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Io so: L'enigma di Mariani
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Ebook246 pages

Io so: L'enigma di Mariani

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About this ebook

L’ispettore Iachino è in coma, conseguenza di un agguato.
Il commissario Mariani passa ore a parlargli dei casi in corso, perché i medici hanno assicurato che può servire. E indaga dicendosi che, se lui scoprirà mandanti ed esecutori dell’agguato, Iachino uscirà dal coma...
Ma c’è la solita routine da sbrigare: un antiquario, Livio Oliveri, è stato ucciso nella sua bottega. Nessun indizio, nessuna traccia.
È molto più coinvolgente per Mariani indagare sulla morte, forse un suicidio, di Roberto Nicora, il volontario che ha passato molte ore al capezzale di Iachino.
L’indagine su una morte diventa, per Mariani e sua moglie Francesca, indagine su una vita, sul passato. Forse le storie di Oliveri e di Nicora un tempo si sono intrecciate con quelle di altri.
E, per Mariani, sempre quel pensiero fisso: forse, se scoprirà la verità sull’agguato, Iachino uscirà dal coma...

Maria Masella è nata a Genova. Ha partecipato varie volte al Mystfest di Cattolica ed è stata premiata in due edizioni (1987 e 1988). Ha pubblicato una raccolta di racconti – Non son chi fui – con Solfanelli e un’altra – Trappole – con la Clessidra. Sempre con la Clessidra è uscito nel 1999 il romanzo poliziesco Per sapere la verità. La Giuria del XXVIII Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” (edizione 2001) ha segnalato un suo racconto La parabola dei ciechi, inserito successivamente nell’antologia Liguria in giallo e nero (Fratelli Frilli Editori, 2006). Ha scritto articoli e racconti sulla rivista “Marea”. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Morte a domicilio (2002), Il dubbio (2004), La segreta causa (2005), Il cartomante di via Venti (2005), Giorni contati (2006), Mariani. Il caso cuorenero (2006), Io so. L’enigma di Mariani (2007), Primo (2008), Ultima chiamata per Mariani (2009), Mariani e il caso irrisolto (2010), Recita per Mariani (2011), Per sapere la verità (2012), Celtique (2012, terzo classificato al Premio Azzeccagarbugli 2013), Mariani allo specchio (2013), Mariani e le mezze verità (2014), Mariani e le porte chiuse (2015), Testimone. Sette indagini per Antonio Mariani (2016), Mariani e il peso della colpa (2016), Mariani e la cagna (2017), Mariani e le parole taciute (2018), Nessun ricordo muore (2017) Vittime e delitti (2018) e Le porte della notte (2019) questi ultimi tre con protagonista la coppia Teresa Maritano e Marco Ardini. All’inizio del 2019 ha scritto con Rocco Ballacchino “MATEMATICHE CERTEZZE” ottenendo il consenso dei lettori per l’originale trovata di dar vita a un’indagine portata avanti dai due commissari di polizia Mariani e Crema. Per Corbaccio ha pubblicato Belle sceme! (2009). Per Rizzoli, nella collana youfeel, sono usciti Il cliente (2014), La preda (2014) e Il tesoro del melograno (2016). Morte a domicilio e Il dubbio sono stati pubblicati in Germania dalla Goldmann. Nel 2015 le è stato conferito il premio “La Vie en Rose”. 2018, terza classificata alla prima edizione del Premio EWWA.
LanguageItaliano
Release dateAug 9, 2012
ISBN9788875637538
Io so: L'enigma di Mariani

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    Io so - Masella Maria

    CAPITOLO 1

    Lunedì

    È inutile girarci intorno: la settimana non è iniziata bene.

    I motivi? Solo l’imbarazzo della scelta. Primo motivo: ho l’auto guasta. Quando me ne sono accorto Francesca era già uscita con la sua Panda per portare le due belve grandi, Manu e Abdul, a scuola. Non ho potuto chiederle un passaggio e neppure usufruire della sua consulenza tecnica.

    Così sono arrivato in Questura in bus.

    Oggi farò solo lavori sedentari, perché non mi piace muovermi con l’auto di servizio. Farò quello che il correttissimo e pudico Anselmi chiamava cazzeggiare, cioè ciondolare senza scopo.

    Ho passato la mattina esaminando casi di poco conto, ma anche quelli sono da sbrigare. Ora sono disoccupato: è il momento giusto per riordinare la scrivania, anzi tutti gli scaffali. Ma in modo tortuoso è anche pratica espiatoria.

