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Tenebre personali
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Tenebre personali

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About this ebook

Giulia Costantini è la vedova, non più giovane ma ancora attraente, di un ricco industriale genovese. La sua vita si svolge senza traumi, quasi con monotonia: non c’è nulla di oscuro, non esistono segreti. Eppure un giorno qualcuno la uccide. Il commissario Mignone deve inoltrarsi in un mondo di gente potente, apparentemente malata di perbenismo, e deve scavare a lungo e con molta pazienza prima di riuscire a scoprire i sepolcri imbiancati e le tenebre inconfessabili che avvolgono alcuni di loro.
LanguageItaliano
Release dateMay 11, 2014
ISBN9788875639693
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    Tenebre personali - Graziella Mazzarello Maffei

    I

    Giulia Costantini Traverso era stata una donna molto bella. Ovvero, così avrebbero risposto quelli che la conoscevano a chi avesse domandato il loro parere: in effetti la sua non era una bellezza perfetta e classica, aveva la mascella un po’ troppo pronunciata, il naso appena troppo lungo, ma gli occhi erano grandi, d’un verde dorato e il personale alto e slanciato; tuttavia il suo punto di forza era costituito dal fascino, quell’incomprensibile astrazione per cui una persona risulta bellissima, anche se, nel senso lato della parola, bellissima non è.

    Tutto questo era stata Giulia durante la vita.

    Adesso che giaceva in terra nel suo salotto non sembrava più così attraente: i lunghi capelli, sapientemente tinti di un biondo striato dalle mèche, erano scarmigliati e sulla nuca si era coagulata da tempo una notevole quantità di sangue, lo stesso che si era allargato sotto il suo viso e aveva rovinato forse irrimediabilmente il prezioso tappeto Aubusson. I grandi occhi verdi ancora aperti denunciavano il terrore, il viso ancora truccato era solcato da grosse lacrime di mascara che la facevano somigliare a uno squallido, patetico Pierrot. Solo il corpo sembrava non aver voluto lasciarsi andare neppure in quegli ultimi istanti feroci: stava sdraiato quasi con grazia, le gambe composte, le braccia protese sopra il capo: se non ci fosse stato il viso sconvolto, pareva quasi che la donna si fosse allungata in terra per riposare.

    Non deve essere sopravvissuta a lungo commentò il commissario Mignone, accucciato a lato del corpo inerte I colpi che l’hanno raggiunta sono stati estremamente violenti. Ma il medico legale ci dirà qualcosa di certo.

    Il suo sguardo si posò ancora una volta sull’oggetto che presumibilmente era l’arma del delitto, poi vagò attorno alla stanza, notando particolari che in una prima ricognizione gli erano sfuggiti: la mobilia, quasi tutta antica, ad eccezione degli ampi, eleganti divani, le tende di seta, i fiori in un vaso di cristallo molto delicato, i quadri di autori antichi e moderni mischiati fra loro da una mano sapiente, la grande porta di noce massiccia aperta su di un’altra sala arredata con lo stesso impeccabile gusto.

    Lo sai che cosa ti dico? chiese pleonasticamente all’agente che gli stava vicino questa poveraccia ricchissima mi fa una grande pena.

    Ad ogni modo, l’ha detto lei, è quasi morta sul colpo.

    Come se questo rendesse tutto molto più accettabile.

    E poi non ne era più così sicuro.

    Mignone scosse il capo lentamente:

    Non abbastanza in fretta esclamò questa donna ha avuto il tempo di piangere, e anche di piangere molto....

    La persona che stava in piedi accanto alla porta teneva le mani intrecciate e gli occhi bassi: intorno a lei si muovevano gli agenti della scientifica armati dei loro pennelli e delle loro attrezzature misteriose: si attendevano il medico legale che era, come al solito, in ritardo e il magistrato incaricato, e questi poteva essere molto solerte oppure prendersela comoda. Nessuno avrebbe fatto osservazioni.

    Nulla poteva scuotere la persona accanto alla porta: sembrava immersa in un torpore simile all’ipnosi e soltanto le nocche delle mani che diventavano bianche denunciavano la forza con cui erano strette.

