L'anfiteatro Flavio nei suoi venti secoli di storia
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Triste ma incontestabile verità! Prima infatti che la romana Repubblica soggiogasse l’Oriente, i costumi del suo popolo erano semplicissimi; la guerra e l’agricoltura formavano la sua precipua occupazione, e spesse volte gli stessi magistrati, i consoli, i dittatori, ecc., spirato il tempo della loro carica, deponevano la toga e tornavano a coltivare i loro poderetti. Ma eccoci alle guerre Puniche! Eccoci alle guerre Macedoniche! Roma conquista progressivamente le province orientali; e, a misura che essa s’avanza nelle conquiste, di pari passo degenera la semplicità dei costumi del suo popolo. Colle nuove genti vengono in Roma le ricchezze; colle ricchezze i vizî.
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Anteprima del libro
L'anfiteatro Flavio nei suoi venti secoli di storia - Mariano Colagrossi
PREFAZIONE.
La grandezza e magnificenza dell’antica Città dei Cesari risplendono tuttora nei suoi maestosi ruderi; e gli avanzi del maraviglioso ANFITEATRO FLAVIO, di cui m’accingo a trattare, ce ne sono una fulgida prova.
Gli incendî, i terremoti, i saccheggi, le fazioni medioevali, le prepotenze dei baroni, la lontananza del Papa dalla sua sede, gli sconvolgimenti politici, fecero disgraziatamente sparire un gran numero di monumenti romani; ma la venerabile mole dei Flavî resistè, almeno in parte, alle ingiurie dei tempi e degli uomini; e come in altre epoche il Colosseo fu l’oggetto nobile di profondi studî, così stimo debba esserlo ai giorni nostri in cui si nota tanto risveglio per le cose antiche.
La prima lezione di archeologia pratica, io la ricevei nell’ANFITEATRO FLAVIO, e, a dire il vero, rimasi tanto ammirato della sua storia e grandiosità, che fin da quel momento sorse in me il desiderio di farlo oggetto di un mio studio speciale, e di rendere un contributo a quella mondiale maraviglia. E quel desiderio vago, concepito anni or sono, è divenuto oggi una realtà.
Onde evitare frequenti e forse inutili annotazioni nel corso dell’opera (specialmente quando si tratterà delle varie parti che costituiscono l’Anfiteatro Flavio e dei ludi ivi dati dagli Imperatori), m’è sembrato conveniente far precedere allo studio sul Colosseo una storia sommaria degli anfiteatri in genere e dei giuochi venatorî e gladiatorî in ispecie.
Relativamente alle memorie cristiane che sono connesse col nostro monumento, io le tratterò con franchezza e lealtà; ed esporrò le mie opinioni senza curarmi nè della congiura «del silenzio» nè della taccia «d’ignorante ed ostinato», perchè tanto l’una che l’altra sono armi ormai notissime di coloro i quali «tanto più dan vanto di sapiente» ad uno scrittore, «quanto più (questi) si mostra audace nel distruggere l’antico, nel rigettare la tradizione, ecc.»[1].
Onde poi la discussione delle principali controversie sórte in più epoche sull’Anfiteatro Flavio, non interrompa il filo della narrazione, e non distragga soverchiamente il lettore, ho creduto cosa utile trattarle separatamente nella IV parte di questo studio.
Le numerose piante, finalmente, o la famosa flora del Colosseo; nonchè i frammenti epigrafici rinvenuti nel nostro Anfiteatro, formeranno il soggetto di due rispettive appendici.
INTRODUZIONE
STORIA GENERALE DEGLI ANFITEATRI.
«Il mondo vinto, scrisse Giovenale, si è vendicato dando a Roma tutti i vizî».
Triste ma incontestabile verità! Prima infatti che la romana Repubblica soggiogasse l’Oriente, i costumi del suo popolo erano semplicissimi; la guerra e l’agricoltura formavano la sua precipua occupazione, e spesse volte gli stessi magistrati, i consoli, i dittatori, ecc., spirato il tempo della loro carica, deponevano la toga e tornavano a coltivare i loro poderetti. Ma eccoci alle guerre Puniche! Eccoci alle guerre Macedoniche! Roma conquista progressivamente le province orientali; e, a misura che essa s’avanza nelle conquiste, di pari passo degenera la semplicità dei costumi del suo popolo. Colle nuove genti vengono in Roma le ricchezze; colle ricchezze i vizî.
