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Amaro Gianduja
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Amaro Gianduja

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In un caldo ferragosto torinese Ulisse muore investito da un'auto: di lui non si conosce praticamente nulla: uomo irreprensibile, gran lavoratore, tranquillo e affabile con tutti ma senza amici e apparentemente senza affetti famigliari, insomma un'esistenza banale finita in un ancor più banale incidente. È così che il dottor Daidola, sarcastico e disincantato capo del personale della Conogel (azienda produttrice di cialde per gelati dove Ulisse era occupato come autista), con uno spiccato talento da gourmet del mondo femminile, si trova suo malgrado a dover indagare, per motivi amministrativi, su una disgrazia che si rivela col passare del tempo, sempre meno tale.
In una Torino a tratti grotteschi, a tratti simpaticamente famigliare, ormai lontana dal mito ambivalente della Grande Fabbrica ma ancora alla ricerca di una identità ben definita, si dipana una trama gialla che porterà il dottor Daidola fin nella lontana e ammaliante Sicilia, alla ricerca della soluzione di un dramma che ha le sue radici in un tempo lontano.
LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2012
ISBN9788875638146
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    Book preview

    Amaro Gianduja - Walter Peirone

    Prologo

    9 giugno 1990 – Sicilia

    Ci mancava anche l’esordio della nazionale italiana ai mondiali di calcio: con l’eccezione di due ragazzi adoranti, il ristorante sul lungomare era deserto e l’unico cameriere presente serviva le portate eclissandosi velocemente all’interno della cucina dove ad intermittenza si udivano delle voci, sicuramente appartenenti ad umanità incollata ad un televisore. Nel piatto restavano dei residui d’involtini di vitello: nonostante avesse appetito si era sentita nuovamente triste e maledì ancora una volta la sua masochistica testardaggine. Desiderava ad ogni costo visitare quella parte di Sicilia, sino all’eccesso di litigare e poi abbandonare gli altri sulla spiaggia di Giardini Naxos: si sarebbero ricongiunti ad Agrigento. Giuseppe, l’unico intenzionato a seguirla, s’era arreso per non alterare i già fragili equilibri nervosi di Margherita e, considerando che per il resto della compagnia costituiva un’impresa titanica doppiare a piedi via Condotti, non aveva esitato ad andarsene via da sola, zaino in spalla, per tre giorni.

    Anche per dessert ordinò quello che servivano sul tavolo frontale al suo: questa volta, a differenza degli ammucca ammucca, non seppe ripeterne il nome ma la coppia gli spiegò che si trattava di un dolce con panna e fichi freschi. Prese ad osservarli con attenzione: poco più che ventenni, anche quando mangiavano si tenevano sempre per mano e si domandò se la ragazza fosse davvero mancina o si sacrificasse per rubare attimi di felicità. Immaginò Giacomo materializzarsi al suo fianco, mentre adesso, estraneo alla mania calciofila che in quei giorni contagiava il paese, era sicuramente a svolgere quel turno serale in ospedale che normalmente toccava a lei. Simultaneamente a poco patriottici pensieri pro-Austria, udì strilli gaudenti giungere dalla cucina: l’Italia aveva evidentemente segnato.

    Pochi minuti dopo il solito cameriere entrò in sala urlando frasi entusiaste su uno che di cognome faceva Squillaci o Schillaci. non apprese bene, ma capì che era un giocatore originario della Sicilia e che il primo atto d’Italia ‘90, il più grande sperpero di denaro pubblico dal 1861 ad oggi, era finito in gloria.

    Indugiò ancora, affascinata dal locale che iniziava a rianimarsi e giudicando appropriato quel nominativo di Acquamarina con una graziosa scalinata che adiacente alla terrazza congiungeva agli scogli: assegnò il giusto merito ad un costruttore che aveva dimostrato disprezzo per le brutture edilizie così in voga quegli anni.

