Antigone contro
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Eppure, la violenza e il tormento corrono nella sua stirpe. I fratelli sono destinati ad annientarsi a vicenda. La legge, come noto, prevede che la salma di Polinice non debba trovare sepoltura. Antigone, allora, combatte tanto il fato quanto l’ordine costituito dal potere maschile. Antigone è ribelle, paladina e simbolo di una nuova giustizia. Il romanzo di Assunta Marinelli è, in senso temporale, l’ultima interpretazione di un mito ampiamente celebrato sulle tavole del palcoscenico e qui proposto, invece, in forma narrativa con un linguaggio scorrevole e dialoghi vivaci. La sua Antigone anticipa i tempi, mentre le sue parole seminano un nuovo destino per la figura della donna.
Laureata in Lettere classiche, ha collaborato con l’Università D’Annunzio come assistente di Storia greca. Insegnante presso licei e istituti tecnici, ha pubblicato i romanzi Le stanze della memoria, Psicorondò e vari racconti, per i quali ha ottenuto riconoscimenti nazionali ed internazionali. È del 2022 la pubblicazione della sua ultima opera, Antigone contro.
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Antigone contro - Assunta Marinelli
Prefazione
Il mito di Antigone, affascinante nella sua complessità, ha portato a molte rielaborazioni moderne in sede creativa: si pensi all’Antigone di Brecht ed a quella di Anouilh, che enuclea dall’antagonismo sofocleo la problematica etica del potere tante altre, fino ad arrivare alla messinscena del Living Theatre. Per ultima, in ordine di tempo, l’opera di Assunta Marinelli, che non agisce sulle tavole di un palcoscenico, ma che recupera e ripropone i temi della tragedia in forma narrativa, dove dietro la sticomitia intravvede sentimenti, pulsioni, fermenti portati alla luce con la sua abilità di scrittrice di romanzi. Ed è un inoltrarsi nella psiche di Antigone, che è spinta a disobbedire alla crudeltà di Creonte sia per una fatale eredità di colpe sia per l’affetto verso il fratello Polinice, ingiustamente discriminato nella sepoltura. Ed è questo il percorso affascinante che la scrittrice intraprende con un coraggio simile a quello di Antigone nello scavare l’intimo di un personaggio creato lontano da un’indagine psicologica, come d’altronde tutti i personaggi delle tragedie greche, interpretati da uomini con maschera mono espressiva e vincolati dal ritmo ripetitivo del trimetro giambico. D’altra parte le rappresentazioni non dovevano essere uno sfoggio di personalismi, ma eventi a carattere religioso in cui azioni emblematiche avevano l’austerità e la complessità di un rito. È compito del coro commentare gli stati d’animo, ma all’autrice bastano una parola, un accenno, un aggettivo del testo sofocleo per sconfinare e vedere quello che di inespresso racchiude l’anima dei personaggi ingabbiati nelle regole del formalismo tragico. E dal quarto episodio della tragedia, il pianto di Antigone, che sta per essere condotta alla sua ultima meta «(…) Ἄκλαυτος, ἄφιλος, ἀνυμέναιος, ταλαίφρων ἄγομαι (…) Οὐκ ἔτι μοί θέμις ὁρᾶν τόδε λαμπάδος ἱερὸν ὄμμα θέμις ὁρᾶν ταλαίνᾳ (…)» diventa nel romanzo una delle pagine più espressive della vicenda narrata, dove l’autrice entra nelle paure della fanciulla e nel dolore di quei ricordi che resteranno larve ed ecco che la convenzionalità del personaggio veicolante un messaggio, viene a frantumarsi nelle sensazioni che arrivano decise al cuore di Antigone, mentre il carro la trasporta attraversando quei luoghi che hanno visto il suo amore per Emone e l’infanzia felice con i fratelli. È una morte crudele quella che l’aspetta. Creonte avrebbe potuto condannarla ad una fine più rapida ed invece ha scelto quella che poi in seguito diventerà un topos letterario: la morte per inedia. Rhea Silvia, Ugolino della Gherardesca, Radames ed Aida perderanno la loro vita nello stesso modo che il re di Tebe aveva inflitto alla temeraria disobbediente al suo comando. E la grandezza di Antigone si rivela nuovamente allorché, non cedendo a Creonte, si ribellerà anche alla modalità di morte da questi prescelta e non aspetterà passivamente nella grotta in cui viene rinchiusa, ma sarà lei stessa a scegliere come morire, ripercorrendo lo strazio di Giocasta.
