Il prete indigesto: La vita e le lotte di Don Antonio Coluccia
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“Mi avete scritto sui manifesti che sono buono da mangiare? Purtroppo per voi che vi muovete nell’ombra, sono un prete indigesto. Un essere umano disposto a sacrificare se stesso con la massima umiltà, ma anche con la straordinaria forza della parola di Dio.”
È questa la risposta di don Antonio Coluccia dopo essere stato minacciato e appena prima di trovare la sua auto crivellata da una raffica di proiettili a Specchia, il comune vicino a Lecce dov’è nato. L’obiettivo è punirlo per la missione che anima la sua quotidianità: proteggere i deboli da chi li sfrutta e opprime, salvare i giovani dal richiamo della criminalità organizzata, schierarsi contro le ingiustizie sociali, opporsi a chi vuole distruggere e non creare, lottare contro chi traffica con i rifiuti tossici e sparge senza vergogna violenza e abusi. Il suo è un credo sintetizzato in tre verbi: osare, rischiare, compromettersi. Tanto nella sua Puglia, dove è pesante la mano della Sacra corona unita, quanto a Roma, dove ha fondato l’Opera don Giustino e combatte il degrado e lo spaccio nel difficile quartiere di San Basilio.
Per la prima volta Riccardo Bocca racconta ai lettori la storia di un grande protagonista dell’Italia contemporanea: un uomo a cui non piace sentirsi chiamare “eroe”, un essere umano che come tutti conosce la paura ma che non ha mai rinunciato a rischiare per il bene degli altri. Una persona forte e semplice che con infinita determinazione consacra la sua esistenza a chi soffre nella povertà o ha smarrito la strada nell’indifferenza generale.
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Il prete indigesto - Riccardo Bocca
1
Sono le otto e trenta di mattina quando Rocco Coluccia lancia l’allarme. «Tony! Tony!» urla rientrando in casa al figlio che sta ancora dormendo.
Era sceso dal suo appartamento di corso Italia per ritirare il secchio della spazzatura e ha trovato una pessima sorpresa. Dall’altro lato della strada c’è parcheggiata l’Alfa 166 grigia di Antonio con il vetro anteriore destro in frantumi e due fori nella lamiera. A terra verranno raccolti quattro bossoli calibro nove, mentre l’interno della vettura restituirà tre ogive in piombo deformate. Adesso però è presto per parlare di sopralluoghi e successive indagini. Ora è il momento dello shock e del caos totale. «Hanno sparato alla tua macchina!» strilla Rocco. Sua moglie Pacifica scoppia a piangere. Riesce soltanto a dire: «Telefoniamo ai carabinieri».
«Qui, figliolo, va a finire che ti ammazzano sul serio» continua invece a ripetere Rocco.
È lunedì 17 dicembre 2018. Un giorno che sarà ricordato a lungo dai cinquemila abitanti di Specchia. Di solito il massimo del protagonismo, per questo comune vicino a Lecce, è comparire nelle guide turistiche come una delle meraviglie pugliesi. Il centro medievale, a metà strada tra Adriatico e Ionio, è l’emblema del Salento che merita di essere visitato. D’estate arrivano i turisti e d’inverno si tira avanti soprattutto grazie all’agricoltura. Un posto tranquillo. Anche perché a Specchia non c’è la mano pesante della criminalità organizzata a schiacciare tutto e tutti. La cronaca locale parla di spaccio, rapine, qualche estorsione. Nessuna presenza stabile della Sacra corona unita né violenze eclatanti.
Quel lunedì 17 dicembre, però, la testata online Fanpage titola: Spari contro l’auto di don Antonio Coluccia, il prete degli ultimi, nemico della mafia
. Una storia ingombrante, qualcosa che invoca risposte adeguate da parte delle istituzioni.
«Ero allarmato ma non stupito» racconta don Antonio. «Ogni azione ha un prezzo e bisogna essere pronti a pagarlo.» Ha quarantasette anni, oggi, è alto un metro e ottantacinque, pesa intorno agli ottanta chili e sorride, mentre si ravvia i capelli lisci e castani. Ha indosso la tonaca, come sempre, lo sguardo al tempo stesso severo e scanzonato.
Siamo seduti sopra una panchina nel giardino dell’Associazione Opera Don Giustino, la casa di accoglienza che ha fondato nell’agosto 2012 alla periferia nord di Roma. Una struttura dove sono ospitati tossicodipendenti, persone con trascorsi in carcere, padri separati in miseria, condannati che stanno scontando i domiciliari. Oltre il cancello marrone stazionano le automobili della scorta che gli è stata assegnata dopo l’intimidazione subita nel 2018 a Specchia. «In quel periodo mi invitavano spesso a incontri sull’antimafia sociale. Quella che piace a me, quella che va nelle piazze ed entra nelle scuole, nelle parrocchie, nelle organizzazioni laiche e religiose.»