Ma l’oro ed il lusso erano un privilegio dei soli nobili: di quei nobili, che, inviati a governare le conquistate regioni, tornavano in patria carichi di ricchezze e sfoggiando un eccessivo lusso orientale. Il basso popolo, immiserito, cencioso, ozioso, a causa dei grandi latifondi, addivenne la piaga di quel tempo. Alle oneste occupazioni preferì tosto i divertimenti ed i passatempi; all’agricoltura la sphaeromachia[2], la mora[3], gli scacchi[4], ecc.; e principiò a maggiormente bramare gli spettacoli pubblici, ed a reclamarli con esigenza, ritenendoli come istituzione sacra e di somma importanza. I governanti accondiscesero alla brama popolare, ed i nobili ambiziosi approfittarono, molto bene ed a loro pro, di questa congiuntura: i primi si servirono degli spettacoli come macchina della lor politica, ed i secondi per cattivarsi il favor popolare, carpire magistrature, ricche province ed autorità sul popolo.
Turbe immense accorrevano entusiaste agli spettacoli circensi, pei quali nutrivano special predilezione; e gli stessi giovanetti prossimi alla pubertà[5] abbandonavano volentieri il loro turbo (trottola) ed il trochus, o smettevano di gettare in aria la moneta sulla quale eravi effigiata, per lo più, la testa di Giano in un lato, ed una nave nell’altro[6], per recarsi al circo ad aprire la pompa.
Giovenale ci descrive i costumi dei suoi tempi: nota in peculiar modo questo sfrenato gusto del popolo romano, e dice che quelle stesse masse le quali un dì affidavano il comando, i fasci, le legioni, restrinsero poi i loro desideri al pane ed agli spettacoli circensi[7].
Ma se i romani trovarono nel circo il loro preferito diletto, non trascurarono però le gare atletiche, il teatro, gli spettacoli gladiatorî, nè, molto meno, le venationes, le quali, come in breve vedremo, diedero origine agli anfiteatri. Di questi il più famoso è il FLAVIO (oggetto, come dicemmo nella prefazione, di questo lavoro), le cui memorie storiche e monumentali, dalle origini ai tempi presenti, prenderemo ad esporre, dopo aver data una nozione storica e sommaria sugli anfiteatri in genere, sullo scopo della loro invenzione e sui pubblici spettacoli che in essi si solevano dare.
***
Fra gli edifizî destinati ai pubblici spettacoli, l’anfiteatro fu, per ragione di tempo, l’ultimo. La voce anfiteatro è di origine greca, sebbene non i Greci ma i Romani ne siano stati gl’inventori. Gli antichi si servirono dell’anfiteatro per i giuochi gladiatorî e per le venationes; ma queste e non quelli furono la causa della sua invenzione. Prima che gli anfiteatri esistessero, i gladiatori davano già i loro spettacoli; e la costruzione del più celebre degli ANFITEATRI fu intrapresa da un imperatore che non amava i gladiatori[8]. Niuno pensò a Roma a tal sorta di edifizî, fino a che la conquista di remoti paesi, la potenza e le ricchezze non eccitarono nell’animo dei Romani il desiderio di possedere incognite belve e di vederle ferocemente combattere.
L’anno 502 d. R., L. Cecilio Metello, Proconsole e Pontefice, riportava una clamorosa vittoria sui Cartaginesi. Palermo fu il teatro della battaglia; e, nella disfatta, il vincitore s’impadronì di 142 elefanti, i quali furono condotti in Roma ed introdotti nel Circo Massimo, a quei tempi unico edifizio, tra i destinati agli spettacoli, men disadatto degli altri per quella pericolosa e gigantesca rappresentazione. Gli elefanti furono uccisi a colpi di strale; e se il fatto potè attrarre l’attenzione pubblica, altro non fu, a mio parere, che per la novità della cosa. Quello spettacolo, infatti, non fu una caccia, venatio, ma un macello. I Romani, d’altra parte, volevano sbarazzarsi di tanto peso: il nutrimento e la custodia di quelle bestie colossali gravavano non lievemente l’erario pubblico; e vollero, inoltre, abituare la plebe a vedere quelle moli, che sovente doveano combattere a campo aperto. Questa circostanza fu nondimeno capace di muovere nell’animo del popolo il trasporto per le venationes; e più tardi, nell’edilità di Claudio Pulcher, secondo Plinio[9], o ai tempi di Pompeo, secondo Seneca[10] ed Asconio[11], principiarono le cacce elefantine.
