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Clara Chop ed il Gene Alpha 1
Clara Chop ed il Gene Alpha 1
Clara Chop ed il Gene Alpha 1
Ebook178 pages2 hours

Clara Chop ed il Gene Alpha 1

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About this ebook

Anno 2231. Per debellare ogni forma di malattia congenita e non, la scienza interviene sul genoma umano. La popolazione mondiale finisce divisa in tre classi: la classe Alpha-1, quella dei più privilegiati; la classe Beta-2, che racchiude tutte le persone con mutazioni più o meno evidenti; e la classe Gamma-3, che comprende quelle con mutazioni gravi.
 
LanguageItaliano
Release dateAug 15, 2022
ISBN9791221383836
Clara Chop ed il Gene Alpha 1

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    Clara Chop ed il Gene Alpha 1 - Rita Mocerino

    Rita Mocerino

    Clara Chop e il gene alpha 1

    Versione digitale: agosto 2022

    Prime Edizioni

    www.primedizioni.it

    © 2022 Argoo asp

    UUID: 7dcf130a-cfcc-4d97-9c38-70c8ecd83170

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Clara Chop

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    EPILOGO

    Clara Chop

    e il Gene Alpha 1

    Rita Mocerino

    immagine 1

    A mio marito.

    E alla mia prima benedetta lettrice.

    CAPITOLO 1

    A ciascuno il suo

    Fuori dalla finestra un obsoleto cartello elettronico recitava a caratteri cubitali: Double Good, il miglior Ristorante di New Anchorage.

    Le immagini di piatti succulenti scorrevano, i loro primi piani erano così realistici da mettere l'acquolina in bocca. Era quasi ora di cena, perciò quel panorama avrebbe invogliato chiunque a chiamare il numero in sovrimpressione e a prenotare subito la consegna a domicilio di un maxi menù. Ma in quel momento lo stomaco di Clara Chop era chiuso ermeticamente. Riusciva solo a pensare che avrebbe voluto assaporare il gusto di una vita diversa, invece che dover ingoiare ogni giorno il solito amaro boccone. Clara aveva studiato tanto per poter parlare molte lingue. Era una esperta. Le piaceva l'idea di essere necessaria e, in una società affollata da moltitudini etniche, una poliglotta era richiesta ovunque. Da studente era stata motivata da un grande entusiasmo e da tirocinante aveva sperimentato quanto fosse gratificante il suo lavoro, ma passato qualche anno lo scopo aveva perso il suo fascino proprio per via di quei frequenti e tristi momenti.

    Il suo sguardo si rifocalizzò sulla signora Marković, una donna dai capelli corti con robuste zanne sporgenti e un naso a patata. Da poco aveva raggiunto il marito dalla Croazia, perciò la sua difficoltà con la lingua aveva reso necessario il suo intervento. Per quanto Clara avesse affrontato situazioni peggiori, era sempre destabilizzante vestire i panni dello spettatore impotente e sedere di fronte a una persona che aveva appena saputo della morte di un suo caro.

    La neo vedova stava affogando il suo dolore in un pianto disperato. Seduta su una vecchia sedia in ferro ossidato, si dondolava, si lamentava e a tratti scuoteva la testa. Tra le mani stringeva la foto stropicciata di un uomo in divisa, dagli occhi nocciola e il viso austero incorniciato da piccole appendici simili a tentacoli. Di lui Clara sapeva solo che era un mutante classificato Gamma-3, esattamente come la moglie, e che era morto in servizio quella mattina in una sparatoria. Clara cercò qualcosa di sensato da dire, purtroppo però sapeva per esperienza che anche sforzandosi non avrebbe mai lenito la sua angoscia. Così, in perfetto croato, si limitò alle condoglianze.

    «Moja sućut Madam».

    «Hvala» la ringraziò la donna, con voce talmente soffocata da riuscire a stento a comprenderla.

    Clara a quel punto decise di congedarsi, perché infondo il suo lavoro l'aveva fatto. Allora recitò alla signora Marković le ultime frasi di commiato e, senza attendere di essere accompagnata, andò spedita alla porta d’ingresso. Quando arrivò all’uscita l’agente Davis, che, come da copione, era rimasto in disparte a guardare, le diede un'occhiata sollevata, contento della fine di quel supplizio.

    «Non so come fai» le disse, una volta al sicuro nell'ascensore.

    «Non lo so neanch'io».

    Arrivarono in strada e poi salirono sulla volante in silenzio.

