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Lo sguardo altrove: Una seconda indagine per il Maresciallo De Scalzi
Lo sguardo altrove: Una seconda indagine per il Maresciallo De Scalzi
Lo sguardo altrove: Una seconda indagine per il Maresciallo De Scalzi
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Lo sguardo altrove: Una seconda indagine per il Maresciallo De Scalzi

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About this ebook

Un’indagine scomoda, impegnativa, sofferta, per chi, come il Maresciallo De Scalzi, va alla ricerca del colpevole di un crimine spesso sottovalutato…
Il bullismo è molto di più: è doversi guardare sempre alle spalle, è sentirsi braccato da tutti anche e soprattutto da chi guarda, ma fa finta di non vedere”.
La giovane età non preserva dal male: la scomparsa di un ragazzo di soli sedici anni svela uno scenario di violenza nascosta tra i banchi di un Liceo scientifico genovese; in un luogo dove la cultura dovrebbe condurre alle più alte virtù e insegnare un modo per diventare grandi, Federico si è scontrato con tutt’altro destino.
In questa terza indagine Massimo De Scalzi, affiancato dal giovane Maresciallo Mancini e dalla psicologa dell’Arma Elisa Valeri, dà prova di grande empatia, pur essendo lui stesso tormentato da situazioni personali in sospeso.

Alessandra Alioto è nata a La Spezia e vive a Rapallo. Svolge la professione di Educatrice Professionale in ambito scolastico e sociale. Scrivere con l’amica, ex collega di lavoro, Rosalba, le ha dato modo di condividere con i personaggi dei loro libri un vissuto sociale proprio della vita reale.
Rosalba Repaci è nata a Genova e vive a Recco dove lavora come Educatrice in un asilo nido. Le due amiche, complici nel guardare gli altri con un’attenzione non comune, hanno deciso di assecondare la loro passione per la scrittura, dedicandosi a raccontare storie che rispecchino i loro valori.
Hanno scritto: Dimmi come mai, Edizioni Cicorivolta, pubblicato nel marzo 2014, La dolce morte. Un’indagine genovese per il Maresciallo De Scalzi, Fratelli Frilli Editori, pubblicato a giugno 2016 e Buongiorno Miriam, primo classificato al concorso Panesi - Lugalè, febbraio 2017 di prossima pubblicazione e Anna con tutti nel 2017 con la Fratelli Frilli Editori.
LanguageItaliano
Release dateJul 26, 2019
ISBN9788869433740
Lo sguardo altrove: Una seconda indagine per il Maresciallo De Scalzi

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    Lo sguardo altrove - A. Alioto

    1

    Anita stava scrollando con energia il distributore di bevande, usando entrambe le mani e aiutandosi con calci potenti.

    «Maledetta macchinetta del cazzo! Mi hai fottuto di nuovo i soldi!» sbraitò la ragazza a voce alta, dimenandosi come una posseduta.

    La Lo Giudice, professoressa di scienze nel Liceo Scientifico Turing di Genova, uscì di corsa dalla sala professori e si bloccò a guardare la scena.

    Anita era una sedicenne molto alta, la cui magrezza era accentuata dall’abbigliamento: un paio di jeans neri attillatissimi e una felpa, anch’essa nera, di tre taglie più grandi.

    Ogni colpo violento sferrato dai pesanti anfibi faceva tremare tutto il contenuto della macchinetta.

    Quel fragore fece accorrere il collaboratore scolastico e l’insegnante della classe accanto.

    «Stefanelli, smettila! Entra subito in classe, la ricreazione è finita da un po’.»

    Anita si voltò verso la Lo Giudice, ma non smise di scrollare il distributore.

    «Prof, non ci si metta anche lei, questa bastarda mi ha fregato due euro e io sto morendo di sete. Col cazzo che rientro in classe.»

    «Anita, intanto modera il tuo linguaggio. Metti al corrente il bidello e vedrai che domani l’addetto ti restituirà i soldi. Ora basta, vai in aula.»

    Il tono perentorio dell’insegnante, lo sguardo minaccioso e l’atteggiamento quasi bellico ebbero successo: la ragazza non rispose, non la degnò di uno sguardo, si limitò a voltarsi e a camminare verso la porta della III C e, quando fu sicura che la professoressa non la potesse vedere, alzò il dito medio e la canzonò a bassa voce con un sarcastico bla, bla, bla.

    La Lo Giudice, all’anagrafe Cinzia Lo Giudice, nata a Caltanissetta nel 1973 e residente a Genova da tre anni tirò un sospiro di sollievo quando vide la sua alunna rientrare in classe.

    Per una volta era andata bene: Anita era famosa per le sceneggiate quasi isteriche che facevano sorridere i compagni e imbestialire tutti i dipendenti della scuola.

    Lei non era decisamente avvezza a rispettare le regole. Una vera ribelle impenitente.