La caccia di altre bestie fu introdotta dopo la seconda guerra Punica[12]. Tito Livio[13] ci dice che lo spettacolo degli atleti e la caccia dei leoni e delle pantere si videro in Roma, per la prima volta, nell’anno 568; nei giuochi, cioè, dati da M. Fulvio Nobiliore per un voto da questo fatto nella guerra contro gli Etoli. Da allora in poi s’importarono dall’Africa innumerevoli belve le quali, senza distinzione di specie, si dissero africanae[14]. Lo stesso storico[15] ci narra le solenni feste celebrate nel 586 d. R. dagli edili curuli Nasica e Lentulo.
Frattanto erasi introdotto presso i Romani l’uso cartaginese di esporre alle belve i disertori stranieri. Scipione Africano minore, imitando Emilio Paolo, suo padre, diè giuochi, nei quali espose alle belve disertori e fuggiaschi[16]; e questo fatto ci viene confermato da Valerio Massimo[17]. Questa pena fu poscia estesa, nelle province, anche ai cittadini romani[18].
La magnificenza delle venationes andò progressivamente crescendo. Quegli che dava uno spettacolo, ambiva sorpassare nella sontuosità chi avealo dato precedentemente. Scevola, nella sua edilità, celebrò per primo la caccia di molti leoni[19], i quali furono esposti nel circo, legati; perchè, essendo questo per sua natura indifeso, la ferocia di quelle belve poteva produrre funesti accidenti. Il primo che diè mostra di leoni sciolti fu Silla nell’anno 660 d. R.[20]. È da credersi nondimeno che a tutela degli spettatori si costruissero provvisori ripari, dacchè sappiamo che quando Pompeo, per festeggiare la dedicazione del suo teatro, diè un combattimento con elefanti, questi furono esposti nel circo racchiusi entro cancelli di ferro: e guai se così non si fosse fatto! Gli elefanti inaspriti per l’uccisione di uno di loro, tentarono di erompere in massa con grande sgomento e spavento di tutto il popolo[21]. Talchè Cesare, dieci anni dopo, nell’inaugurazione del suo Foro, volendo dare venationes ed un combattimento cogli elefanti, a maggior difesa degli spettatori fece scavare attorno al circo un euripo[22].
Nel 695 d. R. Scauro mostrò per la prima volta un ippopotamo e cinque coccodrilli, pei quali fece scavare un canale a bella posta[23]. Nel 698 il suddetto Pompeo, a fine di festeggiare la dedicazione del suo teatro, espose 500 leoni, i quali tutti rimasero uccisi.
Essendo giunta tant’oltre la magnificenza di questi spettacoli, e divenendo ogni dì più comuni; poichè gli edifici destinati ai giuochi, come i circhi ed i teatri, non presentavano per le cacce l’opportuna comodità, e d’altronde non offrivano la sicurezza necessaria agli spettatori[24]; fu d’uopo immaginare un nuovo edifizio che unisse la sicurezza e la comodità del teatro per gli spettatori all’ampiezza ed alla vastità del circo per gli spettacoli; vastità che doveasi anch’essa ridurre in modo che più circoscritta ne fosse l’arena. Fu allora che Cesare, ispiratosi alla novità di Curione, assai per fermo adatta allo scopo, uno ne costrusse di legno[25], l’anno 708 d. R. allorchè fè celebrare varî giuochi onde solennizzare la dedicazione del suo Foro e del tempio di Venere genitrice[26].