    Iachino stava facendo un bel lavoro. Prendeva un fascicolo dal ripiano in basso, esaminava il contenuto, buttava il superfluo (doppioni: le copie che mi portavo a casa o in giro), pinzava il tutto e sistemava in alto. Con data del caso e nome in codice. Era stato Anselmi ad insegnargli come fare.

    Avviso che sto lavorando e non mi disturbino, se non per questioni della massima importanza. Mi sento attivo. Tolgo il maglione, rimbocco le maniche della camicia e mi metto al lavoro.

    Due ripiani da schifo, peggio di come immaginavo.

    Dopo un’ora getto la spugna. Certi casi sono troppo intrecciati alla mia vita, come quello del cartomante ammazzato. Così ho conosciuto Cabel e da lì ho trovato Abdul… Per ottenerne l’affido io e Francesca abbiamo messo una pietra sopra al divorzio. Ma tutto quanto ci aveva portato a crederlo inevitabile è ancora lì, irrisolto.

    Forse sta marcendo.

    Che ruolo ha Alberto Mauri nella vita di Francesca? Questa notte lei ha fatto all’amore con me, oscuro questurino, ma cosa vuol dire? Quante volte sono stato a letto con una e poi con lei! So che si vedono molto spesso. Mi ero ripromesso, approfittando del fine settimana, di portare il discorso su Mauri, non l’ho fatto; da vigliacco. E questo è il secondo motivo per prevedere una cattiva settimana.

    Almeno avessi un caso da stordirmici dentro. Come certi si fanno di alcool o di coca. Invece non ho lavori urgenti.

    Neppure riordinare mi fa sentire meglio. Rinuncio e mi ritiro giù le maniche della camicia e parte anche un bottone. Non lo cerco! Tanto non ho mai capito a cosa servano i bottoni dei polsini.

    Esco dall’ufficio e lo stesso agente cui ho comunicato che avevo un lavoro importante mi dice che ha telefonato mia moglie.

    È serissimo, ma lo so che dentro sta ridendo. Anch’io, alla sua età, ero diventato uno specialista nel ridere mantenendo un viso impassibile. Lo avevo imparato ai cineforum amati da mio padre, ai comizi di mammà, e perfezionato il tutto da studente. Un po’ di esercizio lo faccio ancora alle poche manifestazioni ufficiali che non riesco ad evitare.

    – Perché non me l’hai passata?

    – Ho chiesto se era importante, mi ha detto di no.

    Io questo lo disfo. Ritorno nel mio ufficio e prendo il cellulare. Spento. Accendo e controllo chiamate ricevute. Cellulare di Francesca.

    – Oh, Anto, ti ho chiamato. Mi hanno detto che eri in riunione… – Non correggo e lei continua: – Un problema di lavoro, improvviso e torno tardi. Ho già chiamato Emma e Carla e sistemato tutto.

    – D’accordo.

    Non ricordo che mi abbia mai chiamato per avvisarmi di un ritardo. Teme che la cerchi?

    Potrei farmi accompagnare a casa da un’auto di pattuglia. Potrei chiamarmi un taxi.

    Andrò a piedi alla prima fermata dei taxi. Non mi farà male respirare un po’ d’aria inquinata. Alla fermata uno è libero. Salgo e do l’indirizzo di casa.

    Ha appena avviato che gli chiedo di allungare fino a Marassi, le vie attorno allo stadio.

    – Se poi vuole andare a Quarto si allunga di molto.

    – Mi va bene così.

    – Se va bene a lei…

    Conosco bene la zona, Marassi, non lontano da stadio e carceri. Non sono mai salito a casa di Iachino, ma qualche volta gli ho dato un passaggio. Zona con tante vie di fuga. Zona trafficata; però nessuno ha notato una moto ferma con due uomini in attesa.

    Non è difficile scoprire dove abita uno di noi. Sappiamo che può accadere. A noi e a chi ci lavora accanto.

    E così ripasso da quelle vie, dove è stato colpito Iachino; al tassista ho chiesto di procedere lentamente, come se potessero dirmi qualcosa.

    Niente. Sorpassiamo il suo portone e poi il bar da cui è uscito pochi minuti prima che gli sparassero. Procediamo così lentamente che vedo il barista, Ciro Esposito, fumarsi una sigaretta sulla porta.

    Mi chino in avanti verso il tassista: – Accosti un attimo, per favore. Lo gradisce un caffè?

    – Il tassametro gira.

    – Non c’è problema.

    Così entro a prendermi un caffè con il tassista.