    Il suono della campanella rimbombò nel corridoio, avvi sandola che doveva sbrigarsi a prendere i libri e la borsa in sala professori e affrettarsi a raggiungere Anita e i suoi compagni in III C per la sua ora di lezione.

    «Cinzia, complimenti, oggi sei riuscita a domarla in fretta quella ragazzina. Sta peggiorando di giorno in giorno, non solo nel comportamento ma anche nel profitto; ieri ho corretto la sua verifica e ti assicuro che, dandole 3, sono stato di manica larga», si lamentò il professor Piazza, emerito docente di matematica, prossimo alla pensione e autore di vari libri di testo ancora in adozione in quel liceo.

    La Lo Giudice, raccogliendo il materiale didattico, si limitò a un sorriso di circostanza e a un timido cenno di assenso: non aveva mai gradito discutere con i colleghi delle problematiche di apprendimento o dei comportamenti non adeguati degli alunni, se non durante i consigli di classe, in presenza di tutti gli altri docenti.

    La considerava una condotta doverosa: in caso contrario, le fugaci conversazioni in corridoio tra docenti nei cambi dell’ora di lezione, rischiavano di diventare, perdendo la loro ufficialità, meri pettegolezzi.

    Entrò in aula e si sedette alla cattedra.

    Le lezioni erano iniziate solo da due settimane e gli alunni si dovevano ancora abituare al ritmo scolastico.

    Anita, Fabio e Leonardo erano seduti in fondo all’aula senza rispettare, come al solito, le posizioni assegnate, secondo le direttive degli insegnanti in sede di consiglio.

    «Quante volte vi devo ripetere di sedere ognuno al proprio posto? In caso di memoria corta, qui sulla cattedra c’è la mappa della classe che la vostra compagna Alibardi ha disegnato. Quindi Stefanelli, Castello e Luongo alzatevi da lì, prendete gli zaini e mettetevi a sedere ai vostri banchi. Non ho alcuna intenzione, da qui alla fine dell’anno di ripetervi le stesse cose ogni volta che entro in classe. Veloci e in silenzio!»

    «Ma prof, a lei che cosa cambia? Non disturbiamo, ci facciamo i fatti nostri», puntualizzò Leonardo tentando di contrastare l’ordine dell’insegnante senza muoversi.

    «Luongo, sono proprio quei fatti vostri che mi preoccupano, voglio iniziare la mia lezione senza disturbi, ci andate da soli a posto o preferite fare un giretto dal Preside?»

    Anita, sbuffando, si alzò e spinse in avanti il proprio banco, che strusciò rumorosamente il pavimento. Guardò i due amici e fu sufficiente un suo lieve cenno del capo per farli alzare entrambi come due soldatini e scambiarsi i posti con altri compagni.

    Non era un’abitudine di quei tre rispettare gli ordini degli insegnanti senza fare troppe storie.

    Due ragazzi al primo banco fecero un commento a voce bassa: «Belin Tommy, hai visto La Giudice come si fa rispettare? È l’unica che ci riesce con quei tre», disse Alessio, uno spilungone biondiccio. L’altro annuì convinto e riprese a di segnare teschi sul diario.

    La Lo Giudice recuperò l’attenzione della classe e riuscì a spiegare un intero capitolo sulla struttura atomica.

    La campana della seconda ricreazione diede via libera agli studenti che uscirono a pascolare nei corridoi.

    «Guarda Ermanno, il gioco di oggi non è difficile: in questa scatola ci sono degli Oreo. Come nella roulette russa, questi biscotti non sono tutti uguali. Adesso ti bendiamo. Tu dovrai pescarne uno e mangiarlo in un solo boccone, hai quattro possibilità su dieci di beccare quelli giusti, non è male per uno sfigato come te.»

    Ermanno, seduto sul water, anche volendo non avrebbe potuto muoversi perché impietrito dalla paura: purtroppo da circa un anno stava subendo prese in giro, maltrattamenti e qualche volta, vere e proprie violenze fisiche.

    In quel piccolo gabinetto, con i suoi trenta chili di sovrappeso e la presenza dei suoi aguzzini, non aveva scampo.

    Decise che l’unico suo riscatto in quella situazione sarebbe stato di non proferire parola. Non l’avrebbero sentito implorare.

    Fabio, l’ideatore del gioco, aveva appena spiegato le regole e teneva in mano una scatola chiusa, facendola dondolare a dieci centimetri dal viso della vittima.

    Leonardo, il più massiccio, lo stava bendando e, in caso di reazione, l’avrebbe bloccato con tutta la sua forza.

    Ermanno si ritrovò cieco in un attimo, due mani avevano stretto con energia una sciarpa ruvida e puzzolente attorno alla sua testa.

    Tenere gli occhi aperti, per riuscire a vedere qualcosa, era totalmente inutile.

    A quel punto Fabio gli ordinò di prendere il primo biscotto.