    Mignone si rialzò lentamente e sistemò i pantaloni alla vita. Non era un uomo corpulento, ma le sue movenze erano lente, era abituato a fare ogni cosa senza precipitazione: chi non lo conosceva bene poteva ritenerlo tardo anche nella mente, ma in questo si sarebbe sbagliato del tutto: se le sue azioni non erano mai affrettate, se non perdeva la calma anche nelle emergenze, il suo cervello correva all’impazzata e riusciva a incamerare immagini e informazioni molto più in fretta di qualunque altro poliziotto. Tanta pazienza riusciva a trovare fino a che non risolveva i casi, altrettanto poca ne metteva nei suoi rapporti con persone ottuse o fastidiose. Erano famosi i suoi scatti d’ira con sottoposti non particolarmente rapidi a comprendere le situazioni, e, se riusciva a trattenersi con gli interrogati, era soltanto per la sua lunga esperienza. Ma era un poliziotto solido, intelligente e perspicace.

    Adesso, ad esempio, ripeté più per se stesso che per gli altri:

    Come mai questa povera donna ha avuto il tempo di piangere?.

    Il levante di Genova è costituito da una serie di piccoli borghi, una volta indipendenti, poi riuniti nella città, e sono quasi tutti posti incantevoli, non molto rovinati dalle costruzioni selvagge del dopoguerra, che continuano a possedere ognuno la sua personalità e la propria grazia d’altri tempi. Tutta la zona è attraversata dalla vecchia strada romana Aurelia ai lati della quale sorgono palazzi moderni, negozi, bar, ma anche ville costruite agli inizi del ‘900 e certune molto tempo prima: erano le abitazioni estive dei nobili o dei ricchi commercianti di una volta. Data la conformazione della strada, la litoranea con il mare a destra per chi si sposta a est, esiste un posto che tutti chiamano il rettilineo di Quinto proprio perché è l’unico tratto di strada a non formare curve. Il luogo è attraente come tutti gli altri della zona, con vecchie case dignitose quasi tutte dipinte del rosa ligure, palme che si ergono nei giardini privati e cascate di glicine. Nonostante il traffico, questo posto dà subito l’impressione di tranquillità e di calma: sembra un luogo in cui il tempo si sia fermato a molti, molti anni prima. Non è il solo, però è uno dei pochi ad avere anche una discreta attività commerciale. Durante il corso degli anni molte attività si erano succedute nei piccoli negozi che servivano questa delegazione: macellerie, fruttivendoli, attrezzature per la pesca avevano lasciato il posto a boutique dai prezzi esorbitanti, gelaterie di grande fama, piccoli supermercati. L’unica attività che proseguiva da tempo immemorabile era una graziosa cartoleria situata in un posto strategico vicino all’ingresso della scuola elementare, la cui conduzione era passata di mano fra i membri della stessa famiglia. Come l’unica costruzione che non aveva mai subito rifacimenti era la villa situata in alto, fra il verde di un vialetto molto discreto: si chiamava Villa Ortensia. Questa era uno dei pochi edifici a non aver subito molti danni dagli eventi bellici; nel corso degli anni era passata di mano varie volte, seguendo le alterne vicende dei proprietari, nessuno dei quali aveva mai pensato di ristrutturarla. C’erano stati vari interventi per il buon mantenimento, ma nessuno si era sognato, ringraziando il Cielo, di alterarne per sempre la grazia un po’ decadente del periodo in cui era stata costruita. L’ultimo proprietario era stato il cavalier Costantini, pezzo grosso dell’acciaio, un industriale di stampo antico e molto poco democratico.

    La sua prima moglie, una signora magrissima e svaporata, morì in età relativamente giovane tanto da consentire al marito di convolare a nuove nozze con una donna parecchio più giovane e probabilmente di estrazione sociale meno elevata.

    Non è una signora dicevano i commercianti della zona, anche se apprezzavano il fatto che li salutasse sempre con gentilezza e facesse sovente acquisti nei loro negozi.