    Esposito mi riconosce, mi chiede notizie dell’ispettore Iachino, gli dico che è sempre uguale.

    Ripartiamo. L’autista si gira: – Davvero lei è un commissario?

    – Sì. Perché?

    – Niente.

    Forse non assomiglio a quelli del cinema e della tv, con pistole spianate.

    – Le ha chiesto di uno, non per impicciarmi, ma un suo collega? – Mentre parla guida veloce, senza distogliere gli occhi dalla strada: traffico incasinato come sempre.

    – Sì, un ispettore. Gli hanno teso un agguato proprio lì, mentre usciva da casa. Stava prendendo il casco, sono arrivati due in moto e gli hanno sparato.

    – Cazzo!

    Forse è per il motociclista che gli ha tagliato la strada.

    – Che cazzo! Che tempismo! Con il traffico che c’è beccare il momento buono. Anche con una moto. Non è che avete orari tanto alla spacca minuto, vero?

    – Vero.

    È un radio taxi e alle nostre si sovrappone la voce di donna che ripete e ripete le chiamate…

    – Prendiamo la strada a mare.

    – Faccia lei.

    Andiamo verso Levante e il mare è uno spazio scuro alla nostra destra.

    CAPITOLO 2

    Martedì

    Forse era un falso presagio, forse la settimana non sarà brutta…

    L’auto si è messa in moto, dopo un semplice intervento dell’elettrauto. Forse il periodo nero sta finendo.

    La convocazione di Serra mi arriva a mattina inoltrata. Vuole sapere a che punto sono le indagini per il ferimento dell’ispettore Iachino. Non mi chiede come sta.

    – Stiamo indagando.

    – I Santella: qualcuno è stato fermato. Non è possibile che non siate riusciti a sapere niente di nuovo.

    A volte la rabbia è un nodo denso che mi acchiappa allo stomaco, ma forse è la sensazione di impotenza. Forse i troppi caffè e le troppe sigarette. Respiro forte e conto fino a dieci, piano.

    – Nessun indizio. E la tortura è esclusa.

    – Esistono forme di pressione. Questo non è un lavoro da signorine delicate.

    Sto per cercare una risposta non troppo pungente, ma lui continua: – L’opinione pubblica vuole che il colpevole venga trovato e punito. Tutti lo vogliamo.

    Annuisco: – Ci stiamo lavorando.

    – Si spicci, Mariani. – Mi lancia un’occhiata. – Se ricordo bene era anche in buoni rapporti con l’ispettore Iachino. Dovrebbe servirle da stimolo. Due o tre giorni, massimo fino a venerdì, soltanto perché è lei, Mariani, poi voglio dei risultati.

    Cosa gli rispondo? Che anche se non fossimo amici cercherei con uguale impegno chi l’ha ferito? Capirebbe? Ne dubito. Di certo non capirebbe che l’amicizia che mi lega a Iachino invece di aiutarmi mi annebbia.

    Sono di nuovo dove c’è stato l’agguato a Iachino. È stato ferito alla testa, ma, per me, hanno mirato alla schiena: è un bersaglio più grande e quindi più facile; ma come potevano sapere che non indossava il giubbotto antiproiettile?

    Era anche a testa nuda, il colpo destinato alla schiena ha colpito la fronte. Quando hanno sparato, era chinato in avanti, verso la moto dei killer, impegnato a prendere il casco dal bauletto agganciato dietro il sellino.

    Quante volte ha detto che doveva far riparare la serratura, perché si inceppava! Conosco la scena a memoria. Già in sella, allunga all’indietro il braccio destro per prendere il casco; la serratura non scatta, allora gira tutto il busto per lavorare con entrambe le mani e far scattare la dannata. Sotto casa di sicuro non l’aveva lasciato aperto il bauletto con il casco.

    È rimasto chino in avanti per qualche istante di troppo ed è diventato un bersaglio ancora migliore. Due uomini con caschi regolamentari: gioco di squadra, divisione dei compiti, uno guida e l’altro spara.

    Troppi dettagli abbiamo trascurato nella ricostruzione del fatto.

    Colpa mia: quel giorno sono arrivato sul posto venti minuti dopo l’agguato. Se non fossi stato in Tribunale per l’affido di Abdul sarei arrivato prima e forse avrei scoperto una traccia, come ancora cerco, ostinato, nei miei pellegrinaggi. Anche oggi, partendo dal punto del ferimento, ripercorro la zona in giri concentrici, come ho fatto inutilmente tante volte in queste settimane. Chiudo gli occhi cercando di ricostruirmi la scena. Ma è nebbia…

    Ho bisogno di un caffè per schiarirmi le idee.