Il 14 dicembre 2018 si mette dunque al volante dell’Alfa 166 della comunità e da Roma scende a Supersano, la cittadina a venti minuti da Specchia dove un’associazione ha organizzato un incontro centrato su legalità e territorio. «Quella notte ho dormito in un hotel sull’autostrada all’altezza di Mirabella, dalle parti di Avellino, e a mezzogiorno di sabato 15 stavo pranzando dai miei.»
Per don Antonio è indispensabile muoversi, agire, essere a stretto contatto con la gente. Dice di sentirsi un uomo completo solo quando condivide la sua vita con gli altri. Proprio alla luce di questa sua esigenza, nel pomeriggio del 15 dicembre si sposta da Specchia a Supersano, dove tiene il suo discorso nell’aula consiliare del comune.
L’evento è intitolato La legalità in mezzo a noi tra bullismo, dipendenza e antimafia sociale
. Alle nove la gente in sala è già seduta. Tutto sembra tranquillo, in apparenza, ma c’è un retroscena. Mentre stava scendendo da Roma in Puglia, è stato informato che sui manifesti appesi per promuovere la serata qualcuno ha sovrapposto alle sue fotografie, in corrispondenza degli occhi, dei pezzetti di carta con scritto in arabo Buono da mangiare
(o Buon appetito
, altra possibile traduzione).
«Un messaggio che avrei potuto ignorare, volendo, ma non sono il tipo che tace quando lo provocano. Così, le prime parole che ho pronunciato, dopo essere stato introdotto al pubblico, sono state: I miei occhi sono fatti per vedere e nessuno mi convincerà a non guardare
.»
Dopodiché punta il dito contro chi si arricchisce a colpi di malaffare e a danno della società civile. «Il Salento» dice, «ha concesso troppi spazi ai criminali della Sacra corona unita, e questo è inaccettabile.» Almeno quanto, continua, lo scempio dei rifiuti tossico-nocivi interrati a tonnellate, o il tasso di infiltrazione della malavita nella politica. «Le connivenze tra malavita e potere strangolano la democrazia!» esclama, tra gli applausi del pubblico. «Mi avete scritto sui manifesti che sono buono da mangiare? Purtroppo per voi che vi muovete nell’ombra, sono un prete indigesto. Un essere umano disposto a sacrificare se stesso con la massima umiltà, ma anche con la straordinaria forza della parola di Dio.»
Il giorno dopo, domenica 16 dicembre, queste frasi rimbombano ancora per il Salento. Poi la situazione degenera: durante la notte l’Alfa 166 di don Antonio viene crivellata di colpi e a ruota scattano le reazioni. C’è il consiglio comunale di Specchia, convocato per esprimere solidarietà al concittadino sacerdote, definito «un esempio, oltre che spirituale, di impegno civico e lotta contro la criminalità.» L’arcivescovo di Lecce, Michele Seccia, dichiara di avere conosciuto personalmente don Antonio e di essere convinto che «quello che dice e che fa corrisponde allo spirito della sua missione.» Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, condanna «il gesto esecrabile che ha colpito un uomo sempre impegnato a favore della legalità e giustizia» e il presidente del Lazio Nicola Zingaretti dichiara di essere sempre stato con le istituzioni «accanto a don Antonio nella sua azione contro la mafia e l’esclusione sociale.» Stima e calore abbondano, in quelle ore. È tutto un turbinio di telefonate, messaggi pubblici e privati, interviste. Nel frattempo i carabinieri acquisiscono i video delle telecamere di sorveglianza vicine a casa di don Antonio e vengono a sapere che tra le due e le tre di notte suo padre Rocco ha sentito dei botti, ma li ha presi per fuochi artificiali.
Ancora oggi, anno 2022, non si sa chi abbia sparato alla sua macchina. Le ultime notizie risalgono al 20 settembre 2019 e sono apparse sul sito CorriereSalentino.it. L’articolo inizia con questa frase: «Rimarranno ignoti, salvo clamorosi colpi di scena, i responsabili». Sotto viene riferito che il pubblico ministero, d’accordo con la Direzione distrettuale antimafia, ha proposto l’archiviazione del fascicolo.
L’ennesima intimidazione che costringe le istituzioni a ridurre la libertà di movimento di chi l’ha subita. Dopo gli spari notturni a Specchia del 2018, la prefettura di Lecce dispone d’urgenza una scorta con due agenti e una berlina senza blindatura, anche se don Antonio è scettico che questa sia una soluzione al problema. «Se la malavita decide di colpire duro, cioè non di spaventarmi ma togliermi di mezzo, in un modo o nell’altro ci riuscirà. Ho perso il