    L’unico figlio del precedente matrimonio era andato via da tempo e si era stabilito in Svizzera dove, si diceva, aveva creato un altro impero economico alla faccia del padre con cui non era mai andato d’accordo. Poi il cavalier Costantini era passato a miglior vita abbandonando il suo patrimonio nelle mani della moglie, ancora discretamente giovane e attraente, perché potesse sperperarlo in allegria.

    Il che non era successo. Giulia Costantini Traverso abitava nella villa con la sola compagnia di un cameriere. Prima c’erano due cagnolini Yorkshire, due ciabatte pelose ornate dell’immancabile fiocchetto, che latravano frequentemente con una vocetta stridula e antipatica. Ma erano morti a poca distanza l’uno dall’altro e non erano stati sostituiti.

    L’altro pezzetto di quel microcosmo che aveva subito ben poche trasformazioni era, dunque, il negozio del cartolaio. Attualmente era gestito da una coppia di mezza età, discendenti dalla persona che l’aveva aperto e fatto prosperare.

    L’ultima proprietaria della gloriosa cartoleria arrivava tutte le mattine alle otto e si infilava nel vicino bar Gina per fare colazione. Il marito apriva il negozio, pronto ad affrontare l’assalto dei bambini che andavano a scuola e che avevano fretta di acquistare quaderni, fogli da disegno insieme all’ultimo mostro di plastica immesso sul mercato o l’ultimo vestitino della Barbie.

    Sua moglie, invece, indugiava qualche minuto al bar per scambiare una breve conversazione con il barista. Questi era un giovane di circa trentacinque anni che si chiamava Enzo e che le preparava il cappuccino con molto caffè e poco latte e con una spruzzata di cacao, proprio come piaceva a lei. Gina, la moglie del barista e unica titolare del bar, era una donna matura, molto più vecchia del marito e dal carattere opposto: tanto Enzo era allegro ed espansivo, tanto lei non esitava a mostrare le sue antipatie trincerandosi dietro un viso impenetrabile, ancora bello, ma che denunciava l’incuria con cui la donna trattava gli altri e se stessa. Aveva folti capelli ondulati ma quasi sempre lasciavano intravedere il grigio dell’attaccatura. Anche nei vestiti Gina dimostrava una rinuncia ostile: in inverno si infagottava dentro due o tre golf fatti a mano e troppo larghi, sui quali indossava un grembiule a righe, pulitissimo ma stropicciato. D’estate le sue magliette erano scolorite dai troppi o troppo inesperti lavaggi cosa che capitava anche ai jeans.

    E ridi qualche volta la incitava Enzo che ascoltava con interesse le barzellette narrate dagli avventori gratificandoli di grasse risate. Ma lei niente: i suoi occhi non si illuminavano mai di un sorriso e continuava ad asciugar bicchieri come se fosse stata sola nel locale. I clienti smettevano di ridere di colpo, salutavano e si precipitavano fuori.

    Una volta Vittoria, la proprietaria della cartoleria, aveva tentato di parlare con lei: era una donna molto dolce, le piaceva andare d’accordo con gli altri commercianti della strada e avrebbe desiderato vedere tutti sereni. Aveva tentato di farsi raccontare il perché di quell’eterno scontento e lo aveva fatto con molta delicatezza. La Gina si era sbottonata quel tanto per farle sapere che la sua vita era stata un tragico equivoco, che aveva sposato l’uomo di cui era molto innamorata, ma che ne era stata dolorosamente delusa.

    Ma Enzo mi sembra un bravo ragazzo... aveva insistito Vittoria.

    Ecco, ha detto giusto: è un ragazzo che non vuole crescere, non vuole responsabilità. Neppure un figlio ha voluto: se lo avessi, adesso, non mi sentirei così sola....

    Ma siete ancora in tempo. Io non rinuncerei ancora.

    La Gina, finalmente, si mise a ridere, ma quella non era una risata normale: nelle sue intenzioni doveva suonare sarcastica, invece fu soltanto sgradevole:

    Alla mia età! Ma lo sa quanti anni ho?... Be’ non glielo dico, ma sono quasi in menopausa. No, mi creda, non c’è più speranza... Lui va, viene, esce la domenica, le ferie le va a passare al suo paese in Puglia... E io sempre a casa... Ha capito?.