    Quando fece per alzarsi per chiedere il conto, un uomo dalla grossa corporatura gli sbarrò momentaneamente il passaggio unendosi alla coppia di fidanzati: vide nel ragazzo un’espressione di paura seguita da un sorriso forzato; anche la ragazza parve a disagio e si coprì le spalle nude con una giacca nonostante la temperatura fosse elevata. Il nuovo arrivato si sedette conversando ad alta voce ma facendolo nel dialetto locale, per lei assolutamente incomprensibile. I ragazzi rispondevano a monosillabi scambiandosi sguardi interrogativi. Più volte fu citato il termine ‘padre’ ed anche ‘carabiniere’ in quello che assomigliava sempre di più ad un monologo, fin quando dalle mani dell’uomo non comparve un mazzo di chiavi che gettò sul tavolo dinanzi alle braccia conserte del giovane che si alzò pallido in volto e come un automa uscì dalla sala. Fissava adesso la ragazza e fu certa di scorgere un tremore quando l’individuo gli diede un buffetto sulla guancia, poi sentì un boato assordante e corse fuori.

    Nel parcheggio di terra battuta, tra gli scogli e la strada provinciale, c’era un’automobile che bruciava e urla disumane che laceravano l’aria calda proveniente dal mare.

    Dodici anni dopo

    1

    Torino

    Quando un corridore attraversa un momento di palese difficoltà continua a smanacciare sul cambio: era una frase che costituiva un cavallo di battaglia di quel telecronista, ora defunto, che per secoli aveva monopolizzato il ciclismo in televisione e solitamente la ripeteva sui primi tornanti dello Stelvio o del Mortirolo.

    Espletavo inutilmente identica funzione macinando chilometri a Mirafiori Nord, quartiere periferico privo di qualsiasi asperità altimetrica, ingaggiando una lotta impari con i miei arti inferiori nel frattempo diventati di piombo.

    Fortunatamente potevo disegnare traiettorie ebbre d’illogicità, guadagnando l’asfalto compatto dribblando tombini e buche: dicono che Torino non si svuoti più ad agosto principalmente perché i biblici esodi meridionali siano in esaurimento per selezione naturale di genitori d’immigrati. sarà anche vero, ma bighellonando senza costrutto per la città visualizzavo unicamente fossili inerti sulle panchine che esalavano vita dondolando impercettibilmente il capo quando autobus ripudianti fermate trasformavano la tratta urbana in una succursale d’Indianapolis.

    Personalmente, poiché costretto da impegni professionali quasi agli arresti domiciliari, anestetizzavo alla meno peggio il ponte di Ferragosto: infatti se sei il capo del personale di una azienda che si occupa di prodotti di gelateria, la proprietà richiede la tua presenza costante nell’eventualità che, in assenza della stessa, le linee operative pulsanti produzione vomitino sulla scrivania una certificazione medica per infortunio di un fenomeno che si è dimenticato un dito in una macchina da confezionamento o dal passante interno si diffonda la voce stridula di un caporeparto che implori una lettera di contestazione disciplinare per un operaio che ha insinuato atteggiamenti equivoci della di lui moglie, per la cronaca in vacanza con pargoli e suoceri a Diano Marina.

    Insomma, anche se per tutto il mese di agosto mi trasformo in un provvisorio padrone delle ferriere riferendo solamente all’amministratore delegato, quello del responsabile delle risorse umane come viene pomposamente definito adesso, è un mestiere assolutamente ingrato che solo per un avverbio si differenzia da quello del ginecologo: loro lavorano ‘dove’ tutti gli altri si divertono, noi lavoriamo ‘quando’ tutti gli altri si divertono. Mestiere che alle diciotto e quarantacinque di venerdì sedici agosto ti relega su una dozzinale mountain bike da supermercato a percorrere corso Allamano mentre gli amici stazionano a baia Sardinia o Santorini.

    Decisi di deviare a destra imboccando via Carlo Casalegno: 1916-1977 scorsi sulla targa, alcune pedalate e incrociando via Giuseppe Ciotta 1947-1977 e via Fulvio Croce 1901-1977, realizzai come l’efficienza della colonna torinese delle Brigate Rosse e dei fratelli germani di Prima Linea avesse fornito un corposo contributo alla toponomastica rionale. Un giornalista, un poliziotto, un avvocato e tutto nel 1977: il rivoluzionarismo avventurista s’inventò una guerra che non c’era ed esistenze personali di perdenti autoproclamatisi paladini della classe operaia, si trasformarono in quelle di feroci assassini.

