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I licenziamenti collettivi dopo il jobs act: Tra legislazione e giurisprudenza
I licenziamenti collettivi dopo il jobs act: Tra legislazione e giurisprudenza
I licenziamenti collettivi dopo il jobs act: Tra legislazione e giurisprudenza
Ebook57 pages40 minutes

I licenziamenti collettivi dopo il jobs act: Tra legislazione e giurisprudenza

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"Il decreto legislativo n. 23/2015, uno dei decreti attuativi del Jobs Act, apporta delle novità legislative in materia di licenziamenti collettivi e, in linea con l'impianto generale della riforma e gli orientamenti europei di matrice economica, sposta il baricentro dalla tutela reale a quelle indennitaria. L'autore dopo un inquadramento dell'istituto e della nozione giuridica passa in rassegna la nuova disciplina anche dal punto di vista degli orientamenti giurisprudenziali senza tralasciare delle osservazioni critiche, che hanno interessato la dottrina, sul rapporto tra licenziamenti collettivi ed economici, categoria giuridica non presente nel nostro ordinamento"
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 12, 2022
ISBN9791221410730
I licenziamenti collettivi dopo il jobs act: Tra legislazione e giurisprudenza

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    I licenziamenti collettivi dopo il jobs act - Roberta Caragnano

    1. La nuova disciplina dei licenziamenti collettivi: nozione giuridica e campo di applicazione

    Il decreto legislativo n. 23/2015 all’articolo 10 apporta delle novità legislative in materia di licenziamenti collettivi e, in linea con l’impianto generale della riforma e gli orientamenti europei di matrice economica, sposta il baricentro dalla tutela reale a quelle indennitaria¹.

    Dopo la legge 28 giugno 2012, n. 92, cd. Riforma Fornero, che era intervenuta sulla materia, ed in particolare sul regime sanzionatorio, articolando le tutele in maniera differente e attenuando quelle forti dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, anche il Legislatore del Jobs Act ha rimaneggiato tale istituto prevedendo due diversi regimi².

    I licenziamenti collettivi, la cui nozione giuridica è nell’articolo 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223, sono quei licenziamenti per riduzione di personale (sono inclusi anche ai dirigenti) che si verificano quando il datore di lavoro di una impresa con più di 15 dipendenti, nell’arco temporale di 120 giorni, intende effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’unità produttiva oppure in più unità produttive ubicate nell’ambito del territorio di una stessa provincia ricorrendo una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro³.

    Sul numero minimo di lavoratori la dottrina maggioritaria ritiene che questo dovrà essere riferito al momento di inizio della procedura ex art. 4 per cui il datore di lavoro dovrà «ipotizzare ex ante un esubero di almeno cinque dipendenti, fermo restando che la procedura potrà sfociare anche nel licenziamento di un singolo lavoratore, senza che il licenziamento perda la sua connotazione collettiva»⁴.

    Rispetto al presupposto della riduzione e trasformazione di attività o di lavoro, invece, la giurisprudenza si è espressa nella direzione che la riduzione non deve essere necessariamente la conseguenza di una situazione di crisi aziendale potendo concretizzarsi anche in riorganizzazioni, riconversioni e ristrutturazioni (aziendali) purché non siano fittizie e contingenti (Cass. civ. sez. lav., 2.05.05, n. 17831, in Il Sole 24 Ore, Guida al dir., 2005, fasc. 36, 80) mentre non si qualifica come trasformazione la semplice riduzione dei posti di lavoro non correlata a una riduzione dell’attività produttiva, bensì a una più intensa utilizzazione delle residue forze lavorative (Cass. civ. sez. lav., 17.05.96, n. 4583 in Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24).

    In materia di individuazione dell’unità produttiva interessata dalla ristrutturazione è prevalente, in giurisprudenza, l’orientamento il quale considera che l’attività deve riferirsi in modo esclusivo a una unità operativa o a uno specifico settore dell’azienda o ad una dipendenza unità autonoma (ai fini dei requisiti dimensionali dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori e connotata da un’organizzazione sufficiente ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni e di servizi dell’impresa), interessata dai licenziamenti, e non deve riguardare l’intera azienda (Cass. civ. sez. lav, 26.09.00, n. 12711, in Il Sole 24 Ore, Guida al dir., 2000, fasc. 43, 48; Trib. Milano 13.11.2003; Trib. Milano 20.12.01). Ciò produce effetti anche sulle procedure di mobilità come ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza 11 novembre 2013, n. 25310, con la quale si è precisato che nei casi in cui il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad un settore aziendale «la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell’ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò

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