    Vittoria decise di non continuare la conversazione; in fondo quelli non erano affari suoi. Tuttavia né a lei né agli altri commercianti Enzo dava l’impressione di essere un tiranno egoista.

    Era una persona semplice, Vittoria, ma aveva capito quali fossero le priorità per essere felici: non fare sogni impossibili e godere di tutte le piccole cose piacevoli che ti capitano. Aveva un bravo marito che non si tirava mai indietro quando si trattava di lavorare sodo, due figli un po’ scapestrati ma non quanto altri di cui sentiva le malefatte, e quel negozio che amava e cui dedicava la massima parte del suo tempo. La porta d’ingresso si apriva sulla strada, ma dalla finestra del retro si poteva ammirare un panorama fantastico. Il mare sciabordava a pochi metri sbattendo contro una piccola spiaggia di sassi dove durante l’estate molti ragazzi venivano a fare il bagno: Lei stessa ne aveva profittato all’ora di intervallo e si sentiva vagamente orgogliosa di essere una dei pochissimi commercianti che possono uscire dal negozio, svoltare l’angolo e tuffarsi in mare.

    Il suo vicino che gestiva un negozio di primizie era completamente l’opposto. Non faceva che lamentarsi degli scarsi profitti, dei clienti noiosi mentre tutti sapevano che questi poveri disgraziati erano giornalmente rapinati dai prezzi assurdi che praticava.

    Il fruttivendolo era anche pettegolo e le disavventure di Enzo e sua moglie erano il suo bersaglio preferito.

    L’avrà anche sposata per interesse raccontava ma quando si corica vicino a quella lì, gli sembrerà di fare l’amore con il becchino....

    E giù tutti a ridere del povero Enzo che, credendo di sistemarsi al calduccio con una donna proprietaria di un bar, si era invece ritrovato col sedere scoperto e il guinzaglio al collo. Perché la Gina era anche molto gelosa e quando nel bar c’erano delle ragazze giovani che civettavano col marito, quest’ultimo veniva incenerito con lo sguardo. Immediatamente lui si dava un contegno, non rispondeva più agli scherzi e lustrava con forza esagerata gli specchi già scintillanti.

    Le ragazze andavano via sculettando nelle minigonne e voltandosi più volte con sorrisini sardonici. Lo sapevano benissimo, ma si divertivano troppo a fare le cretine con Enzo in presenza della moglie: era una prassi ormai consolidata.

    Un altro personaggio che stuzzicava la fantasia dei pettegoli era la signora Costantini. Indubbiamente i proprietari di Villa Ortensia erano sempre stati le persone più autorevoli che abitavano nella zona e l’interesse generale era sempre stato focalizzato su di loro. Ma, finché era vissuto il cavaliere, nessuno avrebbe osato sparlare di lui e della sua famiglia, anche se ce ne sarebbe stato il verso: l’avversione del figlio per il padre, la loro separazione, la nuova moglie bellissima e troppo giovane: una cortina quasi impenetrabile circondava la villa di autorevolezza e superiorità e nessuno osava esprimere ad alta voce le proprie opinioni. Provavano per gli abitanti della villa una sorta di rispetto, gelido, dovuto, ma pur sempre rispetto. Adesso i tempi erano cambiati; la figura imponente e autoritaria del cavaliere era scomparsa e tutti sentivano che della moglie si poteva parlare tranquillamente perché, come qualcuno aveva detto non era una signora.

    Quel cameriere che si tiene in casa dicevano è troppo bello, troppo giovane. Perché non lo manda via e non assume una donna?.

    La frase lasciava intendere che ci fosse qualcosa di losco fra i due e, se c’era qualcuno disposto ad abboccare, la conversazione diventava molto interessante.

    Un giorno si stava appunto sparlando di Giulia Costantini nel bar Gina.

    Sembra che abbia trovato il suo principe azzurro! disse Enzo mentre serviva una birra badando bene a non creare troppa schiuma.

    "Se stai parlando del cameriere arrivi un po’ in

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