    Sentii il sibilare dei freni e lo sgommare dell’auto che improvvisamente si materializzò dall’incrocio parandosi frontalmente: per puro istinto di conservazione impugnai il manubrio scartando di lato mentre la sagoma a motore mi sfiorava la gamba sinistra. puntai appena i piedi in terra e nel voltarmi osservai un’Alfa Romeo 156 blu scuro che inchiodò una cinquantina di metri in avanti, dinanzi ad una costruzione ad un piano tinteggiata in giallo. I vetri cromatici non consentivano di distinguere la fisionomia del conducente e delle persone eventualmente a bordo e così attesi che qualcuno scendesse; invece la serranda del garage, evidentemente comandata a distanza, si apri lo stretto necessario per permettere l’ingresso della vettura e chiudendosi immediatamente inghiottì il feto delle mie rimostranze. Prima di allontanarmi mi avvicinai a leggere il nominativo sull’unico campanello ma era a sfondo bianco: al numero 48 di via Fulvio Croce amavano la discrezione!

    Ero reduce da una doccia ristoratrice quando il telegiornale della terza rete a frequenza regionale, diffuse il flash d’agenzia giunto in quel momento in redazione che ‘un uomo non ancora identificato e dall’età apparente di quarant’anni è stato falciato mortalmente da un’auto pirata in piazza Cattaneo: il fatto è accaduto un’ora fa e sembra che non ci siano testimoni oculari’.

    Forse ammaliato dal pensiero del rifugio in alta quota a ridosso dei ghiacciai che mi attendeva per il fine settimana, non collegai minimamente la notizia trasmessa all’incidentale tentativo da parte dell’Alfa Romeo blu scuro di rimpinguare le fila del reparto ortopedia del centro traumatologico assicurandone la mia presenza.

    Via Fulvio Croce dista poco più di un chilometro da piazza Cattaneo e gli orari coincidevano: più volte ho pensato che se mi fossi recato al commissariato di zona per la segnalazione, questa storia non sarebbe mai stata scritta.

    2

    Ho l’abitudine d’entrare in ufficio ben prima dell’orario normale di servizio poiché sono allergico al traffico cittadino delle otto ed in agosto conservo identico vezzo: lo feci anche quel lunedì mattina, dove sentivo nel fisico tutta la fatica del rifugio Quintino Sella, metri 3585 sul livello del mare di cui 1900 di ascesa partendo dalla piazzola di parcheggio del comune di Saint’Jacques in val d’Ayas. Fino a qualche anno prima unirmi a quelli del Club Alpino Italiano costituiva certo un piacere, adesso era diventato un supplizio: avevo fatto anche lo spiritoso in quell’autostrada dell’escursionismo che è il tratto fino al pian di Verra ma già all’attacco del colle della Bettaforca non ridevo più e quando il sentiero ha acquisito pendenza ed esposizione aerea sono andato in apnea rimanendovi fino alla sospirata meta; anche la più tonta delle marmotte che infestano le pietraie di cui è costellato il percorso ha compreso che ero l’anello bolso della cordata. Comunque mentre smaltivo la lettura delle due copie di Sole 24 Ore arretrati con la mente che viaggiava ancora tra le punte del Castore e del Polluce, si spalancò la porta ed entrò Fazio senza bussare. Non feci in tempo a farglielo notare: Fazio era un tipo universalmente sgradevole ergo quando per gioco s’assegnavano gli Oscar della ditta in materia, nella sezione impiegati commerciali raccoglieva sempre un sacco di nomination.

    Allora oggi abbiamo un dipendente di meno.

    Te ne vai subito o fai il preavviso?.

    Daidola a te non far le ferie fa male, sto parlando di Diotallevi, l’autista.

    Fino a venerdì sera non ho ricevuto nulla e non credo che le dimissioni si rassegnino all’ufficio acquisti.

    Daidola ma dove vivi? Non li leggi i giornali, dico i giornali che non siano quelle minchiate per finanzieri che tieni sulla scrivania.