    Entro e subito si avvicina Esposito, il proprietario. – ’Sera, commissario. Notizie dell’ispettore? – Come mi chiede ogni volta.

    – Nessuna novità. Mi fa un caffè?

    – Subito. – Si gira verso la macchina e continua a parlare. – Un buon caffè è quello che ci vuole. Ma sa che per il povero ispettore era come timbrare il cartellino? Un caffè quando arrivava a casa e uno quando usciva.

    Lo so, è un vizio che gli ho attaccato io.

    – Perché il mio caffè è buono, tutti lo sanno. Il meglio. – Mi posa la tazzina davanti. – Mi dica, lei che è intenditore.

    Assaggio e devo concordare: – Ottimo, davvero. – Anche questo fa parte del rituale.

    – Un caffè che risuscita… – L’ha appena detto che si blocca. – Mi scusi, sono stato indelicato.

    – Niente, non è il caso. – Metto i soldi sul banco e lui fa segno di no.

    Insisto, al solito.

    Quando esco trovo una multa per divieto di sosta. Auto privata e non in servizio… Ok, pagherò.

    Piazza Verdi, davanti a Stazione Brignole, è la solita bolgia. Sto cercando di districarmene per arrivare in Questura quando mi arriva la segnalazione di raggiungere zona San Lorenzo.

    Inserisco la sirena e mi si apre un varco.

    Centro storico, ma quello buono. La vittima, Oliveri Livio, è un antiquario con negozio in una traversa di via San Lorenzo.

    – Sì, mio marito l’ho trovato io, quando sono arrivata in negozio. – È una quasi cinquantenne impeccabile, stile Genova bene. Pantalone classico blu, golfino blu, filo doppio di perle, foulard in tinta. Non piange, ma ha gli occhi gonfi ed arrossati di chi trattiene le lacrime.

    Siamo nell’ufficio sul retro. I colleghi della Scientifica sono al lavoro nella sala da esposizione, dove è stato trovato il corpo di Oliveri Livio.

    – Erano le sei, vengo sempre a quest’ora, la gente esce dagli uffici, è ora di punta. La porta la teniamo chiusa a chiave, c’è il campanello fuori. Abbiamo anche oggetti piccoli ma pregiati.

    – Capisco.

    – La porta è chiusa, lui non lo vedo ma non mi stupisco. Poteva essere nell’ufficio o in bagno. Ho preso la mia chiave e ho aperto e l’ho chiamato. Livio, Livio.

    Ora sta piangendo, piccoli singhiozzi educati, traffica nella borsa posata su una poltroncina accanto alla sua e prende un fazzoletto. Non di carta. Proprio di stoffa, con il pizzo.

    – Se non si sente di continuare…

    – Mi sento. – Rialza le spalle. – Entro. Non mi preoccupo se non risponde. A volte è così concentrato nel lavoro che non sente niente. – Inghiottisce a vuoto e si soffia il naso. – Poi lo vedo dietro la credenza dell’Ottocento piemontese. Il primo pensiero è che si sia sentito male, un infarto, un collasso. Ultimamente dormiva male. Mi chino e vedo la testa…

    Si blocca. Immagino cosa deve aver provato: la nuca colpita con violenza, per uccidere.

    – Ho capito subito che era morto. Ma gli ho tastato il collo. Non ho toccato altro. Vi ho chiamati con il cellulare.

    – Non voglio tormentarla, signora Oliveri. Con calma le chiederemo di controllare se manca qualche oggetto di valore. Mi ha detto che la porta era chiusa. Per chiudere dall’esterno è necessaria la chiave?

    – No, resta chiusa. Così non c’è pericolo di dimenticarla aperta dopo aver accompagnato un cliente all’uscita. Oltre alla serratura che usiamo quando il negozio è chiuso, una serratura con la combinazione, sa, anche per l’assicurazione… Oltre a quella, dicevo, ne abbiamo un’altra, più semplice. Come nelle porte di casa, due serrature, una per i giri, l’altra la cricca: per entrare ci vuole la chiave, o ti aprono da dentro, per uscire si usa la maniglia. Chi vuole entrare suona. Non c’è un gran movimento, in negozio.

    Immagino.

    – Cosa pensa che sia accaduto?