Volendo Curione[27] sorpassare Scauro nell’artifizio, giacchè non poteva sorpassarlo nella sontuosità dei giuochi di recente celebrati[28], costrusse due grandi teatri lignei, l’uno vicino all’altro[29]. Terminate le rappresentazioni drammatiche e mimiche, e tolte le scene, questi due teatri si facevano girare con tutti gli spettatori, sopra i rispettivi cardini[30]: chiudevansi insieme, ed unendosi ambedue gli emicicli, formavano un teatro circolare, la cui arena presentava un vasto campo, attissimo a celebrarvi gli spettacoli gladiatorî. Meccanismo maraviglioso! Plinio[31], non lontano da quell’epoca, oltremodo meravigliato ed attonito, confessa di non sapere se meritasse più ammirazione il genio dell’inventore o il ritrovato; l’artista o chi lo eseguì; il coraggio di chi l’ordinò o l’imperturbabilità del popolo Romano, il quale si sottomise ad un tanto azzardato esperimento[32]. È inutile ricordare che questa macchina agì per soli due giorni: il terzo dì non si osò farla di nuovo girare; e, lasciati i due emicicli congiunti, si costruirono in mezzo ad essi le scene temporanee, le quali poi si disfecero, restando fermi gli spettatori. Questa novità di Curione, cui s’ispirò Cesare, questo ligneo edificio diè l’idea primiera del Teatro venatorio[33] o Romano ANFITEATRO.
***
Il nome e la cosa ebbero origine ad un tempo. Calpurnio lo disse ovum[34]; Strabone e Dionisio, ambedue dell’epoca augustea, lo chiamarono anfiteatro; e di questa stessa voce si servì Vitruvio[35]. Ovidio[36] scrisse:
.... structoque utrimque theatro
Ut matutina cervus periturus arena.
Dione: Theatrum venatorium quod et Amphitheatrum dictum est ex eo quod sedes undique in orbem habeat sine ulla scena[37]. E Cassiodoro: Cum theatrum quod est hemisphaerium, grecae dicatur Amphitheatrum, quasi in unum juncta duo visoria, recte constat esse nominatum. Ed altrove: Ovi speciem eius arena concludens....
All’anfiteatro ligneo eretto da Cesare, ne seguì uno di pietra edificato da T. Statilio Tauro[38] nel Campo Marzio; e successivamente ne vennero edificati altri in Roma, nei municipî, nelle colonie italiche ed in altre città dell’Impero[39]. Statilio Tauro eresse il suo anfiteatro per suggerimento di Augusto, il quale avea progettato l’edificazione di uno che fosse degno della metropoli del mondo, e pensato di erigerlo media urbe[40]: progetto più tardi effettuato da Fl. Vespasiano. In Roma, per molto tempo, vi fu il solo anfiteatro di Statilio Tauro[41]. Caligola principiò a costruirne un altro, ma non lo portò a compimento[42]. Nerone ne edificò uno di legno[43].
L’anfiteatro fu adunque un’invenzione del tutto romana[44]; e lo scopo principale e primario di questo edificio fu la venatio; il secondario, gli spettacoli gladiatorî[45].
Ed ora, prima di dare un cenno sommario di questi spettacoli, crediamo opportuno presentare ai lettori un quadro generale delle parti costituenti un anfiteatro, riservandoci di parlarne più minutamente allorquando tratteremo dell’ANFITEATRO FLAVIO.
***
Le parti esterne di un anfiteatro consistevano nelle arcuazioni che formavano i portici; questi poi servivano per la comoda comunicazione tra le gradinate dei diversi piani, e per riparo agli spettatori in caso di pioggia. I portici constavano: 1º di corridoi, ambulacra; 2º di accessi in piano alle scale, itinera; 3º di scale, scalae.
Le principali parti interne erano: l’arena e la cavea. La prima avea forma ovale, ed alle estremità dell’asse maggiore s’aprivano grandi porte per l’introduzione delle fiere nella mostra precedente il periodo dei giuochi, pel solenne ingresso della pompa gladiatoria e per l’estrazione dei caduti nella lotta.
L’arena degli anfiteatri era generalmente pensile, e nei sotterranei, hypogaea, v’erano le celle per le belve, e vi si facevano manovrare le macchine, pegmata, per gli improvvisi spettacoli[46].
La cavea era la parte ove sedevano gli spettatori. La sua forma era concava o ad imbuto[47]. Nei maggiori anfiteatri la cavea dividevasi in podium, gradatio[48] e porticus: in questi la gradatio era divisa in più ordini dalle praecinctiones, secondo l’altezza dell’edificio; nei minori, in podium e gradatio indivisa.
Il podium era il terrazzo che circoscriveva immediatamente l’arena; ed essendo la parte più prossima allo spettacolo, era altresì la parte più distinta. Elevavasi dall’arena tra i 7 e i 12 piedi; era fornito di parapetto, e difeso dagli assalti delle fiere per mezzo di reti metalliche e di altri artificiosi ordigni.