    Perché Diotallevi ha dato le dimissioni direttamente su ‘La Stampa’?.

    Diotallevi ha dato le dimissioni dalla vita, venerdì sera l’hanno stirato in piazza Cattaneo, una macchina che nemmeno si è fermata.

    Chiusi il Sole 24 Ore e scesi nel reparto distribuzione dove un magazziniere confermò quanto anticipato da quell’acefalo di Fazio: lo invitai ad avvisare il suo responsabile del fatto che gli avrei dovuto parlare e ritornando in ufficio cercai la scheda del dipendente deceduto.

    Ulisse Diotallevi, nato ad Ispica (RG) il 20 marzo 1965 e residente in Torino – corso Orbassano n° 348, privo di occupazione, inizialmente assunto in data 2 aprile 2001 come autista 5° livello a tempo determinato cinque mesi: mi ricordavo vagamente di lui, come della metà degli oltre duecento dipendenti a cui arriva la Conogel nel periodo estivo, cioè comprendendo i centosettanta della forza abituale ed il resto degli stagionali autorizzati dalla Direzione Provinciale del Lavoro previo accordo sindacale, insomma il definitivo quadro permanente ed il quadro mobile, in omaggio ai tempi di caserma. Però Diotallevi era stato una delle mosche bianche confermate a tempo indeterminato e dal momento che dagli archivi nessun autista si era reso dimissionario in quel periodo, si trattava di un elemento che aveva ben impressionato: attivai il programma delle presenze e digitando il suo codice constatai effettivamente assenze esclusivamente in coincidenza della chiusura per ferie aziendali ed una barca di ore di straordinario effettuato, mai un giorno di malattia od infortunio. Ripresi la documentazione cartacea, l’autocertificazione in luogo dello stato di famiglia indicava che viveva solo e lo stato di servizio sul libretto di lavoro comprendeva unicamente il timbro della Conogel. infatti, si trattava di un duplicato. Verificai anche il resto del fascicolo dove su un rigido cartoncino quadrettato la proprietà usava segnalare situazioni più o meno inconfessabili, certo difficilmente collimanti con i principi ispiratori immaginati da Gino Giugni nella stesura dello Statuto dei Lavoratori: quasi per tutti iniziava dal nominativo indicante ‘segnalato da’. Per Ulisse Diotallevi non esisteva neanche un Picone. Nell’attesa dell’arrivo del responsabile del magazzino m’immersi negli adempimenti amministrativi che un evento simile impone: quando inviai il D.N.A. non potei fare a meno di sorridere amaramente per l’assonanza, in questo caso lecita, con il sangue. in realtà, l’acronimo in questione richiama la Denuncia Nominativa Assicurati e corrisponde alla modulistica che impone di comunicare contestualmente all’istituto assicuratore ogni variazione del rapporto di lavoro, tradotto in burocratese stretto eravamo in multa poiché erano passate oltre ventiquattro ore. Una distorsione di un pio intento legislativo sancito dal decreto 38/2000 che, con l’incrocio dei dati tra denunce d’infortunio ed appunto modello D.N.A., tendeva a scoprire fasce di lavoro nero: peccato che per la comunicazione alle sezioni circoscrizionali per l’impiego, il compianto ufficio di collocamento, il tempo sia di cinque giorni e pertanto in assenza di una efficace ed immediata azione ispettiva, i delinquenti che il nostro ministro dell’Economia dal nome uscito dalle pagine di un romanzo di Liala ama definire ‘economia sommersa’ se la cavino a buon mercato ed il tutto resti a livello di buone intenzioni. gli abituali evasori sono ben lieti di pagare i diciassette euro di sanzione e far cessare il dipendente non appena chiuso l’infortunio. Infatti a Torino, la proposta di un ispettore della sede centrale Inail di visitare tutte le aziende che accusavano un infortunato il primo giorno di servizio è rimasta lettera morta.