    Il tempo era mite quel pomeriggio a New Anchorage, si poteva girare in giacca di pelle senza sentire il bisogno di avvolgersi un foulard al collo. Era primavera, la sua stagione preferita. Clara si sarebbe goduta quelle dolci temperature per un po’, prima che il caldo afoso dell'estate giungesse a rovinarle l’umore. Sarebbe stato bello per una fan del freddo come lei nascere lì un paio di secoli prima, quando il clima era molto diverso in Alaska e nel resto del pianeta. Aveva visto parecchie foto dell’Anchorage di quei tempi che la rendevano a suoi occhi quasi irriconoscibile. Per via del surriscaldamento globale era cambiato tutto: i ghiacciai si erano sciolti, le maree innalzate e le temperature nei paesi equatoriali erano diventate intollerabili. Molte isole e penisole del mondo erano scomparse, i territori abitabili dall'uomo erano diminuiti drasticamente, così come le loro risorse. Ma in Alaska era facile dimenticarsi dei disagi che imperversavano in tutto il mondo, poiché era tra gli Stati che meglio avevano affrontato quei cambiamenti.

    «Allora, hai programmi per questa sera?» chiese ad un tratto il suo compagno di viaggio. Clara conosceva Davis da circa tre mesi e aveva imparato ad apprezzare la sua perseveranza.

    «Ho un impegno inderogabile con il mio divano».

    «Dai Clara, per una volta potresti anche dirmi di sì!»

    A Clara sfuggì un sorriso. Davis non era male. Era classificato Beta-2, perciò la sua mutazione non intaccava di molto il suo aspetto. Anzi, Clara credeva che molti avrebbero potuto invidiare il viola acceso dei suoi occhi che, insieme ai delicati lineamenti del viso gli donavano nel complesso uno stile sofisticato, proprio come un principe delle fiabe. E forse era proprio quello il problema: Clara detestava tutte quelle storie stucchevoli – così antiche, ma decisamente dure a morire - dove c’era sempre una principessa incapace di salvarsi da sola.

    «Dovresti cercare esperienze con donne della tua età».

    «Ehi, un uomo più giovane di te di cinque anni potrebbe giovarti». Strizzò l'occhio e il sorriso di Clara si allargò. Per fortuna arrivarono al distretto prima che l'insistenza di Davis riuscisse a fare breccia in lei, con l'unico risultato di farla sentire in colpa.

    Il distretto era in un palazzotto di vecchia generazione, costruito in un quartiere periferico nella zona a sud di New Anchorage. Ciò che Clara apprezzava di quel posto era la vista che godeva dal suo ufficio. Dalla piccola finestra al quinto piano riusciva ad ammirare la vasta natura incontaminata che circondava la città. Era una qualità da non sottovalutare, perché con il sovraffollamento terrestre erano rimasti ormai rari fazzoletti di terra disabitati e a poco serviva la rigida politica di controllo delle nascite che vigeva su tutto il pianeta. Per Clara era una certezza il fatto che un giorno, forse non molto lontano, il suo ufficio si sarebbe affacciato su degli scavi. E così invece che ammirare la foresta di grandi abeti rossi Sitka - gli ultimi alberi autoctoni di quel paese - avrebbe contemplato profonde buche riempite di cemento.

    Quando furono arrivati Clara lasciò Davis per marciare verso il suo ufficio. Se avesse sbrigato tutte le pratiche in tempo, avrebbe potuto uscire prima e godersi del meritato relax sul suo divano nuovo. Ma non fece in tempo a percorre tutto il corridoio che Bob Carnet, capo della polizia, la intercettò e senza tanti complimenti le fece cenno di raggiungerlo.

    «Mi piacerebbe uscire in orario, una volta tanto» si lamentò Clara appena fu nel suo ufficio. Tra loro i convenevoli erano pressoché inutili. Lei e il capitano si sopportavano educatamente dal giorno in cui aveva messo piede lì dentro e questo era più che sufficiente.

    Carnet, incurante delle sue proteste, con voce severa le intimò di sedersi. Non era un buon segno, perché solitamente i loro colloqui si concludevano in fretta, tanto da non avere la necessità di stare comodi. Perciò fu con sospetto che Clara obbedì e una volta seduta osservò come Carnet sistemava i fogli sulla scrivania con le sue mani mutanti, dotate di sei lunghe dita. Parevano due grossi ragni dalle zampe nodose. Ma Clara era sicura che quella non fosse l'unica mutazione di Bob. Infatti, giravano voci sul fatto che il capo nascondeva una coda, perché alcuni giuravano di aver visto muoversi qualcosa nei suoi pantaloni. Semplici pettegolezzi? Mutazioni a parte, Carnet era un normale uomo di mezza età: alto, brizzolato, di carnagione scura, con pessimi gusti in materia di cravatte.

    «Chop, per domani ti voglio a Kennedy Bit».

    «La zona riservata allo smaltimento?»

    «Proprio quella».

    Clara arricciò il naso. Kennedy Bit non piaceva a nessuno. Più che un quartiere era una discarica a cielo aperto.

    «Spero che le tue vaste conoscenze includano anche il tagalog» disse, con una punta di sarcasmo.