L’Imperatore, la famiglia imperiale, i principali magistrati, le vergini Vestali, il pretore e l’editore dei giuochi prendevan posto nel podium (spectabant ad podium), il quale era elegantemente ornato.
Le praecinctiones, zone verticali, a piè delle quali girava un viottolo, iter[49], dividevano la gradatio in ordini diversi, i quali a misura che s’allontanavano dal podium divenivano meno distinti, ed erano occupati con un certo ordine gerarchico.
Prima della legge Roscia tutti gli spettatori sedevano alla rinfusa[50]. Plutarco dice che ai tempi di Silla anche le donne sedettero miste cogli uomini, ma che poi Ottaviano le separò, e volle che sedessero nel luogo più elevato[51], e quindi più appartato dall’arena.
Vomitoria erano le aperture o porte per le quali il popolo sboccava su i gradus o sedili.
Scalaria venivano detti i piccoli gradini corrispondenti ai vomitoria, pei quali gli spettatori poteano comodamente salire o scendere, onde collocarsi sui rispettivi sedili: e poichè i vomitoria erano disposti a scacco, e lo spazio fra tre scalaria costituiva un cuneus, perciò si designò col nome di cuneus ciascuna delle grandi sezioni della cavea.
I posti si distinguevano fra loro per una linea che trovavasi nei sedili stessi, ed il luogo assegnato dicevasi locus. Per evitare ogni possibile confusione, ciascuno spettatore dovea premunirsi di una tessera d’ingresso, la quale presentavasi ai designatores: a quegli ufficiali, cioè, che si trovavano in ciascun vomitorium. Nella tessera indicavasi il cuneus, il gradus, ed il posto o i posti da occuparsi; così, p. e., CVN. III. GRAD. IV. LOC. I.
I falliti e coloro che aveano disperse le loro facoltà, venivano confinati in luogo separato[52].
I sedili spettavano a coloro i quali li occupavano, purchè appartenessero al rispettivo ordine gerarchico; ma lasciati, anche per breve tempo, perdevansi. Ciò si deduce chiaramente dalle parole che Augusto diresse ad un cavaliere romano. Io, disse questo Imperatore, quando voglio desinare, me ne vado a casa. Il cavaliere rispose: Tu puoi farlo, perchè non temi ti venga da altri occupato il posto[53].
Era severamente proibito ai graduati assistere agli spettacoli senza indossare l’abito che noi diremmo di etichetta[54]. I semplici cittadini doveano indossare la toga. Si riteneva per cosa indecente il bere mentre celebravansi spettacoli anfiteatrali[55]; e Lampridio dice di Commodo esser questo stato uno spudorato, precisamente perchè soleva bere nell’anfiteatro.
Gli spettatori sedevano su appositi assi lignei, stesi sui gradi di pietra. Ai tempi di Caligola i Senatori usarono cuscini, onde non sedere sulla nuda tavola[56]. Più tardi i Senatori sederono sulle seggiole, e i loro cuscini passarono agli Equites. Augusto sedè su di una sedia curule[57]: Tiberio e Seiano usarono sedie dorate[58].
La forma di queste sellae si vede in molte medaglie; la materia ce l’indica Orazio[59], il quale le dice «curule ebur», d’avorio; esse competevano a varie dignità[60].
Seneca[61] rammenta che dal fondo dell’anfiteatro si facevano salire fino alla cima liquidi odorosi, i quali schizzando in aria, spargevansi a guisa di minutissima pioggia. Queste effusioni si dissero sparsiones, o, come leggesi presso l’altro Seneca[62], pioggia profumata.
Gli spettatori venivano riparati dai raggi del sole da tende, vela; e queste costituirono poi il famoso velarium, di cui ben presto parleremo.
***
Gli spettacoli che si celebravano nell’anfiteatro facevano parte, come tutti gli spettacoli, della religione pagana; ed erano sacri: la caccia a Diana[63], i combattimenti gladiatorî a Marte[64]. Prudenzio chiama i ludi gladiatorî triste sacrum.