    Bussarono alla porta e fece capolino Gozzan, il capo magazziniere, cinquant’anni suonati e da oltre trentacinque in azienda: grosso come un armadio, il classico tipo che ti vorresti trovare vicino quando si scatena una rissa, ancora con quell’accento marcato delle campagne intorno a Rovigo che farciva una parlata accompagnata da un gran mulinare di braccia e mani. Ammiravo in lui l’attaccamento alla fabbrica, come fosse casa sua, e la solarità delle sue espressioni anche se come ogni uomo d’officina tendeva a considerare noi amministrativi inutili scaldasedie. In sintesi ebbi conferma che Ulisse Diotallevi si era presentato senza santi in paradiso all’annuncio stagionale degli autisti apparso sui due quotidiani cittadini; aveva la patente D e non dava confidenza ai colleghi ma come diceva Gozzan ‘faceva fatti e aveva nello sguardo la disperazione dell’emigrante, lo stesso che avevo io quando sono arrivato qui e questo mi è bastato’, mai un problema nelle consegne, né con i clienti, né con i fornitori, preciso e veloce, senza comunque incorrere in contravvenzioni. concluse con un comprensibile lapsus affermando: ‘il miglior autista che abbiamo’.

    Dopo aver congedato Gozzan chiamai telefonicamente il cavalier Ravotti, amministratore delegato della Conogel nonché genero del commendator Granero, fondatore ed attuale presidente della società.

    Il commendatore era un arzillo ottantenne che per le vacanze estive imponeva all’unica figlia il soggiorno in Costa Azzurra, precisamente nella villa di Cap Ferrat accanto a quella del ‘collega Ferrero’: sì proprio lui, quello della Nutella. Così purtroppo per Ravotti, impenitente tombeur de femmes, ninfomani in particolare, iniziava il suo personale Ramadan e le comunicazioni si concludevano invariabilmente con uno sconsolato ‘beato te che lavori, Daidola’.

    Da dirigente navigato ascoltò senza interrompere, poi domandò se la Polizia si era già fatta viva: ad una mia replica negativa iniziò il sermoncino della catechizzazione, come se ce ne fosse bisogno per chi di mestiere deve purtroppo porre in preventivo i cadaveri in stabilimento. lo bloccai a metà dell’esposizione della teoria che fuori dal servizio il subalterno poteva tranquillamente appartenere ad Al Queda ventilando l’ipotesi di denunciare Osama Bin Laden per intermediazione di manodopera, espressamente vietata dalla legge 1369/60 anche se non se ne capisce l’attualità dopo l’instaurazione nell’ordinamento giuslavoristico del lavoro interinale. Infine quando Ravotti mi consigliò di mettere i guanti nel forzare l’armadietto di Diotallevi, dovetti farmi forza per evitare di ribattere che era arrivato il più furbo del paese.

    Avevo appena terminato la perquisizione, assolutamente irrilevante, con il reperimento di carta igienica, dentifricio, spazzolino, un calendario d’una panetteria con l’apposizione di numeri variabili dallo 0.5 al 3, sicuramente gli straordinari, logicamente il grembiule di servizio e null’altro quando, dal centralino, Manù mi avvertì che all’accettazione c’era la Polizia, con un tono di voce prossimo all’orgasmo. La signorina Emanuela La Picca, detta Manù La Ficca dall’ufficio personale, che già quando debuttò come stagista retrocesse nell’immaginario collettivo Monica Lewinsky ad una educanda di Maria Ausiliatrice, possedeva un cervello all’altezza della scollatura e per lei calzava a pennello quanto si mormorava su Gerald Ford ai tempi della sua presidenza: ‘è una persona che riesce a fare due cose contemporaneamente solo se la seconda è masticare un chewing-gum’. però sul suo cartoncino quadrettato c’era scritto Ravotti a caratteri cubitali e tanto bastava.

    "Manù, guarda che oggi è lunedì, la replica di Distretto di Polizia c’è domani sera".

    Aheeeee... sono agitatissima.

    In quanti sono?.

    Un signore.

    Arrivo subito.

    L’ispettore Ercole Pieri era un quarantenne segaligno dai capelli rossi, vestito di grigio come si conviene ad uomo d’apparato, che accompagnai immediatamente in sala riunioni dove su un’estremità del gigantesco tavolo rettangolare stava in bella mostra la cartellina con la dicitura: Diotallevi – 02.04.2001/16.08.2002.

