Mio padre e la guerra
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Non di pace.
Sogno una valle
Piena di mille foglie di aghi di pino
Impastati da alghe di mare
In un miscuglio di dolce e salato,
in un verde di terra,
non di pace,
non di guerra”.
Franco Mazzanti, ex IMI
Angelo Ravelli ( 1958- 2021 ) è stato insegnante di Musica nella scuola secondaria di 1° grado.
Malato di sclerosi multipla, nei primi anni di ritiro dall’attività lavorativa si è dedicato alla stesura di questi racconti, supportata da un’approfondita ricerca storica.
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Book preview
Mio padre e la guerra - Angelo Ravelli
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
A mio padre e ai suoi nipoti
Prefazione
Mentre Giuseppe compie 91 anni riceve in regalo da suo figlio Angelo questo racconto; particolare, perché restituisce forza alla fragile trama di ciò che è accaduto a lui a vent’anni: preso in consegna da decisioni non sue e condotto tra Italia, Grecia e Unione delle Repubbliche Sovietiche in un viaggio di guerra.
All’inizio il racconto indugia sulle tappe e sui luoghi che Giuseppe incontra; poi arriva la sconfitta – subita da chi e per chi? – e la guerra prende il sopravvento. Non si sente il rumore cupo delle armi; se mai lo sforzo quotidiano per il cibo, del riparo dal freddo, del (ri)muovere corpi di morti.
Non è sempre facile per un padre raccontare al figlio ciò che gli è accaduto e non succede spesso che il figlio lo restituisca al padre.
È ciò che si trova in questi undici racconti che a ben vedere non hanno nulla di (stra)ordinario. Anche perché Angelo, con ferma padronanza del dialetto, ci restituisce uno scritto che sembra parlato.
Questi racconti attendono solo di prendere forma nelle immagini di chi li leggerà e suggeriscono di farli incontrare con la storia di un altro uomo che, come Giuseppe, ha subìto questi avvenimenti; e poi di un altro, un altro e un altro ancora.
È un po’ come se lo sforzo di memoria di Giuseppe, amorevolmente sostenuto da Angelo, chiamasse le persone incontrate in quegli anni e in quel viaggio intorno a un tavolo, a raccontarsi, finalmente.
Natale Carra
Presentazione a cura dell’Autore
Questa vicenda è stata ascoltata in casa quando nostro padre, ogni tanto, aveva l’occasione di parlarne con qualcuno la sera, intrattenendosi in modo conviviale e confidenziale. Scriverla ora ha comportato il cercare di mettere in sequenza fatti che accaddero tra il gennaio1942 e il novembre 1945, quando dovette partire come soldato semplice per la leva militare. Alcune parti della narrazione evidenziano lacune mnemoniche che si sono propagate e sedimentate con il passare del tempo. Comunque ho cercato di codificare quanto più possibile della sua testimonianza affinché ciò che resta non si perda del tutto e troppo in fretta. Originariamente la testimonianza è stata rilasciata in dialetto grumellese, poi rielaborata in fase di scrittura, traslitterandola in un italiano che risentisse ancora dell’espressione dialettale. Non mi rendo conto di quanto sia riuscita questa scelta, ma scriverla in italiano corretto
sarebbe stato tralasciare del tutto la sua identità linguistica. Questa scelta rientra allora nel tentativo di trovare una mediazione tra lui e le generazioni seguenti che leggeranno la testimonianza. (Non escludo in futuro di elaborare una duplice versione, una in dialetto grumellese e l’altra in italiano corrente).
Mio padre ad oggi è uno degli ultimi testimoni di quella vicenda tragica che coinvolse milioni di giovani nati tra il 1909 e il 1925, che furono arruolati dal Regio Esercito Italiano per il conflitto della Seconda guerra mondiale. La testimonianza è da ricondurre allo scenario bellico europeo essendo mandato, dopo un periodo di addestramento svoltosi in patria, in Grecia nell’agosto 1942. Alla diramazione radiofonica dell’Armistizio di Cassibile tra l’Italia e le Forze Alleate, avvenuta l’8 settembre 1943, vi fu la dissoluzione del Regio Esercito Italiano con conseguenze spesso drammatiche. (Al settembre 1943, secondo lo studio di Gerhard Schreiber, la forza effettiva delle FF.AA. superava i 3.700.000 uomini). Dal giorno successivo l’Armistizio mio padre passò sotto il controllo di partigiani greci per circa due mesi, poi, rastrellato da soldati germanici, fu trasportato nel gennaio 1944 in un lager della Bielorussia. In seguito alla ritirata tedesca nell’estate del 1944, i soldati dell’Armata Rossa rastrellarono i prigionieri usciti dai lager germanici e, invece di liberarli, li consegnarono a delle guardie che li condussero in