Erasmo
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Dettate al termine della sua lunga esperienza di vita.
Un diario privato.
Un monito per il mondo.
Attuale in ogni epoca.
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Erasmo - Domenico Riccio
Erasmo
Le memorie di Erasmo.
Dettate al termine della sua lunga esperienza di vita.
Un diario privato.
Un monito per il mondo.
Attuale in ogni epoca.
(Scritto nel 1997)
Introduzione
Il medioevo ha preso in consegna le sorti dell’Europa al termine della grande avventura dell’impero romano.
Anzi è stato proprio il medioevo a creare l’Europa, dando ai popoli subentrati nei territori già governati da Roma e a quelli autoctoni, un’unica fede, quella cristiana e un’unica patria, il rinnovato impero.
Il latino è ancora la lingua comune.
Grazie ad esso si è conservata la memoria della cultura antica e sulle sue basi se n’è elaborata una originale.
L’Europa è diventata una nazione.
La nobiltà (l’ ordo qui pugnat), il clero (l’ ordo qui orat) e il terzo stato (l’ ordo qui laborat), cooperarano per il comune progresso.
Per quasi mille anni questo ordinamento ha funzionato senza intoppi, ma oggi – alla fine del XV secolo – mostra segni di crisi.
Il declino era cominciato quando giunse al culmine la grande rinascita.
Apparve sulla scena politica la borghesia, portatrice di interessi contrastanti con quelli della nobiltà e del clero.
Gli scambi aumentarono, sorsero le prime industrie.
La produzione crebbe e con essa la ricchezza.
Le istituzioni non seppero tenere il passo della società.
Il clero e gli ordini religiosi divennero sempre più potenti e sempre più arroganti.
Il papa stesso era più occupato per i suoi affari temporali che per quelli spirituali.
L’opulenza fece divenire gli uomini rapaci.
Nacquero dissidi.
La chiesa si secolarizzava.
Nelle scuole trionfò il tomismo, che esercitava le menti in discorsi vacui e completamente astratti.
Il popolo sostituiva alla fede l’ostentazione della propria religiosità: pellegrinaggi, venerazioni di immagini e di reliquie, cerimonie fastose.
La fede divenne un affare.
Le indulgenze erano in vendita, bastava pagare per assicurarsi un posto in paradiso.
L’impero non riuscì a contenere le spinte centrifughe e le richieste di autonomia e si sfaldò.
Cominciavano a nascere le monarchie nazionali.
I principi passavano il loro tempo intenti a conquistare e devastare il territorio del vicino, ma per far questo depredavano e dissanguavano il proprio.
Per questo mi sono scagliato contro la corruzione del mondo contemporaneo, contro la presunzione degli ordini monacali, contro la vanità dei teologi, contro l’ignoranza del clero, l’ipocrisia e la superstizione del popolo, la cupidigia e il machiavellismo dei principi, la tracotanza e la bramosia del papa, contro l’arrendevolezza degli umanisti che, disgustati dalla realtà attuale, si rifugiavano in uno spazio onirico, fatto di cultura classica e misticismo pagano.
Ma più di ogni altra cosa, mi sono battuto contro quella frenesia, monomania ossessiva che è la guerra, vera e propria pestilenza del mondo rinascimentale.
Per castigare i costumi dell’epoca mi sono finto pazzo come fece, mutatis mutandis, Solone, e, per non essere troppo sospettato, più volte ho ripetuto il motto «un cretese ha detto che tutti i cretesi sono bugiardi».
Ma la mia invettiva non è solo uno scherzo faceto.
Sono stato brillante, arguto e fantastico ma anche sobrio, armonico e fin troppo serio.
Qualche volta ho esagerato, ma spero che la mia ironia sia stata tonica, didascalica e propedeutica.
Con compostezza ho enumerato e classificato i difetti dell’egro mondo contemporaneo e ho concluso con una vena di disincanto e senza celare il mio pessimismo che tutto quanto si fa dagli uomini è pieno di pazzia: gli uomini sono pazzi che agiscono come pazzi.
La pazzia genera ogni cosa, potremmo esclamare parafrasando Eraclito.
essa pervade di sé ogni espressione del viver civile.
Ma questa è la pars destruens del mio pensiero.
La pars costruens trae origine dalla riflessione che nello stato di natura si viveva beati, perciò la soluzione che vi propongo è quasi elementare: bisogna tornare all’originaria semplicità.
È, perciò, necessario scardinare l’intera cultura medioevale, dimenticare l’erudizione scolastica, ritornare alle fonti, mettere da parte le cerimonie ostentate, vane e superflue e rivolgersi alla vera religiosità, leggere direttamente le Sacre Scritture.
Il messaggio di Cristo può essere compreso da chiunque.
Se ognuno seguisse la sua parola i principi sarebbero buoni governanti, i papi assolverebbero egregiamente ai loro compiti di guida spirituale dell’umanità e tutti vivrebbero in pace e concordia sulla terra.
Verso il 1524 la mia fama era all’apice.
Mi venivano offerte cattedre in Baviera ed in Sassonia, vescovati in Spagna ed in Sicilia.
Tutti i re mi avrebbero voluto alla propria corte.
Ero consigliere privato dell’imperatore e il papa mi aveva offerto la porpora cardinalizia.
I miei discepoli formavano una élite europea.
Tra essi c’erano l’imperatore, i re d’Inghilterra, Francia e Danimarca, il principe Ferdinando di Germania, il cardinale d’Inghilterra, l’arcivescovo di Canterbury, e principi, vescovi ed uomini eruditi ed eminenti.
L’Europa era pronta ad accogliere la mia rivoluzione.
Che però non giunse.
Anzi, undici anni dopo, la mia disfatta sembrò totale e verso la metà del secolo ero diventato ormai un eretico e nei paesi cattolici fu persino pericoloso avermi conosciuto.
Per comprendere il motivo della mia sconfitta è necessario approfondire l’ultimo lato del mio pensiero: io non volevo fare proselitismo.
Non ero un predicatore né un politico.
non mi proponeva di riformare le istituzioni, ma gli animi.
non cambiare gli stati, ma la società.
Quella battaglia andava combattuta con le idee, il confronto, senza ricorrere alla prevaricazione.
Le mie armi sono quelle che l’umanesimo pone a mia disposizione: il rigore filologico, il ragionamento, la capacità di dialogo,