    Sarcasmo che nascondeva una sincera preoccupazione, per un buon motivo. Il tagalog era la lingua ufficiale delle Filippine, scomparse da più di un secolo, inghiottite dall’Oceano Pacifico. I suoi abitanti erano sparsi per il mondo e con il passare del tempo si erano insediati in altri paesi, perdendo del tutto la loro identità. Tuttavia, non era l'unico paese ad aver subito quella triste sorte, dunque il tagalog si classificava solamente diciottesimo in una lista lunghissima di lingue rare e quasi dimenticate del pianeta. La fortuna voleva che Clara fosse una patita di quasi tutte le lingue elencate in quella lista.

    «Hai seduta davanti a te la migliore traduttrice dell'Alaska!» esordì, alzando le braccia e vantandosi spudoratamente. Purtroppo, però il suo capo non era mai facile da impressionare, non era il tipo di persona da cui aspettarsi elogi, incoraggiamenti o complimenti in generale, per nessun motivo. Clara lo sapeva, tuttavia il suo ego aveva voluto comunque fare un tentativo. Sospirò e di fronte ad un impassibile Carnet disse: «Sì, so il filippino».

    «Bene, allora ti preoccuperai di riferire alla famiglia Girado che ieri notte al porto è stato ritrovato il cadavere del loro amato figlio».

    Il suo capo le passò una scheda su cui era impresso il codice di archiviazione di quel caso. Clara la prese di malavoglia. Di certo non aveva sperato servissero a quello le sue qualifiche professionali.

    «Avreste potuto dirmelo questa mattina».

    «Noi qui lavoriamo, Chop» rispose Carnet, con un tono che voleva chiaramente sminuire il suo lavoro. Poi aggiunse: «Il corpo era irriconoscibile, abbiamo dovuto aspettare il responso del laboratorio di genetica».

    «Perfetto, qualcos'altro?»

    «Sì». Carnet si sporse verso di lei, intrecciò le sue dodici dita e la inchiodò con occhi da sbirro, pieni di tutta la sua autorità. Quando parlò, scandì ogni parola con irritante enfasi: «Non voglio che per nessuna ragione ti immischi in questa faccenda!»

    Cos'era quello? Biasimo? Clara non aveva colpa se a volte i famigliari delle vittime sfruttavano le sue competenze per avere informazioni sulle indagini, oppure per accusare il capo e tutta la polizia di non fare abbastanza per acciuffare i colpevoli. Lei era una semplice consulente assunta dal ministero delle pubbliche relazioni e assegnata al distretto, perciò doveva rimanere estranea ai fatti. Clara si sforzava sempre di seguire il protocollo e di rimanere imparziale, ma c'erano volte in cui il suo buon cuore non riusciva ad ignorare le richieste disperate di una mamma che aveva perso il proprio figlio, o di un uomo che vedeva la dignità del proprio compagno fatta a pezzi da uno stupro. Cosa faceva di male lei, che si interessava solo di sollecitare alcuni agenti un po' pigri ad approfondire le indagini? O semplicemente a dare a quei poverini alcuni piccole, misere informazioni, sui progressi fatti in merito ai casi più intricati?

    «Non mi immischierò, lo giuro» disse con convinzione. I cattivi precedenti segnati sulla scheda comportamentale di Clara avrebbero dovuto far capire al suo capo che non c'era alcuna possibilità che lei riuscisse a mantenere una promessa simile. Infatti, l'espressione sulla faccia di Carnet era del tutto priva di fiducia.

    «Allora, posso andare adesso?»

    «Vai pure».

    Clara ignorò l’insistenza con cui Bob la fissava e sgusciò via per raggiungere subito il suo ufficio. La scheda con le informazioni del caso non poteva essere aperta da un pc al di fuori di quella struttura, perciò doveva visionare tutto prima della fine del suo turno. Accese il computer sulla scrivania, inserì la password e la scheda, aprì la cartella numerata e subito apparve la foto di Manuel Girado.

    Diciassette anni.

    Il suo viso perfetto da giovane uomo era illuminato da un sorriso genuino. Con i capelli corvini e la pelle color caramello, Manuel sembrava un modello scelto dagli scienziati per fare pubblicità al gene Alpha-1, da cui prendeva il nome la classe umana più invidiata al mondo.

    Alpha-1 era stato creato in laboratorio – esattamente come gli altri geni – ma a differenza di quelli denominati Beta-2 e Gamma-3, era capace di curare le tare del genoma umano senza intaccarne i fondamentali caratteri estetici. Chi possedeva quindi Alpha-1 vantava un aspetto normale, anzi di solito era dotato di un'esagerata bellezza. Ovviamente, non era una cura alla portata di tutti.

    Potevano permettersi quel gene solo gli uomini e le donne più facoltose e purtroppo la famiglia Girado non sembrava avere a disposizione le

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