza e, prima o poi, la formazione di una crepa nel sistema psichico, dapprima non riconosciuta come tale, si presenta sotto forma di proiezione assumendo il carattere di una visione del mondo: la scissione tra le forze della luce e le forze delle tenebre³.
In fondo l’ombra è la «guardiana della soglia»⁴ attraverso cui passa la via che conduce l’essere umano alla trasformazione e al rinnovamento di sé come individuo e come comunità. Occorre, quindi, assumere su di sé l’ambivalenza, l’incertezza e il riconoscimento della propria parzialità e provvisorietà per iniziare un percorso di trasformazione interiore, accogliendo ciò che appare negativo e oscuro per ricomporre a unità le nostre parti divise.
Altrimenti, entrano in gioco le considerazioni di Davide:
Penso che la mia prima volta in un carcere non funzionò da deterrente, anzi penso che quella situazione era l’ideale per amplificare il mio lupo, per farlo sentire grande, in un ambiente dove si ritorna mentalmente e fisicamente a uno stato animale; lui aveva trovato la sua casa e il mio entrare e uscire da quel posto lo ha dimostrato ampiamente, entrare e uscire era come aggiungere delle referenze al mio curriculum, perché per assurdo nel mondo criminale le permanenze in carcere sono degli attestati di affidabilità, oltre alla possibilità di metterti in contatto con tutto quel mondo. Il mio lupo non era solo, era tra altri lupi. L’esperienza ha dalla sua due aspetti significativi: la prima è che più si continua a fare una cosa, a usare una modalità e più si diventa abili a farla, viceversa meno la si usa più si diventa inabili a farla; la seconda la scoprirò solo in seguito. E, in un luogo dove conta solo la forza fisica, il lupo prese in pieno ogni mia funzione e la mia personalità subì un’inversione totale di marcia, di tutte le sfaccettature che componevano la mia persona solo gli aspetti fisici esteriori e l’aggressività avevano la precedenza, diventando così la mia sola maschera di approccio e di convivenza, dimostrandomi forte agli altri e soprattutto nascondendomi agli altri. E se è vero che il continuo entrare e uscire dal carcere accresce il tuo curriculum per il mondo criminale lo accresce anche per la giustizia che di conseguenza non ti tratta più come una persona che ha commesso un reato, ma ti punisce come un professionista del crimine. Tutto questo ha un prezzo e non solo di vita: mantenere costantemente una maschera in piedi ha un costo d’attenzione e di energie non indifferente e così perdere la ragione
era come mollare le redini, era come allentare quella morsa, ma perdere la ragione in un posto dove oltre alle regole dell’ordinamento penitenziario si rispettano anche le regole imposte da un codice criminale non scritto ha delle conseguenze irreversibili ed entrare in un circuito di irreversibilità è un vortice senza fine, senza uscita; cominci ad accumulare situazioni su situazioni, cerchi di coprire qualcosa di grave con qualcosa di ancora