La ribellione è l’altro tema che funge da connettivo e seduce la volontà dell’autrice nelle implicazioni che esso comporta: ribellione di una donna in un contesto che, pur mitologico, relegava la figura muliebre a strumento nelle mani maschili, (vedi Ifigenia, vittima sacrificale ingannata, ma poi salvata in extremis guarda caso da una divinità femminile) o ribellione consapevole ad una legge iniqua che arriva all’oltraggio di un corpo senza vita lasciato alla devastazione dei corvi? Antigone ha trasgredito, ma qualcuno ha voluto vedere dietro la sua opposizione nei confronti di Creonte un’eco dell’avversione sofoclea nei confronti della politica imperialistica di Pericle e, se così fosse, saremmo tentati di pensare ad una «strumentalizzazione» del ruolo di Antigone.
D’altra parte il topos della ribellione alle leggi è stato continuo oggetto di indagine e riflessione tra gli spiriti più illuminati che vennero dopo Sofocle. Nel «Critone» di Platone, il filosofo Socrate rifiuta l’idea di fuggire dal carcere in cui attende la morte, poiché la fuga avrebbe significato un’infrazione delle leggi a cui deve obbedire fino all’ultimo, in quanto uomo avvezzo a praticare la virtù: «ὁ τῆς ἀρετῆς ἐπιμελόμενος» (Crit., 51a).
Se proseguiamo nel tempo, ci accorgiamo che lo stesso Cicerone, nel tradurre in latino il famoso epitaffio di Simonide che celebra il sacrificio dei morti alle Termopili in obbedienza alle leggi (ῥήμασι) di Sparta, inserisce l’aggettivo «sante» che meglio va a connotare il suo pensiero di fervente repubblicano: «(…) Dum sanctis Patriae legibus obsequimur».
E se da una parte non ci aspetteremmo mai di trovare in pieno ottocento risorgimentale italiano il romanzo di Iginio Ugo Tarchetti «Una nobile follia» che, antesignano dell’obiezione civile, invita alla disobbedienza delle leggi inneggiando alla diserzione militare, dall’altra c’è anche chi a Norimberga ha fatto scudo ai propri crimini invocando il principio dell’obbedienza a leggi anche se inique.
Nel romanzo la ribellione di Antigone travalica le intenzioni di Sofocle: anche se la fanciulla è guidata un sentimento scaturito da una legge interiore che la porterà ad agire in maniera decisa nei confronti del potere, la sua vicenda è soprattutto la celebrazione di un amore a cui è dovuto un tributo esiziale, legittimato dai trascorsi infantili con i fratelli e dalla tenerezza del ritrovamento di Ismene. L’autrice va in cerca dell’anima nascosta della sua creatura e l’insieme di passioni che trova sono un tessuto struggente che tendono a rifuggire l’epos per materializzarsi meravigliosamente in lacrime umane. Dal personaggio teatrale ecco che scaturisce un altro che non è diverso da quello sofocleo, ma che rivela una sensibilità sublimata dal pathos tale da rendergli il vivere inaccettabile.
Il mondo e la vita hanno negato alla giovane Antigone di sognare la libertà di amare l’impossibile: «ἀμήχανων ἐρᾷς» le dice Ismene. Ma nel buio di una realtà ottusa ed angusta la fanciulla trova la luce della coerenza e della dignità. Perciò il suicidio (ignoto nel teatro di Eschilo) diventa la sua ultima