    Il ragazzo infilò la mano nella scatola che lui gli stava porgendo, con il terrore di chi non sa che cosa aspettarsi.

    Tastò il contenuto ma fu interrotto da un’incalzante: «Sbri-gati, tra poco suona la campanella» quasi urlato da Leonardo.

    Ne scelse uno e se lo buttò in bocca. Due morsi e lo ingoiò. Quel primo tentativo era andato bene: sentì il sapore dolce della crema bianca e la croccantezza del biscotto al cacao.

    Ma purtroppo c’erano ancora tre pallottole in canna.

    Ermanno, tentando di mettere fine il prima possibile a quel gioco perverso, agguantò due biscotti insieme e li trangugiò in un attimo.

    Anche le altre due possibilità furono dalla sua parte. Per un istante pensò che gli stessero facendo solo uno scherzo idiota e non volessero andare oltre. Sua nonna gli ripeteva spesso che c’è un pizzico di bontà in tutti, anche in quelle persone che sono il ritratto del male.

    Forte di quella speranza, scelse l’ultimo biscotto e se lo avvicinò alla bocca.

    Il suo naso, anche se semichiuso dalla benda, percepì un odore nauseabondo e inconfondibile. Ermanno, disgustato, allontanò da sé il biscotto, ma Leonardo glielo spinse in bocca, poi, con entrambe le mani, gli bloccò la mandibola, urlandogli:

    «Buttalo giù tutto insieme. Sei proprio uno scemodim merda, se lo sputi te ne rimangi un altro.»

    Ermanno deglutì, ma ci vollero soltanto pochi attimi prima che il suo stomaco reagisse alla merda ingerita.

    Si alzò dal water e si voltò alla cieca per vomitare: con conati violenti rigettò tutti i biscotti.

    Restituì le feci di chissà chi, nel luogo dove sarebbero do-vute rimanere.

    Sputò una saliva schiumosa.

    Alla fine arrivò la bile, che colorò di giallo le pareti del water e con essa lui espulse la speranza di poter vivere senza paura, la sua dignità, la fiducia nel prossimo e l’amore per se stesso.

    I due persecutori lo deridevano, impietosi.

    Anita piombò in bagno, incurante che fosse quello dei maschi, spalancando la porta con violenza.

    Il fragore della maniglia che andò a sbattere contro il muro rimbombò nel locale.

    Osservò Ermanno chino sul water a vomitare.

    Spostò lo sguardo sui suoi due amici accennando un sorriso ed esordì:

    «Fai proprio schifo Ermanno! Leo, non sentite l’odore che c’è qua dentro? Aprite la finestra.»

    Anita fece dietrofront verso l’antibagno.

    Leonardo e Fabio la seguirono. Accanto ad un lavandino c’era un ragazzo.

    Fabio lo apostrofò subito dicendogli: «Ecco l’altro sfigato della III C. Ci stavi spiando?»

    Federico non lo degnò di uno sguardo, lo dribblò per entrare nel gabinetto, dove il suo amico Ermanno era ancora piegato in avanti, sconquassato dai conati.

    «Siete degli stronzi. Perché non la smettete di prendervela con lui? È facile, siete tre contro uno e neanche tanto intelligenti.»

    Leonardo lo afferrò per il colletto della polo trascinandolo fuori dal quel cubicolo.

    «Il tuo amico palla di lardo vale per due e tu dovresti smetterla di frequentarlo per non diventare uno sfigato come lui.»

    «Sfigato o no, troverò il modo di farvela pagare!»

    Leonardo lo spinse contro il muro, tenendolo fermo con il suo avambraccio destro sotto il mento.

    Anita si frappose tra i due e guardando Leonardo negli occhi sibilò: «Lascialo, ti ho già detto mille volte che tu, Fede, non lo devi toccare.»

    Il braccio scese immediatamente.

    Federico incrociò lo sguardo della ragazza che gli abbozzò un sorriso, poi sgusciò via e ritornò da Ermanno.

    Lo trovò in piedi con il capo sulle mani appoggiate al muro del bagno, la schiena leggermente flessa, le gambe di varicate quasi a cercare il suo baricentro per riuscire a stare in equilibrio.

    «Ragazzi, uscite da qui. Fuori! Intanto lo so che stavate fumando! Fuori, ho detto!»

    Piera, la collaboratrice scolastica, il Rottweiler da guardia del piano, mise fine alla tortura di Ermanno e al sadico divertimento dei tre bulli.

    2

    De Scalzi continuava ad aprire e chiudere la mano a pu gno nel tentativo di riattivare la circolazione del suo braccio destro, intorpidito dal peso della testa di Costanza che aveva trascorso l’intera notte abbracciata a lui.

    Senza contare che la massa di capelli gli stuzzicava il naso da un po’: il profumo di cocco del balsamo che lei aveva usato gli ricordava una barretta di Bounty e

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