    Vedo che siete perspicaci qui in Conogel.

    Diciamo che non si presentano normalmente poliziotti alla porta se non per motivi che nulla hanno a che fare con l’azienda.

    Lei lo conosceva personalmente?.

    No, ho solo fatto firmare la documentazione relativa all’assunzione e poi quella della conferma, mentre del colloquio preassuntivo se ne è occupato direttamente il signor Gozzan, responsabile del magazzino e quindi suo diretto responsabile in caso positivo... sono le vecchie disposizioni del commendator Granero che tutt’oggi seguiamo.

    Era un dipendente che dava problemi?.

    No ispettore, il fatto che sia entrato come stagionale e poi confermato sta a dimostrare l’esatto contrario.

    Chi è che ha deciso per la conferma.

    Sempre il signor Gozzan.

    Si trova in azienda adesso?.

    .

    Le risulta che abbia avuto problemi eclatanti con qualche collega.

    Non che io sappia, dico a livello pubblico almeno... non ho ricevuto nessuna segnalazione perché anche quando poi non si decide d’intraprendere alcuna azione disciplinare, annoto comunque l’accaduto e come vede questa scheda è bianca.

    Un dipendente modello quindi.

    Per quello che mi consta.

    Dottore non è in tribunale.

    Ho capito, ma non posso inventarmi di sana pianta qualcosa su un individuo che per strada avrei riconosciuto a malapena e comunque....

    E comunque....

    E comunque ho già frequentato aule di giustizia, seppur a livello di magistratura del lavoro e conosco la procedura.

    È meglio che mi porti da questo Gozzan.

    Non vuole che lo convochi in ufficio?.

    No, preferisco sentirlo nel suo habitat naturale.

    Habitat naturale un corno: in realtà Pieri voleva interrogare Gozzan davanti a tutti per poi passare agli operai già in fase di fibrillazione mistica. infatti, ragionando con la sua mente da sbirro, era eventualmente da questi ultimi che poteva aspettarsi qualche rivelazione, non certo dal responsabile della logistica ovviamente allineato e coperto con la direzione.

    Come volevasi dimostrare fece un’entrata alla Starsky e Hutch intimandomi di restare sulla soglia d’ingresso del locale e mostrando il distintivo a destra e manca: meno male che non siamo a Los Angeles altrimenti la litania sui diritti e la telefonata non ce la toglieva nessuno.

    Gozzan non fece una piega e dalla durata del colloquio probabilmente ripeté quanto aveva già illustrato al sottoscritto: poi passò agli altri addetti al magazzino e vidi che tutti quattro scossero la testa più volte ed alla fine Pieri, venendomi incontro, allargò le braccia rassegnato.

    Insomma questo Diotallevi non parlava con nessuno, di nulla: né di donne, né di calcio, né di macchine, né di cinema... un cultore della privacy.

    Forse dovrebbe sentire gli altri autisti, adesso logicamente sono tutti in consegna.

    Mentre scendemmo negli spogliatoi in silenzio, ebbi la sensazione d’essermi perso qualcosa, un qualcosa fuori dal coro, un qualcosa che non collimava con il quadro generale; giunti nel sotterraneo Pieri si fece indicare l’armadietto, precisando che se avevo qualcosa da obiettare sarebbe tornato con un mandato; rinunciai a sorridere quando notai che il suo passe-partout era dello stesso modello di quello che avevo usato io.

    Tornati silenziosamente in sala riunioni mi chiese alcune fotocopie di documenti amministrativi dove non vantava preparazione specifica e quindi dovette sorbirsi le mie divagazioni da maestrina della penna rossa che alla redazione del verbalino di verifica conclusi con l’unica richiesta pertinente.

    Ispettore cosa ne faccio della risultanza del cedolino.

    Come... ?.

    Intendevo dire quando elaboro la busta paga.

    È il primo morto che gli capita? L’esperto è lei.

    "È il primo morto senza eredi o almeno così sembra e la procedura prevede un listino frazionato in quanti sono appunto gli eredi o

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