    – Non so. Ha fatto entrare qualcuno, pensando ad un cliente potenziale? – Mi lancia un’occhiata e le faccio segno di continuare. – L’ha lasciato solo a guardarsi attorno. – Pausa. – Dobbiamo fare così, sa. Su tutti gli articoli c’è il prezzo, molti prima di chiedere vogliono avere un’idea di quanto costa.

    – Capisco.

    – Forse si è accorto che cercava di rubare qualcosa, ha cercato di fermarlo e… – Si blocca.

    – Fate entrare tutti quelli che suonano?

    Ci pensa un po’, come rigirandosi la domanda per trovarci un senso: – Sì, capisco cosa vuol dire. Prima era più facile riconoscere un possibile cliente. Ora… No. Sembrano straccioni, tutti.

    Le ultime parole le escono a stento, è provata, le sue difese stanno crollando. La ringrazio e le assicuro che farò tutto il possibile.

    Fa segno di sì.

    – La faccio accompagnare a casa? O da un parente? Da amici?

    – A casa. No, posso stare sola. – Pausa. – Qui?

    – Ce ne occupiamo noi, signora Oliveri. Verrò domani, se si sente, per la deposizione. – Potrei farla venire in Questura, molti colleghi lavorano così, ma l’abitazione della vittima è importante.

    La faccio accompagnare a casa, poco lontano da Spianata Castelletto.

    CAPITOLO 3

    Mercoledì

    Sulla scrivania ho i dati dell’antiquario. Oliveri Livio, anni quaranta, laurea in lettere classiche. Genovese. La moglie, Serena, nata Sivori…

    Alzo gli occhi dal foglio e guardo Bareto: – Il negozio come si chiama?

    Cerca nei suoi fogli: – Bottega Antiquaria, commissario.

    – Oliveri era il proprietario?

    – No, la moglie.

    Ricomincio a leggere. Serena Sivori in Oliveri, anni quarantanove. Pure lei genovese. Quarantanove… Nove più del marito. Mi guardo la foto di Livio, quella del documento d’identità. Un uomo normale, delicato di tratti. Età indefinibile, come la moglie. Una differenza d’età inconsueta soltanto perché è lei ad essere più anziana. Ma si somigliano.

    Guardo l’ora. Accettabile: – Andiamo, Bareto.

    Palazzo d’epoca, a pochi passi da Spianata Castelletto. Mi apre una cameriera e ci fa accomodare in salotto: – La signora arriva subito.

    Non mi intendo di antiquariato, ma è una bella stanza, per chi ama vivere in un impeccabile museo. Qui è difficile immaginare bambini che giocano o Francesca in maglietta che fa camminare Ludo. D’altra parte non risulta che i padroni di casa abbiano dei figli.

    Quello da restarci a bocca aperta è il panorama sulla città. I turisti vanno a vederlo da Spianata Castelletto, ma da qui è ancora meglio. Come tutti, cerco di individuare alcuni punti di riferimento: Grimaldina, San Lorenzo…

    Mentre gioco al turista, arriva Serena Oliveri. Pantaloni grigio scuro, come la maglia, ancora filo di perle, ma diverso da quello di ieri.

    Mi sono alzato quando è entrata, mi fa segno di sedermi: – Posso offrirle qualcosa? – Se non fosse per gli occhi arrossati e un po’ gonfi, potrebbe sembrare un incontro mondano.

    – No, grazie, signora Oliveri. Ho soltanto alcune domanda da farle.

    – Mi dica. – Tende una mano verso una scatola tutta decorata in colori tenui e oro. – Il fumo la disturba? O il suo collega…

    – Nessun problema, per nessuno dei due.

    – Se gradisce? – Mi porge la scatola. Sta cercando di ritardare le mie domande o vuole davvero mettermi a mio agio, da perfetta padrona di casa?

    – No, grazie. – Una sigaretta la fumerei volentieri, ma se toccassi quella scatoletta la romperei di sicuro. E non voglio stare al suo gioco, voglio condurre io. – Sa se suo marito aveva dei nemici?

    Prima di rispondere accende la sigaretta con l’accendino da tavolo posato accanto alla scatoletta. – No. Ci siamo sposati otto anni fa e non l’ho mai sentito litigare con qualcuno.

    – Non vorrei ferirla, ma è il mio lavoro, signora Oliveri.

    Scuote un filo di cenere in un piattino intonato alla scatoletta, forse un portacenere, ma non da fumatori accaniti, e mi precede: – Vuole sapere se aveva una relazione? Pensa ad un marito geloso?

    Annuisco. Poi le chiederò se è lei ad avere una relazione.

    – Livio era poco interessato al sesso. Anche appena sposati non era il suo interesse

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