Negli spettacoli venatorî i combattenti dicevansi venatores e bestiarii, e quegli che dava i giuochi appellavasi editor o munerarius o munerator. I questori, i pretori, e specialmente gli edili, nell’epoca della Repubblica, onde cattivarsi, come dicemmo, la benevolenza del popolo e quindi poter ascendere più agevolmente a più alte cariche, furono coloro che più particolarmente davano tali spettacoli. Durante l’Impero furono celebrati dagli Imperatori e da quei che venivano promossi al consolato. I magistrati tanto al tempo della Repubblica che dell’Impero imponevano tasse alle province per affrontare le spese dei giuochi che si celebravano in Roma. Cicerone esimè l’Asia da questa tassa[65]. Non di rado i ricchi lasciarono in testamento legati per la celebrazione di cotesti spettacoli; e questi legati entravano nella categoria di quelli che dicevansi ad honorem civitatis[66].
Tra le occasioni in cui davansi questi giuochi, alcune erano ordinarie o di data certa; straordinarie o di data incerta altre. Le prime erano: il natale dei Cesari[67] e l’anniversario di qualsiasi fausto avvenimento[68]. Le seconde: l’assunzione all’Impero od al Consolato; la dedicazione di un pubblico edifizio[69]; pro salute Caesaris[70]; le nozze di questo[71]; la partenza dell’Imperatore per la guerra; la vittoria, il trionfo, i funerali di un personaggio ragguardevole, ecc. Opportuni AVVISI o EDITTI, notificavano al popolo l’ordine dei giuochi, il motivo ed il giorno della loro celebrazione[72].
Le belve per gli anfiteatrali spettacoli romani provenivano dalle province dell’Impero, ed anche da paesi stranieri. Gli orsi si traevano dai boschi della Caledonia e della Pannonia; i leoni e le pantere dall’Africa[73], e specialmente dalla Numidia: la quale regione, al dire di Plinio, non rendeva altra cosa di qualche importanza che il marmo numidico e le belve[74]. Le tigri provenivano dalla Persia; i crocota (Κροκωτά) ed il rinoceronte dall’India; e dall’Egitto i coccodrilli e gli ippopotami.
La caccia delle belve facevala quei che aveva in animo di dare gli spettacoli; ma poichè erano gli Imperatori coloro che soventemente celebravano le venationes, questi stipendiavano a tal uopo un gran numero di venatores, i quali dovevano curare di prendere le belve senza danneggiarle. Prese che fossero, venivan consegnate ai mansuetarii, i quali le conducevano in Roma, le domavano, le custodivano ed ammaestravano. Una classica testimonianza di questi ammaestramenti l’abbiamo in Marziale[75]:
Picto quod iuga delicata collo
Pardus sustinet, improbaeque tigres
Indulgent patientiam flagello:
Mordent aurea, quod lupata cervi,
Quod frenis libyci domantur ursi
Et quantum Calydon tulisse fertur
Turpes esseda, quod trahunt bisontes,
Et molles dare iussa, quod choreas
Nigro bellua nil negat magistro:
Quis spectacula non putet deorum?
Haec transit tamen, ut minora quisquis
Venatus humiles videt leonum,
Quos velox leporum timor fatigat,
Dimittunt, repetunt, amantque captos
Et securior est in ora praeda;
Laxos cui dare perviosque rictus
Gaudent et timidos tenere dentes;
Mollem frangere dum pudet rapinam:
Stratis cum modo venerint iuvencis.
Haec clementia non paratur arte,
Sed norunt, cui serviant leones.
Da questi versi vediamo chiaramente quale accurata diligenza si ponesse ai tempi di Domiziano nella celebrazione dei giuochi anfiteatrali; ed inoltre vediamo (il che si legge in altri epigrammi di Marziale) che non sempre, negli anfiteatri, si rappresentarono scene sanguinose. È certo però che i custodi, mansuetarii, sapevano, con altri modi e quando faceva d’uopo, far montare le fiere in furore[76].
Le belve si facevano pervenire in Roma in carri ed in barche, legate o racchiuse in gabbie, secondo la loro fierezza[77]; e per pedaggio v’era un dazio del 40%[78].
I Senatori erano esenti da questo dazio; e Simmaco[79] reclama e dice che il dazio dovrebbe gravare i soli negozianti e speculatori.
Nei graffiti scoperti il 1874 nell’Anfiteatro Flavio, come pure nel bassorilievo Torlonia[80] ed in un musaico del Museo Gregoriano e negli stucchi del sepolc